Io cammino in fila indiana



Io cammino in fila indiana. Vabbè, non è corretto dire che io cammino in fila indiana, perché essendo la fila indiana, non sto da solo, perciò sarebbe più corretto dire “noi camminiamo in fila indiana”. Ecco, questo è più corretto.
Cioè, oddio, io non sono mica il portavoce della fila indiana, devo parlare solamente a nome mio. Per cui, diciamo, correttamente sarebbe meglio dire “io, insieme a molti altri, cammino in fila indiana”.
Oddio, neanche questo è proprio corretto, eh... Perché... Perché io non saprei dire se veramente siamo molti. Potremmo essere di più o di meno. Però, diciamo, correttamente posso dire che davanti a me camminano in fila indiana diverse migliaia di persone. Per la precisione io sono il numero 23.724. Perciò, se la matematica non è un'opinione, davanti a me ci stanno 23.723 persone che camminano in fila indiana.
Cioè, non è che ne sono proprio sicuro però, eh... Diciamo che l'ho dedotto, che sono 23.724. L'ho dedotto dal fatto che quello che cammina davanti a me è 23.723. O almeno così lui mi ha detto. Che però pure lui l'ha dedotto dal fatto che quello che gli cammina davanti è il 23.722. E pure il 23.722 l'ha dedotto dal fatto che quello che gli cammina davanti è il 23.721. E pure il 23.721, mica gliel'ha detto Gesù Cristo sceso in terra che è 23.721, pure lui l'ha dedotto. E così via tutti gli altri. Ecco...
Io cammino in fila indiana. Cammino in fila indiana e guardo davanti a me. E infatti guardo il 23.723. Cioè, non è esatto dire che guardo il 23.723, perché effettivamente, essendo la fila indiana, noi non ci giriamo mai, per cui io guardo solamente metà del 23.723, gli guardo la schiena. Ecco, io gli guardo la schiena. E poi vedo anche un pezzo di 23.722, una volta un orecchio, una volta quell'altro, a seconda di come si muove. Del 23.721 una volta ho visto una mano. Mi pare, mi pare... ma non ne sono sicuro.
Invece il numero 1, il primo della fila, quello lo vedo sempre. Lo vedo in televisione, lo vedo. Perché il numero 1, il capofila, è quello che dà il passo. Numero 1 cammina veloce e noi tutti a presso veloci, numero 1 va piano e noi tutti appresso piano, numero 1 barzotto e noi barzotto... Quando numero 1 marcia, noi tutti marciamo. E infatti è un bel periodo, questo qua, eh... In questo periodo si marcia sempre. Marciamo e facciamo anche il passo dell'oca, sai quello che marci con le zampe tese, no? Infatti 23.725, che è quello che cammina appresso a me, che l'ha dedotto che è 23.725 dal fatto che io gli ho detto che sono 23.724... Beh, 23.725 quando facciamo il passo dell'oca mi prende a calci nel culo, che non è una bella cosa, insomma. Fortunatamente, quando facciamo il passo dell'oca, io a mia volta prendo a calci nel culo 23.723. Piccole soddisfazioni... Piccole soddisfazioni... Eh eh eh...
Io cammino in fila indiana. E guardo dritto davanti a me. Guardo la schiena di 23.723, e cammino in fila indiana. A un certo punto però, mentre cammino in fila indiana, vedo che accanto a me c'è uno che mi cammina a fianco. Dico, e da dove viene questo qua? Cioè, adesso non è che lo vedo bene, nel senso che non mi posso proprio girare, perché sennò, se mi giro, va a puttane la fila indiana. Devo guardare dritto davanti a me, però con la coda dell'occhio lo vedo che mi cammina a fianco.
Oddio, che terrore, che paura... Dico, ma non è che per caso questo qua è il capofila di un'altra fila? E' il numero 1 di un'altra fila? Questo non è possibile. Cioè, non è possibile che ci sia un'altra fila oltre questa fila, perché questo significherebbe che se ci stanno due file ce ne possono stare anche tre, trenta, trentamila, tre milioni, infinite file... E questo non è possibile, perché la fila indiana è una. Perché è una la fila indiana, come uno è Dio, come uno è il pensiero, come una è la mamma... Ecco, non è possibile che sia un'altra fila indiana.
Così allora prendo coraggio, forza... Mi giro un pochetto, senza voltarmi troppo e guardare 23.725, mi giro un pochetto e infatti... vedo che sta da solo! Sta da solo, infame, impudente... Ma dove vai in giro da solo? Glielo dico. Dico, ma 'ndo vai? ma chi sei tu? Dico, chi sei? 23.726? 27727? 24.000? 28.000? 30.000? Chi sei?
Lui ride e mi dice: “Io sono Mario”. Deficiente, infame, terrorista... Ma come Mario? Come puoi essere Mario? Siamo numeri, siamo tutti numeri, e tu sei Mario?
Infatti la fila sento che cammina più piano, sento che si sta fermando. Vedo 23723, che sta davanti a me, che quasi si gira. Pure 23.722 e 23.721 si stanno per girare. Infame terrorista, hai terrorizzato tutti! Allora prendo ancora coraggio, mi fermo, lo prendo a cazzotti, lo sbatto per terra, gli spacco la testa, lo lascio morto con la testa spaccata, per terra... e mi rimetto in fila.
Sento la fila che riprende coraggio, e si riparte. Abbiamo ammazzato il terrorista. Infame, disgraziato... La fila è unica! Dove vai in giro da solo, Mario, sedicente Mario... Capito? Si riparte con la fila.
Tutti contenti. Mi fanno pure un piccolo applauso, e anche un piccolo coro. Tutti dicono: 23.724... 23.724...
E riparto, e ricominciamo a camminare. In fila indiana.

