I sit down and cry...

I sit down on the sofa. First come the images from the day. I let them pass. Then come memories from when I was a child, vacillating between slight depression and mild elation; I let them go, too. Then comes peace.
That's when I put on a record. Then I sit down and cry. I'm not crying about anything or anyone specific. The life I live I created for myself, and I wouldn't want it any different. I cry because in the universe there is something as beautiful as Kremer playing the Brahms violin concerto.

Smilla's Sense of Snow, Peter Høeg

Poi mi siedo sul divano. Prima arrivano le immagini della giornata passata. Lascio che se ne vadano. Poi arrivano i ricordi di quando eri piccola, ora leggermente deprimenti, ora leggermente gioiosi, e lascio che seguano gli altri. Poi viene la pace.
A quel punto metto su un disco, mi siedo e piango. Non piango per qualcuno o per qualcosa. In un certo senso la vita che ho l’ho creata io, e non la desidero diversa. Piango perché nell’universo c’è una cosa bella come Kremer che suona il concerto per violino di Brahms.

Il senso di Smilla per la neve, Peter Høeg

But these are only words...

That until the philosophy which holds one race superior and another inferior is finally and permanently discredited and abandoned;
that until there are no longer first-class and second class citizens of any nation;
that until the color of a man's skin is of no more significance than the color of his eyes;
that until the basic human rights are equally guaranteed to all without regard to race;
that until that day, the dream of lasting peace and world citizenship and the rule of international morality will remain but a fleeting illusion, to be pursued but never attained;
and until the ignoble and unhappy regimes that hold our brothers in Angola, in Mozambique and in South Africa in subhuman bondage have been toppled and destroyed;
until bigotry and prejudice and malicious and inhuman self-interest have been replaced by understanding and tolerance and good-will;
until all Africans stand and speak as free beings, equal in the eyes of all men, as they are in the eyes of Heaven;
until that day, the African continent will not know peace.
We Africans will fight, if necessary, and we know that we shall win, as we are confident in the victory of good over evil.
But these are only words; their value depends wholly on our will to observe and honor them and give them content and meaning.


Haile Selassie




Hasta que la filosofía que dice que una raza es superior y otra inferior sea finalmente y permanentemente desacreditada y abandonada;
hasta que ya no existan ciudadanos de primera y de segunda clase de ninguna nación;
hasta que el color de la piel de un hombre no sea mas importante que el color de sus ojos;
hasta que los derechos humanos fundamentales se garanticen por igual a todos sin distinción de raza;
hasta ese día, en que el sueño de una paz duradera, de una ciudadanía mundial y en que una moral internacional, sigan siendo ilusiones efímeras, sean perseguidos, pero nunca alcanzados;
hasta que el innoble e infeliz que mantiene los regímenes de nuestros hermanos en Angola, en Mozambique y en Sudáfrica en condiciones infrahumanas de servidumbre hayan sido derribados y destruidos;
hasta que el fanatismo, los prejuicios, la malicia y el inhumano egoismo, hayan sido sustituidos por la comprensión, la tolerancia y la buena voluntad;
hasta que todos los africanos esten de pie y puedan hablar como seres libres, iguales a los ojos de todos los hombres, como lo son a los ojos de los Cielos;
hasta ese día, el continente africano no conocerá la paz.
Nosotros los africanos lucharemos, si es necesario, y sabemos que vamos a ganar, ya que estamos confiados en la victoria del bien sobre el mal.
Pero éstas sólo son palabras, su valor depende completamente de como nos las observamos y las honramos, otorgándoles contenido y sentido.


Haile Selassie




Finché la filosofia che considera una razza superiore e un’altra inferiore non sarà finalmente screditata e fatta oggetto di riprovazione;
finché in nessuna nazione vi saranno più cittadini di prima e di seconda classe;
finché il colore della pelle di un uomo non avrà più valore del colore dei suoi occhi;
finché i diritti umani fondamentali non saranno ugualmente garantiti a tutti, senza distinzione di razza;
fino a quel giorno, il sogno di una pace duratura, la cittadinanza del mondo e le regole della morale internazionale resteranno solo una fuggevole illusione, perseguita e mai conseguita;
finché l’ignobile e drammatico regime che oggi opprime i nostri fratelli in Angola, in Mozambico, in Sudafrica, con le sue disumane catene, non sarà rovesciato e totalmente spazzato via;
finché il bigottismo, il pregiudizio e l’interesse personale inumano e malizioso, non saranno sostituiti dalla tolleranza, la comprensione e i buoni propositi;
finché gli africani non si alzeranno e parleranno come esseri liberi, uguali agli occhi di tutti gli uomini, come sono uguali davanti agli occhi del Cielo;
fino a quel giorno il Continente africano non conoscerà pace.
Noi africani, combatteremo, se necessario, e sappiamo che vinceremo, poiché confidiamo nella vittoria del bene sul male
Ma queste sono solo parole, il loro valore dipende interamente da come noi le osserviamo e le onoriamo, conferendo loro contenuto e significato

Haile Selassie

Tengo fe en el Hombre

Tengo fe en el hombre. Soy poeta de la esperanza, pero no soy ciego. No creo que la fraternidad y el amor nos sean dados en regalo. No creo que los antagonismos que nos desangran desaparezcan por artes milagrosas. La perfección es el resultado de la lucha. Jorge Debravo

Ho fede nell'uomo. Sono poeta della speranza, ma non sono cieco. Non credo che la fraternità e l'amore ci vengano dati in regalo. Non credo che gli antagonismi che ci dissanguano possano sparire per miracolo. La perfezione é il risultato della lotta.
Jorge Debravo




Tu sonrisa abrazada a la muerte ronda Buenos Aires,
y te vio Guatemala volando tras de algún camión,
fue Bolivia quien te vio partir,
fue mi verso para tu canción
como un sueño empapado en tequila y en Revolución...

Por un barrio en la Habana te sigue un pionero de guerra
y en su andar Nicaragua te lleva como un corazón,
Costa Rica respira de ti, Venezuela tomó tu color
y en Santiago de Chile los jóvenes gritan tu voz...

Comandante, tu sueño va...
Aunque nadie lo pueda entender, vivirá...

En un bar de Manhattan te lleva una rubia tatuado
y en Toledo José te a clavado junto a su ilusión,
la guitarra de algún trovador
con tu boina y estrella adornó
para darle sentido, a lo que ni el olvido borró...
______________

Il tuo sorriso abbracciato alla morte vaga per Buenos Aires,
e ti vide il Guatemala saltar giù da qualche camion,
fu la Bolivia che ti vide partire,
fu il mio verso per la tua canzone
come un sogno inzuppato di tequila e Rivoluzione...

Per un quartiere all'Avana ti segue un pioniere della guerra
e nel suo camminare il Nicaragua ti porta come un cuore,
il Costa Rica respira di te, il Venezuela ha preso il tuo colore
e a Santiago del Cile i giovani gridano la tua voce...

Comandante, il tuo sogno va...
Anche se nessuno lo possa capire, vivrà...

In un bar di Manhattan una bionda ti porta tatuato,
e a Toledo José ti ha inchiodato vicino alla sua illusione,
la chitarra di qualche trovatore,
col tuo basco che la stella adornò
per dar senso, a quello che nemmeno l'oblio cancellò...



Me sirve tu sendero

Me sirve y no me sirve

La esperanza tan dulce
tan pulida tan triste
la promesa tan leve no me sirve

no me sirve tan mansa
la esperanza

la rabia tan sumisa
tan débil tan humilde
el furor tan prudente
no me sirve

no me sirve tan sabia
tanta rabia

el grito tan exacto
si el tiempo lo permite
alarido tan pulcro
no me sirve

no me sirve tan bueno
tanto trueno

el coraje tan dócil
la bravura tan chirle
la intrepidez tan lenta
no me sirve

no me sirve tan fría
la osadía

sí me sirve la vida
que es vida hasta morirse
el corazón alerta
sí me sirve

me sirve cuando avanza
la confianza

me sirve tu mirada
que es generosa y firme
y tu silencio franco
sí me sirve

me sirve la medida
de tu vida

me sirve tu futuro
que es un presente libre
y tu lucha de siempre
sí me sirve

me sirve tu batalla
sin medalla

me sirve la modestia
de tu orgullo posible
y tu mano segura
sí me sirve

me sirve tu sendero
compañero.


Mario Benedetti
























Mi serve e non mi serve

La speranza così dolce
così pulita così triste
la promessa così lieve
non mi serve

non mi serve così mite
la speranza


la rabbia così docile
così debole così umile
l’ira così prudente
non mi serve

non mi serve così saggia
tanta rabbia

il grido così giusto
se il tempo lo permette
l’urlo accurato
non mi serve

non mi serve così buono
un gran tuono

il coraggio così docile
la bravura così inconsistente
la sfrontatezza così lenta
non mi serve

non mi serve così fredda
l'audacia

mi serve, sì, la vita
che è vita fino a morirne
il cuore allerta
sì, mi serve

mi serve quando avanza
la fiducia

mi serve il tuo sguardo
che è generoso e deciso
e il tuo silenzio schietto
sì mi serve

mi serve la misura
della tua vita

mi serve il tuo futuro
che è un presente libero
e la tua lotta di sempre
sì, mi serve

mi serve la tua battaglia
senza medaglia


mi serve la modestia
del tuo orgoglio possibile
e la tua mano sicura
sì, mi serve

mi serve il tuo sentiero
compañero.

Mario Benedetti


Primera impresión del Che

¿Por qué será que el Che tiene esta peligrosa costumbre de seguir naciendo? Cuanto más lo insultan, lo traicionan, más nace. El es el más nacedor de todos.
¿No será porque el Che decía lo que pensaba, y hacía lo que decía? ¿No será que por eso sigue siendo tan extraordinario, en un mundo donde las palabras y los hechos muy rara vez se encuentran, y cuando se encuentran no se saludan, porque no se reconocen?
Hay plantas, como el cacao, que crecen al sol, cuando hay, y si no hay crecen a la sombra. Escuché decir que no necesitan sol porque lo llevan dentro.
El Che era una de esas plantas, y por eso sigue siendo.
De la primera vez que lo vi, en Punta del Este, hace añares, recuerdo aquel esplendor. Supongo, no sé, que era luz nacida de la fe. Y que no era fe en los dioses sino en nosotros, los humanitos, y en la terrestre energía capaz de hacer que mañana no sea otro nombre de hoy.

Eduardo Galeano


Perché il Che avrà mai questa pericolosa abitudine di continuare a nascere? Quanto più l'insultano, lo tradiscono, più nasce. Egli è il più "nascente" di tutti.
Non sarà perché il Che diceva quel che pensava, e faceva quel che diceva?
Non sarà che per questo motivo continua ad essere tanto straordinario, in un mondo dove le parole e i fatti molto raramente si incontrano, e quando si incontrano nemmeno si salutano, perché non si riconoscono?
Ci sono piante, come il cacao, che crescono al sole, quando c'è, e se non c'è crescono all'ombra. Ascoltai dire che non hanno bisogno di sole perché lo portano dentro.
Il Che era una di quelle piante, e per quel motivo continua ad essere.
Della prima volta che lo vidi, a Punta del Este, decenni fa, ricordo quello splendore. Suppongo, non so, che era luce nata dalla fede. E che non era fede negli dei bensì in noi, gli umani, e nella terrestre energia capace di far sì che il domani non sia un altro nome dell'oggi.

