Io ricordo che c’era un ragazzo che aveva un sogno come tanti di noi, sconfiggere la mafia.
Si chiamava Peppino, ma era il cognome che faceva la differenza, Impastato, famiglia mafiosa di Cinisi, piccolo comune in provincia di Palermo.
Il padre lo mandò via di casa per i suoi ideali e per tutta risposta Peppino mise in piedi un giornalino, “L’idea socialista” e aderì anche al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. La svolta avvenne quando fondò “Radio Aut”, una radio libera autofinanziata, con cui denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi locali, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, specialmente le collusioni con i traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto “Punta Raisi” appena costruito.
Candidatosi nel 1978 alle elezioni comunali con “Democrazia proletaria” venne ucciso nella notte del 9 maggio. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votarono il suo nome, riuscendo ad eleggerlo,in modo simbolico, al Consiglio comunale.
Io ricordo che ci sono voluti più di venti anni per affiggere all’omicidio di Peppino la matrice mafiosa con le condanne di Gaetano Badalamenti e il suo vice, Vito Palazzolo, grazie specialmente all’impegno del fratello Giovanni e della madre, Felicia Bartolotta Impastato.
Io ricordo che con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, hanno oscurato totalmente l’assassinio di Peppino nonostante i suoi amici, i suoi compagni, alzarono la voce, non rimasero zitti, perché il silenzio è mafioso.
Ora invece io credo, credo che le sue idee camminano ancora oggi in tanti ragazzi, come me, che con un’agenda rossa al cielo gridano resistenza.
Io credo che la mafia si possa sconfiggere ma finché gli stessi mafiosi vogliono essere lo Stato rimane difficile.
Io credo che Peppino Impastato debba essere soltanto un modello di vita per quelli che come me lottano ogni giorno perché noi, non abbiamo paura.
Oreste Iacopino
Si chiamava Peppino, ma era il cognome che faceva la differenza, Impastato, famiglia mafiosa di Cinisi, piccolo comune in provincia di Palermo.
Il padre lo mandò via di casa per i suoi ideali e per tutta risposta Peppino mise in piedi un giornalino, “L’idea socialista” e aderì anche al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. La svolta avvenne quando fondò “Radio Aut”, una radio libera autofinanziata, con cui denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi locali, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, specialmente le collusioni con i traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto “Punta Raisi” appena costruito.
Candidatosi nel 1978 alle elezioni comunali con “Democrazia proletaria” venne ucciso nella notte del 9 maggio. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votarono il suo nome, riuscendo ad eleggerlo,in modo simbolico, al Consiglio comunale.
Io ricordo che ci sono voluti più di venti anni per affiggere all’omicidio di Peppino la matrice mafiosa con le condanne di Gaetano Badalamenti e il suo vice, Vito Palazzolo, grazie specialmente all’impegno del fratello Giovanni e della madre, Felicia Bartolotta Impastato.
Io ricordo che con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, hanno oscurato totalmente l’assassinio di Peppino nonostante i suoi amici, i suoi compagni, alzarono la voce, non rimasero zitti, perché il silenzio è mafioso.
Ora invece io credo, credo che le sue idee camminano ancora oggi in tanti ragazzi, come me, che con un’agenda rossa al cielo gridano resistenza.
Io credo che la mafia si possa sconfiggere ma finché gli stessi mafiosi vogliono essere lo Stato rimane difficile.
Io credo che Peppino Impastato debba essere soltanto un modello di vita per quelli che come me lottano ogni giorno perché noi, non abbiamo paura.
Oreste Iacopino
Ha braccia forti e un corpo allungato, come il suo volto.
Capelli mai pettinati, e baffi, e barba.
E uno sguardo che osserva lontano.
Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.
E’ uomo curioso, Giuseppe Impastato, Peppino.
A Cinisi c’è nato e cresciuto.
5 gennaio 1948.
Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.
Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.
E’ giovane Peppino.
Lui ha fatto un giuramento.
“Così, come mio padre, non ci diventerò mai”.
Rompe con il padre Luigi e avvia un’attività politica di contrasto a Cosa Nostra.
Fonda il circolo “Musica e Cultura”.
Cineforum, concerti e soprattutto dibattiti.
Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui.
Siamo nel 1976.
Insieme ad un gruppo di amici mette su una radio libera.
La chiama Radio Aut.
Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.
Nel 1978 decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Ma a quell’appuntamento non arriverà mai.
