There's so much of you here with me...

I've got no friends, not inward friends. Only you. And now the little flame is all I care about in my life. There's the baby, but that is a side issue. It's my Pentecost, the forked flame between me and you. The old Pentecost isn't quite right. Me and God is a bit uppish, somehow. But the little forked flame between me and you: there you are!
That's why I don't like to start thinking about you actually. It only tortures me, and does you no good. I don't want you to be away from me. But if I start fretting it wastes something. Patience, always patience. This is my fortieth winter. And I can't help all the winters that have been. But this winter I'll stick to my little Pentecost flame, and have some peace. And I won't let the breath of people blow it out. I believe in a higher mystery, that doesn't let even the crocus be blown out. And if you're in Scotland and I'm in the Midlands, and I can't put my arms round you, and wrap my legs round you, yet I've got something of you. My soul softly Naps in the little Pentecost flame with you, like the peace of fucking. We fucked a flame into being. Even the flowers are fucked into being between the sun and the earth. But it's a delicate thing, and takes patience and the long pause.
So I love chastity now, because it is the peace that comes of fucking. I love being chaste now. I love it as snowdrops love the snow. I love this chastity, which is the pause of peace of our fucking, between us now like a snowdrop of forked white fire. And when the real spring comes, when the drawing together comes, then we can fuck the little flame brilliant and yellow, brilliant. But not now, not yet! Now is the time to be chaste, it is so good to be chaste, like a river of cool water in my soul. I love the chastity now that it flows between us. It is like fresh water and rain. How can men want wearisomely to philander. What a misery to be like Don Juan, and impotent ever to fuck oneself into peace, and the little flame alight, impotent and unable to be chaste in the cool between−whiles, as by a river.
Well, so many words, because I can't touch you. If I could sleep with my arms round you, the ink could stay in the bottle. We could be chaste together just as we can fuck together. But we have to be separate for a while, and I suppose it is really the wiser way. If only one were sure.
Never mind, never mind, we won't get worked up. We really trust in the little flame, and in the unnamed god that shields it from being blown out. There's so much of you here with me, really, that it's a pity you aren't all here.

Lady Chatterley's Lover, D.H. Lawrence



Non ho amici, amici intimi, soltanto te. E ora quella piccola fiamma è quanto ho di più caro nella vita. C'è il bambino, ma quella è una conseguenza. La mia pentecoste è la fiamma forcuta tra te e me; l'antica pentecoste non è perfetta. "Io ed io" è un atteggiamento troppo superbo in ogni modo. Ma la mia fiamella forcuta fra te e me, quella si che è perfetta!
Ecco perchè non mi piace pensare a te in questo momento, non farei che torturarmi e non serve a nulla. Non voglio che tu sia lontana! Ma se comincio a torturarmi qualcosa si sciupa. Pazienza, sempre pazienza. Questo è il mio quarantesimo inverno e non c'è rimedio per tutti gli inverni che sono passati, ma questo inverno sarà strettamente unito alla mia fiamella di pentecoste e avrò un po' di pace e non lascerò che il soffio del mondo la spenga. Credo in un mistero più alto che non lascia appassire nemmeno un fiore e se tu sei in Scozia e io nel Midland e se non posso tenerti fra le braccia e stringere le tue gambe fra le mie, conservo tuttavia qualcosa di te. La mia anima palpita con te nella fiamella di pentecoste ed è come la pace della carne nella carne. La mia carne nella tua carne ha fatto nascere una fiamma. Anche i fiori sono creati dall'accoppiarsi del sole e della terra ma è una cosa delicata che richiede pazienza e una lunga attesa.
Così io amo la mia castità ora, perchè è la pace che viene dall'unione dei sessi. Mi piace essere casto ora. Amo la castità come i bucaneve. Amo questa castità che è come un intervallo di pace dopo un orgasmo del sesso che ora è tra noi come un bucaneve forcuto di fiamma bianca. E quando verrà la primavera, quando la nostra unione avverrà, allora potremo fonderci e rendere la fiammella splendente, gialla e splendente. Ma ora no. Non ancora. Ora è tempo di essere casti, è così bello essere casti. E' come un fiume di acqua fredda nell'anima mia. Ora che scorre tra noi, amo la castità. E' come questa acqua fredda. E' come pioggia. Come possono gli uomini desiderare un continuo sfarfallare amoroso? Che pena essere come Don Giovanni, incapaci di trovare pace nel sesso quando la piccola fiamma si accende. Impotenti, incapaci di essere casti nei freddi intervalli come sulla riva di un fiume.
Bene tante parole perchè non posso toccarti. Se potessi dormire tenendoti fra le braccia, l'inchiostro si seccherebbe nel calamaio e potremmo essere casti insieme proprio come possiamo giacere insieme. Ma dobbiamo rimanere separati per qualche tempo ed è senza dubbio il modo più saggio d'agire. Potessimo soltanto essere sicuri! Noi abbiamo realmente fiducia nella piccola fiamma e nel dio senza nome che le impedisce di spegnersi. C'è tanto di te qui con me, che è un peccato tu non sia qui tutta.

L'amante di Lady Chatterley, D.H. Lawrence


Duérmete náufrago

Recorrer un cuerpo en su extensión de vela
Es dar la vuelta al mundo
Atravesar sin brújula la rosa de los vientos
Islas golfos penínsulas diques de aguas embravecidas
No es tarea fácil - si placentera -
No creas hacerlo en un día o noche de sábanas explayadas
Hay secretos en los poros para llenar muchas lunas.

El cuerpo es carta astral en lenguaje cifrado
Encuentras un astro y quizá deberás empezar
Corregir el rumbo cuando nube huracán o aullido profundo
Te pongan estremecimientos
Cuenco de la mano que no sospechaste.

Repasa muchas veces una extensión
Encuentra el lago de los nenúfares
Acaricia con tu ancla el centro del lirio
Sumérgete ahógate distiéndete
No te niegues el olor la sal el azúcar
Los vientos profundos cúmulos nimbus de los pulmones
Niebla en el cerebro
Temblor de las piernas
Maremoto adormecido de los besos.

Instálate en el humus sin miedo al desgaste sin prisa
No quieras alcanzar la cima
Retrasa la puerta del paraíso
Acuna tu ángel caído revuélvele la espesa cabellera
Con la Espada de fuego usurpada
Muerde la manzana.

Huele
Duele
Intercambia miradas saliva imprégnate
Da vueltas imprime sollozos piel que se escurre
Pie hallazgo al final de la pierna
Persíguelo busca secreto del paso
forma del talón
Arco del andar bahías formando arqueado caminar
Gústalos.

Escucha caracola del oído
Como gime la humedad
Lóbulo que se acerca al labio
Sonido de la respiración
Poros que se alzan formando diminutas montañas
Sensación estremecida de piel insurrecta al tacto
Suave puente nuca desciende al mar pecho
Marea del corazón susúrrale
Encuentra la gruta del agua.

Traspasa la tierra del fuego la buena esperanza
Navega loco en la juntura de los océanos
Cruza las algas ármate de corales ulula gime
Emerge con la rama de olivo
Llora socavando ternuras ocultas
Desnuda miradas de asombro
Despeña el sextante desde lo alto de la pestaña
Arquea las cejas abre ventanas de la nariz.

Aspira
Suspira
Muérete un poco
Dulce lentamente muérete
Agoniza contra la pupila
Extiende el goce
Dobla el mástil hincha las velas
Navega dobla hacia Venus
Estrella de la mañana
- el mar como un vasto cristal azogado -
Duérmete náufrago.

Gioconda Belli




Percorrere un corpo in tutta la sua ampia vela
È come girare il mondo
Attraversare senza bussola la rosa dei venti
Isole golfi penisole insenature d'acque insidiose
Non è compito facile - se piacevole -
Non credere di farlo in un giorno o una notte di lenzuola distese
Ci sono segreti nei pori per riempire molte lune.

Il corpo è lettera astrale in linguaggio cifrato
Trovi un astro e può darsi tu debba incominciare
Correggere la rotta quando nuvola d'uragano o ululato profondo
Ti provocano tremiti
Cavità della mano che non potevi sospettare.

Ripassa molte volte una superficie
Trova il lago delle ninfee
Accarezza con la tua ancora il centro dell'iris
Sommergi annegati distenditi
Non ti negare l'odore il salato e il dolce
I soffi profondi cumuli nembi dei polmoni
Nebbia nel cervello
Tremore delle gambe
Maremoto assopito dai baci.

Stabilisciti nel humus senza paura consumando senza fretta
Non voler raggiungere la cima
Ritarda la porta del paradiso
Culla il tuo angelo caduto rimescolagli la folta chioma
Con la Spada di fuoco usurpata
Mordi la mela.

Annusa
Fa' male
Scambia sguardi di saliva impregnati
Dà rovesciate imprimi singhiozzi pelle che scivola
Piede ritrovato alla fine della gamba
Tormentalo cerca il segreto del passo
Forma del tallone
Arco dell'andatura baiana che foggia ancheggiante camminare
Amali.

Ascolta conchiglia dell'udito
Come geme l'umidità
Lobo che si avvicina al labbro
Suono della respirazione
Pori che si sollevano formando piccole montagne
Sensazione di scossa della pelle che reagisce al tatto
Soave ponte nuca discendente al mare petto
Marea del cuore sussurrale
Trova la grotta dell'acqua.

Oltrepassa la terra del fuoco la buona speranza
Naviga pazzo nella giuntura degli oceani
Attraversa le alghe armati di coralli ulula gemi
Emergi col ramo d'ulivo
Piangi scavando tenerezze nascoste
Nudi sguardi di stupore
Precipita il sestante dall'alto delle ciglia
Incurva le sopracciglia apri le finestre del naso.

Aspira
Sospira
Muori un poco
Dolce lentamente muori
Agonizza contro la pupilla
Estendi il piacere
Piega l'albero gonfia le vele
Naviga volgi verso Venere
stella del mattino
- il mare come un vasto cristallo argentato -
addormentati naufrago.

Gioconda Belli


Respuestas difíciles...



Gianni guidava distratto,
per una notte per un centro città,
in un agosto separato dal resto dell'umanità.
Con quelle stelle che piovono addosso,
vicino a un mare di cera,
coi pensieri non più tirati a lucido,
ma lui in tenuta da sera.
Come si stupì lui stesso,
lui così distratto, lui così solo,
di scoprirsi a pensare a qualcosa
vicino all'amore.
Si stupì lui,
così lontano, così distaccato,
di scoprirsi a pensare a qualcosa
di passato.
Parlare un po' di più con gli occhi, si disse,
senza paura che si acceleri il cuore,
senza parole difficili,
pensarlo giusto e solo amore.
Ma amore, amore,
t'avessi rincorso più forte,
maledetto il mio sentimento,
avrebbe aperto anche le sue porte.
Amore, amore,
avessi accarezzato la tua idea piano,
col tempo avresti preso anche la mia mano.
Parlare un po' di più con gli occhi,
senza paura che si acceleri il cuore,
senza parole difficili,
pensarlo giusto e solo amore.
Ma amore, amore,
cos'è che ci spaventa...
Amore, amore,
cos'è che si diventa...
E ancora, ancora,
ti avessimo cercato tutti più forte,
il cuore della gente di oggi non avrebbe porte.
Gianni guidava distratto,
in quella notte in quel centro città,
e si dava risposte difficili
come in questi casi si fa...
________

Gianni condujo despistado,
por una noche por un centro ciudad,
en un de agosto separado por el resto de la humanidad.
Con aquellas estrellas que llueven encima,
cerca de un mar de cera,
con los pensamientos más corridos a brillante,
pero él en tenida por tarde.
Como él se mismo se asombró,
él tan despistado, él tan sólo,
de descubrirse a pensar en algo,
cerca del amor.
Se lo se asombró,
tan lejos, tan destacado,
de descubrirse a pensar en algo
de pasado.
Hablar un poco de más con los ojos, se dijo,
sin miedo que se acelera el corazón,
sin palabras difíciles,
pensarlo justo y sólo amor.
Pero amor, amor,
te hubiera perseguido más fuerte,
maldecido mi sentimiento,
también habría abierto sus puertas.
Amor, amor,
hubiera acariciado despacio tu idea,
con el tiempo también,
habrías tomado mi mano.
Hablar un poco de más con los ojos,
sin miedo que se acelera el corazón,
sin palabras difíciles,
pensarlo justo y sólo amor.
Pero amor, amor,
cosa es que nos asusta...
Amor, amor,
cosa es que se se vuelve....
Y todavía, todavía,
te hubiéramos buscado todo más fuerte,
el corazón de la gente de hoy no habría entregado.
Gianni condujo despistado,
en aquella noche en aquel centro ciudad,
y se dio respuestas difíciles
como se hace en estos casos...

Dejo mi sombra...

Dejo mi sombra,
una afilada aguja que hiere la calle
y con tristes ojos examina los muros,
las ventanas de reja donde hubo incapaces amores,
el cielo sin cielo de mi ciudad.
Dejo mis dedos espectrales
que recorrieron teclas, vientres, aguas, párpados de miel
y por los que descendió la escritura
como una virgen de alma deshilachada.
Dejo mi ovoide cabeza, mis patas de araña,
mi traje quemado por la ceniza de los presagios,
descolorido por el fuego del libro nocturno.
Dejo mis alas a medio batir, mi máquina
que como un pequeño caballo galopó año tras año
en busca de la fuente del orgullo donde la muerte muere.
Dejo varias libretas agusanadas por la pereza,
unas cuantas díscolas imágenes del mundo
y entre grandes relámpagos algún llanto
que tuve como un poco de sucio polvo en los dientes.
Acepta esto, recógelo en tu falda como unas migas,
da de comer al olvido con tan frágil manjar.