Eduardo Galeano

Eduardo Galeano para el Centro de Estudios Che Guevara, a cuarenta y cinco años de la intervención de Ernesto Che Guevara ante la conferencia del Consejo Interamericano Económico Social, el 8 de agosto en 1961 en Punta del Este, Uruguay.

Por esto y por otras cosas hay que hacer una revolución...


Elefantes, hormigas y revoluciones

Decía Julio Cortázar que decía Marcel Duchamp que los elefantes son contagiosos, y decía Julio que él agregaría que las revoluciones también son contagiosas.
Y las hormigas, Julio. Basta ir a mi cuartel donde, con paciencia y dedicación, se han instalado en las paredes, el suelo y hasta en el techo. Eso sí, faltará el alimento, pero hormigas tenemos para rato o, más bien, ellas nos tienen a nosotros, y la convivencia pacífica es nuestra garantía de supervivencia. Los elefantes, está claro, confirman una vez más que la naturaleza imita al arte y esa pesada asimetría lo reconcilia a uno consigo mismo.
Pienso que la historia habrá de hacerles justicia algún día a los elefantes, sobre todo si son de color violeta y la trompa verde. Este ser noble y modesto mucho tiene de símil con la hormiga, por más que sus relaciones sean, como las llamarían los "brillantes" politicólogos, de guerra fría (que en nuestra América está ya en punto de ebullición). ¿Ves cómo tengo razón? Apenas está uno hablando de elefantes y hormigas y ya tocan a la puerta los servicios de inteligencia made in Fort Gullick, cosa que al elefante lo deja imperturbable y de la hormiga ni hablamos, bastante trabajo tiene con el azúcar que derramé al servirme el café.
Bueno, pero trataba de decir que las hormigas y los elefantes tienen sospechosas similitudes. Por ejemplo, los elefantes les gustan a los niños, pero es de notar que los dueños de circos y zoológicos no comparten ese entusiasmo cada vez más acallado por grupos "musicales" y etcéteras vestidos con modas galácticas (o eso creen), porque si no, no me puedo explicar cómo obligan a los paquidermos a viajar en esos camiones tan incómodos y oscuros. En fin, los elefantes son seres incomprendidos y también las hormigas. Por ejemplo, el otro día un sanitario me ha soltado un largo discurso sobre lo antihigiénicas que son las hormigas y las bondades que nos traería acabar con ellas.
No lo creo. Además de la simpatía que me provocan, acabarían venciendo en esa pequeña guerra que nos iría agotando mientras ellas crecen. Todos los cursos de contrainsurgencia y todas las maniobras militares no bastarían para siquiera intimidarlas. Son más y conocen mejor el terreno. Yo estoy por una alianza o, por lo menos, un pacto de no agresión, de convivencia pacífica. Esto último creo que ha dado resultado. El cuartel tiene sus horarios. En la intendencia, por ejemplo, hay horas para que hombres y mujeres deambulen neciamente en ese lugar y horas para que las hormigas busquen alimento o se paseen en las piedras porque afuera está el calor o la lluvia. En fin, en estos pocos días hemos sido felices. Admito que tratándose de elefantes el problema crecería desmesuradamente, pero creo que terminaremos arreglándonos. Sí, sí, ya sé que los sanitarios, iracundos, se disponen a escribir sendas cartas hablando de la cantidad de microbios que las hormigas acarrean, y ni hablar de los elefantes, pero creo que me doy a entender. Las revoluciones también son antihigiénicas... para el neoliberalismo. Sobre todo porque son contagiosas (como los elefantes y las hormigas). Y así como hay que aprender a amar a las hormigas y los elefantes, hay que aprender a amar y hacer las revoluciones.
Volviendo a la relación entre las hormigas y los elefantes, a mí no me convence esa aparente indiferencia que asumen una al paso del otro. Sospecho una secreta alianza en ese ignorarse mutuamente. Tal vez se ayudan sin saberlo nosotros; tal vez tras las grandes orejas se esconden las hormigas por millones, recuperan fuerzas, conspiran y preparan el contraataque cuando alguna campaña higiénica las ha obligado a un repliegue táctico; tal vez las hormigas construyen bajo tierra inmensas galerías para resguardar a los elefantes cuando los niños terminen por olvidarlos y queden en las perversas manos de los dueños de los circos. ¿A dónde irían si no bajo tierra a esconderse? ¿Dónde podrían rehacer sus fuerzas sin que fuertes cazadores armados con napalm los encontraran? Quién dice que no, a lo mejor...
Por ejemplo, cuando veo un elefante, en las afueras de un circo o en un zoológico, se me contagia casi inmediatamente y sé que me miran con secreta complicidad, dándome a entender que se preparan para rebelarse. Seguro es que las jaulas no ni tampoco las cadenas que los atan. Las romperán un día e irán felices a retozar, por fin, en los jardines y a comer todo el algodón de azúcar que quieran (todo elefante que se respete enloquece de gusto con el algodón de azúcar y con retozar en los jardines y mejor si tienen una fuente).
Por esto, y por otras cosas, hay que hacer una revolución...

Subcomandante Insurgente Marcos


Elefanti, formiche e rivoluzioni


Diceva Julio Cortázar che Marcel Duchamp diceva che gli elefanti sono contagiosi, e diceva Julio che egli avrebbe aggiunto che anche le rivoluzioni sono contagiose.
E le formiche, Julio. Basta vedere il mio quartier generale dove, con pazienza e dedizione, si sono stabilite nelle pareti, nel pavimento e perfino sul soffitto. E' vero, ci mancherà da mangiare, ma formiche ne abbiamo per il momento o, piuttosto, sono esse che tengono noi, e la convivenza pacifica è la nostra sola garanzia di sopravvivenza. Gli elefanti, è chiaro, confermano una volta di più che la natura imita l'arte e quella loro fastidiosa asimmetria riconcilia ciascuno con sé stesso.
Penso che la storia renderà un giorno giustizia agli elefanti, soprattutto se sono di colore viola e con la proboscide verde. Questo essere nobile e modesto ha molto in comune con la formica, per quanto siano realazionabili, come direbbero i "brillanti" politologi della guerra fredda (che nella nostra America è già al punto di ebollizione). Vedi che ho ragione? Appena uno sta parlando di elefanti e formiche già bussano alla porta i servizi di intelligence made in Fort Gullick, cosa che lascia l'elefante imperturbabile e la formica manco a parlarne, chè già ha tanto di quel lavoro con lo zucchero che ho rovesciato servendomi il caffè.
Bene, ma quello che tentavo di dire è che le formiche e gli elefanti hanno delle sospette somiglianze. Ad esempio, gli elefanti piacciono ai bambini, ma è da notare che i padroni di circhi e gli zoologici non condividono quell'entusiasmo sempre più stupefacente per gruppi "musicali" eccetera vestiti con mode galattiche (o questo credono) perché se no, non posso spiegarmi come riescono ad obbligare i pachidermi a viaggiare in quei camion tanto scomodi ed oscuri. Infine, gli elefanti sono esseri incompresi ed anche le formiche. Per esempio, l'altro giorno un sanitario mi ha snocciolato un lungo discorso sull'antigienicità delle formiche e i vantaggi che si avrebbero a farla finita con loro.
Non lo credo. Oltre alla simpatia che mi suscitano, finirebbero per vincere quella piccola guerra che ci andrebbe sfinendo mentr'esse crescono. Tutti i corsi di controinsurrezione e tutte le manovre militari non basterebbero nemmeno a intimorirle. Hanno superioorità numerica e conoscono meglio il terreno. Io sono quindi per un'alleanza o, per lo meno, un patto di non aggressione, di convivenza pacifica. Quest'ultimo credo che abbia dato dei risultati. Il quartier generale ha i suoi orari. Nell'intendenza, per esempio, ci sono ore a che uomini e donne deambulino stupidamente in quel posto ed ore a che le formiche cerchino alimento o passeggino sulle pietre perché fuori fa caldo o piove. Infine, in questi pochi giorni siamo stati felici. Ammetto che trattandosi di elefanti il problema crescerebbe titanicamente, ma credo che finiremmo per trovare una sistemazione. Sì, sì, so già che i sanitari, furibondi, sono pronti a scrivere chilometriche lettere parlando della quantità di microbi che le formiche trasportano, per non parlare degli elefanti, ma credo a questo punto di dovermi far capire. Anche le rivoluzioni sono antigieniche... per il neoliberalismo. Soprattutto perché sono contagiose (come gli elefanti e le formiche). E come bisogna imparare ad amare le formiche e gli elefanti, bisogna imparare ad amare e fare le rivoluzioni.
Ritornando alla relazione tra le formiche e gli elefanti, non mi convince quell'apparente indifferenza che assumono una al passaggio dell'altro. Sospetto una segreta alleanza in quell'ignorarsi a vicenda. Forse si aiutano senza che noi lo sapiamo; forse dietro le grandi orecchie si nascondono formiche a milioni, recuperano le forze, cospirano e preparano il contrattacco quando una qualche campagna igienica li ha obbligate ad un ripiegamento tattico; forse le formiche costruiscono sottoterra immense gallerie per proteggere gli elefanti quando i bambini finiscano per dimenticarli e rimangano nelle mani perverse dei padroni dei circhi. E dove andrebbero se non sottoterra a nascondersi? Dove potrebbero ricuperare le loro energie senza che forti cacciatori armati con napalm li trovino? Chi può dire di no, forse...
Per esempio, quando vedo un elefante, nella pista di un circo o in un giardino zoologico, ne sono contagiato quasi immediatamente e so che mi guardano con segreta complicità, facendomi capire che si preparano per ribellarsi. Non li traterrano le gabbie né tantomeno le catene che li legano. Le romperanno un giorno ed andranno felici a saltellare, finalmente, nei giardini ed a mangiare tutto lo zucchero filato che vogliano (ogni elefante che si rispetti impazzisce di gusto per lo zucchero filato e per il saltellare nei giardini, meglio ancora se c'è una fonte).
Per questo, e per altre cose, bisogna fare una rivoluzione...

Subcomandante Insurgente Marcos

Es mejor si estoy contigo



Tengo un montón de preguntas que hacer,
unos cuantos octubres, los mismos que primaveras,
un saco de problemas que no pienso resolver,
leyes y reglas que algún día aprenderé.

Tengo una serie de asignaturas pendientes
que cada mes de septiembre vuelvo a suspender,
miles de nuevos paisajes que no me pienso perder
y otros tantos lugares que quiero conocer.

Es mejor, si lo que me pasa, me pasa contigo.
Es mejor, mucho más, mucho mejor, más divertido...

Tengo un montón de arrugas por reír,
unas cuantas promesas que cumplir voy a cumplir,
cientos de vidas pasadas no se cuentas por vivir
con mis buenos amigos y alguno que perdí,
36 grados y medio debajo de la piel,
muchas puertas por abrir muchas otras que cerré,
un cajón lleno de cartas de amor sin remitente,
tantas como canciones un día te regalé.

Es mejor, si lo que me pasa, me pasa contigo.
Es mejor, mucho más, mucho mejor, más divertido...

Es mejor si estoy contigo, me va la vida mejor.
Contigo yo voy tranquilo, más feliz, mucho mejor.
Más feliz y entretenido, más feliz mi corazón pasa la vida contigo.
Más feliz, mucho mejor, mucho mejor...

____________

Ho un mucchio di domande da fare,
alcuni ottobri, gli stessi che primavere,
un sacco di problemi che non penso di risolvere,
leggi e regole che qualche giorno imparerò.