Ascanio Celestini

Los mapas del alma no tienen fronteras



Nuestra región es el reino de las paradojas.
Brasil, pongamos por caso: paradójicamente, el Aleijadinho, el hombre más feo del Brasil, creó las más altas hermosuras del arte de la época colonial; paradójicamente, Garrincha, arruinado desde la infancia por la miseria y la poliomelitis, nacido para la desdicha, fue el jugador que más alegría ofreció en toda la historia del fútbol y, paradójicamente, ya ha cumplido cien años de edad Oscar Niemeyer, que es el más nuevo de los arquitectos y el más joven de los brasileños.
O pongamos por caso, Bolivia: en 1978, cinco mujeres voltearon una dictadura militar. Paradójicamente, toda Bolivia se burló de ellas cuando iniciaron su huelga de hambre. Paradójicamente, toda Bolivia terminó ayunando con ellas, hasta que la dictadura cayó.
Yo había conocido a una de esas cinco porfiadas, Domitila Barrios, en el pueblo minero de Llallagua. En una asamblea de obreros de las minas, todos hombres, ella se había alzado y había hecho callar a todos.
Quiero decirles estito – había dicho –. Nuestro enemigo principal no es el imperialismo, ni la burguesía ni la burocracia. Nuestro enemigo principal es el miedo, y lo llevamos adentro.
Y años después, reencontré a Domitila en Estocolmo. La habían echado de Bolivia, y ella había marchado al exilio, con sus siete hijos. Domitila estaba muy agradecida de la solidaridad de los suecos, y les admiraba la libertad, pero ellos le daban pena, tan solitos que estaban, bebiendo solos, comiendo solos, hablando solos. Y les daba consejos:
No sean bobos – les decía. – Júntense. Nosotros, allá en Bolivia, nos juntamos. Aunque sea para pelearnos, nos juntamos.
Y cuánta razón tenía
.
Porque, digo yo: ¿existen los dientes, si no se juntan en la boca? ¿Existen los dedos, si no se juntan en la mano?
Juntarnos: y no sólo para defender el precio de nuestros productos, sino también, y sobre todo, para defender el valor de nuestros derechos. Bien juntos están, aunque de vez en cuando simulen riñas y disputas, los pocos países ricos que ejercen la arrogancia sobre todos los demás. Su riqueza come pobreza y su arrogancia come miedo.
Hace bien poquito, pongamos por caso, Europa aprobó la ley que convierte a los inmigrantes en criminales. Paradoja de paradojas: Europa, que durante siglos ha invadido el mundo, cierra la puerta en las narices de los invadidos, cuando le retribuyen la visita. Y esa ley se ha promulgado con una asombrosa impunidad, que resultaría inexplicable si no estuviéramos acostumbrados a ser comidos y a vivir con miedo.
Miedo de vivir, miedo de decir, miedo de ser. Esta región nuestra forma parte de una América latina organizada para el divorcio de sus partes, para el odio mutuo y la mutua ignorancia. Pero sólo siendo juntos seremos capaces de descubrir lo que podemos ser, contra una tradición que nos ha amaestrado para el miedo y la resignación y la soledad y que cada día nos enseña a desquerernos, a escupir al espejo, a copiar en lugar de crear.
Todo a lo largo de la primera mitad del siglo diecinueve, un venezolano llamado Simón Rodríguez anduvo por los caminos de nuestra América, a lomo de mula, desafiando a los nuevos dueños del poder: – Ustedes – clamaba don Simón –, ustedes que tanto imitan a los europeos, ¿por qué no les imitan lo más importante, que es la originalidad?
Paradójicamente, era escuchado por nadie este hombre que tanto merecía ser escuchado. Paradójicamente, lo llamaban loco, porque cometía la cordura de creer que debemos pensar con nuestra propia cabeza, porque cometía la cordura de proponer una educación para todos y una América de todos, y decía que al que no sabe, cualquiera lo engaña y al que no tiene, cualquiera lo compra, y porque cometía la cordura de dudar de la independencia de nuestros países recién nacidos: – No somos dueños de nosotros mismos – decía. – Somos independientes, pero no somos libres.
Quince años después de la muerte del loco Rodríguez, Paraguay fue exterminado. El único país hispanoamericano de veras libre fue paradójicamente asesinado en nombre de la libertad. Paraguay no estaba preso en la jaula de la deuda externa, porque no debía un centavo a nadie, y no practicaba la mentirosa libertad de comercio, que nos imponía y nos impone una economía de importación y una cultura de impostación.
Paradójicamente, al cabo de cinco años de guerra feroz, entre tanta muerte sobrevivió el origen. Según la más antigua de sus tradiciones, los paraguayos habían nacido de la lengua que los nombró, y entre las ruinas humeantes sobrevivió esa lengua sagrada, la lengua primera, la lengua guaraní. Y en guaraní hablan todavía los paraguayos a la hora de la verdad, que es la hora del amor y del humor.
En guaraní, ñeñé significa palabra y también significa alma. Quien miente la palabra traiciona el alma.
Si te doy mi palabra, me doy.
Un siglo después de la guerra del Paraguay, un presidente de Chile dio su palabra, y se dio.
Los aviones escupían bombas sobre el palacio de gobierno, también ametrallado por las tropas de tierra. El había dicho: – Yo de aquí no salgo vivo.
En la historia latinoamericana, es una frase frecuente. La han pronunciado unos cuantos presidentes que después han salido vivos, para seguir pronunciándola. Pero esa bala no mintió. La bala de Salvador Allende no mintió.
Paradójicamente, una de las principales avenidas de Santiago de Chile se llama, todavía, Once de Septiembre. Y no se llama así por las víctimas de las Torres Gemelas de Nueva York. No. Se llama así en homenaje a los verdugos de la democracia en Chile. Con todo respeto por ese país que amo, me atrevo a preguntar, por puro sentido común: ¿No sería hora de cambiarle el nombre? ¿No sería hora de llamarla Avenida Salvador Allende, en homenaje a la dignidad de la democracia y a la dignidad de la palabra?
Y saltando la cordillera, me pregunto: ¿por qué será que el Che Guevara, el argentino más famoso de todos los tiempos, el más universal de los latinoamericanos, tiene la costumbre de seguir naciendo? Paradójicamente, cuanto más lo manipulan, cuanto más lo traicionan, más nace. El es el más nacedor de todos.
Y me pregunto: ¿No será porque él decía lo que pensaba, y hacía lo que decía? ¿No será que por eso sigue siendo tan extraordinario, en este mundo donde las palabras y los hechos muy rara vez se encuentran, y cuando se encuentran no se saludan, porque no se reconocen?
Los mapas del alma no tienen fronteras, y yo soy patriota de varias patrias. Pero quiero culminar este viajecito por las tierras de la región, evocando a un hombre nacido, como yo, por aquí cerquita.
Paradójicamente, él murió hace un siglo y medio, pero sigue siendo mi compatriota más peligroso. Tan peligroso es que la dictadura militar del Uruguay no pudo encontrar ni una sola frase suya que no fuera subversiva y tuvo que decorar con fechas y nombres de batallas el mausoleo que erigió para ofender su memoria.
A él, que se negó a aceptar que nuestra patria grande se rompiera en pedazos; a él, que se negó a aceptar que la independencia de América fuera una emboscada contra sus hijos más pobres, a él, que fue el verdadero primer ciudadano ilustre de la región, dedico esta distinción, que recibo en su nombre.
Y termino con palabras que le escribí hace algún tiempo:
1820, Paso del Boquerón. Sin volver la cabeza, usted se hunde en el exilio. Lo veo, lo estoy viendo: se desliza el Paraná con perezas de lagarto y allá se aleja flameando su poncho rotoso, al trote del caballo, y se pierde en la fronda.Usted no dice adiós a su tierra. Ella no se lo creería. O quizás usted no sabe, todavía, que se va para siempre.
Se agrisa el paisaje. Usted se va, vencido, y su tierra se queda sin aliento.
¿Le devolverán la respiración los hijos que le nazcan, los amantes que le lleguen? Quienes de esa tierra broten, quienes en ella entren, ¿se harán dignos de tristeza tan honda?
Su tierra. Nuestra tierra del sur. Usted le será muy necesario, don José. Cada vez que los codiciosos la lastimen y la humillen, cada vez que los tontos la crean muda o estéril, usted le hará falta.
Porque usted, don José Artigas, general de los sencillos, es la mejor palabra que ella ha dicho.