9 maggio 1978.
Sono le ore 1,40.
Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.
Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.
Località "Feudo", territorio di Cinisi.
Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario: é tranciato.
Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.
Arrivano sul posto.
Compiono il primo sopralluogo.
Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.
E’ Giuseppe Peppino Impastato.
Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.
I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.
Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.
Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di "attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda". Scriveva il magistrato:
"Verso le ore 0,30-1 del 9.5.1978, persona allo stato ignota, presumibilmente identificantesi in tale Impastato Giuseppe, si recava a bordo della propria autovettura Fiat 850 all'altezza del Km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo, per ivi collocare un ordigno dinamitardo, che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore."
Depistaggio numero uno.
E’ notte e avviene un fatto strano.
Il tratto di binario tranciato dall'esplosione viene subito riparato.
Ma come... di fretta... e poi al buio...
Si vogliono cancellare prove importanti.
Depistaggio numero due.
A venti metri dal binario tranciato, i carabinieri trovano una Fiat 850.
E’ di proprietà di Peppino Impastato.
Dal cofano socchiuso esce un cavo telefonico collegato con i morsetti alla batteria. Nell’auto c’è una matassa di venti metri di cavo.
Proprio la distanza che separa il veicolo dai binari.
Guarda che combinazione...
Depistaggio numero tre.
La pista seguita dai carabinieri e dalla polizia è l’attentato terroristico.
Sì perché a Roma, in via Caetani, in quel 9 maggio 1978, viene trovato il corpo senza vita di Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate Rosse.
Peppino per le autorità è un estremista, una testa calda.
Quindi un fiancheggiatore.
Depistaggio numero quattro.
I carabinieri perquisiscono le case della zia, Fara Bartolotta, della madre, Felicia Bartolotta, e dei compagni di Peppino.
Requisiscono i libri, numeri di "Lotta continua", il libro di Erich Fromm: Anatomia della distruttività umana.
In casa della zia trovano la lettera in cui Peppino parla dei suoi propositi di suicidio, scritta mesi prima.
Depistaggio numero cinque.
Non vengono perquisite le case dei mafiosi.
Soprattutto quella di Don Tano Badalamenti che si trova proprio a... cento passi da quella Peppino.
Ma i compagni di Peppino non ci stanno.
Sanno che quella delle forze dell’ordine è una verità di comodo.
Sui muri di Cinisi appare già un manifesto:
"Peppino Impastato è stato assassinato. Il lungo passato di militante rivoluzionario è stato strumentalizzato dagli assassini e dalle "forze dell'ordine" per partorire l'assurda ipotesi di un attentato terroristico. Non è così! L'omicidio ha un nome chiaro: mafia. Mentre ci stringiamo intorno al corpo straziato di Peppino, formuliamo una sola promessa: continuare la battaglia contro i suoi assassini.
Democrazia Proletaria".
Depistaggio numero sei.
10 maggio. Nel giorno del funerale a cui partecipano migliaia di persone, in gran parte venute da palermo e dai paesi vicini, viene presentato un rapporto del maggiore dei Carabinieri Subranni: Peppino Impastato è morto compiendo un attentato terroristico.
Ma come... Nel dicembre del 1977, proprio i carabinieri di Cinisi avevano scritto che Peppino e i suoi compagni facevano manifestazioni di piazza ma non erano ritenuti "capaci di compiere attentati".
11 maggio. La battaglia tra verità e menzogna è appena iniziata.
Gli amici di Peppino presentano un esposto e proseguono le ricerche.
Il giorno dopo, al prof. Del Carpio consegnano frammenti del corpo di Peppino e una pietra macchiata di sangue.
La pietra la trovano all'interno del casolare nei pressi del binario, dove Peppino era stato portato, già tramortito.
Una pietra con macchie di sangue era già stata consegnata al maresciallo dei carabinieri di Cinisi dal necroforo comunale che ha raccolto i resti del corpo di Peppino. La pietra non è mai stata ritrovata.
Di sera, i compagni di Peppino organizzano un comizio e indicano una pista da seguire: il mandante dell’omicidio è il boss Don Tano Badalamenti.
Lo urlano a gran voce, perché tutto il paese senta quel nome chiaro e forte.
Le finestre delle case del corso sono chiuse.
"Se queste finestre non si apriranno l'attività di Peppino è stata inutile", dice Umberto Santino, del Centro siciliano di documentazione, concludendo il comizio.