Ho una serie di prove da superare
che ogni mese di settembre torno a sospendere,
migliaia di nuovi paesaggi che non penso di perdermi
ed altrettanti posti che voglio conoscere.

È miglio, se quello che mi succede, mi succede con te.
È meglio, molto di più, molto meglio, più divertente...

Ho un mucchio di rughe per ridere,
alcune promesse da mantenere che devo adempiere,
cento vite passate non contano per vivere
coi miei buoni amici e qualcuno che ho perso,
36 gradi e mezzo sotto alla pelle,
molte porte da aprire e molti altre che ho chiuso,
un cassetto pieno di lettere d'amore senza mittente,
tante come le canzoni che un giorno ti ho regalato.

È meglio, se quello che mi succede, mi succede con te.
È meglio, molto più, molto meglio, più divertente...

È meglio se sto con te, la vita mi va meglio.
Con te io vado tranquillo, più felice, molto meglio.
Più felice e divertente, più felice il mio cuore passa la vita con te.
Più felice, molto meglio, molto meglio...


Para mi corazón basta tu pecho

Para mi corazón basta tu pecho,
para tu libertad bastan mis alas.
Desde mi boca llegará hasta el cielo,
lo que estaba dormido sobre tu alma.

Es en ti la ilusión de cada día.
Llegas como el rocío a las corolas.
Socavas el horizonte con tu ausencia.
Eternamente en fuga como la ola.

He dicho que cantabas en el viento
como los pinos y como los mástiles.
Como ellos eres alta y taciturna.
Y entristeces de pronto, como un viaje.

Acogedora como un viejo camino.
Te pueblan ecos y voces nostálgicas.
Yo desperté y a veces emigran y huyen
pájaros que dormían en tu alma.


Pablo Neruda














Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla tua bocca arriverà fino al cielo
ciò che stava sopito sulla mia anima.

E' in te l'illusione di un giorno.
Giungi come rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza,
Eternamente in fuga come l'onda.

Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima

Pablo Neruda

Los ojos y la conciencia de don Quijote



Nació en prisión esta aventura de la libertad. En la cárcel de Sevilla, "donde toda incomodidad tiene su asiento y donde todo triste ruido hace habitación", fue engendrado Don Quijote de La Mancha. El papá estaba preso por deudas. Exactamente tres siglos antes, Marco Polo había dictado su libro de viajes en la cárcel de Génova, y sus compañeros de prisión habían escuchado, y escuchándolo habían viajado.
Cervantes se propuso escribir una parodia de las novelas de caballería. Ya nadie, o casi nadie, las leía. Estaban pasadas de moda. La tomadura de pelo fue un esfuerzo digno de mejor causa. Y sin embargo, esa inútil aventura literaria resultó mucho más que su proyecto original, viajó más lejos y más alto y se convirtió en la novela más popular de todos los tiempos y de todas las lenguas.
Merece gratitud eterna el caballero de la triste figura. A don Quijote los libros de caballería le habían quemado la cabeza, pero él, que se perdió por leer, salva a quienes lo leemos. Nos salva de la solemnidad y del aburrimiento.
Famosos estereotipos: don Quijote y Sancho Panza, el caballero y su escudero, la locura y la cordura, el soñador hidalgo con la cabeza en las nubes y el labriego rústico de pata en tierra.
Es verdad que don Quijote se vuelve loco de remate cada vez que monta a Rocinante, pero cuando desmonta suele decir frases que vienen del más puro sentido común, y en ocasiones pareciera que se hace el loco sólo por cumplir con el autor o el lector. Y Sancho Panza, el ramplón, el bruto, sabe ejercer con ejemplar sutileza su gobierno de la ínsula de Barataria.
Tan frágil que parecía y fue el más duradero. Cada día cabalga con más ganas, y no sólo por la manchega llanura. Tentado por los caminos del mundo, el personaje se escapa del autor y en sus lectores se transfigura. Y entonces hace lo que no hizo, y dice lo que no dijo.
Don Quijote jamás pronunció la más famosa de sus frases. "Ladran, Sancho, señal que cabalgamos" no figura en la obra de Cervantes. ¿Qué anónimo lector habrá sido el autor?
Metido en su armadura de latón, montado en su rocín hambriento, don Quijote parece destinado a la derrota y al ridículo.
Este delirante se cree personaje de novela de caballería y cree que las novelas de caballería son libros de historia. Sin embargo, no siempre cae despatarrado en sus lances imposibles, y a veces hasta aplica honrosas tundas a los enemigos que enfrenta o inventa. Y ridículo es, qué duda cabe, pero entrañablemente ridículo. Cree el niño que una escoba es un caballo, mientras el juego dura, y mientras dura la lectura los lectores acompañamos y compartimos los andares estrafalarios de don Quijote.
Reímos de él, sí, pero mucho más reímos con él.
"No te tomes en serio nada que no te haga reír", me aconsejó alguna vez un amigo brasileño. Y el lenguaje popular se toma en serio los delirios de don Quijote y expresa la dimensión heroica que la gente ha otorgado a este antihéroe. Hasta el Diccionario de la Real Academia Española lo reconoce así. Quijotada es, según el diccionario, "la acción propia de un quijote" y Quijote es aquel que "antepone sus ideales a su conveniencia y obra desinteresada y comprometidamente en defensa de causas que considera justas, sin conseguirlo".
Dos veces pidió Cervantes empleo en América, y dos veces fue rechazado. Algunas versiones dicen que era dudosa su limpieza de sangre. Los estatutos prohibían viajar a las colonias americanas a quien llevara en sus venas glóbulos judíos, musulmanes o heréticos, que se trasmitían a lo largo de no menos de siete generaciones. Quizá la sospecha de algún abuelo o bisabuelo que fuera judío converso explica la respuesta oficial a las solicitudes de Cervantes: "Busque por acá en qué se le haga merced".
El no pudo venir a América. Pero su hijo, don Quijote, sí. Y en América le fue de lo más bien.
En 1965, el Che Guevara escribió la última carta a sus padres.
Para decirles adiós, no citó a Marx. Escribió: "Otra vez siento bajo mis talones el costillar de Rocinante. Vuelvo al camino con mi adarga al brazo".
En sus malandanzas, evocaba don Quijote la edad dorada, cuando todo era común y no había tuyo ni mío. Después, decía, habían empezado los abusos, y por eso había sido necesario que salieran al camino los caballeros andantes, para defender a las doncellas, amparar a las viudas y socorrer a los huérfanos y a los menesterosos.
El poeta León Felipe creía que los ojos y la conciencia de don Quijote "ven y organizan el mundo no es como es, sino como debiera ser. Cuando don Quijote toma al ventero ladrón por un caballero cortés y hospitalario, a las prostitutas descaradas por doncellas hermosísimas, la venta por un albergue decoroso, el pan negro por pan candeal y el silbo del capador por una música acogedora, dice que en el mundo no debe haber ni hombres ladrones ni amor mercenario ni comida escasa ni albergue oscuro ni música horrible".
Unos años antes de que Cervantes inventara a su febril justiciero, Tomás Moro había contado la utopía. En el libro de Tomás Moro, Utopía, u-topía, significaba no-lugar. Pero quizás ese reino de la fantasía encuentra lugar en los ojos que lo adivinan, y en ellos encarna. Bien decía George Bernard Shaw que "hay quienes observan la realidad tal cual es y se preguntan por qué, y hay quienes imaginan la realidad como jamás ha sido y se preguntan por qué no".
Está visto, y los ciegos lo ven, que cada persona contiene otras personas posibles, y cada mundo contiene su contramundo. Esa promesa escondida, el mundo que necesitamos, no es menos real que el mundo que conocemos y padecemos.
Bien lo saben, bien lo viven, los aporreados que todavía cometen la locura de volver al camino, una vez y otra y otra, porque siguen creyendo que el camino es un desafío que espera, y porque siguen creyendo que desfacer agravios y enderezar entuertos es un disparate que vale la pena.
Ayuda lo imposible a que lo posible se abra paso. Por decirlo en términos de la farmacia de don Quijote: tan mágico es este bálsamo de Fierabrás, que a veces nos salva de la maldición del fatalismo y de la peste de la desesperanza.
¿No es ésta, al fin y al cabo, la gran paradoja del viaje humano en el mundo? Navega el navegante, aunque sepa que jamás tocará las estrellas que lo guían.