Eduardo Galeano



La nostra regione è il regno dei paradossi.
Il Brasile, ad esempio: paradossalmente, Aleijadinho, l'uomo più brutto del Brasile, ha creato le più famose bellezze dell'arte dell'epoca coloniale; paradossalmente, Garrincha, rovinato sin dall'infanzia dalla miseria e dalla poliomielite, nato per sfortuna, è stato il giocatore che ha offerto più allegria in tutta la storia del calcio e, paradossalmente, ora ha compiuto cento anni Oscar Niemeyer, che è il più innovatore degli architetti ed il più giovane dei brasiliani.
O mettiamo per caso, la Bolivia: nel 1978, cinque donne rovesciarono una dittatura militare. Paradossalmente, tutta la Bolivia si burlò di loro quando iniziarono lo sciopero della fame. Paradossalmente, tutta la Bolivia terminò digiunando con loro, fino alla caduta della dittatura.
Io ho conosciuto una di queste cinque, Domitila Barrios, nel villaggio di minatori di Llallagua. In un'assemblea di minatori, tutti uomini, si alzò e zittì tutti.
Voglio dirvi questo - aveva affermato - il nostro nemico principale non è l'imperialismo, né la borghesia né la burocrazia. Il nostro nemico principale è la paura, e lo portiamo dentro.
Anni dopo, ritrovai Domitila a Stoccolma. L'avevano cacciata dalla Bolivia, e lei era andata in esilio, con i suoi setti figli. Domitila era molto grata per la solidarietà degli svedesi, dei quali ammirava la libertà, ma la rattristavano, erano così soli, bevevano soli, mangiavano soli, parlavano soli. Gli dava dei consigli:
Non siate sciocchi – gli diceva - unitevi. Noi, là in Bolivia, ci uniamo. Sebbene sia per litigare, ci uniamo.
Quanta ragione aveva.
Perché, dico io: esistono i denti, se non si uniscono nella bocca? Esistono le dita, se non si uniscono nella mano?
Uniamoci: e non solo per difendere il prezzo dei nostri prodotti, ma anche, e soprattutto, per difendere il valore dei nostri diritti. I pochi paesi ricchi che esercitano l'arroganza su tutti gli altri stanno insieme, sebbene di tanto in tanto simulano liti e dispute. La loro ricchezza come povertà e la loro arroganza come paura.
Poco tempo fa, ad esempio, l’Europa ha approvato la legge che converte gli immigranti in criminali. Paradosso dei paradossi: l’Europa, che durante secoli ha invaso il mondo, chiude la porta in faccia agli invasi, quando le restituiscono la visita. E questa legge è stata promulgata con una sorprendente impunità, che risulterebbe inspiegabile se non fossimo abituati ad essere sbranati ed a vivere con paura.
Paura di vivere, paura di dire, paura di essere. Questa nostra regione forma parte di un'America latina organizzata per il divorzio delle sue parti, per l'odio mutuo e la mutua ignoranza. Ma solo insieme saremo capaci di scoprire quello che possiamo essere, contro una tradizione che ci ha ammaestrati alla paura e alla rassegnazione e alla solitudine e che ogni giorno ci insegna a non amarci, a sputare nello specchio, a copiare invece di creare.
Durante tutta la prima metà del XIX secolo, un venezuelano chiamato Simón Rodríguez andò per i cammini della nostra America, a dorso di mula, sfidando i nuovi padroni del potere: - Voi - gridava don Simón -, voi che tanto imitate gli europei, perché non imitate la cosa più importante, che è l'originalità?
Paradossalmente, nessuno ascoltava quest’uomo che tanto meritava d’essere ascoltato. Paradossalmente, lo chiamavano matto, perché “commetteva” la saggezza di credere che dobbiamo pensare con la nostra propria testa, perché “commetteva” la saggezza di proporre un'educazione per tutti ed un'America di tutti, e diceva che chiunque inganna chi non sa e chiunque compra chi non ha nulla, perché “commetteva” la saggezza di dubitare dell'indipendenza dei nostri paesi appena nati: Non siamo padroni di noi stessi – diceva -. Siamo indipendenti, ma non siamo liberi.
Quindici anni dopo la morte del folle Rodríguez, il Paraguay fu sterminato. L'unico paese ispanoamericano davvero libero fu paradossalmente ucciso in nome della libertà. Il Paraguay non era prigioniero della gabbia del debito esterno, perché non doveva un centesimo a nessuno, e non praticava la bugiarda libertà di commercio, che ci imponeva e c’impone un'economia d’importazione ed una cultura d’impostazione.
Paradossalmente, dopo cinque anni di guerra feroce, tra tanta morte sopravvisse l'origine. Secondo la più antica delle sue tradizioni, i paraguaiani erano nati dalla lingua che li nominò, e tra le rovine fumanti sopravvisse questa lingua sacra, la prima lingua, la lingua guaranì. Ed in guaranì parlano ancora i paraguaiani nell'ora della verità, che è l'ora dell'amore e dell'umore.
In guaranì, ñeñé significa parola e significa anche anima. Chi mente con la parola tradisce l'anima. Se ti do la mia parola, mi consegno.
Un secolo dopo la guerra del Paraguay, un presidente del Cile diede la sua parola, e si consegnò.
Gli aeroplani sputavano bombe sul palazzo del governo, mitragliato anche dalle truppe di terra. Lui aveva detto: - Io da qui non esco vivo.
Nella storia latinoamericana, è una frase frequente. L'hanno pronunciata tanti presidenti che dopo sono usciti vivi, per continuare a pronunciarla. Ma questa pallottola non ha mentito. La pallottola di Salvatore Allende non ha mentito.
Paradossalmente, uno dei principali di viali di Santiago del Cile si chiama, ancora, Undici Settembre. E non chiama così per le vittime delle Torri Gemelle di New York. No. Si chiama così in omaggio ai boia della democrazia in Cile. Con tutto il rispetto per questo paese che amo, oso domandare, per puro senso comune: Non sarebbe ora di cambiargli il nome? Non sarebbe ora di chiamarlo Viale Salvatore Allende, in omaggio alla dignità della democrazia ed alla dignità della parola?
E passando dall’altro lato del continente, mi domando: perché sarà che il Che Guevara, l'argentino più famoso di tutti i tempi, il più universale dei latinoamericani, continua a nascere? Paradossalmente, quanto più lo manipolano, quanto più lo tradiscono, più nasce. Lui è il più “nato” di tutti.
E mi domando: non sarà perché diceva quello che pensava, e faceva quello che diceva? Non sarà per questo, che continua ad essere così straordinario, in questo mondo dove le parole ed i fatti s’incontrano molto raramente, e quando s’incontrano non si salutano, perché non si riconoscono?
Le mappe dell'anima non hanno frontiere, ed io sono un patriota di varie patrie. Ma voglio terminare questo viaggio per le terre della regione, evocando un uomo nato, come io, qui vicino.
Paradossalmente, lui è morto un secolo e mezzo fa, ma continua ad essere il mio compatriota più pericoloso. E’ così pericoloso che la dittatura militare dell'Uruguay non poté trovare una sola frase sua che non fosse sovversiva e dovette decorare con date e nomi di battaglie il mausoleo che eresse per offendere la sua memoria.
A lui, che si negò d’accettare che nostra patria grande si rompesse a pezzi; a lui, che si negò d’accettare che l'indipendenza dell’America fosse un'imboscata contro i suoi figli più poveri, a lui, che fu il primo vero cittadino illustre della regione, dedico questa distinzione, che ricevo nel suo nome.
E termino con le parole che gli ho scritto tempo fa:
1820, Passo del Boquerón. Senza voltare la testa, lei si sprofonda nell'esilio. Lo vedo, lo sto vedendo: il Paraná scorre con la pigrizia di un lucertolone e là si allontana fiammeggiando il suo poncho rotto, al trotto del cavallo, e si perde nella fronda. Lei non dice addio alla sua terra. Lei non lo crederebbe. O magari non sa ancora che va via per sempre.
Il paesaggio s’ingrigisce. Lei se ne va, vinto, e la sua terra rimane senza fiato. I figli che avrà, gli amanti che gli arriveranno le restituiranno la respirazione? Coloro che germoglieranno da questa terra, coloro che entreranno, si faranno degni di una tristezza così profonda?
La sua terra. La nostra terra del sud. Lei le sarà molto necessario, don José. Ogni volta che gli avidi la feriranno e l’umilieranno, ogni volta che gli sciocchi la crederanno muta o sterile, Lei le mancherà.
Perché lei, don José Artigas, generale dei semplici, è la migliore parola che questa terra ha detto.