12 maggio. Si costituisce a Palermo, presso il Centro siciliano di documentazione già esistente, il Comitato di controinformazione "Peppino Impastato".
14 maggio. Elezioni amministrative. Peppino viene eletto con 260 voti di preferenza. A Cinisi, Democrazia Proletaria ha il 6 per cento dei voti.
Ma la Democrazia Cristiana ha 2.098 voti, balza dal 36,2% del 1972, al 49%.
Depistaggio numero sette.
16 maggio. Entra in scena l’informazione.
Il "Giornale di Sicilia" pubblica passi della lettera in cui Peppino manifesta propositi di autodistruzione.
Passa così la tesi del suicidio nel compimento di un attentato.
La madre di Peppino e il fratello Giovanni presentano un esposto alla Procura. E’ un fatto storico di rottura con la cultura mafiosa, particolarmente significativo perché proveniente da una famiglia di mafia.
Sì perché la mafia Peppino non l'aveva a "cento passi" ma proprio dentro la sua casa.
30 maggio. Depistaggio numero otto.
Gli amici di Peppino presentano un nuovo esposto ma il maggiore dei carabinieri Subranni, invece di indagare conferma la tesi: Impastato si suicida mentre compie un attentato terroristico.
28 ottobre. Vengono effettuate le perizie balistiche per accertare il tipo di esplosivo impiegato per fare saltare Giuseppe Impastato.
6 novembre 1978. E’ la svolta.
La magistratura non crede alle tesi dei carabinieri.
Il sostituto procuratore trasmette gli atti all'ufficio Istruzione per aprire un procedimento per omicidio premeditato, a carico di ignoti.
Il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo è Rocco Chinnici.
Gennaio 1979. Su sollecitazione del rappresentante del Comitato di controinformazione, Umberto Santino, Democrazia Proletaria si costituisce parte civile. Avvocati: Umberto Terracini, Ambrogio Viviani (presidente della Commissione giustizia), Francesco Tassone. Solo quest'ultimo svolgerà qualche attività.
La magistratura si muove.
10 febbraio. Comunicazione giudiziaria a Giuseppe Finazzo,indiziato per l'omicidio di Impastato.
14 febbraio. Arresto di Giuseppe Amenta, per falsa testimonianza.
Non solo la magistratura, anche la società civile vuole la verità sull’omicidio di Peppino Impastato.
Nell’aprile 1979. Si formano comitati di controinformazione a Castellammare, Partinico, Caltanissetta. Il Comitato di controinformazione di Palermo propone una manifestazione nazionale per il 9 maggio, primo anniversario dell'assassinio. 2000 persone ricorderanno la figura di Impastato. Non un terrorista, ma un uomo che lottava contro la mafia.
27 maggio 1980. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici dispone una perizia tecnica sulle denunce di Impastato relative ad abusi edilizi. In seguito questa pista verrà abbandonata.
In estate, chiude Radio Aut, la voce di Peppino e dei suoi compagni. Nel 1980 il Centro siciliano di documentazione viene intitolato a Giuseppe Impastato.
Dal 1981 al 1983 la guerra di mafia in corso tra Badalamenti e i suoi alleati e i "corleonesi" e i loro alleati provoca a Cinisi molti omicidi. Conflitti tra mafiosi, che coinvolgono uomini di Badalamenti, si svilupperanno anche negli Stati Uniti.
Siamo nel maggio 1984.
Ordinanza-sentenza istruttoria, del consigliere istruttore Rocco Chinnici, ucciso il 29 luglio 1983, poi completata e firmata dal suo successore Antonino Caponnetto.
Impastato è stato ucciso dalla mafia, per il suo impegno di denuncia e di lotta, ma che non si possono individuare i responsabili del delitto. Nessun cenno al lavoro dei compagni di Peppino e del Centro Impastato. Per loro gli assassini hanno nome e cognome e l’inchiesta deve rimanere aperta.
I magistrati Falcone e Sciacchitano si recano negli Stati Uniti ma non ottengono l'estradizione di Badalamenti.
Settembre 1984. Il pentito Tommaso Buscetta ricostruisce la composizione della mafia di Cinisi. Gaetano Badalamenti sarebbe stato il capo fino ai primi mesi del 1978, dopo sarebbe stato sostituito da un reggente, Nino Badalamenti.