Eduardo Galeano


È nata in prigione quest'avventura della libertà. Nel carcere di Siviglia, “dove ogni scomodità ha il suo posto e dove ogni triste rumore crea intimità”, fu generato Don Chisciotte della Mancha. Il suo papà era in prigione per debiti. Esattamente tre secoli prima, Marco Polo aveva dettato il suo libro di viaggi nel carcere di Genova, e i suoi compagni di prigione avevano ascoltato, e ascoltandolo avevano viaggiato.
Cervantes si ripropose di scrivere una parodia dei romanzi di cavalleria. Nessuno, o quasi nessuno, li leggeva più. Erano passati di moda. La presa in giro fu uno sforzo degno di miglior causa. E tuttavia quella inutile avventura letteraria finì per essere molto di più del suo progetto originale, viaggiò più lontano e più in alto e divenne il romanzo più popolare di tutti i tempi e di tutte le lingue.
Il Cavaliere della Triste Figura si merita eterna gratitudine. A Don Chisciotte i libri di cavalleria avevano fuso il cervello, ma lui, che si perse a causa della lettura, salva noi che lo leggiamo. Ci salva dalla solennità e dalla noia.
Stereotipi famosi: Don Chisciotte e Sancho Panza, il cavaliere e lo scudiero, la pazzia e la saggezza, l'hidalgo sognatore con la testa fra le nuvole e il rozzo contadino con i piedi per terra.
È vero che Don Chisciotte diventa matto da legare ogniqualvolta monta su Ronzinante, ma quando smonta è solito dire frasi dettate dal più puro buon senso e, a volte, sembrerebbe quasi che fa il matto solo per obbedire all'autore o al lettore. E Sancho Panza, il volgarotto, il grezzo, sa governare con acutezza esemplare l'isola Barataria.
Sembrava tanto fragile ed è stato il più longevo. Ogni giorno cavalca con impeto sempre maggiore, e non solo per la pianura manchega. Tentato dai cammini del mondo, il personaggio scappa dall'autore e nei suoi lettori si trasfigura. E allora fa ciò che non ha mai fatto, e dice ciò che non ha mai detto.
Don Chisciotte non ha mai pronunciato la più famosa delle sue frasi. "Abbaiano, Sancho, è segno che stiamo cavalcando" non figura nell'opera di Cervantes. Quale anonimo lettore ne sarà stato l'autore?
Dentro la sua armatura di ottone, a cavallo del suo ronzino affamato, Don Chisciotte sembra destinato alla sconfitta e al ridicolo.
Questo folle si crede un personaggio da romanzo di cavalleria e crede che i romanzi di cavalleria siano libri di storia. Tuttavia, non sempre casca rovinosamente nei suoi combattimenti impossibili e talvolta dà persino una ragguardevole manica di botte ai nemici che affronta o s'inventa. Ed è ridicolo, non c'è alcun dubbio, profondamente ridicolo. Il bambino crede che una scopa sia un cavallo finché il gioco dura, e mentre dura la lettura noi lettori accompagniamo e condividiamo le strampalate avventure di Don Chisciotte.
Ridiamo di lui, sì, ma molto di più ridiamo con lui.
"Non prendere sul serio nulla che non ti faccia ridere", mi consigliò una volta un amico brasiliano. E il linguaggio popolare prende sul serio i deliri di Don Chisciotte ed esprime la dimensione eroica che la gente ha attribuito a questo antieroe. Perfino il Dizionario della Real Academia Española lo riconosce così. Quijotada, secondo il dizionario, è "l'azione propria di un chisciotte", e Quijote è colui che "antepone i suoi ideali alla sua convenienza e opera in modo disinteressato e impegnato in difesa delle cause che ritiene giuste, senza riuscirci".
Due volte Cervantes chiese lavoro in America, e due volte fu rifiutato. Secondo alcune versioni, la sua purezza di sangue era dubbia. Gli statuti proibivano di recarsi nelle colonie americane a coloro a cui scorressero nelle vene globuli ebrei, musulmani o eretici, che si trasmettevano nel corso di non meno di sette generazioni.
Forse il sospetto di qualche nonno o bisnonno ebreo convertito spiega la risposta ufficiale alle richieste di Cervantes: "Si guadagni il pane da queste parti".
Lui non poté venire in America, ma suo figlio, Don Chisciotte, sì. E in America gli andò più che bene.
Nel 1965 Che Guevara scrisse l'ultima lettera ai suoi genitori. Per digli addio non citò Marx. Scrisse: "Sento un'altra volta sotto i miei calcagni le costole di Ronzinante. Mi rimetto in cammino imbracciando il mio scudo".
Nelle sue disavventure Don Chisciotte evocava l'età dorata, quando tutto era comune e non c'era il tuo o il mio. Poi, diceva, erano iniziati gli abusi, e per questo era stato necessario che i cavalieri erranti si mettessero in cammino, per difendere le donzelle, proteggere le vedove e soccorrere gli orfani e i bisognosi.
Il poeta León Felipe credeva che gli occhi e la coscienza di Don Chisciotte "vedono e organizzano il mondo non così com'è, ma come dovrebbe essere. Quando Don Chisciotte prende l'oste malandrino per un cavaliere cortese e ospitale, le prostitute sfacciate per bellissime donzelle, la locanda per un alloggio decoroso, il pane nero per pane bianco e il fischio del porcaro per una musica di benvenuto, dice che nel mondo non ci devono essere né uomini malandrini né amore mercenario né cibo scarso né alloggio fatiscente né musica orribile".
Alcuni anni prima che Cervantes inventasse il suo febbrile giustiziere, Tommaso Moro aveva raccontato l'utopia. Nel libro di Tommaso Moro, Utopia, u-topia significava non-luogo. Ma forse quel regno della fantasia si trova negli occhi di coloro che lo indovinano e in loro s'incarna. Diceva bene George Bernard Shaw: "ci sono coloro che osservano la realtà così com'è e si domandano perché, e ci sono coloro che immaginano la realtà come non è mai stata e si domandano perché no".
È noto, e i ciechi lo notano, che ogni persona contiene altre persone possibili, e che ogni mondo contiene il suo altro mondo possibile. Questa promessa nascosta, il mondo di cui abbiamo bisogno, non è meno reale del mondo che conosciamo e subiamo.
Lo sanno eccome, lo vivono eccome coloro che, bastonati, commettono ancora la follia di rimettersi in cammino, un'altra volta e ancora e ancora, perché continuano a credere che il cammino sia una sfida che ci attende, e perché continuano a credere che riparare offese e vendicare torti sia una pazzia degna di essere commessa.
Aiuta a far sì che l'impossibile divenga possibile. Per dirlo con la terminologia farmaceutica di Don Chisciotte: questo balsamo di Fierabrás è così magico che a volte ci salva dalla maledizione del fatalismo e dalla peste della disperazione.
Non è questo, in fin dei conti, il grande paradosso del viaggio umano nel mondo? Il navigante naviga, anche se sa che non toccherà mai le stelle che lo guidano.

Eduardo Galeano



Las escaleras se suben de frente

Nadie habrá dejado de observar que con frequencia el suelo se pliega de manera tal que una parte sube en ángulo recto con el plano del suelo, y luego la parte siguiente se coloca paralela a este plano, para dar paso a una nueva perpendicular, conducta que se repite en espiral o en línea quebrada hasta alturas sumamente variables. Agachándose y poniendo la mano izquierda en una de las partes verticales, y la derecha en la horizontal correspondiente, se está en posesión momentánea de un peldaño o escalón. Cada uno de estos peldaños, formados como se ve por dos elementos, se situá un tanto más arriba y adelante que el anterior, principio que da sentido a la escalera, ya que cualquiera otra combinación producirá formas quizá más bellas o pintorescas, pero incapaces de transladar de una planta baja a un primer piso.
Las escaleras se suben de frente, pues hacia atrás o de costado resultan particularmente incómodas. La actitud natural consiste en mantenerse de pie, los brazos colgando sin esfuerzo, la cabeza erguida aunque no tanto que los ojos dejen de ver los peldaños inmediatamente superiores al que se pisa, y respirando lenta y regularmente. Para subir una escalera se comienza por levantar esa parte del cuerpo situada a la derecha abajo, envuelta casi siempre en cuero o gamuza, y que salvo excepciones cabe exactamente en el escalón. Puesta en el primer peldaño dicha parte, que para abreviar llamaremos pie, se recoge la parte equivalente de la izquierda (también llamada pie, pero que no ha de confundirse con el pie antes citado), y llevándola a la altura del pie, se le hace seguir hasta colocarla en el segundo peldaño, con lo cual en éste descansará el pie, y en el primero descansará el pie. (Los primeros peldaños son siempre los más difíciles, hasta adquirir la coordinación necesaria. La coincidencia de nombre entre el pie y el pie hace difícil la explicación. Cuídese especialmente de no levantar al mismo tiempo el pie y el pie).
Llegado en esta forma al segundo peldaño, basta repetir alternadamente los movimientos hasta encontrarse con el final de la escalera. Se sale de ella fácilmente, con un ligero golpe de talón que la fija en su sitio, del que no se moverá hasta el momento del descenso.


Instrucciones para subir una escalera, Julio Cortázar


Nessuno può non aver notato che sovente il suolo si piega in modo che da una parte sale ad angolo retto rispetto al piano del suolo medesimo mentre la parte che segue si colloca parallelamente a questo piano per dar luogo ad un’altra perpendicolare, comportamento che si ripete a spirali o secondo una linea spezzata fino ad altezze sommamente variabili. Chinandoci e mettendo la mano sinistra su una delle parti verticali e quella destra sulla corrispondente orizzontale ci troveremo in momentaneo possesso di un gradino o scalino. Ciascuno di questi scalini, formanti come si vede da due elementi, si trova ubicato un po’ più in alto e un po’ più in avanti rispetto al precedente, principio che dà significato alla scala, dato che qualsiasi altra combinazione determinerebbe forme magari più belle o pittoresche, ma inadatte a trasportare da un pianterreno a un primo piano.
Le scale si salgono frontalmente, in quanto all’indietro o di fianco risultano particolarmente scomode. La posizione naturale è quella in piedi, le braccia in giù senza sforzo, la testa eretta ma non tanto da impedire agli occhi di vedere gli scalini immediatamente superiori a quello sul quale ci si trova, e respirando con lentezza e ritmo regolare. Per salire una scala si cominci con l’alzare quella parte del corpo posta a destra in basso, avvolta quasi sempre nel cuoio o nella pelle scamosciata, e che salvo eccezioni è della misura dello scalino. Posta sul primo scalino la suddetta parte, che per brevità chiamiamo piede, si tira su la parte corrispondente sinistra (anch’essa detta piede, ma da non confondersi con il piede menzionato), e portandola all’altezza del piede la si fa proseguire fino a poggiarla sul secondo scalino, sul quale grazie a detto movimento riposerà il piede mentre sul primo riposerà il piede. (I primi scalini sono sempre i più difficili, fino a quando non si sarà acquisito il coordinamento necessario. Il fatto che coincidano nel nome il piede e il piede rende difficoltosa la spiegazione. Fare attenzione a non alzare contemporaneamente il piede e il piede).
Giunti con questo procedimento sul secondo scalino, basta ripetere a tempi alterni i suddetti movimenti fino a trovarsi in cima alla scala. Se ne esce facilmente con un leggero colpo di tallone che la fissa al suo posto, dal quale non si muoverà fino al momento della discesa.

Istruzioni per salire le scale, Julio Cortázar

Cuento



Esa hormiga es una hija de gran puta, especuladora...

Banqueros, abarroteros, notarios...



C'era un re che aveva due castelli
uno d'argento uno d'oro
ma per lui non il cuore di un amico
mai un amore nè felicità...

Banchieri, pizzicagnoli, notai
coi ventri obesi e le mani sudate,
coi cuori a forma di salvadanai,
noi che invochiam pietà fummo traviate.
Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.
Giudici eletti, uomini di legge,
noi che danziam nei vostri sogni ancora,
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte,
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte...

Un castello lo donò
e cento e cento amici trovò,
l'altro poi gli portò mille amori
ma non trovò la felicità

Uomini, cui pietà non convien sempre
mal accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.
Uomini, poiché all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioire nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il grano guarda il villano
finché non sia maturo per la falce...

Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu hai donato
per avere un compenso,
ma solo in te, nel tuo cuore,
se tu avrai donato solo per pietà.
______________

Hubo un rey que tuvo dos castillos
una de plata uno de oro
pero por él no el corazón de un amigo
nunca un amor ni felicidad...

Banqueros, abarroteros, notarios
con los vientres obesos y las manos sudadas,
con los corazones en forma de huchas,
nosotros que invocamos piedad fuimos extraviadas.
Navegamos sobre frágiles navíos
por afrontar del mundo la borrasca
y tuvimos demasiado los ojos belli:
qué la piedad vosotros no quede en el bolsillo.
Jueces electos, hombres de ley,
nosotros que todavía bailamos en vuestros sueños,
somos el humano desolado rebaño
de quien murió con el nudo a la garganta.
Cuánto inocentes a la horrorosa agonía
votarais decidiendo de ello la suerte,
y cuánto justas ocurrencias que sea
una sentencia que decreta muerte...

Un castillo él dicho en regalo
y ciento y ciento amigos encontró,
luego el otro le llevó mil amores
pero no encontró la felicidad...

Hombres, cuyo piedad no convien siempre
mal aceptando la suerte común,
vais, en las tardes de noviembre,
a espiar estrellas a la tenue lumbre,
la muerte y el viento, entre los camposantos,
muover las tumbas y ponerle vecinas
como fueran tarjetas gigantes
de un dominó que no tendrá nunca fin.
Hombres, ya que al último minuto
no os ataque el remordimiento ya tardío
para no tener piedad jamás tenida
y no te conviertes en estertor la respiración:
sepáis que la muerte os vigila
alegrarse en los prados o entre los muros de cal,
como crecer el trigo mira al aldeano
hasta que sea no maduro por la hoz...

No busques la felicidad
en todo aquellos a que tú has donado
para tener una remuneración,
pero sólo en ti, en tu corazón,
si tú sólo habrás donado por piedad.


Usted no lo sabe...