Eduardo Galeano
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Discurso del cacique mexicano Guaicaipuro Cuautemoc ante la reunión de jefes de estado de la Comunidad Europea, Barcelona 8 de febrero de 2002.

Aquí pues yo, Guaicaipuro Cuatemoc he venido a encontrar a los que celebran el encuentro.
Aquí pues yo, descendiente de los que poblaron la América hace cuarenta mil años, he venido a encontrar a los que la encontraron hace solo quinientos años.
Aquí pues, nos encontramos todos. Sabemos lo que somos, y es bastante. Nunca tendremos otra cosa.
El hermano aduanero europeo me pide papel escrito con visa para poder descubrir a los que me descubrieron.
El hermano usurero europeo me pide pago de una deuda contraída por Judas, a quien nunca autoricé a venderme.
El hermano leguleyo europeo me explica que toda deuda se paga con intereses aunque sea vendiendo seres humanos y países enteros sin pedirles consentimiento.
Yo los voy descubriendo. También yo puedo reclamar pagos y también puedo reclamar intereses. Consta en el Archivo de Indias, papel sobre papel, recibo sobre recibo y firma sobre firma, que solamente entre el año 1503 y 1660 llegaron a Sanlúcar de Barrameda 185 mil kilos de oro y 16 millones de kilos de plata provenientes de América.
¿Saqueo? ¡No lo creyera yo! Porque sería pensar que los hermanos cristianos faltaron a su Séptimo Mandamiento.
¿Expoliación? ¡Guárdeme Tanatzin de figurarme que los europeos, como Caín, matan y niegan la sangre de su hermano!
¿Genocidio? Eso sería dar crédito a los calumniadores, como Bartolomé de las Casas, que califican al encuentro como de destrucción de las Indias, o a ultrosos como Arturo Uslar Pietri, que afirma que el arranque del capitalismo y la actual civilización europea se deben a la inundación de metales preciosos!
¡No! Esos 185 mil kilos de oro y 16 millones de kilos de plata deben ser considerados como el primero de muchos otros préstamos amigables de América, destinados al desarrollo de Europa.
Lo contrario sería presumir la existencia de crímenes de guerra, lo que daría derecho no sólo a exigir la devolución inmediata, sino la indemnización por daños y perjuicios.
Yo, Guaicaipuro Cuatemoc, prefiero pensar en la menos ofensiva de estas hipótesis.Tan fabulosa exportación de capitales no fueron más que el inicio de un plan MARSHALLTESUMA, para garantizar la reconstrucción de la bárbara Europa, arruinada por sus deplorables guerras contra los cultos musulmanes, creadores del álgebra, la poligamia, el baño cotidiano y otros logros superiores de la civilización.
Por eso, al celebrar el Quinto Centenario del Empréstito, podremos preguntarnos:1 ¿Han hecho los hermanos europeos un uso racional, responsable o por lo menos productivo de los fondos tan generosamente adelantados por el Fondo Indo americano Internacional?. Deploramos decir que no.
En lo estratégico, lo dilapidaron en las batallas de Lepanto, en armadas invencibles, en terceros reichs y otras formas de exterminio mutuo, sin otro destino que terminar ocupados por las tropas gringas de la OTAN, como en Panamá, pero sin canal.
En lo financiero, han sido incapaces, después de una moratoria de 500 años, tanto de cancelar el capital y sus intereses, cuanto de independizarse de las rentas líquidas, las materias primas y la energía barata que les exporta y provee todo el Tercer Mundo.
Este deplorable cuadro corrobora la afirmación de Milton Friedman según la cual una economía subsidiada jamás puede funcionar y nos obliga a reclamarles, para su propio bien, el pago del capital y los intereses que, tan generosamente hemos demorado todos estos siglos en cobrar. Al decir esto, aclaramos que no nos rebajaremos a cobrarles a nuestros hermanos europeos las viles y sanguinarias tasas del 20 y hasta el 30 por ciento de interés, que los hermanos europeos le cobran a los pueblos del Tercer Mundo.
Nos limitaremos a exigir la devolución de los metales preciosos adelantados, más el módico interés fijo del 10 por ciento, acumulado solo durante los últimos 300 años, con 200 años de gracia. Sobre esta base, y aplicando la fórmula europea del interés compuesto, informamos a los descubridores que nos deben, como primer pago de su deuda, una masa de 185 mil kilos de oro y 16 millones de plata, ambas cifras elevadas a la potencia de 300. Es decir, un número para cuya expresión total, serían necesarias más de 300 cifras, y que supera ampliamente el peso total del planeta Tierra. Muy pesadas son esas moles de oro y plata. ¿Cuánto pesarían, calculadas en sangre?. Aducir que Europa, en medio milenio, no ha podido generar riquezas suficientes para cancelar ese módico interés, sería tanto como admitir su absoluto fracaso financiero y/o la demencial irracionalidad de los supuestos del capitalismo.
Tales cuestiones metafísicas, desde luego, no nos inquietan a los indos americanos. Pero sí exigimos la firma de una Carta de Intención que discipline a los pueblos deudores del Viejo Continente, y que los obligue a cumplir su compromiso mediante una pronta privatización o reconversión de Europa, que les permita entregárnosla entera, como primer pago de la deuda histórica.
Dicen los pesimistas del Viejo Mundo que su civilización está en una bancarrota tal que les impide cumplir con sus compromisos financieros o morales.
En tal caso, nos contentaríamos con que nos pagaran entregándonos la bala con la que mataron al Poeta.
Pero no podrán.
Porque esa bala es el corazón de Europa...


Guaicaipuro Cuatemoc



Discorso del cacicco messicano Guaicaipuro Chuautemoc al vertice dei capi di stato dell'Unione Europea, Barcellona 8 febbraio 2002.

Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuautemoc, sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro.
Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l'America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.
Così ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non abbiamo bisogno di altro.
Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.
Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.
Il fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.
Questo è quello che sto scoprendo. Anch'io posso pretendere pagamenti. Anch'io posso reclamare interessi. Fa fede l'Archivio delle Indie. Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento provenienti dall'America.
Saccheggio? Non ci penso nemmeno!! Perché pensare che i fratelli cristiani disobbediscano al loro settimo comandamento?
Spoliazione? Tanatzin mi guardi dall'immaginare che gli europei, come Caino, uccidano e poi neghino il sangue del fratello!
Genocidio? Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo della Casa che considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell'attuale civiltà europea sia dovuto all'inondazione di metalli preziosi!
No! Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento devono essere considerati come il primo di vari prestiti amichevoli dell'America per lo sviluppo dell'Europa.
Pensare il contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l'indennizzo per danni e truffa.
Io, Guaicaipuro Cuautemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi. Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l'inizio del piano Marshalltezuma teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i culti musulmani, difensori dell'algebra, della poligamia, dell'igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà.
Per questo, avvicinandosi il Quinto Centenario del Prestito, possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale? Ci rincresce dover dire di no.
Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per finire poi occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza canale).
Dal punto di vista finanziario sono stati incapaci - dopo una moratoria di 500 anni - sia di restituire capitale ed interessi che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dall'energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo.
Questo deplorevole quadro conferma l'affermazione di Milton Friedman secondo il quale un'economia assistita non potrà mai funzionare e ci obbliga a chiedere - per il loro stesso bene - la restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli. Detto questo, vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d'interesse variabile del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo.
Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi prestati, piu' il modico interesse fisso del 10% annuale accumulato negli ultimi trecento anni, condonando quindi gli altri 200. Su questa base, applicando la formula europea dell'interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento ambedue elevati alla potenza di trecento. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie piu' di trecento cifre, e il cui peso supera ampiamente quello della terra. Com'è pesante questa mole d'oro e d'argento! Quanto peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l'Europa in mezzo millennio non ha saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.
Tuttavia queste questioni metafisiche non affliggono noi indioamericani. Però chiediamo la firma immediata di una carta d'intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite un'immediata privatizzazione o riconversione dell'Europa perché ci venga consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico.
Dicono i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali.
In tal caso ci accontenteremo che ci paghino dandoci la pallottola con cui uccisero il poeta.
Ma non potranno.
Perché quella pallottola è il cuore dell'Europa...