Sebastián Salazar





Lascio la mia ombra,
un affilato ago che ferisce la strada
e con occhi tristi esamina i muri,
le finestre con l'inferriata dove furono amori inetti,
il cielo senza cielo della mia città.
Lascio le mie dita spettrali
che percorsero tasti, ventri, acque, palpebre di miele
e per le quali discese la scrittura
come una vergine dall'anima sfilacciata.
Lascio la mia testa ovoide, le mie zampe di ragno,
il mio vestito bruciato dalla cenere dei presagi,
scolorito dal fuoco del libro notturno.
Lascio le mie ali a metà battere, il mio meccanismo
che come un piccolo cavallo un anno dopo l'altro galoppò,
in cerca della sorgente dell'orgoglio dove muore la morte.
Lascio vari taccuini bacati dalla pigrizia,
un certo numero di discole immagini del mondo
e tra grandi lampi qualche pianto
che ebbi come un po' di sporca polvere fra i denti.
Accetta questo, raccoglilo nel tuo grembo come briciole,
dà all'oblio da mangiare un così fragile cibo.

Sebastián Salazar

Si el Che viviera...



Soy tu jefe de batallón y especulo con tesis traicioneras
entre el drama y la quimera.
Conciliábulo del poder, me reúno con jefes de galera.
Ay mi amor, si el Che viviera.

Si el Che viviera, fuera, fuera
un arquetipo de ese tipo,
que alimenta la leyenda.
Fuera, fuera un coronel o un general
con discurso de fuerte reprimenda.
Fuera, fuera un paradigma, una coraza, un corazón.
Si el Che viviera.

Si el Che viviera fuera, fuera
un centurión y sus centurias
combatirían con furia
adentro, afuera, furia, fuera.
Yo Sancho Panza. El Che Quijote.
Tú molino, ellos política en salmuera.
Fuera, fuera un redentor y fuera de aquí desazón.
Si el Che viviera.

Entrevisto a mi corazón
y lo dejo en penumbras duraderas.
Si el Che Guevara viviera.

Si el Che viviera, fuera, fuera
un ornamento sin talento,
un represor del sentimiento.
Alguna escoria que viviendo de su historia
inmoviliza las ideas, no te creas.
Fuera, fuera, y no quisiera ser como él.
Si el Che viviera.

Si el Che viviera fuera, fuera,
un amasijo desprolijo
que no refrendó nunca aquello que dijo.
Fuera, fuera un ortodoxo, muera un dinosaurio.
Fuera condición sine qua non y no te pierdas
y entre tanta mierda afuera, ya no fuera
San Ernesto de la Izquierda.

Soy tu jefe de batallón
y me pierdo en los mapas de La Higuera.
Si el Che Guevara viviera...



¿Dónde está la revolución?



Donde ví crecer la hierba a nuestro lado
donde nos fumamos alguna también
ahora sólo puedo oir un eco extraño
de fantasmas que se ríen,
llueve, llueve como tinta transparente
llueve, llueve, y entre tanta confusión te puedo ver.
El río baja puro por el valle
y se pudre cuando llega a esta ciudad,
hemos perdido las armas y las fuerzas
y cuando pregunto nadie puede contestar:
¿Dónde está la revolución?
Se la llevó el viento hermano
no me habléis de revolución
desde aquí abajo todo es distinto hoy.

Mi madre dijo: tú estás loco, lo recuerdo muy bien
había pájaros volando a mi alrededor
de qué sirvió tanta palabra, dímelo
palabras que hoy por hoy tan sólo son un monólogo.
¿Dónde está la revolución?
se la llevó el viento hermano
no me habléis de revolución
desde aquí abajo todo es distinto hoy.

Y ahora te tengo a mi lado,
triste voy a apagar la luz,
pero sigue hablando hasta el final,
hasta que empiece a dormirme...
¿Dónde está la revolución?
se la llevó el viento hermano,
como una flor.
No me habléis de revolución,
desde aquí abajo todo es distinto hoy...


Ernesto "Che" Guevara (4 pt.)




Il Che simbolo di unità

L'esemplare virtù del Che di far proprie istanze diverse e di volersi sacrificare per la vita di qualsiasi uomo oppresso da un’ingiustizia, ha creato un secondo mito sul grande sentimento di fratellanza, nel senso quasi cristiano del termine, che Ernesto Guevara riuscì a diffondere.
Lo spirito di sacrificio, infatti, accomuna e lega intensamente gli uomini tra loro, e questa fratellanza ha abbracciato, congiungendoli, uomini, città, nazioni, diverse e lontane tra loro, tramutandosi in un forte sentimento di unità.
L’immagine del Che diventa simbolo della comunanza tra gli oppressi e la sua fratellanza si trasforma in unità ed unione tra i popoli. Così ogni uomo vittima di un ingiustizia e pronto alla rivolta in nome degli ideali di Ernesto Guevara si unisce profondamente ad ogni persona nel mondo nella sua medesima condizione.
Questa grande fratellanza, sinonimo poi di unità, è stata oggetto di studio di un grande scrittore: l’uruguayano Eduardo Galeano. In un articolo dal titolo Una vida magica egli ricorda come in Guatemala, un paese conosciuto partecipando per la prima volta ad una azione di guerriglia (contro il regime di Arbenz), il Che inizia a costruire questo sentimento di fratellanza. E’ il 1954, e Guevara non ha ancora raggiunto una maturazione ed un convincimento politici ben definiti, ma il fatto che in quel paese migliaia di uomini siano vittime del potere autoritario di Arbenz, lo spinge senza esito ad imbracciare il fucile. Così, sulla base di questa fratellanza, ha iniziato ad unire uomini e a costruire la rivoluzione.

"El Che era el ejemplo vivo de que la revolución es la forma más pura de fraternidad, pero también la más dura, la más difícil. No un desahogo patológico, en este caso, de un señorito de familia bien en la ruina, sino un acto continuo de amor y generosidad y desprendimiento: muy pocos hombres en la historia de nuestro tiempo han renunciado a tanto y tan reiteradamente, a cambio de una o dos esperanzas y sin pedir nada para sí. Sin pedir, para sí, otra cosa que el primer puesto a la hora del sacrificio y el peligro y el último a la hora de las recompensas y la seguridad."

"Il Che era l’esempio vivo del fatto che la rivoluzione è la forma più pura di fraternità, ma tuttavia la più dura, la più difficile. Non un cruccio patologico, in questo caso di un signorotto di famiglia agiata in rovina, ma un atto perpetuo di amore, generosità e abnegazione. Pochi uomini nella storia del nostro tempo hanno rinunciato a tanto e in modo così reiterato, in cambio di una o due speranze, e senza chiedere niente per sé. Senza chiedere, per sé, altra cosa che il primo posto all’ora del sacrificio e del pericolo e l’ultimo all’ora delle ricompense e della sicurezza."

Sulla scia del pensiero trotskista, afferma Galeano, il Che, da vero rivoluzionario, scelse la rivoluzione al posto di qualsiasi altra cosa, stringendo un forte vincolo con altri uomini che cancellava qualsiasi sentimento di estraneità e di solitudine, ed alimentando al contrario una necessità di totalità e purezza.

"Esa necesidad de totalidad y pureza se tradujo, entonces, en una insuperable capacidad de sacrificio personal; era intransigente consigo mismo hasta el extremo de no permitirse una sola debilidad, una sola transacción, para poder apoyar sobre bases sólidas su alto nivel de exigencia ante los demás."

"Questa necessità di totalità e purezza si traduce, allora, in una insuperabile capacità di sacrificio personale; era intransigente con se stesso fino all’estremo di non permettersi una sola debolezza, un solo compromesso, per poter poggiare su basi solide il suo alto livello di esigenza davanti ad ogni cosa."


Questo rigore morale spinse Guevara a vivere in funzione del “o tutto o niente”, perché solo così si potevano ottenere risultati, solo con la ostinazione e la pervicacia la rivoluzione poteva trionfare, dato che, come lui stesso disse, “il compromesso è l’anticamera del tradimento”. E questa convinzione alimentò il suo spirito di sacrificio, rafforzando a sua volta la determinazione di migliaia di rivoluzionari in tutto il mondo.
Galeano riporta la testimonianza del sacerdote Hernán Benítez, il confessore di Evita Perón, il quale definì la figura del Che in questi termini:

"como los judíos del Viejo Testamento creían siempre vivo al profeta Elías, es posible también que, en los años venideros, los soldados del Tercer Mundo crean sentir la presencia alucinante del Che Guevara en el fragor de las luchas guerrilleras."

"Come i giudei del Vecchio Testamento credevano sempre vivo il profeta Elia, così è possibile che, negli anni venturi, i soldati del terzo mondo credano di sentire la presenza immaginaria del Che Guevara nel fragore delle lotte guerrigliere."

Conclude Galeano,

"la vida del Che Guevara, tan perfectamente confirmada por su muerte es, como toda gran obra, una acusación, formulada esta vez a balazos contra un mundo, el nuestro, que convierte a la mayoría de los hombres en bestias de carga de la minoría de los hombres y condena a la mayoría de los países a la servidumbre y la miseria en beneficio de la minoría de los países; es también, una acusación contra los egoístas, los cobardes y los conformistas que no se lanzan a la aventura de cambiarlo."

"La vita del Che Guevara, tanto perfettamente confermata dalla sua morte, è, come una intera grande opera, una accusa, formulata a turno per lottare contro un mondo, il nostro, che trasforma la maggior parte degli uomini in bestie da carico della minoranza degli uomini e condanna la maggior parte dei paesi alla servitù e alla miseria a beneficio della minoranza dei paesi; è, inoltre, una accusa contro gli egoisti, i codardi e i conformisti che non si lanciano nell’avventura di cambiarlo."

Avendo sottolineato questa capacità del Che di unire gli uomini trasmettendo agli stessi rivoluzionari lo spirito di lotta e di sacrificio per gli altri, mi sembra opportuno riportare la testimonianza di un guerrigliero, nell’occasione prestato alla poesia, che combatté a fianco di Guevara, acquisendone i profondi valori spirituali.
Si tratta di Coco Peredo, uno dei più prestigiosi combattenti boliviani, che cadde come il Che nella boscaglia di Vallegrande, nel 1967. La sua poesia si intitola
La Felipe Varela.

"Ernesto Guevara viene
del monte pa’ la ciudad.
El publo lo aclama y tiene
un corazón y un fusil.

Ya tienen lo guerrilleros
un jefe a quien seguir.
Se lo verá en la frontera
juntando pueblos para vencer.

Y hoy vemos al Che Guevara
que contra los yanquis va.
Lo sigue un pueblo oprimido
hasta vencer o morir.

Ya pasa por las montañas
y en las selvas se la ve
porque Ernesto Guevara
luchando viene y se va.

Ayer fue Simón Bolívar
que junto con San Martín
liberaron nuestros pueblos
mas no pudieron volver.

Y hoy vemos
…"

"Ernesto Guevara scende
dalla montagna verso la città.
Col cuore e il fucile
il popolo lo acclama.

Ormai i guerriglieri hanno
un capo da seguire.
Lo si vedrà alla frontiera
unire i popoli per vincere.

E oggi vediamo Che Guevara
che va contro gli yankees.
Lo segue per vincere o morire
un popolo oppresso.

Ormai ha passato le montagne
e lo si vede nelle selve
perché, lottando, Ernesto Guevara
arriva e va via.

Ieri è stato Simón Bolívar
che insieme a San Martín
hanno liberato i nostri popoli
ma senza più ritorno.

E oggi…"

La semplicità delle parole di Peredo è forse emblematica della trasparenza di ideale e della forte consapevolezza di valori acquisiti che animava i guerriglieri del Che, così come rende l’idea di quanto potente fu l’ideologica fratellanza che egli seppe trasmettere ai suoi uomini. Del resto non si spiega come un manipolo di venti uomini riuscì a resistere un anno intero nella foresta boliviana, braccato da centinaia di rangers.
Evidentemente doveva esserci una forza morale tra i rivoluzionari per cui, come affermava il Che, un suo uomo valeva dieci soldati nemici. Così questo concetto di fratellanza viene evidenziato da vari autori e l’idea di popoli e paesi lontani tra loro ma uniti idealmente nella lotta dal mito del Che ormai imperante in ogni angolo del mondo, inizia ad essere ricorrente nei versi di molte poesie.
A tal proposito credo siano da ricordare i frammenti di due poesie scritte rispettivamente da José Martínez Matos e Auguste Macouba. Nella poesia intitolata Che Martínez Matos scrive.

"Te vieron cruzando los ríos del Congo,
te mataron en Viet Nam,
organizaste una reunión secreta
en Venezuela, anduviste
por Perú, Brasil, Guatemala y China
al mismo tiempo,
te volvieron a matar en Santo Domingo.
Dondequiera que sonaran tiros,
rebeldía estaba tu nombre
."

"Ti hanno visto attraversare i fiumi del Congo
ti uccidevano nel Vietnam
organizzavi una riunione segreta
in Venezuela, eri
in Perù, Brasile, Guatemala e in Cina
allo stesso tempo,
ancora una volta ti uccidevano a Santo Domingo
Ovunque risuonassero gli spari
la ribellione, c’era il tuo nome."

Analoga l’idea di fratellanza propagata dal Che nei versi tratti da La parole est à l’espoir di Macouba.

"Vous tous opprimés plein vent
monde accroupi et humilé
frères de la faim offensés sans force
je dis qu’on ne verra plus de nègre lacunaire,
d’hindou famélique
ni de jaune qui soit un péril
l’homme ne verra plus napalm
pour le Viet-Nam et pour le Chine.
Il n’y aura plus de chiens en Alabama
et pas plus à Salisbury ou Johannesbourg
ni Baie des Cochons
ni marines à Saint Domingue et ailleurs.
Je dis qu’ll n’y aura plus de poussières
qui ne puissent totalement exister.
Camadares opprimés
a la tyrannie des faucons en puissance
nos mains à d’autres mains par delà les océans
triomphera un bouquet fraternel.
Aujourd’hui, la parole est à l’Espoir
."