Usted no lo sabe, pero depende de ellos. Usted no los conoce ni se los cruzará en su vida, pero esos hijos de la gran puta tienen en las manos, en la agenda electrónica, en la tecla intro del computador, su futuro y el de sus hijos.
Usted no sabe qué cara tienen, pero son ellos quienes lo van a mandar al paro en nombre de un tres punto siete, o de un índice de probabilidad del cero coma cero cuatro.
Usted no tiene nada que ver con esos fulanos porque es empleado de una ferretería o cajera de Pryca, y ellos estudiaron en Harvard e hicieron un máster en Tokio -o al revés-, van por las mañanas a la Bolsa de Madrid o a la de Wall Street, y dicen en inglés cosas como long-term capital management, y hablan de fondos de alto riesgo, de acuerdos multilaterales de inversión y de neoliberalismo económico salvaje, como quien comenta el partido del domingo.
Usted no los conoce ni en pintura, pero esos conductores suicidas que circulan a doscientos por hora en un furgón cargado de dinero van a atropellarlo el día menos pensado, y ni siquiera le quedará a usted el consuelo de ir en la silla de ruedas con una recortada a volarles los huevos, porque no tienen rostro público, pese a ser reputados analistas, tiburones de las finanzas, prestigiosos expertos en el dinero de otros. Tan expertos que siempre terminan por hacerlo suyo; porque siempre ganan ellos, cuando ganan, y nunca pierden ellos, cuando pierden.
No crean riqueza, sino que especulan. Lanzan al mundo combinaciones fastuosas de economía financiera que nada tiene que ver con la economía productiva.
Alzan castillos de naipes y los garantizan con espejismos y con humo, y los poderosos de la tierra pierden el culo por darles coba y subirse al carro.
Esto no puede fallar, dicen. Aquí nadie va a perder; el riesgo es mínimo. Los avalan premios Nóbel de Economía, periodistas financieros de prestigio, grupos internacionales con siglas de reconocida solvencia. Y entonces el presidente del banco transeuropeo tal, y el presidente de la unión de bancos helvéticos, y el capitoste del banco latinoamericano, y el consorcio euroasiático y la madre que los parió a todos, se embarcan con alegría en la aventura, meten viruta por un tubo, y luego se sientan a esperar ese pelotazo que los va a forrar aún más a todos ellos y a sus representados.
Y en cuanto sale bien la primera operación ya están arriesgando más en la segunda, que el chollo es el chollo, e intereses de un tropecientos por ciento no se encuentran todos los días.
Y aunque ese espejismo especulador nada tiene que ver con la economía real, con la vida de cada día de la gente en la calle, todo es euforia, y palmaditas en la espalda, y hasta entidades bancarias oficiales comprometen sus reservas de divisas. Y esto, señores, es Jauja.
Y de pronto resulta que no. De pronto resulta que el invento tenía sus fallos, y que lo de alto riesgo no era una frase sino exactamente eso: alto riesgo de verdad. Y entonces todo el tinglado se va a tomar por el saco. Y esos fondos especiales, peligrosos, que cada vez tienen más peso en la economía mundial, muestran su lado negro. Y entonces -¡oh, prodigio!- mientras que los beneficios eran para los tiburones que controlaban el cotarro y para los que especulaban con dinero de otros, resulta que las pérdidas, no.
Las pérdidas, el mordisco financiero, el pago de los errores de esos pijolandios que juegan con la economía internacional como si jugaran al Monopoly, recaen directamente sobre las espaldas de todos nosotros. Entonces resulta que mientras el beneficio era privado, los errores son colectivos y las pérdidas hay que socializarlas, acudiendo con medidas de emergencia y con fondos de salvación para evitar efectos dominó y chichis de la Bernarda.
Y esa solidaridad, imprescindible para salvar la estabilidad mundial, la pagan con su pellejo, con sus ahorros, y a veces con sus puestos de trabajo, Mariano Pérez Sánchez, de profesión empleado de comercio, y los millones de infelices Marianos que a lo largo y ancho del mundo se levantan cada día a las seis de la mañana para ganarse la vida.
Eso es lo que viene, me temo. Nadie perdonará un duro de la deuda externa de países pobres, pero nunca faltarán fondos para tapar agujeros de especuladores y canallas que juegan a la ruleta rusa en cabeza ajena.
Así que podemos ir amarrándonos los machos. Ése es el panorama que los amos de la economía mundial nos deparan, con el cuento de tanto neoliberalismo económico y tanta mierda, de tanta especulación y de tanta poca vergüenza.

Arturo Pérez-Reverte




Lei non lo sa, ma dipende da loro. Lei non li conosce né li incontrerà mai nella sua vita, ma quei gran figli di puttana hanno nelle mani, nell'agenda elettronica, nella tasto enter del computer, il suo futuro e quello dei suoi figli.
Lei non sa che faccia hanno, ma sono loro che la mandano disoccupato in nome di una percentuale del tre punto sette, o di un indice di probabilità dello zero virgola zero quattro.
Lei non ha niente a che vedere con quei tizi perché è impiegato di una ferramenta o cassiere di Pryca, e loro hanno invece studiato ad Harvard e fatto un master a Tokyo - o anche il contrario -, vanno tutte le mattine alla Borsa di Madrid o a quella di Wall Street, e dicono in inglese cose come long-term capital management, e parlano di fondi ad alto rischio, di accordi multilaterali di investimento e di neoliberalismo economico selvaggio, come chi commenta la partita della domenica.
Lei non li conosce nemmeno in fotografia, ma quegli automobilisti suicidi che circolano a duecento all'ora su un furgone carico di denaro la travolgeranno il giorno che meno se l'aspetta, e neanche le rimarrà la consolazione di andare su una sedia a rotelle a tagliargli con una sforbiciata le palle, perché non hanno volto pubblico, a dispetto del fatto di essere celebre analisti, squali della finanza, prestigiosi esperti nel denaro degli altri. Tanto esperti che finiscono sempre per farlo proprio, quel denaro; perché essi guadagnano sempre, quando guadagnano, e non perdono mai, quando perdono.
Non creano ricchezza, ma osservano. Lanciano al mondo combinazioni fastose di economia finanziaria che niente ha a che vedere con l'economia produttiva. Alzano castelli di carte e li garantiscono con miraggi e con fumo, ed i potenti della terra sono disposti vendersi il culo per dar loro una leccata e portarli sul loro carro.
Questo non può fallire, dicono. Qui nessuno perde; il rischio è minimo. Li avallano premi Nóbel per l'Economia, prestigiosi giornalisti finanziari, gruppi internazionali con sigle di riconosciuta solvibilità. Ed allora il presidente della tal banca transeuropea, ed il presidente dell'unione delle banche svizzere, ed il capataz della banca latinoamericana, ed il consorzio euroasiatico e la madre che li ha fatti tutti, si imbarcano con allegria nell'avventura, inventano un sacco di stronzate, e dopo si siedono ad aspettare quella gran pacchettata di soldi che li ingozzerà ancora di più, tutti loro e i loro rappresentati.
E non appena ha buon esito la prima operazione già stanno arrischiando di più nella seconda, che l'occasione è l'occasione, e interessi di un tot percento non si trovano mica tutti i giorni.
E benché questo miraggio speculativo non abbia niente a che vedere con l'economia reale, con la vita di ogni giorno della gente della strada, è tutta un'euforia, e gran pacche sulla schiena, e perfino le istituzioni bancarie ufficiali compromettono le loro riserve di valuta. E questo, signori, è Bengodi.
E all'improvviso risulta di no. All'improvviso si scopre che la trovata aveva le sue falle, e che quella dell'alto rischio non era solo una frase bensì esattamente quello: alto rischio in realtà. Ed allora tutto il baraccone se la prende nel culo. E quei fondi speciali, pericolosi, che ogni volta hanno più peso nell'economia mondiale, mostrano il loro lato oscuro. Ed allora - oh, prodigio!- mentre i benefici erano per gli squali che controllavano la combriccola e per quelli che speculavano col denaro degli altri, risulta che le perdite no, non lo sono.
Le perdite, la crisi finanziaria, il costo degli errori di quei fighetti che giocano con l'economia internazionale come se giocassero a Monopoli, ricadono direttamente sulle spalle di tutti noi. Allora succede che mentre il profitto era privato, gli errori si fanno collettivi e le perdite vanno socializzate, accorrendo con misure d'emergenza e con fondi di salvataggio per evitare effetti domino e la fregna della Bernarda.
E questa solidarietà, indispensabile per salvare la stabilità mondiale, la pagano con la propria pelle, coi propri risparmi, ed a volte coi propri posti di lavoro, Mariano Pérez Sánchez, di professione impiegato di commercio, ed i milioni di infelici Mariano che in lungo e in largo per il mondo s'alzano ogni giorno alle sei di mattina per guadagnarsi da vivere.
Questo è quello che succederà, temo. Nessuno perdonerà cinque centesimi del debito estero dei paesi poveri, ma non mancheranno mai fondi per coprire i buchi di speculatori e canaglie che giocano alla roulette russa con la testa degli altri.
Cosicché continuiamo ad avere le mani legate. Questo è il panorama che i padroni dell'economia mondiale ci offrono, col resoconto di tanto neoliberalismo economico e di tanta merda, di tanta speculazione e di tanta poca vergogna.

Arturo Pérez-Reverte

Questo articolo dello scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte venne pubblicato su "El Semanal" il 15 novembre del 1998!! Dopo oltre dieci anni s'è rivelato premonitore e si è avverato con spaventosa precisione, fin nei minimi particolari. L'autore meriterebbe il Nobel per l'Economia!! (che verrà invece assegnato sicuramente a Michelle Obama per l'ottima scelta dei suoi tailleur ed il perfetto abbinamento dei colori). (D*)