Guaicaipuro Cuatemoc

Giunto a questo punto della sua allocuzione, il cacicco Guaicapuro Chuautemoc si sorprese nel constatare che la sua voce aveva cessato di uscire ingigantita dal cilindro metallico che stava davanti alla sua bocca. Seguí leggendo a voce alta, senza risparmiare il fiato dei suoi polmoni. Tutto fu vano, e l'esposizione rimase mutilata.
Quattro corpulenti uomini e dai modi marziali, si materializzarono alle spalle del cacicco, lo immobilizzarono, e sollevandolo dal suolo si avviarono verso una uscita.
L'allibito cacicco fece appena in tempo ad osservare che gli illustri dignitari seduti attorno al tavolo ovale, che alla vigilia lo avevano gratificato di placche, medaglie e diplomi e che si compiacquero nel volersi far fotografare al suo lato, ora scomposti e gesticolanti esibivano comportamenti che non si confacevano alla maestá del loro rango. Abbondavano i visi contratti dalle severe espressioni torve o minacciose; vi furono taluni che levarono le braccia mostrando mani dalle dita raccolte e con il solo dito medio proteso all'aria; si levarono persino grida confuse e stridule e, su tutte, prevaleva una parola incomprensibile per il cacicco: "manicomio".
Guaicaipuro Chuautemoc uscí definitivamente di scena una volta richiusasi alle sue spalle la porta di sicurezza. L'incontro tra le due civiltá si era concluso
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_______________

Guaicaipuro Cuautemoc è un indios che sa far di conto. Non un indios di quelli piagnucolosi, che continuano a lamentarsi per via che sono poveri, la loro terra è stata depredata, i loro diritti calpestati brutalmente. No, Guaicaipuro Cuautemoc è un indios pragmatico. Una nuova specie di indios con il pallino degli affari.
Guaicaipuro Cuautemoc ha scritto una lettera alle potenze occidentali che non contiene recriminazioni. Va bene, dice, siete stati un po' malvagi, ma quel che è stato è stato, mettiamoci una pietra sopra. Affrontiamo la cosa da persone moderne e responsabili, non stiamo qui a fare un dramma su 5 secoli di aberrazioni. E' il progresso... Guaicaipuro Cuautemoc si limita a affrontare una piccola questione tecnica.
La questione delle ricchezze depredate.
Ok, non vogliamo pensare che le avete volute rubare. Diciamo che era un semplice prestito. Restituiteceli riconoscendoci un modesto interesse bancario. Vi va bene il 10% annuo?
Allora facciamo 2 conti: "Fa fede l'Archivio delle Indie. Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 e il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento provenienti dall'America." Calcolare il valore attuale di questa fortuna non è facile, una stima prudenziale è di 10 milioni di miliardi di lire. Poi ci sono gli interessi, grazie ai quali ogni 10 anni il capitale raddoppia: 20 milioni di miliardi, 40 milioni di miliardi, 80, 160, 320, 640, 1280 e così via per 34 volte (iniziando a calcolare gli interessi dal 1660).
Beh...viene fuori un cifrone. Ci compri una massa di oro e di argento abbondantemente superiore al volume del pianeta terra. Ok, pagate! Dice l'indios. Ma, aimè, le potenze dell'occidente non hanno tutto questo denaro. Neppure se vendessero tutte le fabbriche, le banche, le imprese, le auto e le opere d'arte di tutti i loro musei, le proprietà terriere e i palazzi, potrebbero mettere insieme una cifra del genere. Eppure l'oro e l'argento giunti a San Lucar de Barrameda non sono che una frazione minima delle ricchezze depredate dalle grandi potenze nel cosiddetto terzo mondo... Sono una bazzecola!
Ora sorge spontanea una domanda: dove sono finiti questi soldi?
Volete dire che in tutti questi secoli non hanno reso almeno il 10% annuo? Calcoliamo che abbiano reso solo il 2%... Calcoliamo anzi che non abbiano reso nulla. Comunque la massa delle ricchezze depredate durante i secoli del colonialismo è tale che nessuno oggi sarebbe in grado di restituirle, neppure volendo. Se le ricchezze prese in prestito dalle potenze occidentali fossero restituite i paesi del terzo mondo diventerebbero ricchissimi e in Europa non ci sarebbero più neanche le sedie per sedersi. E invece, incredibile, le grandi potenze vantano dei crediti verso il terzo mondo. I derubati devono risarcire i danni del furto.
Dicevamo che i soldi sono spariti. Che fine hanno fatto? In parte furono sperperati nelle corti europee e nei palazzi nord americani. Ma in piccola parte. Il grosso del malloppo fu gettato via combattendo una guerra dopo l'altra. Guerre, guerre e ancora guerre. Miliardi di fucili, fantastiliardi di proiettili. E migliaia di cannoni, di testate nucleari, sommergibili, aerei, mezzi blindati... E viene allora da chiedersi che cosa succederebbe se un domani l'umanità trovasse il modo di vivere senza sprecare assurdamente le proprie risorse. Ogni bambino nascerebbe con un milione di dollari in banca e il mondo sarebbe un posto talmente bello che anche i generali sarebbero più umani.

Dario Fo

Quémame el alma


Ora è tardi per mordere il vento,
a quest’ora là fuori lo sai piovono pietre,
a quest’ora i nostri cavalli calpestano il cielo,
ora sei l’onda che viene incontro al mio remo,
ora...

Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore,
bruciami l’anima, sotto la luce fammi volare,
bruciami l’anima, fammi cadere sulla tua pelle,
come quando il sole si arrende e fa posto alle stelle...

ora è tardi per fallire un sorriso,
a quest’ora si scavano gli occhi per trovare un segreto,
a quest’ora siamo pronti a giocare l’ultima mano,
ora splendimi intorno e danzami piano,
ora...

Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore,
bruciami l’anima, sotto la luce fammi volare,
bruciami l’anima, fammi cadere sulla tua pelle,
come quando il sole si arrende e fa posto alle stelle...

Nel tuo mare in tempesta fammi alzare le vele,
nel tuo mare profondo fammi affondare...

Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore,
bruciami l’anima, sotto la luce fammi volare,
bruciami l’anima, fammi cadere sulla tua pelle
come quando il sole si arrende e fa posto alle stelle...
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Ahora es tarde para morder el viento,
a esta hora allá fuera lo sabes llueven piedras,
a esta hora nuestros caballos pisan el cielo,
ahora eres la ola que viene encuentro a mi remo,
ahora...

Quémame el alma, hazme reír la sangre en el corazón,
quémame el alma, bajo la luz me haces volar,
quémame el alma, hazme caer sobre tu piel,
como cuando el sol se se rinde y hace sitio a las estrellas...

Ahora es tarde para fracasar una sonrisa,
a esta hora se cavan los ojos para encontrar un secreto,
a esta hora estamos listos a jugar la última mano,
ahora resplandeme alrededor y bailame llano,
ahora...

Quémame el alma, hazme reír la sangre en el corazón,
quémame el alma, bajo la luz me haces volar,
quémame el alma, hazme caer sobre tu piel,
como cuando el sol se se rinde y hace sitio a las estrellas...