15 Novembre 1984. Gaetano e Vito Badalamenti e Pietro Alfano vengono estradati dalla Spagna negli Stati Uniti. Nell’ottobre 1985 inizia a New York il processo Pizza Connection. Don Tano è l’imputato di maggior spicco.
1986. Il Centro Impastato pubblica il volume La mafia in casa mia e il dossier Notissimi ignoti. Raccogliendo la storia di vita della madre di Peppino riemerge un particolare dimenticato: il padre di Peppino, in seguito a un incontro con Badalamenti, si era recato negli Stati Uniti e parlando con una parente le avrebbe detto: "Prima di uccidere Peppino, debbono uccidere me". Il libro e il dossier vengono presentati alla magistratura e sulla loro base si chiede la riapertura dell'inchiesta.
Il 1987 è l’anno della giustizia.
Tano Badalamenti è condannato a 45 anni di reclusione per Pizza Connection.
Nel 1988, l’inchiesta sull’omicidio di Peppino si riapre finalmente. Il giudice Falcone si reca negli Stati Uniti e interroga Badalamenti.
Il 9 maggio 1989, a Cinisi il Centro Impastato colloca una lapide sulla facciata della casa della madre di Peppino:
"A Giuseppe Impastato, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Il Centro Impastato ricorda il suo contributo di idee e di esperienze nella lotta contro il dominio mafioso".
Siamo nel 1990. Si fanno sempre più insistenti le voci di un’archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Peppino. Quell’anno, il ministro dell'Interno Antonio Gava rispondendo, con due anni di ritardo, a un'interrogazione dell'allora deputato di Democrazia Proletaria Guido Pollice, sostiene che non risulta che Impastato sia stato ucciso dalla mafia e che pertanto non spetta ai familiari l'indennizzo previsto per le vittime di mafia. Il Centro Impastato chiede le dimissioni di Gava.
La battaglia tra giustizia e omissioni si fa incalzante.
Nel 1992 il sostituto procuratore De Francisci archivia l'inchiesta. Esclude la responsabilità di Badalamenti e si ipotizza quella dei corleonesi, avversari di Badalamenti. Il Centro Impastato ribadisce la responsabilità di Badalamenti.
1994. L'avvocato dei familiari e del Centro Impastato, Vincenzo Gervasi, presenta una richiesta di riapertura delle indagini: si chiede che vengano interrogati sul delitto Impastato alcuni mafiosi collaboratori di giustizia, tra cui Salvatore Palazzolo, legato a Badalamenti.
1996. Una buona notizia. L’inchiesta si riapre formalmente ma la madre di Peppino, Felicia, si rivolge al Presidente della Repubblica per farsi riconoscere l’indennità per le vittime di mafia.
1997. Il gip del Tribunale di Palermo Renato Grillo emette un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Gaetano Badalamenti come mandante del delitto Impastato.
1998. Peppino Impastato è una vittima di mafia anche per lo Stato. Ci sono voluti vent’anni per capirlo ma le cose in Italia funzionano così. Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo vengono rinviati a giudizio.
2000. Anche il Parlamento si muove.
La Commissione parlamentare antimafia approva all'unanimità la relazione sul "caso Impastato", presentata dal relatore senatore Giovanni Russo Spena, in cui si riconoscono le responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini sul delitto Impastato.
5 marzo 2002.
La Corte condanna il mafioso Vito Palazzolo a 30 anni di carcere per l'assassinio di Giuseppe Impastato. Il giudice a latere Angelo Pellino, estensore della sentenza, scrive:
"Sulle indagini grava l'intollerabile sospetto di un sistematico depistaggio o comunque di una conduzione delle stesse viziata da uno sconcertante coacervo di omissioni negligenze ritardi mescolati ad opzioni investigative preconcette che ne avrebbero condizionato ed alterato la direzione e lo sviluppo".
E’ una sentenza importante perché riconosce il ruolo dei familiari, dei compagni di Impastato, e del Centro siciliano di documentazione che ha dato un "prezioso contributo, nel corso degli anni, alla raccolta sistematica di un prezioso materiale informativo".
11 aprile 2002.
Ventiquattro anni dopo.
Le 17,15. A Palermo esce la Corte. Ergastolo a Don Tano Badalamenti. E’ il mandante dell’assassinio di Peppino Impastato. Leggo un passo delle conclusioni della sentenza.
“...Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l'omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all'eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell'attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.