Coi soldi degli altri



Mentre le imprese chiudono e la gente perde il lavoro a causa della crisi le grandi banche sono già in ripresa e il Wall Street Journal pubblica con orgoglio grafici che mostrano per il 2009 utili con andamento positivo e ricavi superiori a quelli precedenti la crisi (solo negli Usa si prevedono oltre 400 miliardi di dollari).
Mentre i banchieri intascano stipendi e bonus record (i compensi totali e i benefit delle 23 maggiori istituzioni finanziarie statunitensi sono passati da 115 miliardi di dollari del 2008 agli oltre 135 miliardi di di dollari di quest'anno!) si calcola che nel mondo, a causa della crisi, oltre 60 milioni di persone perderanno il lavoro. Il tasso percentuale di disoccupazione, infatti, è di segno esattamente contrario a quello degli utili delle banche e tende ormai verso il 12 percento.
Gli stati, per salvare le banche, hanno aumentato il loro debito pubblico. Con chi? Ma con le banche, naturalmente!
Il debito, che sia il mutuo di un semplice cittadino o il deficit di uno stato, ha questo di bello: si può facilmente calcolare in progressione nel tempo, per gli anni a venire. Si sa già, ad esempio, che quello italiano per il 2014 sarà arrivato a quota 129 percento del Pil! Vale a dire che tutto quello che tutti noi riusciamo a produrre in un anno intero, anche se fosse accantonato per intero, non riuscirebbe comunque a colmare il debito: ne resterebbe fuori ancora un 29 percento!
Intanto noi tutti stiamo già pagando. Il signor Rossi, mounsieur Martin, herr Schmidt, señor Sánchez, mister Smith... E paghiamo due volte, come contribuenti per maggiori tasse e come cittadini con minori servizi. Gli unici a guadagnarci, guarda caso, sono gli stessi che hanno creato la crisi. I compensi dei banchieri continuano a salire vertiginosamente. La sola Goldman Shaks ha già pronti da distribuire ai suoi manager 17 miliardi di dollari in premi!
E in tutto questo non manca nemmeno la presa per il culo. Barack Obama, Nobel Peace Prize Award alla... "buona volontà" (caso scandaloso e, credo, unico nella storia, paragonabile solo a quello per la letteratura dato a Winston Churchill), se n'è venuto fuori giorni fa con un vibrante attacco a lobbysti (vedi sotto) e operatori finanziari dicendo che “usano la loro influenza per mantenere lo status quo che ha massimizzato i loro profitti a spese dei consumatori [sich! A spese dei cittadini, casomai. Ma si sa che per gli americani le due cose sono una sola...], nonostante il fatto che questi ultimi li abbiano salvati [qualcuno ci ha forse interpellati in proposito? Ha chiesto il nostro consenso?] dalle cattive decisioni che avevano preso”. Insomma, alla fine Obama parla come fosse un Gennarino Esposito al Bar dello Sport di Casoria... Ma lui è non è il Presidente degli Stati Uniti? Solo volesse potrebbe anche chiudere Wall Street domattina, o no?
Neil Borofsky, ispettore generale del Tarp (Troubled Asset Relief Program), il programma di aiuti federali alle banche, ha detto che così – pompando liquidità - si stimola l'economia, parlando come si trattasse di un clistere. Il dettaglio è il costo dell'enteroclisma: 23 mila miliardi di dollari (solo negli USA). Quanto al culo, su quello non ci sono dubbi, dobbiamo mettercelo noi tutti...
Nel frattempo i vincitori portano sempre gli stessi nomi, giusto qualche ritocco al brand. Goldman Sachs, Jp Morgan e compagnia bella stanno ancora tutti lì. Sembrava dovessero fallire e sparire tutti, ma governi e banche centrali li hanno salvati: alcune banche sono state nazionalizzate, altre sono state rifinanziate praticamente a costo zero. I soli paesi del G20 hanno speso in questo modo oltre 9.000 miliardi di dollari (!), che arrivano al doppio se si considerano, oltre gli interventi diretti, anche le garanzie prestate. Insomma, qualcosa come quasi 20 mila miliardi (!), il 36 percento di tutti i loro Pil messi insieme. E poi ci vengono a dire che non si può sconfiggere la miseria ed eliminare la fame nel mondo.
Ma sulla torta - e che torta - c'è anche l'immancabile ciliegina. Chi ha infatti “aiutato” i governi nel difficile compito di soccorso e salvataggio? Chi ha fornito loro la consulenza tecnica necessaria, facendosi per questo lautamente retribuire? Ma è ovvio: le banche! Chi sennò?
Le banche si sono quindi salvate reciprocamente tra loro, facendosi pagare la prestazione! L'Ubs, dopo essere stata salvata e rifinanziata dal governo svizzero, ha partecipato con altri governi ad un progetto da oltre 100 miliardi di euro per il salvataggio di altre banche! E lo stesso hanno fatto Jp Morgan, Morgan Stanley, Credit Suisse, Goldman Sachs...
Ma questo è ancora niente, perché se si esamina in dettaglio le tecniche di salvataggio attuate, i piani di risanamento approvati e l'origine dei ricavi (e quindi degli utili) ottenuti si può constatare dell'altro. Ad esempio che, mentre il mondo produttivo si trova a fronteggiare la contrazione del credito e noi cittadini ad affrontare un costo sociale ed economico senza precedenti, le banche, grazie alle immani iniezioni di liquidità, producono ricavi prelevando denaro dalle banche centrali ad un tasso del 1 percento e “ripestandolo” a tassi anche 20 volte superiori(!), lucrando la differenza netta. Con i proventi ottenuti in tal modo, poi, operano il trading in borsa. La nuova “magia” è quindi più o meno questa: le banche centrali e i governi finanziano le banche, le banche alimentano le Borse, le Borse al rialzo risollevano i bilanci delle banche.
Un altro bel giochino, non c'è che dire.
Dà l'idea di un grande, enorme mulino. Un mulino efficiente ed in piena attività, dove da un lato si vedono un sacco di persone entrare portando carrettate di grano. Un mulino che giorno e notte sferraglia, fa un fottio di rumore e muove un sacco di ruote, ingranaggi e macine... ma, sorpresa!, non produce farina! Dall'altra parte, infatti, esce poco e nulla. La gente, con pazienza e rassegnazione aspetta, aspetta...
Ma, tranquilli... Quel mulino non produce farina per quanti son lì che portano il grano, ma i molitori la farina ce l'hanno eccome...


PS A proposito poi di lobbyng...

Obama ne parla come si fosse appena svegliato, facendo finta di saperne poco o nulla, ma cos'è l'attività di lobbyng?
E' il settore più dinamico della politica americana, popolato di eminenze grige con stipendi da sogno.
Marc Racicot, l'ex direttore esecutivo dell'American Insurance Association, il più importante gruppo di lobbyng in campo assicurativo, guadagnava fino allo scorso anno due milioni di dollari! Come? In passato ha contribuito a dirottare la riforma sanitaria di Clinton.
La Sifma (Securities Industry and Financial Markets Association) ha invece contribuito, assieme all'agglomerato lobbistico-finanziario-assicurativo-immobiliare denominato “Fire” (nomen omen), a far eliminare dal Congresso il Glass-Steagall Act, la legge del 1933 che manteneva separate le attività bancarie commerciali da quelle d'affari. Hanno speso qualcosa come più di 2 miliardi di dollari in contributi a partiti politici, parlamentari e congressisti e oltre 3 miliardi e mezzo in stipendi per i lobbisti. La legge infatti è stata alla fine abrogata. E i risultati li abbiamo visti tutti (vedi The Black List).
Adesso certo c'è aria di sputtanamento generale, ma deputati e senatori non possono fare a meno dei generosi “contributi” ai loro fondi politici né di “finanziamenti” per le campagne elettorali nei loro feudi.
Le lobby non sono quindi scomparse ma si sono “riciclate”, hanno cioè cambiato nome.
La trovata è di Jane Hartley, presidente dell'Observatory Group, che non è un'associazione di astronomi dilettanti ma di consulenti politici per il settore finanziario. Questo acquario di pirañas e barracuda preferisce ora farsi chiamare “facilitators” (come dire i "terminators" della corruzione politica).
La signora Jane in occasione dell'insediamento di Obama ha dato col marito, Ralph Schlosstein, gran finanziere e co-fondatore della Black Rock Inc., la società finanziaria che si può dire ha inventato i famigerati MBS (mortgage backed securities), uno dei party più esclusivi della capitale.
Al party c'erano Christopher Dodd, presidente della commissione bancaria del Senato, banchieri come Joe Perella (ex Morgan Stanley) e Roger Altman (ex Lehman Brothers, advisor nelle campagne elettorali di John Kerry e Hillary Clinton) e finanzieri afroamericani come Raymond McGuire ( alla guida del settore Global Banking di Citigroup) e Ronald Blaylock di GenNx360 Capital Partners e c.e.o. della Blaylock & Company Inc. nonché amico personale di Obama.
Praticamente un club di amici degli amici alla guida della finanza e dell'economia.
La domanda è: di cosa avranno parlato tra un cocktail di scampi e una tartina al gaviale? Della pesca del merluzzo nell'Atlantico del Nord? Della coltivazione della vite nella Bassa California? O forse, come dice di fare Berlusconi coi giudici della Corte Costituzionale, delle tecniche di corteggiamento e rituali di accoppiamento dei fagiani dorati e delle quaglie brune? (e non a caso subito dopo la sentenza della Consulta Berlusconi che ha fatto? S'è lamentato, guarda un po', del fatto che Napolitano non avesse fatto anch'egli la dovuta pressione)
To the victor go the spoils”. Quella che si fa sempre più strada - negli Stati Uniti come da noi - è una visione proprietaria del potere, una concezione privata della democrazia.
Obama adesso fa finta di essere nato ieri e si lamenta delle lobby e della finanza, ma lui appena ricevuta la nomina a presidente a chi ha dato l'incaricato di effettuare lo spoil system? A John Podesta, il cui fratello Tony e la moglie Heather sono alla guida della Podesta Group, società che offre “services government relations and public affairs”, praticamente la più potente organizzazione di pressione e indirizzo politico di Washington!
Così tutta l'assegnazione delle cariche di governo e sottogoverno della sua amministrazione è stato attuata - come al solito - attraverso il più consueto e scandaloso sistema di potere: una cuccagna elevata a sistema, un manuale Cencelli col turbo. (D*)

No te duermas



Ahora que te tengo para mí,
Que el tiempo ya no pasa por aquí,
Recuerdo cuantas veces te pedí hacerlo.
Ahora que estás a un centímetro de mi,
repaso tu cuerpo por si hay algo que no vi,
y pienso en lo que dijiste antes...
"No te duermas que no hemos acabado".

Tengo ganas de hacerlo otra vez,
no duermo mejor me quedo esperando el momento
en que me pidas volver al juego.
Luego voy a besarte los pies,
los dedos y puede que en la boca también.
Imagino como lo vas a querer
y espero...
Espero a que me digas otra vez
esa frase que tanto me gusta:
"No te duermas que no hemos acabado".

Espero a que me digas otra vez
esa frase que ya no me asusta:
"No te duermas que a mi me falta un rato".

Lento se mueve tu corazón,
suave escucho tu respiración,
cuento cada segundo que paso contigo,
tu aliento, el momento, que sueño tengo...
Mejor despierto y espero.
Espero a que me digas otra vez...
Espero a que me digas otra vez,
lo que nunca antes había escuchado:
"No te duermas que a mi me falta un rato".
________

Ora che ti ho per me,
che il tempo adesso qui non passa,
ricordo quante volte ti chiesi di farlo.
Ora che stai a un centimetro da me,
ripasso il tuo corpo per vedere se c'è qualcosa che non ho visto,
e penso a quello che hai detto prima...
"Non ti addormentare che non abbiamo finito".

Ho voglia di farlo un'altra volta,
non dormo, preferisco rimanere ad aspettare il momento
in cui mi chiederai di tornare a giocare...
Quindi ti bacio i piedi,
le dita e può darsi la bocca.
Immagino anche quanto lo desideri,
e spero...
Spero che tu mi dica ancora una volta
quella frase che tanto mi piace:
"Non ti addormentare che non abbiamo finito".

Spero che tu mi dica ancora una volta
quella frase che oramai non mi spaventa:
"Non ti addormentare che a me mi manca un momento".

Lento si muove il tuo cuore,
soave ascolto la tua respirazione,
conto ogni secondo che passo con te,
il tuo alito, il momento, che sogno ho...
Meglio restar sveglio e sperare.
Spero che tu mi dica un'altra volta...
Spero che tu mi dica un'altra volta,
quello che prima non avevo ascoltato mai:
"Non ti addormentare che a me manca un momento"...

Una mujer desnuda

Una mujer desnuda y en lo oscuro
tiene una claridad que nos alumbra
de modo que si ocurre un desconsuelo,
un apagón o una noche sin luna,
es conveniente y hasta imprescindible
tener a mano una mujer desnuda.

Una mujer desnuda y en lo oscuro
genera un resplandor que da confianza
entonces dominguea el almanaque,
vibran en su rincón las telarañas
y los ojos felices y felinos
miran y de mirar nunca se cansan.

Una mujer desnuda y en lo oscuro
es una vocación para las manos,
para los labios es casi un destino
y para el corazón un despilfarro.
Una mujer desnuda es un enigma
y siempre es una fiesta descifrarlo.