"Voi tutti oppressi privi del vento
mondo piegato e umiliato
fratelli della fame offesi senza forza
io dico che non vedremo più i neri lacustri
gli indiani famelici
i gialli giudicati un pericolo
l’uomo non vedrà più il napalm
nel Vietnam o nella Cina
non ci saranno più cani in Alabama
e neanche a Salisbury o a Johannesburg
né Baia dei Porci
né marines a Santo Domingo o altrove
Io dico che non ci sarà polvere
che possa esistere totalmente
compagni oppressi
sulla tirannide dei falchi in potenza
le nostre mani insieme ad altre mani al di là degli oceani
trionferanno come ramo fraterno
oggi, la Speranza ha la parola."

Il significato dei versi di queste due poesie combaciano poi con quella visione internazionalista che Ernesto Guevara aveva della rivoluzione, un internazionalismo che non era solo militare ( e quindi non si trattava solo di rispondere col fuoco al fuoco dell’imperialismo), ma anche e soprattutto morale. Ciò perché la solidarietà tra i popoli e quel senso di unione e partecipazione collettiva tra chi si batte per la libertà, rappresenta spesso un’arma pacifica e vincente. Eloquenti risultano in tal senso le parole del Che nel suo saggio Tattica e strategia della rivoluzione latinoamericana:

"In questa lotta di portata mondiale, la posizione geografica ha una grande importanza. A volte è determinante. Cuba, per esempio, è una collina che funge da avamposto, che guarda al campo vastissimo del mondo economicamente deforme dell’America Latina, che lancia il proprio messaggio e con l’esempio rappresenta un faro per tutti i popoli d’America. Diverso sarebbe il suo valore se fosse collocata in un’altra situazione geografica o sociale. Diverso era il suo valore quando rappresentava solo un elemento tattico del mondo imperialistico prima della rivoluzione. Non è aumentato ora solo per il fatto di essere una porta aperta verso l’America. Alla forza della propria posizione strategica , militare e politica, essa unisce la potenza della propria influenza morale; i proiettili morali sono un’arma di efficacia così distruttiva, che tale elemento diventa più importante nella determinazione del valore di Cuba."

Questa originale dimensione sovranazionale del suo pensiero e della sua formazione culturale dimostra la capacità di Guevara di andare oltre le semplificazioni dogmatiche, gli schematismi e le degenerazioni militaristiche che in molte parti del mondo sono sfociate poi in regimi autoritari e repressivi. Questa indubbiamente è una delle sue eredità ideologiche più apprezzate e di cui se ne lamenta, dalla sua morte ad oggi, la pesante mancanza in molti uomini di stato.
La nostalgia e il vuoto che la scomparsa del Che hanno lasciato nel mondo sono il tema dominante di un saggio scritto nel 1997 da Jorge Enrique Adoum intitolato Fugacità della sua morte. Adoum si interroga su come abbiamo potuto continuare a vivere trent’anni in un mondo in cui lui non c’era e su come una generazione ha potuto nascere, crescere e procreare in un mondo in cui da trent’anni manca il Che.Come immaginare il mondo per trent’anni senza di lui? (se gli europei dicevano perfino che doveva essere triste non essere latinoamericano)”.
Secondo Adoum, infatti, Guevara ha rappresentato il primo esemplare di quell’uomo futuro che l’America avrebbe un giorno partorito, generando ammirazione e affetto nell’umanità ogni qual volta si parla di una qualunque delle sue imprese o delle sue difficili virtù di cui, in un certo modo, ognuno in cuor suo ha avuto la pretesa che ce ne toccasse una parte
.

"lui era quell’essere di carne che era già leggenda o al contrario quell’eroe da epopea con il quale fino a poco tempo prima prendevamo il caffè
lui ha fatto sentire nobile la nostra america l’ha fatta sentire degna quando a cuba era più america che mai
e andavamo in giro orgogliosi di esser nati nel suo stesso continente nello stesso tempo
."

Tuttavia egli mette in evidenza la paura e lo sbalordimento che inizialmente le sue imprese crearono, tanto da sconcertare e intimidire anche chi lo doveva sostenere. Non a caso la sua sconfitta in Bolivia fu il risultato di un isolamento totale e del mancato appoggio militare che in definitiva nessuno, in quel momento, si sentì di offrirgli. Ed allora viene naturale riflettere se la sua condizione di solitudine nell’atto finale della vita sia da considerarsi un emblema fallimentare della sua rivoluzione. La risposta è un’altra.

"qualcuno disse quel giorno che il gran barbudo dell’isola del caribe era rimasto solo
no cazzo ho detto
lui è lì con dieci milioni di compagni che lo amano e con i rivoluzionari del mondo che l’ammirano
quelli che son rimasti soli e senza scuse siamo noi
noi che siamo stati sempre soli perché abbiamo voluto star soli viziosamente soli
occupati dalla nostra quotidianità dal nostro blablabla sulla rivoluzione prima di andare a bere o a dormire
e noi che ormai neanche parliamo di rivoluzione
e non si trattava più di morire al suo posto ma di unire le nostre solitudini e le nostre piccolezze per rimpiazzarlo fra tutti noi
non più di stare al posto suo ma di andare al suo posto
perlomeno quelli di noi che non si erano imputriditi…
e molto tempo dopo perfino nei villaggi remoti dell’asia e dell’africa abbiamo visto contadini discutere di problemi agrari intorno a un tavolo sulla terra sotto la bandiera del loro paese e uno stendardo con l’immagine dell’uomo dalla stella in fronte
e sui muri delle nostre città dipinta, l’immagine successiva dell’uomo dalla stella in fronte
e le adolescenti che non l’hanno conosciuto portare nel seno sui seni l’immagine dell’uomo dalla stella in fronte…
"

In questo modo, afferma Adoum, si è potuta ribaltare la convinzione secondo cui, uccidendolo e credendolo morto, il mondo imperialista e neoliberista ha potuto annunciare “la fine della storia”. La storia infatti, conclude, non potrà terminare prima del ritorno dell’uomo nuovo che lui ha annunciato portandolo con sé come la più bella utopia d’America.

"e per questo lo aspetto per poter continuare a essere vivo
e poter continuare ad aspettare ciò che arriva
allora che hasta la victoria siempre?
"

A conclusione di questo paragrafo mi sembra opportuno riportare alcune strofe, le più significative, di una poesia composta da Thiago de Melho, dal titolo Sangue e orvalho, in quanto riassumono in modo esemplare un po’ tutte le considerazioni finora esposte.

"Porque tu, comandante de esperança,
irmäo és dos homens dêste mundo,
irmäo és dos que querem compartir,
irmäo dos que cairam contigo,
antes e depois de ti,
na construçäo da vida verdadeira.
Irmäo de um menino que acaba de nascer
no châo sofrido de minha infância.
Sobretudo irmäo do homem.

que está nascendo, agora,
dentro do homem.
E’ só por isso, comandante Che Guevara
que hoje te quero escrever,
enquanto navego pelo río Amazonas,
debaixo da claridâo do meio-día.
Estou, neste instante do mundo e dos homems,
navegando diante do Leprosário San Pablo,
onde começaste a tua larga
e luminosa caminhada.
E entâo te ecrevo.

Só para te contar que cresce,
que cada día mais cresce
a mäo do homem,
a mäo do homem bom oprimido,
êsse teu irmäo, por quem viveste
e em cujo peito permaneces vivo,
essa mäo miserável, mas tâo linda,
que recolhe do chäo americano
o canto que plantaste, amor e dádiva,
o caminho que abriste, estrêla e chäo,
que para todos nós è como um sol
-um sol úmido de sangue e orvalho
."

"Perché tu, comandante della speranza
fratello degli uomini di questo mondo
fratello di coloro che vogliono condividere
fratello di coloro che sono caduti insieme a te
o prima o dopo di te
nella costruzione della vita vera
Fratello di un bambino appena nato
nel suolo sofferto della mia infanzia
Soprattutto fratello dell’uomo.

che sta per nascere, ora
dentro all’uomo
Per questo soltanto, comandante Che Guevara
voglio scriverti oggi
mentre navigo sul fiume delle Amazzoni
sotto i bagliori del mezzogiorno
in questo istante del mondo e degli uomini
sto navigando davanti al Lebbrosario San Paolo
dove hai cominciato il tuo lungo
e luminoso percorso
E allora ti scrivo.

Solo per raccontarti che cresce
che ogni giorno cresce
la mano dell’uomo
la mano dell’uomo buono e oppresso
il fratello per il quale hai vissuto
e nel cui petto rimani vivo
quella mano misera, ma così bella
che raccoglie dal suolo americano
il canto che hai seminato, amore e dono
la strada che hai aperto, stella e polvere
che per noi tutti è come un sole
-un sole umido di sangue e di rugiada."








La “negritudine” e il rapporto con l’Africa

Nel discorso del 24 febbraio 1964, pronunciato ad Algeri al II Seminario economico afro-asiatico, Ernesto Guevara disse:

"Il socialismo non può esistere se, nelle coscienze, non si opera una trasformazione che determini un nuovo atteggiamento di fratellanza nei confronti dell’umanità: atteggiamento sia di carattere individuale, nella società in cui si costruisce o si è costruito il socialismo, sia di carattere mondiale, nei confronti di tutti i popoli che subiscono l’oppressione imperialista. Pensiamo che la responsabilità di aiutare i paesi dipendenti debba essere affrontata con questo spirito."

Coerentemente con quanto affermava, e quindi non limitandosi a pronunciare proteste ufficiali o a proclamare atti di solidarietà, egli è intervenuto in Africa mettendo le sue esperienze di guerrigliero al servizio di una causa nella quale vedeva ancora annodati, in modo inscindibile, interessi nazionali e multinazionali.
Il momento topico di questo intervento è rappresentato senza dubbio dalla sua attiva partecipazione, sempre con un nutrito gruppo di rivoluzionari cubani, al Movimento Nazionale di Liberazione in Congo che si batteva per riportare libertà e democrazia in quel paese dopo l’assassinio del presidente Lumumba. Ma cosa spinse il Che ad intervenire in Congo e quindi in una realtà per certi versi così lontana da quella latinoamericana?
Noi sappiamo, e forse lui lo presagiva, che l’episodio africano avrebbe costituito il diretto antefatto di quel dramma simbolico in cui è culminata e si è conclusa la sua parabola politica. Come afferma la studiosa Paola Belpassi, in un articolo dal titolo Il Che e l’Africa, tale parabola si è sviluppata all’insegna di una grande coerenza.

"Essa esordisce con la presa di coscienza del carattere multinazionale delle contraddizioni politico-sociali del suo tempo e culmina in azioni che rimangono fedeli ai lineamenti fondamentali di questa concezione e alle scelte morali che essa via via gli ha dettato: fedele all’idea che la liberazione dei popoli dominati sarà un evento dai contorni internazionali e mondiali o non sarà affatto."

In base a tale analisi occorreva alimentare una guerra di movimento e non una guerra di posizione tra il blocco dei paesi dominati e la vasta geografia del sottosviluppo. La scoperta di conflitti sociali come conflitti multinazionali è dunque il terreno entro cui fatalmente doveva avvenire l’incontro del Che con l’Africa.
E’ chiaro però che alle spalle di questo pensiero ci sono un percorso ed una formazione culturale ben delineati: secondo la Belpassi sono i viaggi della gioventù che faranno scoprire a Guevara, uomo dotato di grande sensibilità, di grande vivacità intellettuale e di una cultura non convenzionale, la mappa delle lacerazioni sociali e dei conflitti che accomunano i popoli dell’America Latina. E’ così inevitabile che gli schiavi neri e i meticci del continente latinoamericano appaiano subito al Che come riflesso di una condizione di sfruttamento e sottomissione presente in tutto il mondo.
E la sua grande sensibilità riuscì ad accogliere nel proprio animo quella cultura nera e africana che già a Cuba lo circondava, facendo esplodere un sentimento di partecipazione e solidarietà internazionale che sfocerà appunto nella spedizione in Congo.
Roberto Massari ricorda come negli ultimi anni di vita di Guevara si ritrova un’imprevedibile ed entusiastica riscoperta del negrismo, “non tanto afrocubano quanto africano autentico”. Proprio riguardo alla negritudine e all’eredità della tradizione afrocubana, al ritorno da un suo viaggio in Africa nel 1965, Ernesto Guevara disse:

"La cultura cubana, il modo di sentire cubano, riuniscono in modo veramente vistoso le antiche culture negre…Oggi Cuba ha un venti-trenta per cento di sangue negro, tra negri puri e le varie gradazioni. Per questo si dice che “chi non ha qualcosa di congo ha qualcosa di carabalí… Anche la musica naturalmente. Il fatto curioso è che la musica africana è arrivata a Cuba molti anni fa e, in parte, si è trasformata nella maniera di sentire della nazione cubana. Poi, negli ultimi anni, è tornata laggiù, come espressione nuova, e ha influenzato profondamente tutti i paesi dell’Africa nera… Questo dimostra come l’integrazione culturale, alle sue origini naturalmente, tra Africa e Cuba sia notevole, e l’influenza africana nella nostra cultura sia veramente profonda."

Da queste parole emerge chiaro il forte contatto che legava Guevara all’Africa e come già prima del suo intervento in Congo egli avesse maturato l’idea di un ruolo cruciale di quel paese nella lotta antimperialista, non solo africana ma mondiale, mentre cercava di comporre in una sintesi, in una visione unitaria e di insieme, gli elementi di cui disponeva per comprendere la situazione del continente africano. Paola Belpassi riporta questa testimonianza del Che.

"Noi rivoluzionari americani abbiamo constatato in tutta umiltà che conosciamo molto poco di questo continente. Di fatto, non conosciamo le forze attuali dell’Africa (…) L’imperialismo ha diviso gravemente l’Africa, più di quanto si possa immaginare. Per noi è un insegnamento, ed è per questo che dobbiamo visitare l’Africa con grande modestia."