Va bene... direte voi... Don Tano Badalamenti.
E i responsabili dei depistaggi?
Scrive la Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato.
“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.
Peppino Impastato è stato ucciso dalla mafia politica, quella che non fa rumore, che si nasconde nei gangli vitali delle nostre istituzione e colpisce ancora oggi.
Le sue idee, gli scritti, le poesie qualcuno li ha raccolti davvero.
Un mare di gente
a flutti disordinati
s'è riversato nelle piazze,
nelle strade e nei sobborghi.
È tutto un gran vociare
che gela il sangue,
come uno scricchiolio di ossa rotte.
Non si può volere e pensare
nel frastuono assordante;
nell'odore di calca
c'è aria di festa.
______
Appartiene al suo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po' d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.
______
Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,infinita.
Dimenticare Peppino sarebbe come ucciderlo due volte.
Daniele Biacchessi
Capelli mai pettinati, e baffi, e barba.
E uno sguardo che osserva lontano.
Al di là delle persone e dei fatti, al di là della sua stessa terra.
E’ uomo curioso, Giuseppe Impastato, Peppino.
A Cinisi c’è nato e cresciuto.
5 gennaio 1948.
Il padre, Luigi Impastato, è un commerciante, amico di mafiosi.
Lo zio, Cesare Manzella, è un capomafia ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra clan.
E’ giovane Peppino.
Lui ha fatto un giuramento.
“Così, come mio padre, non ci diventerò mai”.
Rompe con il padre Luigi e avvia un’attività politica di contrasto a Cosa Nostra.
Fonda il circolo “Musica e Cultura”.
Cineforum, concerti e soprattutto dibattiti.
Molti dicono che è matto, ma altri giovani del paese si uniscono a lui.
Siamo nel 1976.
Insieme ad un gruppo di amici mette su una radio libera.
La chiama Radio Aut.
Piccola emittente che denuncia le illegalità, i progetti criminali, gli affari della mafia.
Nel 1978 decide di candidarsi come indipendente nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Ma a quell’appuntamento non arriverà mai.
9 maggio 1978.
Sono le ore 1,40.
Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, è un onesto lavoratore.
Quella tratta di ferrovia siciliana che sfila tra le campagne e i coltivi la conosce bene.
Località "Feudo", territorio di Cinisi.
Il macchinista avverte uno scossone, ferma la locomotiva e osserva il binario: é tranciato.
Così avverte il dirigente della stazione ferroviaria che, alle 3,45 chiama al telefono i carabinieri.
Arrivano sul posto.
Compiono il primo sopralluogo.
Il binario è divelto per un tratto di circa 40 centimetri e nel raggio di 300 metri sono sparsi resti di una persona.
E’ Giuseppe Peppino Impastato.
Sul posto accorrono decine di paesani curiosi.
I compagni di Impastato vengono tenuti a distanza.
Ciò che rimane del corpo di Peppino viene raccolto in un sacco di plastica e portato via.
Lo stesso 9 maggio il procuratore aggiunto Gaetano Martorana invia un fonogramma al procuratore generale in cui parla di "attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda". Scriveva il magistrato:
"Verso le ore 0,30-1 del 9.5.1978, persona allo stato ignota, presumibilmente identificantesi in tale Impastato Giuseppe, si recava a bordo della propria autovettura Fiat 850 all'altezza del Km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo, per ivi collocare un ordigno dinamitardo, che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore."
Depistaggio numero uno.
E’ notte e avviene un fatto strano.
Il tratto di binario tranciato dall'esplosione viene subito riparato.
Ma come... di fretta... e poi al buio...
Si vogliono cancellare prove importanti.
Depistaggio numero due.
A venti metri dal binario tranciato, i carabinieri trovano una Fiat 850.
E’ di proprietà di Peppino Impastato.
Dal cofano socchiuso esce un cavo telefonico collegato con i morsetti alla batteria. Nell’auto c’è una matassa di venti metri di cavo.
Proprio la distanza che separa il veicolo dai binari.
Guarda che combinazione...
Depistaggio numero tre.
La pista seguita dai carabinieri e dalla polizia è l’attentato terroristico.
Sì perché a Roma, in via Caetani, in quel 9 maggio 1978, viene trovato il corpo senza vita di Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate Rosse.
Peppino per le autorità è un estremista, una testa calda.
Quindi un fiancheggiatore.
Depistaggio numero quattro.