En tu mar en tempestad haces levantarme las velas,
en tu mar profundo haces hundirme...

Quémame el alma, hazme reír la sangre en el corazón,
quémame el alma, bajo la luz me haces volar,
quémame el alma, hazme caer sobre tu piel,
como cuando el sol se se rinde y hace sitio a las estrellas...

Bajo espesura de besos

El remanso del aire
bajo la rama del eco.
El remanso del agua
bajo fronda de luceros.
El remanso de tu boca
bajo espesura de besos.


Federico García Lorca


















Lo stagno dell'aria
sotto il ramo dell'eco.
Lo stagno dell'acqua
sotto fronde di stelle.
Lo stagno della tua bocca
sotto una pioggia di baci.

Federico García Lorca

Para mí eres el tesoro más cargado

Ves estas manos? Han medido
la tierra, han separado
los minerales y los cereales,
han hecho la paz y la guerra,
han derribado las distancias
de todos los mares y ríos,
y sin embargo
cuanto te recorren
a ti, pequeña,
grano de trigo, alondra,
no alcanzan a abarcarte,
se cansan alcanzando
las palomas gemelas
que reposan o vuelan en tu pecho,
recorren las distancias de tus piernas,
se enrollan en la luz de tu cintura.
Para mí eres tesoro más cargado
de inmensidad que el mar y su racimos
y eres blanca y azul y extensa como
la tierra en la vendimia.
En ese territorio,
de tus pies a tu frente,
andando, andando, andando,
me pasaré la vida.


Pablo Neruda

























Vedi queste mani? Han misurato
la terra, han separato
i minerali e i cereali,
han fatto la pace e la guerra,
hanno abbattuto le distanze
di tutti i mari, di tutti i fiumi,
e tuttavia
quando percorrono
te, piccola,
grano di frumento, allodola,
non riescono a comprenderti,
si stancano raggiungendo
le colombe gemelle
che riposano o volano sul tuo petto,
percorrono le distanze delle tue gambe,
si avvolgono alla luce della tua cintura.
Per me sei un tesoro più colmo
d'immensità che non il mare e i grappoli,
e sei bianca e azzurra e vasta come
la terra nella vendemmia.
In questo territorio,
dai tuoi piedi alla tua fonte,
camminando, camminando, camminando,
passerò la mia vita.

Pablo Neruda

Cuando estoy solo contigo

Suona fanfara sgangherata
per gli esiliati dal mondo delle favole
cantate ciurma di ribelli
che al suono delle vostre voci
impaurita scappa
la tarantola della disperazione...




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Quando io sono solo con te
sogno immerso in una tazza di the,
ma che caldo qua dentro,
ma che bello il momento...

Quando sono con te
non so più chi sono perché
crolla il pavimento
e mi sciolgo qui dentro...

Quando penso a te
mi sento denso perché
io ti tengo qua dentro di me
io ti porto qua dentro con me...

Me so' 'mbriacato de 'na donna,
quanto è bbono l'odore della gonna,
quanto è bbono l'odore der mare,
ce vado de notte a cerca' le parole.
Quanto è bbono l'odore del vento
dentro lo sento, dentro lo sento,
quanto è bbono l'odore dell'ombra,
quando c'è 'r sole che sotto rimbomba.
Come rimbomba l'odore dell'ombra,
come rimbomba, come rimbomba,
e come parte e come ritorna,
come ritorna l'odore dell'onda.

Quando io sono solo con te,
io cammino meglio perché
la mia schiena è più dritta,
la mia schiena è più dritta...

Quando sono con te,
io mangio meglio perché
non mi devo sfamare,
non mi devo saziare con te...

Me so' 'mbriacato de 'na donna,
quanto è bbono l'odore della gonna,
quanto è bbono l'odore der mare,
ce vado de notte a cerca' le parole.
Quanto è bbono l'odore del vento
dentro lo sento, dentro lo sento,
quanto è bbono l'odore dell'ombra,
quando c'è 'r sole che sotto rimbomba.
Come rimbomba l'odore dell'ombra,
come rimbomba, come rimbomba,
e come parte e come ritorna,
come ritorna l'odore dell'onda!
____________

Toca charanga rota
para los desterrados del mundo de los cuentos,
cantáis chusma de rebeldes
qué al sonido de vuestras voces
asustada escapa
la tarántula de la desesperación...



Cuando yo estoy solo contigo
sueño inmerso en una taza de the,
pero que caliente acá dentro,
pero que bonito el momento...

Cuando estoy contigo
no sé más quién soy porque
se derrumba el suelo
y me derrito aquí dentro...

Cuando pienso en ti
me siento denso porque
yo te tengo acá dentro de mí
yo te llevo acá dentro conmigo...

Me he emborrachado de una mujer,
cuánto es bueno el olor de la falda,
cuánto es bueno el olor del mar,
voy allí por la noche a buscar las palabras.
Cuánto es bueno el olor del viento
dentro lo siento, dentro lo siento,
cuánto es bueno el olor de la sombra,
cuando hay el sol que bajo retumba.
Como retumba el olor de la sombra,
como retumba, como retumba,
y como parte y como vuelve,
como vuelve el olor de la ola.

Cuando yo estoy solo contigo,
yo camino mejor porque
mi espalda es más recta,
mi espalda es más recta...

Cuando estoy contigo,
yo como mejor porque
no tengo que saciarme,
no tengo que saciarme contigo...

Me he emborrachado de una mujer,
cuánto es bueno el olor de la falda,
cuánto es bueno el olor del mar,
voy allí por la noche a buscar las palabras.
Cuánto es bueno el olor del viento
dentro lo siento, dentro lo siento,
cuánto es bueno el olor de la sombra,
cuando hay el sol que bajo retumba.
Como retumba el olor de la sombra,
como retumba, como retumba,
y como parte y como vuelve,
como vuelve el olor de la ola.

Entre el fuego y el agua

Toda la noche he dormido contigo
junto al mar, en la isla.
Salvaje y dulce eras entre el placer y el sueño,
entre el fuego y el agua.
Tal vez muy tarde
nuestros sueños se unieron
en lo alto o en el fondo,
arriba como ramas que un mismo viento mueve,
abajo come rojas raíces que se tocan.
Tal vez tu sueño
se separó del mío
y por el mar oscuro
me buscaba
como antes
cuando aun no existías,
cuando sin divisarte
navegué por tu lado,
y tus ojos buscaban
lo que ahora
- pan, vino, amor y cólera -
te doy a manos llenas,
porque tú eres la copa
que esperaba los dones de mi vida.
He dormido contigo
toda la noche mientras
la oscura tierra gira
con vivos y con muertos,
y al despertar de pronto
en medio de la sombra
mi brazo rodeaba tu cintura.
Ni la noche, ni el sueño
pudieron separarnos.
He dormido contigo
y al despertar tu boca
salida de tu sueño
mi dió el sabor de tierra,
de agua marina, de algas,
del fondo de tu vida,
y recibí tu beso
mojado por la aurora,
como si me llegara
del mar que nos rodea.

Pablo Neruda


Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua.
Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.
Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.
Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.
Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.

Pablo Neruda

Donna & donne


Una canzone di Natale
che le prenda la pelle
e come tetto
solo un cielo di stelle;
abbiamo un mare di figli
da pulirgli il culo,
che la piantasse un po'
di andarsene in giro
La voglio come Biancaneve
coi sette nani,
noiosa come una canzone
degli Intillimani...