Secondo la studiosa, quindi, per Guevara l’Africa si trovava ad un crocevia: imboccare quella via di sviluppo che avevano già perduto le borghesie nazionali latinoamericane in qualsiasi progetto nazionale, verso una latinoamericanizzazione dell’Africa, o, viceversa, “conquistarsi sempre più ampi margini di indipendenza autentica, o per usare una terminologia non guevariana, di una indipendenza nazionale che sia una rivoluzione sociale”.
Chiaramente questo intenso legame del Che con l’Africa è stato avvertito, e poeticamente approfondito, da vari poeti che non hanno mancato, con i loro versi, di onorare la comunanza ideologica e le esperienze personali che lo avvicinarono ai popoli africani. Ma è interessante rilevare come nelle parole di questi poeti, soprattutto africani, oltre all’orgoglio per l’attenzione e l’ammirazione che Guevara ebbe per l’Africa, traspare ancor di più il fascino di un uomo che seppe soffrire e lottare per tutti i popoli oppressi del mondo. Così anche nelle loro poesie si palesa quel grande insegnamento del Che di saper capire e interpretare realtà ed esigenze diverse dalle nostre, cosa che rappresenta il primo passo per capire a fondo se stessi.
Scrive Masa Mbatha Opasha in una poesia dal titolo To Che Guevara with love:

"Dear brother, warrior and possible friend,
A distante echo brings me these sad notes;
a low slow cry, a deaf pain
and five billion scarlet illusios.
It was for you, brother Che,
that many of us cried at great length
for your early death,
that you died that violent, merciless death.
Life was truly unjust to you
and perhaps you to life!

Mankind is still bewildered by your courage,
still stunned by your sacrifice.
You have been crowned a hero, a legend and a myth.
You have been elevated to the holy seat of saints, prophets and gods.
Was this really your dream?

There is no pace yet here-only war!
Guns thunder across the scared skies
of Europe, Africa, Asia and Americas.
Helpless, hungry children run amok
In search of land, life and love.
The grown-ups mourn and curse in their graves.
Senseless violence reigns like a king.
“Bloodbaths of peace” flood the earth
as darkness fills the emptiness of our dreams
."

"Caro fratello, guerriero e possibile amico
Un’eco lontana mi porta queste tristi note
un grave lento lamento, un dolore sordo
e cinque miliardi di rosse illusioniù
E’ stato per te, fratello Che, che molti di noi hanno pianto a lungo
per la tua morte prematura
E’ stato per molti di noi, Guevara
che sei morto di quella morte violenta e spietata
La vita è stata davvero ingiusta con te
come forse lo sei stato tu con la vita!

L’umanità è ancora sconcertata per il tuo coraggio
ancora sbalordita per il tuo sacrificio
Sei stato coronato eroe, una leggenda e un mito
Ti hanno innalzato al sacro luogo dei santi, dei profeti e degli dei
Era davvero questo il tuo sogno?

Non c’è ancora pace qui, solo guerra!
Tuonano i fucili attraverso i cieli impauriti
di Europa, Africa, Asia e le Americhe
Bambini derelitti e affamati sfuggono alla follia omicida
cercando terra, vita e amore
Gli adulti piangono e bestemmiano dentro la loro tomba
un’insensata violenza governa da despota
Bagni di sangue per la pace” inondano la terra
come l’oscurità colma il vuoto dei nostri sogni."

L’asprezza delle parole e la durezza dei contenuti sono inevitabilmente il frutto di una situazione che, per quanto concerne in special modo l’Africa, allo stato attuale presenta ancora motivi di angoscia e scoramento, data la triste realtà di molti paesi africani. Se infatti attualmente in America Latina il periodo delle grandi dittature sembra essersi arrestato, fermi restando i grandi problemi politici ed economici che attanagliano molti paesi, ed almeno istituzionalmente, pur tra grandissime difficoltà, sembra essersi finalmente avviato un percorso democratico, la realtà odierna dell’Africa dimostra ancora il contrario. Dittature, regimi, repressioni e retaggi colonialisti sono ancora presenti e vivi. E ciò aumenta la rabbia di molti scrittori, che solo con le loro opere e le loro inesorabili parole possono
provare a rompere il muro di dolore che sembra isolarli dal mondo.
In questo modo gli ideali del Che ne esaltano ancor di più il mito leggendario, e continuano a simboleggiare un incitamento alla lotta e alla speranza. In questo contesto si inserisce la poesia di Joe A. A. In tribute to Ernesto Che Guevara.

"Che, now our fingers are propellors
cities burn where our minds were numb
our arms are the barrels of mortars
our heads are fused like a bomb.

You have turned our tribus to brigades
we flow remorseless where rivers ran
our loins are the seed of grenades
our ribs are the armoury of man.

After you, we will never yeild
we have one thing to give you, a life
and the bullet shall break on our shield
and the vulture shall fall on our knife.

The baas fears
when it comes
we’ll wash our spears
in blood of bones
But Che knows
it comes soon…
the white night grows…
See the black moon!
"

"Che, ora le nostre dita sono propellenti
bruciano le città dove le nostre menti erano paralizzate
le nostre braccia sono i fusti dei mortai
le nostre teste sono fuse come una bomba.

Hai trasformato le nostre tribù in brigate
scorriamo senza rimorsi là dove passavano i fiumi
i nostri fianchi sono i semi delle granate
le nostre costole sono l’armatura dell’uomo.

Dopo di te non ci arrenderemo mai
abbiamo una cosa da darti, una vita
e la pallottola si romperà sul nostro suolo
e l’avvoltoio cadrà sul nostro coltello.

Il padrone ha paura
quando viene
laveremo le nostre lance
in sangue di ossa
Ma il Che sa
arriva presto…
la notte bianca cresce…
Guarda la luna nera!"

Anche in Joe A. A. è prepotente il tema dei popoli sottomessi alla volontà dei padroni, che con la repressione paralizzano qualsiasi tentativo di far riemergere una cultura ed una identità offuscate dall’imperialismo.
Per questo Ernesto Guevara appasiona i cuori ed infiamma le menti, perché ridesta negli uomini, in nome dell’identità negata, di qualsiasi identità, il diritto ad affermare il proprio io, cioè la propria libertà. Così l’ultima poesia meritevole di attenzione, tra quelle dedicate al Che da poeti africani, è proprio quella di un poeta egiziano, Ahmed Fouad Negm, che, a causa dei suoi testi, in cui rivendica i diritti degli affamati e degli oppressi, ha conosciuto il carcere. La poesia si intitola Guevara è morto.

"Guevara è morto.
L’ultima notizia alla radio,
nelle chiese e nelle moschee,
nei vicoli e nelle strade,
nei caffè e nei bar:
Guevara è morto.
morto.
Si sentono le chiacchiere e i commenti.
Guevara è morto.
E’ morto il combattente esemplare,
che terribile perdita per gli uomini!

Il suo lamento sale nello spazio, grida
E non c’è nessuno che lo senta.
Che pena l’ora del destino!
Forse ha gridato per il dolore
del morso del fucile tra le viscere;
forse ha riso
o ha sorriso
o ha tremato
o si è sentito soddisfatto;
forse ha emesso il suo ultimo respiro,
una parola di addio.

Per gli affamati, la sua testimonianza rafforza
coloro che promuovono la causa e la lotta.
Molte immagini piene di fantasia,
mille milioni di possibilità.
Ma è certo, è certo,
e non ci può essere dubbio:
Guevara è morto lottando,
Guevara è morto.

Operai e diseredati, incatenati correte alla lotta!
Liberazione, liberazione,
non c’è liberazione per voi,
se non con le bombe e le pallottole.
Questo è il discorso dell’era felice,
l’era dei negri e degli americani.
La parola spetta al fuoco e all’acciaio
quando la giustizia è muta o vigliacca.
Il grido di Guevara è: avanti, schiavi!
In qualsiasi condizione o luogo
non c’è alternativa, non c’è scampo:
o preparate l’esercito della liberazione
o mentite al mondo della liberazione.
Liberazione!
"





Cortázar e il Che

Questa lunga trattazione del mito del Che nella letteratura non può che concludersi con una riflessione sulla figura di uno dei più rappresentativi scrittori latinoamericani, l’argentino Julio Cortázar e sul suo rapporto con Ernesto Guevara.
Cortázar è un esponente del romanzo moderno e nelle sue opere il problema dell’alienazione e della solitudine assume una notevole importanza, cosicchè l’invenzione e la fantasia costituiscono due fondamentali elementi per superare questa condizioni e restaurare la libertà creativa. E’ evidente, quindi, che per lo stile e i temi della sua poetica la figura del Che non poteva restargli indifferente.
La studiosa Alessandra Riccio, in suo articolo intitolato proprio Cortázar e il Che, sostiene come pur fra i mille mestieri in cui Guevara si distinse (medico, avventuriero, fotografo, infermiere), egli privilegiava quello di scrittore e di poeta. Ce ne rende persuasi la sua precoce e instancabile fede nella scrittura: articoli di medicina, negli anni universitari e post-laurea, relazioni e commenti durante i suoi lunghi viaggi per le terre dell’America Latina, saggi economici e politici.
Il Che credeva, come è noto, nella pienezza dell’individuo e, uomo impegnato strenuamente nella prassi e nell’esempio concreto, non disdegnava affatto la componente intellettuale.

"Accanito lettore, sapeva apprezzare il piacere della conoscenza ma anche abbandonarsi all’impatto immediato e commovente della poesia, per cui ben meritò il titolo di poeta della rivoluzione che qualcuno ha voluto attribuirgli. Scrittore stringato e preciso, oratore persuasivo, il Che lasciava spazio anche alla tenerezza, anche alla metafora, anche alla frase elegante, purchè la verità fosse rispettata. Non solo testimone dunque, ma sensibile creatore di immagini."

Queste ultime parole mettono a fuoco il presupposto del forte legame che inizia ad avvicinare Cortázar alla figura eroica del Che, che però non rappresenta ancora un mito per lui, dal momento che inizia a conoscerlo e a dedicargli opere quando il rivoluzionario è ancora in vita. Anzi, sono proprio le parole di Guevara, nel libro Pasajes de la guerra revolucionaria, che destano in Cortázar interesse e ammirazione. In un breve prologo, infatti, il Che spiega l’esigenza di dare avvio ad una collana di memorie della guerra, perché, afferma, “passano gli anni e il ricordo della lotta insurrezionale si va dissolvenso nel passato senza che vengano fissati con chiarezza fatti che ormai appartengono alla storia d’America”. Per questo incita i compagni superstiti di quell’avventura a fare questo sforzo di memoria.
Quando Cortázar, afferma Alessandra Riccio, nel 1964 pubblica sulla Revista de la Universidad de México il racconto Reunión, doveva essere ancora impressionato dalla lettura del libro di Guevara. Cortázar era già uno scrittore assai noto nel continente, il suo romanzo Rayuela aveva suscitato l’interesse del mondo letterario ed era stato segnalato come uno degli atti di nascita del nuovo romanzo latinoamericano.
Reunión racconta l’episodio dello sbarco, con il Granma, del Che e dei suoi guerriglieri nella Playa de las Coloradas, il 2 dicembre 1956; quell’evento rappresentò il primo scontro a fuoco del rivoluzionario sull’isola di Cuba, destinato a concludersi, anni dopo, con la trionfale conquista di L’Avana.
Nel racconto, di notevole importanza perché costituisce una delle pochissime opere conosciute scritte sul Che quando era ancora in vita, Cortázar maschera con nomi inventati personaggi comunque fin troppo celebri (Guevara, Fidel e Raúl Castro, Camilo Cienfuegos ecc.).


"Scrittore di racconti, secondo la migliore tradizione argentina, ne ha elaborato una teoria secondo la quale non è lo scrittore a scegliere il tema della sua narrazione, ma esattamente il contrario. Afferrato dunque per i capelli dal prepotente fascino della testimonianza di Guevara, Cortázar affronta l’arduo compito di fare letteratura da un oggetto che è già di per sé letterario: la testimonianza scritta del Che; una vistosa citazione che non impedisce allo scrittore argentino di ricostruire – con quell’amore per il vero che il Che pretendeva – l’episodio del tragico sbarco, della prima sconfitta e del battesimo di fuoco del guerrigliero."

Reunión quindi non è solo una riunione di quei personaggi concretamente asimbolici, ma la congiunzione dei desideri di lotta per la liberazione dell’uomo. Il racconto non è, ovviamente, il racconto del Che. Eppure lo scrittore argentino non si ispira alla lotta della rivoluzione cubana, ma al racconto di uno di quegli episodi che ne faceva un protagonista.
Il tema scelto da Cortázar è un tema già elaborato letterariamente da Guevara. Su quella base, afferma la Riccio, lavora lo scrittore, quelle allusioni riprende, mentre altre abbandona, (come quella così significativa del Che che, costretto a scegliere fra la sua borsa da medico e una cassa di munizioni, sceglie le armi), ed altre ancora aggiunge, come il reincontro con Luis/Fidel.
Proprio questa riunione, che dà il titolo al racconto, secondo la Riccio costituisce il centro attorno al quale si articola la finzione di Cortázar.

"Fame, freddo, sangue, morte, paura, coraggio acquistano senso solo nella prospettiva di vedersi di nuovo riuniti attorno alla figura di Luis che simboleggia il futuro, il mondo nuovo. Un abuso di Cortázar? Una sua forzatura? Non credo. Poche pagine più avanti, nell’episodio intitolato Alla deriva, il Che racconta dell’avvenuta riunione e della rabbia di Fidel per alcune ingenuità commesse dai combattenti."