Una mujer desnuda y en lo oscuro
genera una luz propia y nos enciende,
el cielo raso se convierte en cielo
y es una gloria no ser inocente.
Una mujer querida o vislumbrada
desbarata por una vez la muerte.

Mario Benedetti

























Una donna nuda e al buio
ha un chiarore che ci illumina
in modo che se succede uno sconforto
un black-out o una notte senza luna
è conveniente e persino imprescindibile
tener vicino una donna nuda.

Una donna nuda e al buio
genera uno splendore che dà fiducia
e allora segna festa il calendario
vibrano nei loro angoli le ragnatele
e gli occhi felici e felini
guardano e non si stancano di guardare

Una donna nuda e al buio
è una vocazione per le mani
per le labbra è quasi un destino
e per il cuore uno sperpero.
Una donna nuda è un enigma
ed sempre è una festa decifrarlo.

Una donna nuda e al buio
genera una propria luce e ci accende,
il soffitto si trasforma in cielo
ed è una gloria non essere innocente.
Una donna voluta o intravista
sconfigge per una volta la morte.

Mario Benedetti

No matter who you are...



This songs says:
Ah, no matter who you are,
no matter where you go in your life
at some point you gonna need
somebody to stand by you.

Oh ya, oh my darling, stand by me.
No matter who you are,
no matter where you go in life,
you gonna need somebody to stand by you.
No matter how much money
you got or friends you got,
you gonna need somebody to stand by you.

When the nigth has come
and the land is dark
and that moon is the only light we'll see,
no, I won’t be afraid , no I won’t shed one tear
just as long you people come and stand by me.

And darlin', darlin' stand by me,
oh now now stand by me
stand by me, stand by me...

If the sky that we look upon
should tumble and fall
and the mountains should crumble to the sea
I won't cry, I won't cry, no I won't shed a tear,
just as long as you stand, stand by me...

And darlin', darlin', stand by me,
oh stand by me, stand by me...

Whenever you're in trouble won't you stand by me,
oh now now stand by me, oh stand by me...

Darlin', darlin', stand by mee, stand by me,
oh stand by me, stand by me, stand by me...

____________

Roger Ridley (from Santa Monica, California); Grandpa Elliot (from New Orleans,Louisiana); Washboard Chaz (from New Orleans,Louisiana); Clarence Bekker (from Amsterdam, Netherlands); Twin Eagle Drum Group (from Zuni, New Mexico); Francois Viguié (from Toulouse, France); Roberto Luti (from New Orleans,Louisiana), Geraldo & Dionisio (from Caracas, Venezuela); Junior Kissangwa Mbouta (from Congo); Pokei Klaas (from Guguleto, South Africa); Django Degen (from Barcelona, Spain); Sinamuva (from Umlazi, South Africa); Cesar Pope (from Rio de Janeiro, Brazil); Vusi Mahlasela (from Mamelodi, South Africa); Dimitri Dolganov (from Moscow, Russia); Stefano Tomaselli (da Pisa, Italia)


La verdad es la única realidad

Del otro lado de la reja está la realidad, de
este lado de la reja también está
la realidad; la única irreal
es la reja; la libertad es real aunque no se sabe bien
si pertenece al mundo de los vivos, al
mundo de los muertos, al mundo de las
fantasías o al mundo de la vigilia, al de la explotación o de la producción.
Los sueños, sueños son; recuerdos, aquel
cuerpo, ese vaso de vino, el amor y
las flaquezas del amor, por supuesto, forman
parte de la realidad; un disparo en
la noche, en la frente de estos hermanos, de estos hijos, aquellos
gritos irreales de dolor real de los torturados en
el angelus eterno y siniestro en una brigada de policía
cualquiera
son parte de la memoria, no suponen necesariamente el presente, pero pertenecen a la realidad. La única aparente
es la reja cuadriculando el cielo, el canto
perdido de un preso, ladrón o combatiente, la voz
fusilada, resucitada al tercer día en un vuelo inmenso cubriendo la Patagonia
porque las
masacres, las redenciones, pertenecen a la realidad como
la esperanza recatada de la pólvora, de la inocencia
estival: son la realidad, como el coraje y la convalecencia
del miedo, ese aire que se resiste a volver después del peligro
como los designios de todo un pueblo que marcha hacia la victoria
o hacia la muerte, que tropieza, que aprende a defenderse, a rescatar lo suyo, su realidad.
Aunque parezca a veces una mentira, la única
mentira no es siquiera la traición, es
simplemente una reja que no pertenece a la realidad.

Francisco "Paco" Urondo


















Dall'altro lato delle sbarre c'è la realtà, da
questo lato delle sbarre c'è pure
la realtà, l'unica irreale
è la grata di ferro; la libertà è reale anche se non si sa bene
se appartiene al mondo dei vivi. al
mondo dei morti, al mondo delle
fantasie o al mondo della vigilia, a quello dello sfruttamento o della produzione.
I sogni, sono sogni; i ricordi, quel
corpo,quel bicchiere di vino, l'amore e
le fragilità dell'amore, certo, fanno
parte della realtà, uno sparo nella
notte, nella fronte di questi fratelli, di questi figli, quelle
grida irreali di dolore reale dei torturati
nell'angelus eterno e sinistro in una brigata di polizia
qualsiasi
sono parte della memoria, non suppongono necessariamente il presente, ma appartengono alla realtà. L'unica apparente
è la grata, quadrettando il cielo, il canto
perduto di un detenuto, ladro o combattente, la voce
fucilata, resuscitata al terzo giorno in un volo immensocoprendo la Patagonia
perchè
i massacri, le redenzioni, appartengono alla realtà come
la speranza riscattata dalla polvere, dall'innocenza
estiva: sono la realtà come il coraggio e la convalescenza
della paura, quell'aria che fa fatica a tornare dopo il pericolo
come i progetti di un intero popolo che marcia verso la vittoria
o verso la morte, che inciampa, che impara a difendersi a riscattare il suo, la sua
realtà.
Malgrado a volte sembri una menzogna, l'unica
menzogna non è nemmeno il tradimento, è
semplicemente una grata di ferro che non appartiene alla realtà.

Francisco "Paco" Urondo

Disculpen la molestia...



Quiero compartir algunas preguntas, moscas que me zumban en la cabeza. ¿Es justa la justicia? ¿Está parada sobre sus pies la justicia del mundo al revés?
El zapatista de Irak, el que arrojó los zapatazos contra Bush, fue condenado a tres años de cárcel. ¿No merecía, más bien, una condecoración?
¿Quién es el terrorista? ¿El zapatista o el zapateado? ¿No es culpable de terrorismo el serial killer que mintiendo inventó la guerra de Irak, asesinó a un gentío y legalizó la tortura y mandó aplicarla?
¿Son culpables los pobladores de Atenco, en México, o los indígenas mapuches de Chile, o los kekchíes de Guatemala, o los campesinos sin tierra de Brasil, acusados todos de terrorismo por defender su derecho a la tierra? Si sagrada es la tierra, aunque la ley no lo diga, ¿no son sagrados, también, quienes la defienden?
Según la revista Foreign Policy, Somalia es el lugar más peligroso de todos. Pero, ¿quiénes son los piratas? ¿Los muertos de hambre que asaltan barcos o los especuladores de Wall Street, que llevan años asaltando el mundo y ahora reciben multimillonarias recompensas por sus afanes?
¿Por qué el mundo premia a quienes lo desvalijan?
¿Por qué la justicia es ciega de un solo ojo? Wal Mart, la empresa más poderosa de todas, prohíbe los sindicatos. McDonald’s, también. ¿Por qué estas empresas violan, con delincuente impunidad, la ley internacional? ¿Será porque en el mundo de nuestro tiempo el trabajo vale menos que la basura y menos todavía valen los derechos de los trabajadores?
¿Quiénes son los justos y quiénes los injustos? Si la justicia internacional de veras existe, ¿por qué nunca juzga a los poderosos? No van presos los autores de las más feroces carnicerías. ¿Será porque son ellos quienes tienen las llaves de las cárceles?
¿Por qué son intocables las cinco potencias que tienen derecho de veto en las Naciones Unidas? ¿Ese derecho tiene origen divino? ¿Velan por la paz los que hacen el negocio de la guerra? ¿Es justo que la paz mundial esté a cargo de las cinco potencias que son las principales productoras de armas? Sin despreciar a los narcotraficantes, ¿no es éste también un caso de “crimen organizado”?
Pero no demandan castigo contra los amos del mundo los clamores de quienes exigen, en todas partes, la pena de muerte. Faltaba más. Los clamores claman contra los asesinos que usan navajas, no contra los que usan misiles.
Y uno se pregunta: ya que esos justicieros están tan locos de ganas de matar, ¿por qué no exigen la pena de muerte contra la injusticia social? ¿Es justo un mundo que cada minuto destina tres millones de dólares a los gastos militares, mientras cada minuto mueren quince niños por hambre o enfermedad curable? ¿Contra quién se arma, hasta los dientes, la llamada comunidad internacional? ¿Contra la pobreza o contra los pobres?
¿Por qué los fervorosos de la pena capital no exigen la pena de muerte contra los valores de la sociedad de consumo, que cotidianamente atentan contra la seguridad pública? ¿O acaso no invita al crimen el bombardeo de la publicidad que aturde a millones y millones de jóvenes desempleados, o mal pagados, repitiéndoles noche y día que ser es tener, tener un automóvil, tener zapatos de marca, tener, tener, y quien no tiene, no es?
¿Y por qué no se implanta la pena de muerte contra la muerte? El mundo está organizado al servicio de la muerte. ¿O no fabrica muerte la industria militar, que devora la mayor parte de nuestros recursos y buena parte de nuestras energías? Los amos del mundo sólo condenan la violencia cuando la ejercen otros. Y este monopolio de la violencia se traduce en un hecho inexplicable para los extraterrestres, y también insoportable para los terrestres que todavía queremos, contra toda evidencia, sobrevivir: los humanos somos los únicos animales especializados en el exterminio mutuo, y hemos desarrollado una tecnología de la destrucción que está aniquilando, de paso, al planeta y a todos sus habitantes
Esa tecnología se alimenta del miedo. Es el miedo quien fabrica los enemigos que justifican el derroche militar y policial. Y en tren de implantar la pena de muerte, ¿qué tal si condenamos a muerte al miedo? ¿No sería sano acabar con esta dictadura universal de los asustadores profesionales? Los sembradores de pánicos nos condenan a la soledad, nos prohíben la solidaridad: sálvese quien pueda, aplastaos los unos a los otros, el prójimo es siempre un peligro que acecha, ojo, mucho cuidado, éste te robará, aquél te violará, ese cochecito de bebé esconde una bomba musulmana y si esa mujer te mira, esa vecina de aspecto inocente, es seguro que te contagia la peste porcina.
En el mundo al revés, dan miedo hasta los más elementales actos de justicia y sentido común. Cuando el presidente Evo Morales inició la refundación de Bolivia, para que este país de mayoría indígena dejara de tener vergüenza de mirarse al espejo, provocó pánico. Este desafío era catastrófico desde el punto de vista del orden racista tradicional, que decía ser el único orden posible: Evo era, traía el caos y la violencia, y por su culpa la unidad nacional iba a estallar, rota en pedazos. Y cuando el presidente ecuatoriano Correa anunció que se negaba a pagar las deudas no legítimas, la noticia produjo terror en el mundo financiero y el Ecuador fue amenazado con terribles castigos, por estar dando tan mal ejemplo. Si las dictaduras militares y los políticos ladrones han sido siempre mimados por la banca internacional, ¿no nos hemos acostumbrado ya a aceptar como fatalidad del destino que el pueblo pague el garrote que lo golpea y la codicia que lo saquea?
Pero, ¿será que han sido divorciados para siempre jamás el sentido común y la justicia?
¿No nacieron para caminar juntos, bien pegaditos, el sentido común y la justicia?
¿No es de sentido común, y también de justicia, ese lema de las feministas que dicen que si nosotros, los machos, quedáramos embarazados, el aborto sería libre? ¿Por qué no se legaliza el derecho al aborto? ¿Será porque entonces dejaría de ser el privilegio de las mujeres que pueden pagarlo y de los médicos que pueden cobrarlo?
Lo mismo ocurre con otro escandaloso caso de negación de la justicia y el sentido común: ¿por qué no se legaliza la droga? ¿Acaso no es, como el aborto, un tema de salud pública? Y el país que más drogadictos contiene, ¿qué autoridad moral tiene para condenar a quienes abastecen su demanda? ¿Y por qué los grandes medios de comunicación, tan consagrados a la guerra contra el flagelo de la droga, jamás dicen que proviene de Afganistán casi toda la heroína que se consume en el mundo? ¿Quién manda en Afganistán? ¿No es ese un país militarmente ocupado por el mesiánico país que se atribuye la misión de salvarnos a todos?
¿Por qué no se legalizan las drogas de una buena vez? ¿No será porque brindan el mejor pretexto para las invasiones militares, además de brindar las más jugosas ganancias a los grandes bancos que en las noches trabajan como lavanderías?
Ahora el mundo está triste porque se venden menos autos. Una de las consecuencias de la crisis mundial es la caída de la próspera industria del automóvil. Si tuviéramos algún resto de sentido común, y alguito de sentido de la justicia ¿no tendríamos que celebrar esa buena noticia? ¿O acaso la disminución de los automóviles no es una buena noticia, desde el punto de vista de la naturaleza, que estará un poquito menos envenenada, y de los peatones, que morirán un poquito menos?
Según Lewis Carroll, la Reina explicó a Alicia cómo funciona la justicia en el país de las maravillas: "Ahí lo tienes." - dijo la Reina - "Está encerrado en la cárcel, cumpliendo su condena; pero el juicio no empezará hasta el próximo miércoles. Y por supuesto, el crimen será cometido al final."
En El Salvador, el arzobispo Oscar Arnulfo Romero comprobó que la justicia, como la serpiente, sólo muerde a los descalzos. El murió a balazos, por denunciar que en su país los descalzos nacían de antemano condenados, por delito de nacimiento.
El resultado de las recientes elecciones en El Salvador, ¿no es de alguna manera un homenaje? ¿Un homenaje al arzobispo Romero y a los miles que como él murieron luchando por una justicia justa en el reino de la injusticia?
A veces terminan mal las historias de la Historia; pero ella, la Historia, no termina. Cuando dice adiós, dice hasta luego.