Voglio una donna Donna,
donna, donna, donna
con la gonna, gonna, gonna...
Voglio una donna Donna,
donna, donna, donna,
con la gonna, gonna, gonna...

Prendila te quella col cervello,
che s'innamori di te,
quella che fa carriera,
quella col pisello e la bandiera nera,
la cantatrice calva e la barricadera
che non c'è mai la sera...

Non dico tutte,
me ne basterebbe solo una,
tanti auguri alle altre di più fortuna
Voglio una donna,
mi basta che non legga Freud,
dammi una donna così
che l'assicuro ai Lioyd,
preghierina preghierina
fammela trovare,
Madonnina Madonnina
non mi abbandonare...

Voglio una donna Donna,
donna, donna, donna
con la gonna, gonna, gonna...
Voglio una donna Donna,
donna, donna, donna,
con la gonna, gonna, gonna...

Prendila te la signorina Rambo,
che s'innamori di te
'sta specie di canguro,
che fa l'amore a tempo,
che fa la corsa all'oro,
veloce come il lampo,
tenera come un muro,
padrona del futuro...

Prendila te quella che fa il leasing,
che s'innamori di te
la Capitana Nemo,
quella che va al briefing
perché lei è del ramo,
e viene via dal meeting
stronza come un uomo...
sola come un uomo.

Onestate

Sono così convinto di essere nel giusto, che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte ed io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le cose che ho fatto!



Sì. Quel che ho da dire è che sono innocente, non soltanto del delitto di Braintree, ma anche di quello di Bridgewater. Che non soltanto sono innocente di questi due delitti, ma che in tutta la mia vita non ho mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue. Questo è ciò che voglio dire. E non è tutto. Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l'età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.
Queste due braccia sanno molto bene che non avevo bisogno di andare in mezzo alla strada a uccidere un uomo, per avere del denaro. Sono in grado di vivere, con le mie due braccia, e di vivere bene. Anzi, potrei vivere anche senza lavorare, senza mettere il mio braccio al servizio degli altri. Ho avuto molte possibilità di rendermi indipendente e di vivere una vita che di solito si pensa sia migliore che non guadagnarsi il pane col sudore della fronte.
Mio padre in Italia è in buone condizioni economiche. Potevo tornare in Italia ed egli mi avrebbe sempre accolto con gioia, a braccia aperte. Anche se fossi tornato senza un centesimo in tasca, mio padre avrebbe potuto occuparmi nella sua proprietà, non a faticare ma a commerciare, o a sovraintendere alla terra che possiede. Egli mi ha scritto molte lettere in questo senso, e altre me ne hanno scritte i parenti, lettere che sono in grado di produrre. [...]
Vorrei giungere perciò a un'altra conclusione, ed è questa: non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina di Bridgewater, non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina e agli omicidi di Braintree né è stato provato che io abbia mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue in tutta la mia vita; non soltanto ho lottato strenuamente contro ogni delitto, ma ho rifiutato io stesso i beni e le glorie della vita, i vantaggi di una buona posizione, perché considero ingiusto lo sfruttamento dell'uomo. Ho rifiutato di mettermi negli affari perché comprendo che essi sono una speculazione ai danni degli altri: non credo che questo sia giusto e perciò mi rifiuto di farlo.
Vorrei dire, dunque, che non soltanto sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse, non soltanto non ho mai commesso un delitto nella mia vita - degli errori forse, ma non dei delitti - non soltanto ho combattuto tutta la vita per eliminare i delitti, i crimini che la legge ufficiale e la morale ufficiale condannano, ma anche il delitto che la morale ufficiale e la legge ufficiale ammettono e santificano: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. E se c'è una ragione per cui io sono qui imputato, se c'è una ragione per cui potete condannarmi in pochi minuti, ebbene, la ragione è questa e nessun'altra. [...]
È possibile che soltanto alcuni membri della giuria, soltanto due o tre uomini che condannerebbero la loro madre, se facesse comodo ai loro egoistici interessi o alla fortuna del loro mondo; è possibile che abbiano il diritto di emettere una condanna che il mondo, tutto il mondo, giudica una ingiustizia, una condanna che io so essere una ingiustizia? Se c'è qualcuno che può sapere se essa è giusta o ingiusta, siamo io e Nicola Sacco. Lei ci vede, giudice Thayer: sono sette anni che siamo chiusi in carcere. Ciò che abbiamo sofferto, in questi sette anni, nessuna lingua umana può dirlo, eppure - lei lo vede - davanti a lei non tremo - lei lo vede - la guardo dritto negli occhi, non arrossisco, non cambio colore, non mi vergogno e non ho paura. [...]
Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di più per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.
Ho finito. Grazie


Bartolomeo Vanzetti

In fondo, a sinistra...