Su questo testo Cortázar ha lasciato abbondanti testimonianze. In particolare è da ricordare una fitta corrispondenza con Fernández Retamar. In una lettera a lui indirizzata il 29 ottobre 1965, a proposito del ruolo e dell’importanza della poesia, scrive:

"Quiero decirte esto: no sé escribir cuando algo me duele tanto, no soy, ni seré nunca el escritor profesional listo a producir lo que se espera de él, lo que le piden o le que él mismo se pide desesperadamente. La verdad es que la escritura, hoy y frente a esto, me parece la más banal de las artes, una especie de refugio, de disimulo casi, la sostitución de lo insustituible. El Che ha muerto y a mí no me queda más que silencio."

"Desidero dirti questo: non riesco a scrivere quando qualcosa mi addolora tanto, non sono, non sarò mai uno scrittore professionale rapido a produrre ciò che si attende da lui, ciò che gli chiedono o ciò che lui stesso vuole disperatamente. La verità è che la scrittura, oggi e di fronte a questo, mi sembra la più banale delle arti, una specie di rifugio, quasi di dissimulazione, la sostituzione dell’insostituibile. Il Che è morto e a me non resta altro che il silenzio."

Tuttavia, in un passaggio di un articolo intitolato Mensaje al hermano (sempre dedicato al Che), Cortázar si esprime in questo modo:

"Ahora serán las palabras, las más inútiles o las más elocuentes, las que brotan de las lágrimas o de la cólera; ahora leeremos bellas imágines sobre el fénix que renace de las cenizas, en poemas y discursos se irá fijando para siempre la imagen del Che…Pido lo imposible, lo más inmerecido, lo que me atreví a hacer una vez, cuando él vivía: pido que sea su voz la que se asome aquí, que sea su mano la que escriba estas líneas…Sólo así tendrá sentido seguir viviendo."

"Allora saranno le parole, le più inutili o le più eloquenti, quelle che scaturiscono dalle lacrime o dalla collera; allora leggeremo belle immagini sopra alla fenice che rinasce dalle ceneri, nei poemi e nei discorsi si andrà fissando per sempre l’immagine del Che…Chiedo l’impossibile, la cosa più immeritata, quella che mi spinse a produrre una voce, quando lui viveva: chiedo che sia la sua voce quella che si manifesti qui, che sia la sua mano quella che scriva queste righe... Solo così avrà un senso continuare a vivere."

A proposito del racconto Reunión, in un’altra lettera a Fernández Retamar datata 24 dicembre 1965, Cortázar afferma:

en cuanto al Che, comprendo de sobra que su destino se sigue cumpliendo como debe ser, como él quiere que sea.

"In quanto al Che, comprendo del resto che il suo destino si segue portandolo a termine come deve essere, come lui vuole che sia."

La rivoluzione cubana gli mostrò in maniera sia crudele che dolorosa, il gran vuoto politico che c’era in lui, e da quel giorno decise di documentarsi, leggere e capire. Così i temi in cui erano presenti implicazioni politiche o ideologiche andarono via via introducendosi nella sua letteratura.
Reunión è un racconto che non avrebbe mai potuto scrivere nei primi anni della sua produzione letteraria, ma in cambio


en ese momento, el tema de ese relato me resulta absolutamente apasionante, porque yo traté de meter ahí, en esas 20 páginas, toda la esencia, todo el motor, todo el impulso revolucionario que llevó a los barbudos al triunfo.”

"In questo momento, il tema di questo racconto mi risulta completamente appassionante, perché sono riuscito a mettere qui, in queste 20 pagine, tutta l’essenza, tutto il motore, tutto l’impulso rivoluzionario che portò i barbudos al trionfo."

Lui stesso definisce Reunión come il primo racconto che segna il contatto della sua poetica con il campo ideologico e, pertanto, una sua forte partecipazione. Infatti, afferma sempre nella stessa lettera Cortázar,

la toma de conciencia que me da la revolución cubana no se limitó solamente a las ideas. La revolución debe triunfar y se debe hacer la revolución porque sus protagonistas son las hombres, lo que cuenta son las hombres.

"La presa di coscienza che mi ha dato la rivoluzione cubana non si è limitata solo alle idee. La rivoluzione deve trionfare e si deve aiutare la rivoluzione perché i suoi protagonisti sono gli uomini, quello che conta sono gli uomini."

Per ultimo va citato un post-scriptum di un’altra lettera inviata da Cortázar sempre a Fernández Retamar il 3 luglio 1965, perché ribadisce in maniera esaustiva e lineare la concezione che egli aveva riguardo al significato della poesia e al ruolo, e ai compiti, dell’intellettuale.

"Me divirtió mucho la historia de tu conversación con el Che en el avión. (Me divierten mucho menos los persistentes rumores que circulan en Europa a propósito del Che; espero que sean eso, rumores). Es natural que al Che mi cuento le resulte poco interesante (no lo dices tú, pero yo había recibido otras noticias que me lo hacen suponer). Una sola cosa cuenta, y es que en ese relato no hay nada “personal”. ¿Qué puedo saber yo del Che, y de lo que sentía o pensaba mientras se abría paso hacia la Sierra Maestra? La verdad es que en ese cuento él es un poco (mutatis mutandis, naturalmente) lo que fue Charlie Parker en “El perseguidor”. Catalizadores, símbolos de grandes fuerzas, de meravillosos momentos del hombre. El poeta, el cuentista, los elige sin pedirles permiso; ellos son ya de todos, porque por un momento han superado la mera condición del individuo."

"Mi ha divertito molto la storia della tua conversazione con il Che in aereo. (Mi divertono molto meno le persistenti chiacchiere che circolano in Europa a proposito del Che; spero che non siano altro che questo: chiacchiere). E’ naturale che al Che il mio racconto sia parso poco interessante (tu non me lo dici, ma io ho avuto altre notizie che me lo lasciano supporre). Una sola cosa conta, e cioè che in questo racconto non c’è niente di “personale”. Che ne posso sapere io del Che e di quello che sentiva o pensava mentre si faceva strada sulla Sierra Maestra? La verità è che in questo racconto lui rappresenta un poco (mutatis mutandis, naturalmente) quello che rappresenta Charlie Parker in “Il persecutore”. Catalizzatori, simboli di grandi forze, di meravigliosi momenti dell’uomo. Il poeta, il narratore li sceglie senza chiedere loro permesso; loro ormai sono di tutti, perché per un momento hanno superato le mera condizione di individuo."

Infine mi sembra opportuno concludere il paragrafo, e simbolicamente anche questo capitolo dedicato al mito del Che nella letteratura, con due poesie di Julio Cortázar, scritte in onore di Ernesto Guevara, sicuramente tra le più profonde e significative. Si tratta di Sílaba viva e Yo tuve un hermano.

"Qué vachaché, está ahí aunque no lo quieran,
está en la noche, está en la leche,
en cada coche y cada bache y cada boche
está, le largarán los perros y lo mismo estará
aunque lo acechen, lo buscarán a troche y moche
y el estará con el que luche y el que espiche
y en todo el que se agrande y se repeche
él estará, me cachendió
."

"Cosa c’è che c’è, e lì anche non ce lo vogliono
è nel lucernario, è nella cena
nell’automotrice, nell’acceleratore, nei crocevia
gli lanceranno i cani ma lui c’è lo stesso
anche se non gli danno pace, se lo cercano a casaccio
lui è con l’audace e con chi ci rimette la pelle, c’è
è con chi risale la china invece di cedere
lui è lì, c’è, poss’accecarmi se non c’è."


"Yo tuve un hermano.
No nos vimos nunca
pero no importaba.
Yo tuve un hermano
que iba por los montes
mientras yo dormía.
Lo quise a mi modo,
le tomé su voz
libre como agua,
caminé de a ratos
cerca de su sombra.
No nos vimos nunca
pero no importaba;
mi hermano despierto
mientras yo dormía.
Mi hermano mostrándome
detrás de la noche
su estrella elegida."

"Ho avuto un fratello
Non ci siamo mai visti
ma non importava
Ho avuto un fratello
che andava per i boschi
mentre io dormivo
Gli ho voluto bene a modo mio
gli ho preso la voce
libera come l’acqua
a volte ho camminato
accanto alla sua ombra
Non ci siamo mai visti
ma non importava
mio fratello vegliava
mentre io dormivo
Mio fratello mostrandomi
al di là della notte
la stella che aveva scelto
."
___________

Marco Galice





Puntate precedenti :
Ernesto "Che" Guevara (1 pt.)
Ernesto "Che" Guevara (2 pt.)
Ernesto "Che" Guevara (3 pt.)

Ja nie przeczułam tyś nie odgadł...

Oto my, nadzy kochankowie
piękni dla siebie - a to dosyć-
odziani tylko w listki powiek
leżymy wśród głębokiej nocy.

Ale już wiedzą o nas, wiedzą
te cztery kąty, ten piec piąty
domyślne cienie w krzesłach siedzą
i stół w milczeniu trwa znaczącym.

I wiedzą szklanki, czemu na dnie
herbata stygnie nie dopita
Swift już nadziei nie ma żadnej
nikt go tej nocy nie przeczyta.

A ptaki? Złudzeń nie miej wcale:
wczoraj widziałam, jak na niebie
pisały jawnie i zuchwale
to imię, którym wołam ciebie.

A drzewa? Powiedz mi co znaczy
ich szeptanina niestrudzona?
Mówisz: Wiatr chyba wiedzieć raczy
A skąd się wiatr dowiedział o nas?

Wleciał przez okno nocny motyl,
i kosmatymi skrzydełkami
toczy przyloty i odloty
szumi uparcie ponad nami.

Może on widzi więcej od nas
bystrością owadziego wzroku?
Ja nie przeczułam, tyś nie odgadł
że nasze serca świecą w mroku.


Wisława Szymborska



Eccoci qui distesi, amanti nudi
belli per noi - ed è quanto basta-
solo con foglie di palpebre vestiti
siamo immersi nella vasta notte.

Ma già sanno di noi, già sanno
queste quattro mura, la stufa spenta,
ombre sagaci sulle sedie stanno
e il tacere del tavolo è eloquente.

E sanno i bicchieri perché sul fondo
il tè bevuto non si raffredda.
Swift ormai non può certo fare conto
che questa notte ci sia chi lo legga.

E gli uccelli? Non illuderti per niente:
ieri li ho visti scrivere volando
con ardire e apertamente
quel nome con cui ti sto chiamando.

E gli alberi? Qual è il significato
del loro incessante bisbigliare?
Dici: solo il vento forse è informato.
Ma di noi come ha potuto sapere?

Dalla finestra è entrata una falena
e con le sue piccole ali pelose
atterra e decolla di gran lena,
fruscia sul nostro capo senza posa.

Forse quell'insetto più di noi dotato
d'una vista acuta vede meglio?
Io non ho intuito, nè tu indovinato
che i nostri cuori splendono nel buio.

Wisława Szymborska


...



Acompáñame...



Acompáñame a estar solo,
A purgarme los fantasmas,
A meternos en la cama sin tocarnos.

Acompáñame al misterio
de no hacernos compañía,
a dormir sin pretender que pase nada,
acompáñame a estar solo...

Acompáñame al silencio
de charlar sin las palabras,
a saber que estás ahí y yo a tu lado.

Acompáñame a lo absurdo
de abrazarnos sin contacto,
tú en tu sitio yo en el mío
como un ángel de la guarda,
acompáñame a estar solo...

Acompáñame a decir sin las palabras
lo bendito que es tenerte
y serte infiel solo con esta soledad.

Acompáñame a quererte sin decirlo,
a tocarte sin rozar ni el reflejo
de tu piel a contraluz,
a pensar en mi para vivir por ti,
acompáñame a estar solo...

Acompáñame a estar solo
para calibrar mis miedos,
para envenenar de a poco mis recuerdos,
para quererme un poquito
y así quererte como quiero,
para desintoxicarme del pasado,
acompáñame a estar solo...

Y si se apagan las luces,
y si se enciende el infierno,
y si me siento perdido
se que tu estarás conmigo.
Con un beso de rescate
acompáñame a estar solo...
__________

Accompagnami a star solo,
a purgarmi dei fantasmi,
a metterci a letto senza toccarci.

Accompagnami al mistero
di non farci compagnia,
a dormire senza pretendere che succeda niente,
accompagnami a star solo...

accompagnami al silenzio
di chiacchierare senza le parole,
a sapere che stai lì ed io al tuo fianco.

Accompagnami all'assurdo
di abbracciarci senza contatto,
tu al tuo posto io nel mio
come un angelo custode,
accompagnami a star solo...

Accompagnami a dire senza le parole
la cosa benedetta che è averti
ed esserti infedele solo con questa solitudine.

Accompagnami a volerti senza dirlo,
a toccarti senza sfiorare neppure il riflesso
della tua pelle in controluce,
a pensare a me che vivo solo per te,
accompagnami a star solo...

Accompagnami a star solo
per controllare le mie paure,
per rendere un po' meno aspri i miei ricordi,
per volermi bene un pochino
e così volerti come voglio,
per disintossicarmi del passato,
accompagnami a star solo...

E se si spengono le luci,
e se si infiamma l'animo,
e se mi sento perso,
so che tu starai con me.
Con un bacio di soccorso
accompagnami a star solo...

Tus ojos y mis ojos...

Nuestro amor no está en nuestros respectivos
y castos genitales, nuestro amor
tampoco en nuestra boca ni en las manos:
todo nuestro amor guárdase con pálpito
bajo la sangre pura de los ojos.
Mi amor, tu amor esperan que la muerte
se robe los huesos, el diente y la uña,
esperan que en el valle solamente
tus ojos y mis ojos queden juntos,
mirándose ya fuera de sus órbitas,
más bien como dos astros, como uno.

Carlos Germàn Belli

















Il nostro amore non sta nei nostri rispettivi
e casti genitali, il nostro amore
neanche nella bocca o nelle mani:
tutto il nostro amore resiste palpitando
sotto il sangue puro degli occhi.
Il mio amore, il tuo amore aspettano che la morte
porti via le ossa, il dente e l’unghia,
aspettano che nella valle solamente
i tuoi occhi e i miei occhi rimangano vicini
a guardarsi già fuori delle orbite
quasi come due astri, come uno.