I carabinieri perquisiscono le case della zia, Fara Bartolotta, della madre, Felicia Bartolotta, e dei compagni di Peppino.
Requisiscono i libri, numeri di "Lotta continua", il libro di Erich Fromm: Anatomia della distruttività umana.
In casa della zia trovano la lettera in cui Peppino parla dei suoi propositi di suicidio, scritta mesi prima.
Depistaggio numero cinque.
Non vengono perquisite le case dei mafiosi.
Soprattutto quella di Don Tano Badalamenti che si trova proprio a... cento passi da quella Peppino.
Ma i compagni di Peppino non ci stanno.
Sanno che quella delle forze dell’ordine è una verità di comodo.
Sui muri di Cinisi appare già un manifesto:
"Peppino Impastato è stato assassinato. Il lungo passato di militante rivoluzionario è stato strumentalizzato dagli assassini e dalle "forze dell'ordine" per partorire l'assurda ipotesi di un attentato terroristico. Non è così! L'omicidio ha un nome chiaro: mafia. Mentre ci stringiamo intorno al corpo straziato di Peppino, formuliamo una sola promessa: continuare la battaglia contro i suoi assassini.
Democrazia Proletaria".
Depistaggio numero sei.
10 maggio. Nel giorno del funerale a cui partecipano migliaia di persone, in gran parte venute da palermo e dai paesi vicini, viene presentato un rapporto del maggiore dei Carabinieri Subranni: Peppino Impastato è morto compiendo un attentato terroristico.
Ma come... Nel dicembre del 1977, proprio i carabinieri di Cinisi avevano scritto che Peppino e i suoi compagni facevano manifestazioni di piazza ma non erano ritenuti "capaci di compiere attentati".
11 maggio. La battaglia tra verità e menzogna è appena iniziata.
Gli amici di Peppino presentano un esposto e proseguono le ricerche.
Il giorno dopo, al prof. Del Carpio consegnano frammenti del corpo di Peppino e una pietra macchiata di sangue.
La pietra la trovano all'interno del casolare nei pressi del binario, dove Peppino era stato portato, già tramortito.
Una pietra con macchie di sangue era già stata consegnata al maresciallo dei carabinieri di Cinisi dal necroforo comunale che ha raccolto i resti del corpo di Peppino. La pietra non è mai stata ritrovata.
Di sera, i compagni di Peppino organizzano un comizio e indicano una pista da seguire: il mandante dell’omicidio è il boss Don Tano Badalamenti.
Lo urlano a gran voce, perché tutto il paese senta quel nome chiaro e forte.
Le finestre delle case del corso sono chiuse.
"Se queste finestre non si apriranno l'attività di Peppino è stata inutile", dice Umberto Santino, del Centro siciliano di documentazione, concludendo il comizio.
12 maggio. Si costituisce a Palermo, presso il Centro siciliano di documentazione già esistente, il Comitato di controinformazione "Peppino Impastato".
14 maggio. Elezioni amministrative. Peppino viene eletto con 260 voti di preferenza. A Cinisi, Democrazia Proletaria ha il 6 per cento dei voti.
Ma la Democrazia Cristiana ha 2.098 voti, balza dal 36,2% del 1972, al 49%.
Depistaggio numero sette.
16 maggio. Entra in scena l’informazione.
Il "Giornale di Sicilia" pubblica passi della lettera in cui Peppino manifesta propositi di autodistruzione.
Passa così la tesi del suicidio nel compimento di un attentato.
La madre di Peppino e il fratello Giovanni presentano un esposto alla Procura. E’ un fatto storico di rottura con la cultura mafiosa, particolarmente significativo perché proveniente da una famiglia di mafia.
Sì perché la mafia Peppino non l'aveva a "cento passi" ma proprio dentro la sua casa.
30 maggio. Depistaggio numero otto.
Gli amici di Peppino presentano un nuovo esposto ma il maggiore dei carabinieri Subranni, invece di indagare conferma la tesi: Impastato si suicida mentre compie un attentato terroristico.
28 ottobre. Vengono effettuate le perizie balistiche per accertare il tipo di esplosivo impiegato per fare saltare Giuseppe Impastato.
6 novembre 1978. E’ la svolta.
La magistratura non crede alle tesi dei carabinieri.
Il sostituto procuratore trasmette gli atti all'ufficio Istruzione per aprire un procedimento per omicidio premeditato, a carico di ignoti.