Eduardo Galeano



Voglio condividere con voi alcuni domande, mosche che mi ronzano nella testa. È giusta la giustizia? È salda sui suoi piedi la giustizia del mondo alla rovescia?
Lo "zapatista" dell'Iraq, quello che scagliò le scarpe contro Bush, è stato condannato a tre anni di prigione. Non meritava, piuttosto, un'onorificenza?
Chi è il terrorista? Lo zapatista o quello preso a scarpate? Non è colpevole di terrorismo il serial killer che mentendo inventò la guerra all'Iraq, assassinò un sacco di gente e legalizzò la tortura e la fece applicare?
Sono colpevoli i coloni di Atenco, in Messico, o gli indigeni mapuches del Cile, o i kekchíes del Guatemala, o i contadini senza terra del Brasile, accusati tutti di terrorismo per difendere il loro diritto alla terra? Se la terra è sacra, benché la legge non lo dica, non sono forse sacri anche coloro che la difendono?
Secondo la rivista Foreign Policy, la Somalia è il posto più pericoloso di tutti. Ma, chi sono i pirati? I morti di fame che assaltano barche o gli speculatori di Wall Street, che sono anni che assaltano il mondo ed ora ricevono ricompense miliardarie per i loro affanni? Perché il mondo premia coloro che lo svaligiano?
Perché la giustizia è cieca da un solo occhio?
Wal Mart, l'impresa più poderosa di tutte, vieta i sindacati. McDonald's, anche. Perché queste imprese violano, con delinquente impunità, la legge internazionale? Sarà perché nel mondo del nostro tempo il lavoro vale meno della spazzatura e meno ancora valgono i diritti dei lavoratori?
Chi sono i giusti e chi gli ingiusti? Se davvero la giustizia internazionale esiste, perché non giudica mai i potenti? Non vengono imprigionati gli autori dalle più feroci macellerie. Sarà perché sono proprio loro che hanno le chiavi delle prigioni?
Perché sono intoccabili le cinque potenze che hanno diritto di veto nelle Nazioni Unite? Questo diritto ha origine divina? Proteggono la pace quelli che fanno commercio della guerra? È giusto che la pace mondiale stia in capo alle cinque potenze che sono le principali produttrici di armi? Senza disprezzare i narcotrafficanti, non è anche questo un caso di "crimine organizzato"?
Ma non chiedono la punizione contro i padroni del mondo i clamori di quanti esigono, da tutte le parti, la pena di morte. Ci mancherebbe altro. I clamori si levano contro gli assassini che usano coltelli, non contro quelli che usano missili.
Ed uno si domanda: poiché questi giustizieri sono tanto pazzi di voglia di ammazzare, perché non esigono la pena di morte contro l'ingiustizia sociale? È giusto un mondo che ogni minuto destina tre milioni di dollari alle spese militari, mentre ogni minuto muoiono quindici bambini per fame o malattia curabile? Contro chi si arma, fino ai denti, la cosiddetta comunità internazionale? Contro la povertà o contro i poveri?
Perché i fanatici della pena capitale non esigono la pena di morte contro i valori della società del consumo che quotidianamente attentano contro la sicurezza pubblica? O per caso non invita al crimine il bombardamento della pubblicità che stordisce milioni e milioni di giovani disoccupati, o mal pagati, ripetendo loro notte e giorno che essere è avere, avere un'automobile, avere scarpe di marca, avere, avere, e chi non ha, non è?
E perché non si stabilisce la pena di morte contro la morte? Il mondo è organizzato al servizio della morte. O non fabbrica morte l'industria militare che divora la maggior parte delle nostre risorse e buona parte delle nostre energie? I padroni del mondo condannano solo la violenza quando l'esercitano gli altri. E questo monopolio della violenza si traduce in un fatto inspiegabile per gli extraterrestri, ed anche insopportabile per i terrestri che vogliamo ancora, contro ogni evidenza, sopravvivere: noi umani siamo gli unici animali specializzati nel mutuo sterminio, ed abbiamo sviluppato una tecnologia dalla distruzione che sta annichilendo, di passaggio, il pianeta e tutti i suoi abitanti.
Quella tecnologia si alimenta della paura. È la paura che fabbrica i nemici che giustificano lo spreco militare e poliziesco. Ed invece di stabilire la pena di morte, cosa accadrebbe se condannassimo a morte la paura? Non sarebbe sano finirla con questa dittatura universale degli “spaventatori” professionisti? I seminatori di panici ci condannano alla solitudine, ci proibiscono la solidarietà: si salvi chi può, si schiaccino gli uni con gli altri, il prossimo è sempre un pericolo che spia, occhio, stai attento, questo ti ruberà, quello ti violenterà, quella carrozzina di bebè nasconde una bomba musulmana e se quella donna ti guarda, quella vicina dall'aspetto innocente, è sicuro che ti contagia la peste suina.
Nel mondo alla rovescia, fanno paura perfino i più elementari atti di giustizia e buonsenso. Quando il presidente Evo Morales iniziò la rifondazione della Bolivia, affinché questo paese a maggioranza indigena smettesse di avere vergogna a guardarsi allo specchio, provocò panico. Questa sfida era catastrofica dal punto di vista dell'ordine razzista tradizionale che diceva di essere l'unico ordine possibile: Evo era, portava il caos e la violenza, e per colpa sua l'unità nazionale sarebbe esplosa, fatta in pezzi. E quando il presidente ecuadoriano Correa annunciò che si rifiutava di pagare i debiti non legittimi, la notizia produsse terrore nel mondo finanziario e l'Ecuador fu minacciato con terribili punizioni, per il fatto di stare dando un così cattivo esempio. Se le dittature militari ed i politici ladri sono stati sempre viziati dalla Banca Internazionale, non ci siamo abituati già ad accettare come fatalità del destino che il paese paghi il bastone che lo batte e l'avidità che lo saccheggia?
Ma, sarà che sono stati divorziati per sempre il buonsenso e la giustizia?
Non nacquero per camminare insieme, ben accostati, il buonsenso e la giustizia?
Non è di buonsenso, ed anche di giustizia, quello slogan delle femministe che dice che se noi, i maschi, rimanessimo incinta, l'aborto sarebbe libero? Perché non si legalizza il diritto all'aborto? Sarà perché allora smetterebbe di essere il privilegio delle donne che possono pagarlo e dei medici che possono riscuoterlo?
La stessa cosa succede con altro scandaloso caso di negazione della giustizia e del buonsenso: perché non si legalizza la droga? Per caso non è, come l'aborto, un tema di salute pubblica? Ed il paese che ha più drogati, che autorità morale ha per condannare coloro che appagano la sua domanda? E perché i grandi mezzi di comunicazione, tanto devoti alla guerra contro il flagello della droga, non ci dicono mai che dall'Afghanistan proviene quasi tutta l'eroina che si consuma nel mondo? Chi comanda in Afghanistan? Non è quello un paese occupato militarmente dal messianico paese che si attribuisce la missione di salvarci tutti?
Perché non si legalizzano le droghe una buona volta? Non sarà perché offrono il migliore pretesto per le invasioni militari, oltre ad offrire i più sugosi guadagni alle grandi banche che lavorano come lavanderie di notte?
Ora il mondo è triste perché si vendono meno automobili. Una delle conseguenze della crisi mondiale è la caduta della prospera industria dell'automobile. Se avessimo qualche resto di buonsenso, e uno spicciolo di senso della giustizia non dovremmo celebrare questa buona notizia? O per caso la diminuzione delle automobili non è una buona notizia, dal punto di vista della natura che sarà un pochino meno avvelenata, e dei pedoni che morranno un pochino meno?
Secondo Lewis Carroll, la Regina spiegò ad Alice come funziona la giustizia nel paese delle meraviglie: “Lo tengono lì.” - disse la Regina - “E' rinchiuso nella prigione, a scontare la sua condanna; ma il giudizio non incomincerà fino al prossimo mercoledì. Ed ovviamente, il crimine sarà commesso alla fine.”
A El Salvador, l'arcivescovo Óscar Arnulfo Romero provò che la giustizia, come il serpente, morde solo agli scalzi. Egli morì sparato, per denunciare che nel suo paese gli scalzi nascevano in anticipo condannati, per delitto di nascita.
Il risultato delle recenti elezioni in El Salvador, non è in qualche modo un omaggio? Un omaggio all'arcivescovo Romero e le migliaia che come lui morirono lottando per una giustizia giusta nel regno dell'ingiustizia? A volte finiscono male le storie della Storia; ma essa, la Storia, non finisce. Quando dice addio, vuol dire arrivederci.

Eduardo Galeano