Carlos Germàn Belli

Sunscreen



Señoras y Señores: usen protector solar.
Si pudiera ofrecerles sólo un consejo para el futuro, sería este: usen protector solar. Los científicos han comprobado los beneficios a largo plazo del protector solar, mientras que los consejos que les voy a dar no tienen ninguna base confiable y se basan únicamente en mi propia experiencia. He aquí mis consejos:
Disfruta de la fuerza y belleza de tu juventud. No me hagas caso. Nunca entenderás la fuerza y belleza de tu juventud hasta que se te haya marchitado. Pero, créeme, dentro de 20 años cuando en fotos te veas a ti mismo comprenderás, de una forma que no puedes comprender ahora, cuántas posibilidades tenías ante ti y lo guapo que eras en realidad. No estás tan gordo como te imaginas. No te preocupes por el futuro. O preocúpate, sabiendo que preocuparse es tan efectivo como tratar de resolver una ecuación de álgebra masticando chicle. Lo que sí es cierto, es que los problemas que realmente tienen importancia en la vida, son aquellos que nunca pasaron por tu mente... de ésos que te sorprenden a las cuatro de la tarde de un martes cualquiera.
Todos los días haz algo a lo que le temas. Canta. No juegues con los sentimientos de los demás. No toleres que la gente juegue con los tuyos. Relájate. No pierdas el tiempo sintiendo celos, a veces se gana y a veces se pierde. La competencia es larga y al final solo compites contra ti mismo. Recuerda los elogios que recibas. Olvida los insultos (pero si consigues hacerlo, dime cómo hacerlo). Guarda tus cartas de amor. Tira los viejos extractos bancarios. Estírate. No te sientas culpable si no sabes muy bien qué quieres de la vida. Las personas más interesantes que he conocido no sabían que hacer con su vida cuando tenían 22 años. Es más, algunas de las personas mas interesantes que conozco tampoco lo sabían a los 40. Toma mucho calcio. Cuida tus rodillas, sentirás la falta que te hacen cuando te fallen. Quizás te cases, quizás no. Quizás tengas hijos, quizás no. Quizás te divorcies a los 40. Quizás bailes el vals en tu 75º aniversario de bodas. Hagas lo que hagas, no te enorgullezcas ni te critiques demasiado. Siempre optarás por una cosa u otra, como todos los demás. Disfruta tu cuerpo. Aprovéchalo de todas las formas que puedas. No le tengas miedo ni te preocupes de lo que piensen los demás, porque es el mejor instrumento que tendrás jamás. Baila, aunque tengas que hacerlo en la sala de tu casa. Lee las instrucciones aunque no las sigas. No leas revistas de belleza, para lo único que sirven es para hacerte sentir feo. Aprende a entender a tus padres. Será tarde cuando ellos ya no estén. Llévate bien con tus hermanos, son el mejor vínculo con tu pasado y probablemente serán ellos los que te acompañarán en el futuro. Entiende que los amigos vienen y se van, pero hay un puñado de ellos que debes conservar con mucho cariño. Esfuérzate en no desvincularte de algunos lugares y costumbres, porque cuanto más pase el tiempo, más necesitarás a las personas que conociste cuando eras joven. Vive en una ciudad alguna vez, pero múdate antes de que te endurezcas. Vive en el campo alguna vez, pero múdate antes de que te ablandes. Viaja. Acepta algunas verdades ineludibles: los precios siempre subirán, los políticos siempre mentirán, y tú también te envejecerás. Y cuando seas viejo añorarás los tiempos cuando eras joven. Los precios eran razonables, los políticos eran honestos y los niños respetaban a los mayores. Respeta a los mayores. No esperes que nadie te mantenga, pues tal vez recibas una herencia, tal vez te cases con alguien rico, pero nunca sabrás cuánto durará. No te hagas demasiadas cosas en el pelo, porque cuando tengas 40 años parecerá el de alguien de 85. Sé cauto con los consejos que recibes y ten paciencia con quienes te los dan. Los consejos son una forma de nostalgia. Dar consejos es una forma de sacar el pasado de la caneca de la basura, limpiarlo, ocultar las partes feas y reciclarlo, dándole más valor del que tiene.
Pero hazme caso en lo del protector solar.

A change is gonna come



I was born by the river in a little tent,
oh just like that river I've been running ever since
It's been a long time coming,
but I know a change is gonna come, oh yes it will...

It's been too hard living, but I'm afraid to die
cos I don't know what's out there beyond the sky,
it's been a long, a long time coming,
but I know a change is gonna come, oh yes it will...

I go to the movie and I go downtown,
somebody keep telling me don't hang around,
it's been a long, a long time coming,
but I know a change is gonna come, oh yes it will...

Then I go to see my brother
and I say "Brother, help me please",
and he just winds up knockin' me
back down on my knees.

Oh, There been times when I thought I couldn't last for long,
but now I think I'm able to carry on,
it's been a long, been a long time coming,
but I know a change is gonna come, oh yes it will...
_______________

Sono nato sul fiume in una piccola tenda,
oh, proprio quel fiume che da allora sto percorrendo
ed è passato tanto di quel tempo,
ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà...

La vita è stata durissima, ma ho paura di morire
perché non so che c’è lassù oltre il cielo,
ed è passato tanto, tanto di quel tempo,
ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà...

Vado al cinema e qualche volta in centro,
qualcuno mi dice di non stare a gironzolare,
ed è passato tanto, tanto di quel tempo,
ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà...

Poi vado da mio fratello
e gli dico: "Fratello aiutami, ti prego",
ma lui finisce soltanto
per mettermi ancor più in ginocchio.

Oh, in alcuni momenti ho pensato che non ce l’avrei fatta a lungo,
ma ora penso di poter resistere,
ed è passato tanto, ma tanto di quel tempo,
ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà...

Un hombre

El vendedor de diarios
que grita en mi ventana
tiene cinco hijos
que alegran sus mañanas,
que lo sacan, de un salto,
de su camastro pobre
y lo llevan, corriendo,
por las cuadras y cuadras.

El vendedor de diarios
que grita en mi ventana,
tiene una compañera
tan pura como el agua,
esa que cae, a veces,
a torrentes del cielo
para regar la espiga
que la patria desgrana.

También tiene una pena,
y es justo que la tenga,
es un hombre común
poco sabe de letras,
bajo su brazo el mundo
se pasea, en silencio,
pero él no lo conoce
porque no tiene tiempo.

Hay que ganarse el pan,
me dijo una mañana
cuando le hablé de Chile,
de Chile, de la patria,
yo en pijama de seda,
él todo de mezclilla,
con un parche grandote
por ahí en la rodilla.

Perdone caballero, me dijo,
el mundo es una mierda
y una lágrima,
amarga de miseria,
le cayó de la cara,
brillante como joya,
empapando en un diario
el gordo de la polla.

Después se fue corriendo,
quizá porque no quiso
llorar ante un muchacho
que puede ser su hijo,
y me dejó pensando
en el río de sangre
que tiene que llorar el mundo
para matar el hambre.

El vendedor de diarios,
que grita en mi ventana,
es un hombre, un hombre..
¿Los demás? Casi nada.


Tito Fernandez "El Temucano"


























Il venditore di giornali
che sento urlare alla mia finestra
ha cinque figli
che rallegrano le sue mattine,
che lo tirano fuori, con un salto,
dalla sua povera branda
e lo portano a correre
per vicoli e mulattiere.

Il venditore di giornali
che sento urlare alla mia finestra
ha una compagna
tanto pura come l'acqua,
quella che cade, a volte,
a torrenti dal cielo
per irrigare la spiga
che la patria sgrana.

Ha anche una pena
ed è giusto che l'abbia,
è un uomo comune
e poco sa di lettere,
sotto il suo braccio il mondo
passeggia in silenzio
ma egli non lo conosce
perché non ha tempo.

Bisogna guadagnarsi il pane,
mi disse una mattina
quando gli parlai del Cile,
del Cile, della patria,
io in pigiama di seta,
egli tutto di tessuto di fibra mista,
e con una toppa grandicella
all'altezza del ginocchio.

Perdoni cavaliere, mi disse,
il mondo è una merda
ed una lacrima,
amara di miseria,
gli cadde dal viso,
brillante come gioiello,
inzuppando un giornale
il grasso della fronte.

Poi se n'è andato correndo,
chissà perché non volle
piangere davanti ad un ragazzo
che può essere suo figlio,
e mi lasciò a pensare
al fiume di sangue
che deve piangere il mondo
per ammazzare la fame.

Il venditore di giornali
che grida alla mia finestra,
è un uomo, un uomo...
Gli altri? Quasi niente.

Tito Fernandez "El Temucano"

5.56 NATO: el calibre de la mentira




El tiempo resbala de las manos
sin tiempo de los hombres.
Llena su historia, la contradice,
la equivoca o la liberta.