Il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo è Rocco Chinnici.
Gennaio 1979. Su sollecitazione del rappresentante del Comitato di controinformazione, Umberto Santino, Democrazia Proletaria si costituisce parte civile. Avvocati: Umberto Terracini, Ambrogio Viviani (presidente della Commissione giustizia), Francesco Tassone. Solo quest'ultimo svolgerà qualche attività.
La magistratura si muove.
10 febbraio. Comunicazione giudiziaria a Giuseppe Finazzo,indiziato per l'omicidio di Impastato.
14 febbraio. Arresto di Giuseppe Amenta, per falsa testimonianza.
Non solo la magistratura, anche la società civile vuole la verità sull’omicidio di Peppino Impastato.
Nell’aprile 1979. Si formano comitati di controinformazione a Castellammare, Partinico, Caltanissetta. Il Comitato di controinformazione di Palermo propone una manifestazione nazionale per il 9 maggio, primo anniversario dell'assassinio. 2000 persone ricorderanno la figura di Impastato. Non un terrorista, ma un uomo che lottava contro la mafia.
27 maggio 1980. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici dispone una perizia tecnica sulle denunce di Impastato relative ad abusi edilizi. In seguito questa pista verrà abbandonata.
In estate, chiude Radio Aut, la voce di Peppino e dei suoi compagni. Nel 1980 il Centro siciliano di documentazione viene intitolato a Giuseppe Impastato.
Dal 1981 al 1983 la guerra di mafia in corso tra Badalamenti e i suoi alleati e i "corleonesi" e i loro alleati provoca a Cinisi molti omicidi. Conflitti tra mafiosi, che coinvolgono uomini di Badalamenti, si svilupperanno anche negli Stati Uniti.
Siamo nel maggio 1984.
Ordinanza-sentenza istruttoria, del consigliere istruttore Rocco Chinnici, ucciso il 29 luglio 1983, poi completata e firmata dal suo successore Antonino Caponnetto.
Impastato è stato ucciso dalla mafia, per il suo impegno di denuncia e di lotta, ma che non si possono individuare i responsabili del delitto. Nessun cenno al lavoro dei compagni di Peppino e del Centro Impastato. Per loro gli assassini hanno nome e cognome e l’inchiesta deve rimanere aperta.
I magistrati Falcone e Sciacchitano si recano negli Stati Uniti ma non ottengono l'estradizione di Badalamenti.
Settembre 1984. Il pentito Tommaso Buscetta ricostruisce la composizione della mafia di Cinisi. Gaetano Badalamenti sarebbe stato il capo fino ai primi mesi del 1978, dopo sarebbe stato sostituito da un reggente, Nino Badalamenti.
15 Novembre 1984. Gaetano e Vito Badalamenti e Pietro Alfano vengono estradati dalla Spagna negli Stati Uniti. Nell’ottobre 1985 inizia a New York il processo Pizza Connection. Don Tano è l’imputato di maggior spicco.
1986. Il Centro Impastato pubblica il volume La mafia in casa mia e il dossier Notissimi ignoti. Raccogliendo la storia di vita della madre di Peppino riemerge un particolare dimenticato: il padre di Peppino, in seguito a un incontro con Badalamenti, si era recato negli Stati Uniti e parlando con una parente le avrebbe detto: "Prima di uccidere Peppino, debbono uccidere me". Il libro e il dossier vengono presentati alla magistratura e sulla loro base si chiede la riapertura dell'inchiesta.
Il 1987 è l’anno della giustizia.
Tano Badalamenti è condannato a 45 anni di reclusione per Pizza Connection.
Nel 1988, l’inchiesta sull’omicidio di Peppino si riapre finalmente. Il giudice Falcone si reca negli Stati Uniti e interroga Badalamenti.
Il 9 maggio 1989, a Cinisi il Centro Impastato colloca una lapide sulla facciata della casa della madre di Peppino:
"A Giuseppe Impastato, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Il Centro Impastato ricorda il suo contributo di idee e di esperienze nella lotta contro il dominio mafioso".
Siamo nel 1990. Si fanno sempre più insistenti le voci di un’archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Peppino. Quell’anno, il ministro dell'Interno Antonio Gava rispondendo, con due anni di ritardo, a un'interrogazione dell'allora deputato di Democrazia Proletaria Guido Pollice, sostiene che non risulta che Impastato sia stato ucciso dalla mafia e che pertanto non spetta ai familiari l'indennizzo previsto per le vittime di mafia. Il Centro Impastato chiede le dimissioni di Gava.