José Revueltas




Para: Juan Gelman, Latinoamérica
De: SupMarcos, México

Don Gelman:
Tiene días que esta carta me anda cosquilleando en las manos. Uno y otro vientos la arrebataron, pero no la llevaron muy lejos. Hoy parece que al fin se deja hacer, y así, como su empecinada lucha, con rabia y digno empecinamiento, empiezan a salir las letras, las palabras, los sentimientos. Tal vez me recuerde: usted me entrevistó en aquellos tiempos del Encuentro Intercontinental y me hizo hablar de poesía y otras anacronías. Yo lo conocí a usted a través de sus poemas, en uno de esos libros que solíamos cargar en los primeros solidarios años de la guerrilla que después el mundo conocería como Ejército Zapatista de Liberación Nacional.
Sé bien que el título sonará extraño para muchos, pero no para usted, avezado como fue y es en su largo ir de arriba a abajo levantando esos recuerdos y memorias que algunos llaman noticias. Como quiera, parece excéntrico titular una carta con la medida de una bala: "5.56 mm. NATO". Así que permítame extenderme un poco sobre el tema, después de todo no soy sino un soldado, un soldado muy otro, pero soldado al fin y al cabo.
"5.56 mm NATO" es la notación militar para referirse a la bala que usan, entre otros, el fusil M-16 (y sus variantes A-1 y A-2), el AR-15 ambos de fabricación estadunidense, del Galil israelí, la Steyr Aug austriaca y otras armas. La notación comercial es "calibre .223". Sí, es la misma bala, pero una es de uso militar, muy frecuente en los ejércitos de América Latina, y la otra es para cacería.
La historia de esta bala es la historia de una mentira. Cuando las grandes potencias militares incurrieron en el despropósito de humanizar la guerra (primero en las convenciones de La Haya, después en la de Ginebra), se a cordó la prohibición de las balas expansivas o dum-dum. El razonamiento fue impecable: el objetivo en una guerra es causarle bajas al enemigo, y por bajas se entienden muertos, heridos, desaparecidos y prisioneros.
Ergo, para humanizar la guerra lo que hay que hacer es reducir el número de muertos aumentando el número de heridos. Por eso se pronunciaron por el uso de "balas duras", que simplemente perforan la carne humana pero, si no tocan ningún órgano vital, no provocan la muerte, y si la provocan no causan "excesivo dolor". De ahí que se prohibieran las balas expansivas que, al perforar el cuerpo se florean o se fragmentan, es decir, "se expanden", y el daño que causan es mayor que el de las balas simples, pues no sólo afectan por donde penetran, sino una área mayor.
La Organización del Tratado del Atlántico Norte (NATO, por sus siglas en inglés), encabezada por Estados Unidos, adoptó la bala de calibre 7.62 mm., que fue conocida desde entonces como "7.62 NATO". El Pacto de Varsovia, encabezado por la entonces URSS, adoptó el mismo calibre, 7.62 mm., pero con el cartucho más corto que el del 7.62 NATO (51 mm. el NATO y 39 mm. el soviético). El arma básica de infantería que usó el Pacto de Varsovia fue el fusil automático Kalashnikov (AK) cuyo último modelo, el AK-47, prolifera en el mercado negro. Por su lado, la OTAN (y los países periféricos) adoptó diversas armas para el calibre 7.62 mm. x 55 mm. o 7.62 NATO. Entre ellas estuvo el Fusil Automático Ligero (FAL), de fabricación belga, y más reciente el G-3, de patente alemana. El Ejército Mexicano cambió el FAL por el G-3 y llegó a fabricarlo después de adquirir los derechos.
Pero en el auge de la Tercera Guerra Mundial (como la llamamos los zapatistas) o guerra fría (como se conoce en la historia actual), los estadunidenses buscaron la forma de hacer más letales sus armas, al mismo tiempo que burlaban los tratados que ellos mismos firmaron. Fue así como nació, entre los años 1957-1959 y a solicitud del Comando de la Armada Continental (USA), la bala de calibre 5.56 mm. (regularizada en 1964). Más delgada que la 7.62 y mucho más rápida, la 5.56 mm. no sólo representaba ventajas en su acarreo (un infante podía llevar hasta el doble de parque de 5.56 mm. que de 7.62, pero con el mismo peso y en menor espacio), también significaba grandes ganancias para las empresas bélicas estadunidenses (tan inocentes como la General Motors, la General Electric, la Ford, etcétera), porque su aprobación significaba cambiar totalmente el armamento de la infantería de Estados Unidos (formado en ese entonces por las carabinas M-1 y M-2, el viejo Garand y la Thompson), es decir, más ventas.
Una nueva bala significaba una nueva arma, y toda la industria militar se concentró en demostrar las bondades del nuevo calibre. Para convencer al Pentágono presentaron la mejor característica de la bala calibre 5.56 mm.: era de punta blanda. ¿Qué quiere decir esto? Bueno, pues que una bala del tipo de la de 5.56 mm., con punta blanda, se dobla al hacer contacto con la carne y empieza a girar erráticamente dentro del cuerpo. ¿Resultado? Más terrible que la expansiva, si el orificio de entrada de la bala era, en efecto, de 5.56 mm, el de salida (si lo había) era hasta 10 veces mayor. Si la bala no salía, destruía huesos, músculos, órganos. En conclusión: sin usar balas expansivas, el ejército estadunidense empezó a utilizar una bala más letal, con más capacidad de matar y que dejaba con menos oportunidad de vida al blanco humano que la recibía (además de que aumentaba considerablemente el sufrimiento del herido).
Estoy hablando del auge de la guerra fría. En ese entonces, Estados Unidos imaginaba el futuro escenario de guerra mundial en tierras europeas y con los ejércitos del Pacto de Varsovia como enemigos. El futuro "teatro de operaciones" estaba perfectamente ubicado en la larga línea que separaba Europa Occidental de la Europa Oriental: grandes ciudades, amplias y rápidas vías de comunicación, muchos espacios abiertos, etcétera. Según eso, la lógica del Pacto de Varsovia era simple: lanzar oleada tras oleada de infantes y blindados hasta vencer la resistencia enemiga. Por eso los ejércitos de los dos pactos (de Varsovia y la OTAN) cambiaron sus armas básicas de infantería por fusiles de asalto (gran volumen de fuego a rangos cortos, menores de 500 metros). La Guerra de Corea había demostrado las limitaciones del M-14 (versión semiautomática del Garand M-1). Fue así como nacieron los prototipos de lo que después sería llamado M-16, fabricado por la Colt en Connecticut, Estados Unidos.
Pero tanto la nueva bala como el fusil de asalto necesitaban ser probados "en condiciones reales". Así que el gobierno estadunidense decidió que su traspatio incluía el sudeste Asiático e intervino militarmente en Vietnam. Con los nuevos M-16 y su flamante calibre 5.56 mm., las tropas de EU invadieron Vietnam, y en los combates probaron que el M-16 y el calibre 5.56 mm. no eran tan buenos como decían. La bala es extremadamente veloz y ligera, así que cualquier roce con una hojita o rama cambiaba radicalmente su trayectoria (y, como era de esperarse, en la jungla asiática abundaban las hojitas y las ramas); además, el fusil era muy afectado por la humedad, un deficiente mecanismo del cerrojo provocaba que se atascara, con la consiguiente falla en el disparo.
No fue nada agradable para los soldados estadunidenses ver venir una oleada de vietcongs (como llamaban a los guerrilleros vietnamitas), apuntarles con su M-16, disparar y oír sólo "clic". Al Pentágono no le importaba mayormente que algunos de sus muchachos perdieran la vida y los combates en las selvas vietnamitas. Después de todo, ni arma ni calibre tenían como escenario esa guerra, sino la futura en territorio europeo y contra el Pacto de Varsovia. Conforme avanzó la guerra en Vietnam, se fue modificando el fusil: se reforzó la recámara para resistir la corrosión de la pólvora, se le instaló una palanca extra al cerrojo para asegurar su cierre y se ajustó el resorte recuperador para reducir la cadencia de tiro. Así nacieron el M.16 A-1 y el M-16 A-2. Con el calibre 5.56 mm. y el fusil M-16 como arma básica de su infantería, el ejército de Estados Unidos estaba ya listo para la nueva guerra mundial.
Paralelamente al M-16, se desarrolló el AR-15 (versión semiautomática de aquél), que luego habría de ser exportado a los países de América Latina, más concretamente a sus policías y sus escuadrones contrainsurgentes.
En México, el AR-15 es el arma predilecta de las policías de Seguridad Pública estatal. Especialistas en asesinar campesinos e indígenas, la policía de Seguridad Pública de Chiapas probaba alegremente, en los cuerpos morenos de sus víctimas, los efectos del calibre 5.56 mm. Cuando bajamos de las montañas, el primero de enero de 1994, nos encontramos con muchos AR-15 que los valientes policías dejaban abandonados en su apara tosa huida; pero eso es otra historia.
Cuando el señor Zedillo toma el poder en México, previo asesinato de su predecesor (Luis Donaldo Colosio), y fracasa su ofensiva militar de febrero de 1995, él y el Ejército federal deciden activar grupos paramilitares para combatir al EZLN "sin el desgaste en la opinión pública por la actuación directa de tropas federales" (Memorando interno de la Presidencia a la Sedena, documento clasificado, marzo-abril, 1995). Los detalles fueron resueltos por el experto en contrainsurgencia general Mario Renán Castillo, bajo la supervisión de su superior, general Enrique Cervantes Aguirre, por el entonces gobernador de Chiapas (y hoy agregado de la embajada de México en Washington), Ruiz Ferro, y el Partido Revolucionario Institucional (PRI). El acuerdo estuvo así: el Ejército pondría la instrucción y la dirección estratégica y táctica, el PRI pondría la tropa y el gobierno estatal pondría el armamento y el equipo. Así que, pronto, los flamantes grupos paramilitares en Chiapas se vieron provistos de fusiles de asalto AR-15 y AK-47 (conseguidos en el mercado negro que patrocinan los militares).
Acteal es la palabra que define cabalmente la estrategia gubernamental en Chiapas. Las balas que destrozaron a los 45 hombres, mujeres y niños en esa comunidad, el 22 de diciembre de 1997, eran, en su mayoría, calibre 5.56 mm., algunas 7.62 mm. y una que otra .22 largo rifle. Los tres niños que, hace unos meses, fueron a Estados Unidos a ser atendidos por cirujanos especialistas, presentan los efectos del calibre de la mentira: el 5.56 mm.
El día de hoy, 5 de enero de 2000, 30 indígenas zapatistas del municipio de Chenalhó, Chiapas, fueron emboscados por policías de Seguridad Pública y priístas. Fueron atacados mientras salían a cortar su café. Después de horas de tortura, el gobierno liberó a 27 y dejó prisioneros a tres, acusados, dice, de provocar la matanza de Acteal. El ridículo gubernamental no detiene ante el hecho de que es de todos sabido que Zedillo es quien provocó la matanza del 27 de diciembre de 1997, tampoco ante el despropósito de querer responsabilizar a los zapatistas, que no son sino las víctimas de los paramilitares. No, va más allá porque la detención se da en el contexto de una supuesta iniciativa de paz del gobierno federal que ofrece, entre otras cosas, liberar a zapatistas presos. Y no sólo no los libera, sino que aumenta su número con los pretextos más ridículos. Una mentira hace que hoy se sumen tres indígenas más a los cientos de zapatistas presos por el simple e imperdonable hecho de ser eso: zapatistas.
Yo sé que, a estas alturas de la carta, se pregunta por qué lo tiene a usted como destinatario. Bueno, resulta que hace meses leí en la revista Proceso que usted derribó a un general argentino, cosa poco frecuente, y que lo hizo con palabras (algo inaudito). La causa del empeño de usted fue entonces tapada por el escándalo del affaire Clinton-Lewinski (no sé si así va, el porno escrito no es mi especialidad). Pero ahora, más reciente, es mundialmente conocida su campaña para encontrar a su nieto (a). Ahora se sabe en todo el mundo que su hijo y su nuera fueron asesinados por la dictadura militar argentina (tal vez con una bala calibre 5.56 mm.), y que el hijo (a) de ambos fue vendido en el mercado negro de infantes que, además de la tortura, parece ser la especialidad de los ejércitos latinoamericanos. Y eso de la compraventa de hijos de desaparecidos políticos viene teniendo el mismo efecto del 5.56 mm.: no sólo penetra hiriendo, sino que gira dentro y causa más y más daño. Como si el desaparecido heredara a sus hijos la misma condición. Es decir, un crimen que padece la víctima... y quienes le siguen en descendencia.
Vi su carta al gobierno de Uruguay y leí su respuesta a la respuesta de ese gobierno (en La Jornada). Las leí y entendí por qué había caído ese general argentino. Estoy seguro de que nunca imaginó que un día se iba a enfrentar a un poeta y, lo que es peor, a un poeta necio. Porque usted es eso, un poeta (aunque a veces se disfrace de periodista), y es necio porque ahora, en estos tiempos, así se les llama a los que no se rinden ni se conforman.
En fin, yo lo que quería decirle es que nosotros, los zapatistas, lo apoyamos a usted, que deseamos que lo o la encuentre, que su nieto o nieta (que ya deben ser un hombre o una mujer hecho o hecha) merece saber que tuvo los padres que tuvo y su historia. Y, sobre todo, merece saber que tiene un abuelo que siempre la o lo buscó, que nunca se rindió, que tumbó a un general con unas palabras y que conmovió al mundo con su causa, y que el mate ya no es tan amargo si se toma con alguien que queremos, y otras cosas que, es seguro, usted querrá que ella o él sepan.
Y todo esto del calibre 5.56 mm., y Acteal, y los paramilitares, y su lucha de usted vienen a cuento porque, ahora que está la polémica de si el segundo milenio ya terminó en 1999 o terminará hasta que finalice el 2000, algo hay que decir.
Y nosotros los zapatistas decimos que no, que ni el milenio ni el siglo han terminado. No terminarán hasta que haya justicia y vida y libertad. No terminarán hasta que la justicia se cumpla, se castigue a los verdaderos culpables y sea así imposible otro Acteal. No terminarán hasta que usted encuentre a su nieto o nieta. No, ni el siglo ni el milenio pueden darse por terminados con esos pendientes. Es una vergüenza para la humanidad decir que ya entró en un nuevo milenio mientras sigue pendiente Acteal en la memoria, y un poeta-abuelo busca a su nieto desaparecido. No terminará nada mientras los calibres de las mentiras de este siglo y este milenio sigan dando vueltas dentro nuestro, destrozándonos, matándonos.
Así que, don Gelman, esta carta era sólo para decirle que, de veras, esperamos poder algún día decirle: ¡Feliz siglo nuevo! ¡Feliz nuevo milenio!
Vale. Salud y que el tiempo al fin liberte nuestra historia.

Desde las montañas del sureste mexicano
Subcomandante Insurgente Marcos

PD ARMAMENTISTA. Por cierto, el arma que cargo es una carabina AR-15, calibre 5.56 mm. Se la pedí prestada a un policía el primero de enero de 1994. Claro que corría tan rápido que no alcancé a escuchar su respuesta. Aquí la tengo, ayer servía para matar indígenas, hoy sirve para que no los maten, o ya no impunemente.






5.56 NATO: il calibro della menzogna





Il tempo scivola dalle mani
senza tempo degli uomini.
Riempie la loro storia, la contraddice,
la confonde o la libera.
José Revueltas