La battaglia tra giustizia e omissioni si fa incalzante.
Nel 1992 il sostituto procuratore De Francisci archivia l'inchiesta. Esclude la responsabilità di Badalamenti e si ipotizza quella dei corleonesi, avversari di Badalamenti. Il Centro Impastato ribadisce la responsabilità di Badalamenti.
1994. L'avvocato dei familiari e del Centro Impastato, Vincenzo Gervasi, presenta una richiesta di riapertura delle indagini: si chiede che vengano interrogati sul delitto Impastato alcuni mafiosi collaboratori di giustizia, tra cui Salvatore Palazzolo, legato a Badalamenti.
1996. Una buona notizia. L’inchiesta si riapre formalmente ma la madre di Peppino, Felicia, si rivolge al Presidente della Repubblica per farsi riconoscere l’indennità per le vittime di mafia.
1997. Il gip del Tribunale di Palermo Renato Grillo emette un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Gaetano Badalamenti come mandante del delitto Impastato.
1998. Peppino Impastato è una vittima di mafia anche per lo Stato. Ci sono voluti vent’anni per capirlo ma le cose in Italia funzionano così. Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo vengono rinviati a giudizio.
2000. Anche il Parlamento si muove.
La Commissione parlamentare antimafia approva all'unanimità la relazione sul "caso Impastato", presentata dal relatore senatore Giovanni Russo Spena, in cui si riconoscono le responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini sul delitto Impastato.
5 marzo 2002.
La Corte condanna il mafioso Vito Palazzolo a 30 anni di carcere per l'assassinio di Giuseppe Impastato. Il giudice a latere Angelo Pellino, estensore della sentenza, scrive:
"Sulle indagini grava l'intollerabile sospetto di un sistematico depistaggio o comunque di una conduzione delle stesse viziata da uno sconcertante coacervo di omissioni negligenze ritardi mescolati ad opzioni investigative preconcette che ne avrebbero condizionato ed alterato la direzione e lo sviluppo".
E’ una sentenza importante perché riconosce il ruolo dei familiari, dei compagni di Impastato, e del Centro siciliano di documentazione che ha dato un "prezioso contributo, nel corso degli anni, alla raccolta sistematica di un prezioso materiale informativo".
11 aprile 2002.
Ventiquattro anni dopo.
Le 17,15. A Palermo esce la Corte. Ergastolo a Don Tano Badalamenti. E’ il mandante dell’assassinio di Peppino Impastato. Leggo un passo delle conclusioni della sentenza.
“...Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori, non solo si è potuto restringere il cerchio della responsabilità alla cosca di Cinisi, ma anche è rimasto accertato che Badalamenti Gaetano, avvalendosi delle prerogative di capo di detta famiglia, decise l'omicidio e la sua esecuzione con quelle particolari modalità, essendo il maggiore interessato sia all'eliminazione del Giuseppe Impastato, che alla successiva messa in scena dell'attentato; cosicché il composito quadro indiziario, per la sua gravità, precisione ed univocità, impedisce ogni altra lettura alternativa”.
Va bene... direte voi... Don Tano Badalamenti.
E i responsabili dei depistaggi?
Scrive la Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giuseppe Impastato.
“E’ ancora tutto da scrivere il capitolo del rapporto tra mafiosi e forze dell’ordine. E quando finalmente lo si scriverà si potrà vedere che è popolato da noti capimafia che con i carabinieri trattano, si accordano, fanno dei patti. Un doppio gioco, ma alla luce del sole”.
Peppino Impastato è stato ucciso dalla mafia politica, quella che non fa rumore, che si nasconde nei gangli vitali delle nostre istituzione e colpisce ancora oggi.
Le sue idee, gli scritti, le poesie qualcuno li ha raccolti davvero.
Un mare di gente
a flutti disordinati
s'è riversato nelle piazze,
nelle strade e nei sobborghi.
È tutto un gran vociare
che gela il sangue,
come uno scricchiolio di ossa rotte.
Non si può volere e pensare
nel frastuono assordante;
nell'odore di calca
c'è aria di festa.
______
Appartiene al suo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po' d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.
______
Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,infinita.
Dimenticare Peppino sarebbe come ucciderlo due volte.
Daniele Biacchessi
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