Per Juan Gelman, America Latina
Dal SupMarcos, Messico

Don Gelman:
E’ da giorni che questa lettera mi prude fra le mani. Un vento e l’altro l’hanno rapita, però non se la sono portata via molto lontano. Oggi pare che alla fine si lasci scrivere, e così, come la sua lotta caparbia, con rabbia e degna ostinazione, iniziano a venir fuori le lettere, le parole, i sentimenti. Forse mi ricorda: lei mi ha incontrato a quei tempi dell’Incontro Intercontinentale e mi ha fatto parlare di poesia e di altri anacronismi. Io l’ho conosciuta attraverso le sue poesie, in uno di quei libri che siamo soliti addebitare ai primi solidali anni di quella guerriglia che dopo il mondo avrebbe conosciuto come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
So bene che il titolo suonerà strano a molti, però non a lei, avvezzo com'è stato ed è nel suo lungo andare in su e in giù risvegliando quei ricordi e quelle memorie che alcuni chiamano notizie. E’ vero, pare eccentrico intitolare una lettera con il calibro di un proiettile: "5.56 mm NATO". Ed allora mi permetta di dilungarmi un poco sul tema, dopo tutto sono un soldato, un soldato molto strano, però soldato in fondo.
"5.56 mm NATO" è l’identificazione militare che si riferisce al proiettile che usano, tra gli altri, il fucile M-16 (e le sue varianti A-1 e A-2), l’AR-15 entrambi di fabbricazione statunitense, il Galil israeliano, la Steyr Aug austriaca e altre armi. L’identificazione commerciale è "calibro .223". Sì, è lo stesso proiettile, però uno è di uso militare, molto frequente per gli eserciti dell’America Latina, e l’altro è per la caccia.
La storia di questo proiettile è la storia di una bugia. Quando le grandi potenze militari sono incorse nello sproposito di umanizzare la guerra (prima nelle convenzioni de L’Aia, dopo in quella di Ginevra), si concordò la proibizione dei proiettili espansivi o dum-dum. Il discorso fu impeccabile: l’obiettivo in una guerra è causare perdite al nemico, e per perdite si intendono morti, feriti, dispersi e prigionieri.
Ergo, per umanizzare la guerra quello che c'è da fare è ridurre il numero dei morti aumentando il numero dei feriti. Perciò si pronunciarono per l’uso di "proiettili duri", che perforano solamente la carne umana però, se non ledono nessun organo vitale, non provocano la morte e se la provocano non sono causa di "eccessivo dolore". Da lì si proibirono i proiettili espansivi che, al perforare il corpo, fioriscono o si frammentano, vale a dire "si espandono", e il danno di cui sono causa è maggiore di quello dei semplici proiettili, dato che non ledono solo dove penetrano, ma un'area maggiore.
L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO, nella sua sigla in inglese), diretta dagli Stati Uniti, adottò il proiettile calibro 7.62 mm, che si conobbe da allora come "7.62 NATO". Il Patto di Varsavia, capeggiato dall’allora URSS, adottò lo stesso calibro, 7.62 mm, però con una cartuccia più corta di quella del 7.62 NATO (51 mm quello della NATO e 39 mm quello sovietico). L’arma di base di fanteria che usò il Patto di Varsavia fu il fucile automatico Kalashnikov (AK) il cui ultimo modello, l’AK-47, prolifera sul mercato nero. Da parte sua, la NATO (e i paesi periferici) adottò diverse armi col calibro 7.62 mm. x 55 mm. o 7.62 NATO. Tra queste c’è stato il Fucile Automatico Leggero (FAL), di fabbricazione belga, e più di recente il G-3, di patente tedesca. L’Esercito Messicano cambiò il FAL con il G-3 ed è arrivato a fabbricarlo dopo averne acquistato i diritti.
Però nell’auge della Terza Guerra Mondiale (come la chiamiamo noi zapatisti) o della guerra fredda (come si conosce nella storia attuale), gli statunitensi cercarono il modo per rendere più letali le loro armi, burlandosi dei trattati che avevano firmato. Fu così che nacque, tra gli anni 1957-1959 sollecitato dal Comando dell’Armata Continentale (USA), il proiettile calibro 5.56 mm (regolarizzato nel 1964). Più sottile del 7.62 e molto più rapido, il 5.56 mm non presentava solo vantaggi per il suo trasporto (un fante poteva portare il doppio di proiettili 5.56 mm rispetto ai 7.62, con lo stesso peso e in minore spazio), ma significava pure grandi guadagni per le imprese belliche statunitensi (tanto innocenti come la General Motors, la General Elettric, la Ford, eccetera), perché la sua approvazione significava cambiare totalmente l’armamento della fanteria degli Stati Uniti (formato fino allora dalle carabine M-1 e M-2, dal vecchio Garand e dalla Thompson), vale a dire, più vendite.
Un nuovo proiettile significava una nuova arma e tutta l’industria militare si concentrò nel dimostrare la bontà del nuovo calibro. Per convincere il Pentagono presentarono la migliore caratteristica del proiettile calibro 5.56 mm: è a "punta blanda". Che vuole dire questo? Bene, vuol dire che un proiettile del tipo 5.56 mm, a punta blanda, si piega al contatto con la carne e inizia a girare dentro il corpo. Risultato? Più terribile del proiettile espansivo, se il foro di entrata del proiettile era, in effetti, di 5.56 mm, quello d’uscita (se c’era) era fino a 10 volte maggiore. Se il proiettile non usciva, distruggeva ossa, muscoli, organi. In conclusione: senza usare proiettili espansivi, l’Esercito statunitense iniziò ad utilizzare un proiettile più letale, con più capacità di uccidere e che lasciava meno opportunità di vita al bersaglio umano che lo riceveva (e inoltre aumentava considerevolmente la sofferenza del ferito).
Sto parlando dell’apogeo della guerra fredda. Allora, gli Stati Uniti immaginavano il futuro scenario di guerra mondiale nelle terre europee e con gli eserciti del Patto di Varsavia come nemico. Il futuro "teatro di operazioni" era perfettamente ubicato lungo la linea che separava l’Europa Occidentale dall’Europa Orientale: grandi città, ampie e rapide vie di comunicazione, molti spazi aperti, eccetera. In questa prospettiva, la logica del Patto di Varsavia era semplice: lanciare un’ondata dietro l’altra di fanteria e di blindati fino a vincere la resistenza nemica. Perciò gli eserciti dei due patti (di Varsavia e della NATO) cambiarono le loro armi di base della fanteria con fucili d’assalto (gran volume di fuoco a raggio corto, meno di 500 metri). La Guerra di Corea aveva dimostrato i limiti dell’M-14 (versione semiautomatica del Garand M-1). Fu così che nacquero i prototipi di quello che dopo sarebbe stato l’M-16, fabbricato dalla Colt nel Connecticut, Stati Uniti.
Però tanto il nuovo proiettile che il fucile d’assalto necessitavano d’essere provati "in condizioni reali". Così il governo statunitense ha deciso che il suo cortile di casa includeva il sudest Asiatico intervenendo militarmente in Vietnam. Con i nuovi M-16 e il loro fiammante calibro 5.56 mm, le truppe degli USA invasero il Vietnam e nei combattimenti provarono che l’M-16 e il calibro 5.56 mm non erano poi così buoni come si diceva. Il proiettile è estremamente veloce e leggero, così qualsiasi sfioramento di una fogliolina o di un ramo cambiavano radicalmente la sua traiettoria (e, come c’era da aspettarsi, nella giungla asiatica abbondano le foglioline e i rami); inoltre, il fucile era molto sensibile all’umidità, un deficiente meccanismo dell’otturatore ne provocava l’ostruzione, con il conseguente blocco dell’arma.
Non fu per nulla gradevole per i soldati statunitensi vedere venire avanti un’ondata di vietcong (così erano chiamati i guerriglieri vietnamiti), puntare con il loro M-16, sparare e sentire solo "clic". Al Pentagono non importava poi troppo che alcuni dei suoi ragazzi perdessero la vita nei combattimenti nelle selve vietnamite. Dopo tutto, né arma né calibro avevano come prospettiva questa guerra, ma quella futura in territorio europeo e contro il Patto di Varsavia. Continuando la guerra in Vietnam, si modificò il fucile: si rafforzò la culatta per resistere alla corrosione della polvere, si installò una leva extra all’otturatore per assicurare la sua chiusura e si modificò il meccanismo di caricamento per ridurre la cadenza di tiro. Così nacquero l’M.16 A-1 e l’M-16 A-2. con calibro 5.56 mm e il fucile M-16 come arma di base della fanteria: l’Esercito degli Stati Uniti era già pronto per la nuova guerra mondiale.
Parallelamente all’M-16, si sviluppò l’AR-15 (versione semiautomatica), che quindi avrebbe dovuto essere esportato ai paesi dell’America Latina, più concretamente alle loro polizie e ai loro squadroni antiguerriglia.
In Messico, l’AR-15 è l’arma prediletta delle polizie di Sicurezza Pubblica statale. Specialista nell’assassinare contadini e indigeni, la polizia di Sicurezza Pubblica del Chiapas provava allegramente, sui corpi morenos delle loro vittime, gli effetti del calibro 5.56 mm. Quando scendemmo dalle montagne, il primo gennaio del 1994, abbiamo trovato molti AR-15 che i coraggiosi poliziotti abbandonavano nella loro vistosa fuga; però questa è un’altra storia.
Quando il signor Zedillo prese il potere in Messico, previo l’assassinio del suo predecessore (Luis Donaldo Colosio), e fallisce la sua offensiva militare del febbraio del 1995, lui e l’Esercito federale decidono di attivare gruppi paramilitari per combattere l’EZLN "senza il deterioramento nell’opinione pubblica per l’azione diretta di truppe federali" (Memorandum interno de la Presidencia a la Sedena, documento archiviato, marzo-aprile, 1995). I dettagli sono stati risolti dall’esperto in antiguerriglia, il generale Mario Renán Castello, sotto la supervisione di un suo superiore, il generale Enrique Cervantes Aguirre, dall’allora governatore del Chiapas (e oggi addetto all’ambasciata del Messico a Washington), Ruiz Ferro, e dal Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). L’accordo è stato questo: l’Esercito metteva l’istruzione e la direzione strategica e tattica, il PRI metteva la truppa e il governo statale metteva l’armamento e l’equipaggiamento. Così, presto, i fiammanti gruppi paramilitari in Chiapas sono stati dotati di fucili d’assalto AR-15 e AK-47 (reperiti sul mercato nero patrocinato dai militari).
Acteal è la parola che definisce meglio la strategia governativa in Chiapas. I proiettili che massacrarono 45 uomini, donne e bambini in questa comunità, il 22 dicembre 1997, erano, in maggioranza, calibro 5.56 mm, alcuni 7.62 mm e pochi altri .22 carabina lunga. I tre bambini che, alcuni mesi fa, sono stati negli Stati Uniti per essere curati da chirurghi specialisti, presentano gli effetti del calibro della bugia: il 5.56 mm.
Oggi, 5 gennaio 2000, poliziotti di Sicurezza Pubblica e priisti hanno teso un’imboscata a 30 indigeni zapatisti del municipio di Chenalhó, Chiapas. Sono stati attaccati mentre uscivano a raccogliere il loro caffè. Dopo ore di tortura, il governo ne ha liberati 27 arrestandone tre, accusati, dice, di aver provocato il massacro di Acteal. Il ridicolo governativo non si ferma di fronte al fatto che sia noto a tutti che è Zedillo che ha provocato il massacro del 27 dicembre 1997, non si ferma neanche di fronte allo sproposito di volere responsabilizzare gli zapatisti, che non sono altro che le vittime dei paramilitari. No, va più in là perché l’arresto avviene nel contesto di una presunta iniziativa di pace del governo federale che offre, tra le altre cose, di liberare zapatisti detenuti. E non solo non li libera, ma aumenta il loro numero con i pretesti più ridicoli. Una bugia fa sì che oggi si aggiungano tre indigeni in più alle centinaia di zapatisti detenuti per il semplice e imperdonabile fatto di essere ciò che sono: zapatisti.
Io so che, a questo punto della lettera, lei si domanda perché l’abbia scelta come destinatario. Bene, mesi fa ho letto sulla rivista Proceso che lei ha demolito un generale argentino, cosa poco frequente, e che lo ha fatto con le parole (cosa inaudita). La causa del suo impegno fu allora coperta dallo scandalo dell’affaire Clinton-Lewinski (non so se si scriva così, il porno scritto non è la mia specialità). Però adesso, più di recente, è mondialmente nota la sua campagna per trovare suo/a nipote. Adesso si sa in tutto il mondo che suo figlio e sua nuora sono stati assassinati dalla dittatura militare argentina (forse con un proiettile calibro 5.56 mm), e che il figlio/a di entrambi fu venduto al mercato nero dei bambini che, oltre alla tortura, pare essere la specialità degli eserciti latinoamericani. E questo della compravendita dei figli dei desaparecidos politici sta avendo lo stesso effetto del 5.56 mm: non solo penetra ferendo, ma gira dentro e causa sempre più danno. Come se il desaparecido lasciasse in eredità ai suoi figli la stessa condizione. Vale a dire, un crimine che colpisce la vittima... e coloro che la seguono nella discendenza.
Ho visto la sua lettera al governo dell’Uruguay e ho letto la sua risposta alla risposta di questo governo (in La Jornada). Le ho lette ed ho capito perché era caduto questo generale argentino. Sono sicuro che mai aveva immaginato che un giorno avrebbe dovuto affrontare un poeta e, ciò che è peggio, un poeta insensato. Perché lei lo è, un poeta (benché a volte si mascheri da giornalista), ed è insensato perché adesso, in questi tempi, così si chiamano coloro che non si arrendono né si adattano.
Infine, io volevo dirle che noi, zapatisti, la appoggiamo, che desideriamo che lo/a trovi, che suo/a nipote (che già deve essere un uomo o una donna fatto o fatta) merita di sapere che ha avuto i genitori che ha avuto e la loro storia. E, soprattutto, merita di sapere che ha un nonno che sempre la/o ha cercato/a, che non si è mai arreso, che mise al tappeto un generale con alcune parole e che ha commosso il mondo con la sua causa, e che il mate non è più tanto amaro se si prende con qualcuno che amiamo, e altre cose che, sicuramente, lei vorrà che lei o lui sappiano.
E tutto questo scrivere del calibro 5.56 mm e di Acteal e dei paramilitari e della sua lotta vengono a fagiolo perché, adesso che c’è la polemica se il secondo millennio è già terminato nel 1999 o terminerà quando finisce il 2000, qualcosa bisogna dire.
E noi zapatisti diciamo che no, che né il millennio né il secolo sono terminati. Non termineranno fino a che non ci saranno giustizia e vita e libertà. Non termineranno fino a che la giustizia non si applicherà, fino a che non si castigheranno gli autentici colpevoli e diventi così impossibile un altro Acteal. Non termineranno fino a che lei non troverà suo/a nipote. No, né il secolo né il millennio possono considerarsi terminati con queste pendenze. È una vergogna per l’umanità pensare di essere già entrata in un nuovo millennio mentre perdura insoluto Acteal nella memoria, e un poeta-nonno cerca suo/a nipote desaparecido/a. Non terminerà niente mentre il calibro delle bugie di questo secolo e di questo millennio continuino a girare dentro di noi, distruggendoci, uccidendoci.
Pertanto, don Gelman, questa lettera era solo per dirle che speriamo davvero un giorno di poterle dire: Felice secolo nuovo! Felice nuovo millennio!
Bene. Saluti e che il tempo infine liberi la nostra storia.

Dalle montagne del sudest messicano
Subcomandante Insurgente Marcos

P.S.: GUERRAFONDAIO Certo, l’arma che porto è un fucile AR-15, calibro 5.56 mm. La chiesi in prestito a un poliziotto il primo gennaio del 1994. Chiaramente scappava così in fretta che non riuscii a sentire la sua risposta. Adesso ce l’ho qui, ieri serviva ad uccidere indigeni, oggi serve perché non li uccidano, o almeno non impunemente.



Conosco bene il cal. 5.56 nato e i suoi effetti micidiali e devastanti. Tutto quello che dice il Subcomandante Marcos è assolutamente vero: il calibro 5.56 è un'arma di sterminio di massa!
Il cal. 5.56 è più "leggero" di un cal. 7.62, quindi ha più velocità di lancio e questo significa meno anticipo su un bersaglio in movimento. Ha meno "rinculo", e questo vuol dire maggiore precisione e più cadenza di tiro. Il cal. 5,56 ha anche meno massa all'impatto, quindi più velocità di rotazione e più penetrazione per neutralizzare il bersaglio. Meno massa fa anche meno peso, quindi più possibilità di caricamento nell'arma e più "dotazione" individuale di cartucce (nel mio caso di solito 180). L'ogiva a "punta blanda" del cal. 5,56 sposta il baricentro del poiettile all'impatto, questo significa che si uccide di più e meglio, perché se si colpisce una spalla è possibile che il proiettile esca poi dall'addome, da un fianco, dalla pancia, dopo aver fatto un sacco di strada... e di danni
. (D*)