In centocinquant'anni l'Italia è stata prima un regime monarchico, poi un regime fascista, poi un regime democristiano e adesso è un regime berlusconiano. Secondo taluni osservatori, diciamo, questa egemonia della destra non dipende tanto dal consenso che la destra ha, quanto dal fatto che la sinistra non riesce ad esprimere un vero e forte dissenso.
Qualcuno addirittura dice che la gente si dice di sinistra però alla fine di trova d'accordo pure con Berlusconi, come si trovava d'accordo con Andreotti, con Mussolini e addirittura coi Savoia
Io non sono d'accordo. Perché io sono di sinistra, però penso che pure uno che è di sinistra deve essere pure aperto agli altri, no? Arrivare pure a certi piccoli compromessi per vivere per vivere insieme nella comunità, capito?
Per esempio, ti dico: io sono di sinistra, io conosco la Costituzione, lo so che sulla Cospirazione c'è scritto che l'Italia “ripudia” la guerra. Non c'è scritto l'Italia ripudia la guerra, però in Libia, a marzo si può pure fa'... No no, c'è scritto: l'Italia ripudia la guerra. Io sono di sinistra, però se poi tutto il mondo va contro Gheddafi, pure noi dobbiamo anda' contro Gheddafi, capito?
Cioè, anche ai tempi di D'Alema siamo andati in Serbia... Pure Prodi era d'accordo per costruire la base militare americana di Vicenza... Bisogna essere realisti.
E poi, peraltro, io ti dico che io sono di sinistra, no? Però – per esempio - prima che ci fosse la guerra contro Gheddafi, io ero d'accordo col compromesso che era stato fatto con Gheddafi, capito? Perché? Perché io sono di sinistra, però Gheddafi c'ha il gas e a noi il gas ce serve... Cioè, voglio di', io so' de sinistra, ma se c'ho du' ova e mi voglio fare 'na frittata me serve il gas, non è che posso di' non uso il gas di Gheddafi perché so' de sinistra, me le faccio sbattute come faceva mi' nonna... Insomma, capito? So' de sinistra, ma a me piace la frittata.
Che poi, perlatro, c'è da dire che io sono di sinistra però oggettivamente Gheddafi un po' di 'sti africani ce li ha fermati. Cioè, ha evitato l'invasione, capito? Che poi qualcuno dica pure che l'ha fatto in maniera violenta, ma chi se ne frega, questo è un problema suo, no? Perché io so' di sinistra, però se vado dal meccanico gli chiedo di ripararmi la macchina, non è che mi arrabbio perché quello c'ha l'alito pesante, dice le parolacce, è una persona volgare... Quello è un problema suo, se è volgare, capito? A me l'importante è che mi cammini la macchina.
Che poi, guarda, io peraltro sono di sinistra, però... però... però... Io sono di sinistra, però... Però ti voglio dire che mo' vedrai quanti africani arriveranno in Italia senza Gheddafi. Non solo. Africani e africane, che fanno quel mestiere lì delle prostitute in mezzo alla strada, che io quando torno dalla Casilina che devo arrivare sulla Tusculana faccio via Palmiro Togliatti con mio figlio, capito? Seduto lì, il piccoletto, che si vede tutti 'sti culi africani di fuori, che non è un bel vedere. Che poi qualcuno mi dice: vabbé, che poi magari tuo figlio si scarica i film zozzi. Vabbé, ma quello è un fatto suo, capito? personale, invece son io che guido la macchina davanti a tutte 'ste africane.
Che poi guarda, io sono di sinistra, eh... Sono di sinistra, però quelli di sinistra che dicono tanto male delle escort, ma allora meglio le escort. Anche perché le escort il culo te lo fanno vede' solo se paghi, no su via Palmiro Togliatti, capito? E poi le escort so' anche personcine carine, presentabili, che se vai, che ne so, a cena fuori con un presidente di uno stato straniero, ci fai pure bella figura, capito?
Guarda, io sono di sinistra, eh... Di sinistra. Però mo', sinceramente, io non ci credo a 'sto fatto che quella poteva essere la nipote di Mubarak, questa è proprio 'na panzana. Però voglio dire, mo' il problema qual è? Che quella c'aveva diciassette anni? Cioè, è il numero delle candeline sulla torta? Il problema è quello? Se ce n'ha diciotto non c'era il problema? Che poi guarda, io ti dico... Io sono di sinistra eh, però lo stesso Indro Montanelli, il grande giornalista, che per altro detesto e che peraltro è pure contro Berlusconi, Montanelli l'ha detto, che quando stava al tempo del fascismo, in Africa, s'è comprata 'na femmina, capito? Se l'è comprata per tipo cinquecento lire e gli hanno dato pure un cammello e du' birre... Oh, quella c'aveva dodici anni! S'è comprata 'na femmina di dodici anni! Che poi gli hanno detto, ma tu sei pedofilo. Lui ha detto, ma no, guarda che le africane so fatte così, a dodici anni già so' donne. Figurati quella lì, Ruby, ce n'ha diciassette, sta proprio in menopausa, è già arrivata, capito?
Cioè voglio dire, io so' di sinistra... Guarda, io so' di sinistra però voglio di', quello è un fatto di razza, gli africani so' fatti così. Pure mio cugino, c'ha un cocker, quello a due anni, il cocker, l'ha fatto accoppiare, mo' che dico: mio cugino è pedofilo perché quello c'aveva solo du' anni? Che vuol dire? Quello è un cane... Che poi, vabbé, l'ha fatto accoppia' con un cocker, non è che l'ha fatto accoppiare con uno di settant'anni, però... però... però tanto di cappello che a settant'anni ancora gliela fai. Infatti io sono di sinistra, però quanto vorrei votare per uno che c'ha veramente le palle, capito? Non questi qua di sinistra. Perché guarda, io sono di sinistra, però se uno è di destra io lo rispetto, se è uno in gamba, capito? Perché guarda, io sono di sinistra, però per esempio, guarda Andreotti c'avrà avuto pure i processi per mafia, guarda, però era una persona elegante, con quell'ironia di Andreotti. Io sono di sinistra, però Mussolini ha fatto tante cose sbagliate, però tante cose anche giuste. Oh, lo diceva pure mia nonna. Che infatti mia nonna era di sinistra, proprio come me...

Noi siamo di sinistra, capito? Ma noi prima eravamo comunisti, siamo diventati capitalisti. Prima eravamo libertari, siamo diventati liberisti. Prima eravamo internazionalisti, mo' siamo diventati patriottici co' la bandiera tricolore. Dico, ma che altro dovemo fa'? E se qualcuno mi viene a dire che in questa maniera abbiamo perso tutti i nostri valori e di fatto siamo diventati di destra, beh... a me non interessa. Perché io sono di sinistra, però... me ne frego!

Ascanio Celestini


Ojalá


¿Obama probará, desde el gobierno, que sus amenazas guerreras contra Irán y Pakistán fueron no más que palabras, proclamadas para seducir oídos difíciles durante la campaña electoral?
Ojalá. Y ojalá no caiga ni por un momento en la tentación de repetir las hazañas de George W. Bush. Al fin y al cabo, Obama tuvo la dignidad de votar contra la guerra de Irak, mientras el Partido Demócrata y el Partido Republicano ovacionaban el anuncio de esa carnicería.
Durante su campaña, la palabra leadership fue la más repetida en los discursos de Obama. Durante su gobierno, ¿continuará creyendo que su país ha sido elegido para salvar el mundo, tóxica idea que comparte con casi todos sus colegas? ¿Seguirá insistiendo en el liderazgo mundial de los Estados Unidos y su mesiánica misión de mando? Ojalá esta crisis actual, que está sacudiendo los cimientos imperiales, sirva al menos para dar un baño de realismo y de humildad a este gobierno que comienza.
¿Obama aceptará que el racismo sea normal cuando se ejerce contra los países que su país invade? ¿No es racismo contar uno por uno los muertos invasores en Irak y olímpicamente ignorar los muchísimos muertos en la población invadida? ¿No es racista este mundo donde hay ciudadanos de primera, segunda y tercera categoría, y muertos de primera, segunda y tercera? La victoria de Obama fue universalmente celebrada como una batalla ganada contra el racismo. Ojalá él asuma, desde sus actos de gobierno, esa hermosa responsabilidad.
¿El gobierno de Obama confirmará, una vez más, que el Partido Demócrata y el Partido Republicano son dos nombres de un mismo partido? Ojalá la voluntad de cambio, que estas elecciones han consagrado, sea más que una promesa y más que una esperanza. Ojalá el nuevo gobierno tenga el coraje de romper con esa tradición del partido único, disfrazado de dos que a la hora de la verdad hacen más o menos lo mismo aunque simulen que se pelean.
¿Obama cumplirá su promesa de cerrar la siniestra cárcel de Guantánamo? Ojalá, y ojalá acabe con el siniestro bloqueo de Cuba.
¿Obama seguirá creyendo que está muy bien que un muro evite que los mexicanos atraviesen la frontera, mientras el dinero pasa sin que nadie le pida pasaporte? Durante la campaña electoral, Obama nunca enfrentó con franqueza el tema de la inmigración. Ojalá a partir de ahora, cuando ya no corre el peligro de espantar votos, pueda y quiera acabar con ese muro, mucho más largo y bochornoso que el Muro de Berlín, y con todos los muros que violan el derecho a la libre circulación de las personas.
¿Obama, que con tanto entusiasmo apoyó el reciente regalito de setecientos cincuenta mil millones de dólares a los banqueros, gobernará, como es costumbre, para socializar las pérdidas y para privatizar las ganancias? Me temo que sí, pero ojalá que no.
¿Obama firmará y cumplirá el compromiso de Kyoto, o seguirá otorgando el privilegio de la impunidad a la nación más envenenadora del planeta? ¿Gobernará para los autos o para la gente? ¿Podrá cambiar el rumbo asesino de un modo de vida de pocos que se rifan el destino de todos? Me temo que no, pero ojalá que sí. ¿Obama, primer presidente negro de la historia de los Estados Unidos, llevará
a la práctica el sueño de Martin Luther King o la pesadilla de Condoleezza Rice? Esta Casa Blanca, que ahora es su casa, fue construida por esclavos negros. Ojalá no lo olvide, nunca.

Eduardo Galeano





Obama proverà, dal governo, che le sue minacce guerriere contro l'Iran e il Pakistan non sono state altro che parole, proclamate per sedurre orecchie difficili durante la campagna elettorale?
Magari. E magari non cadesse nemmeno per un momento nella tentazione di ripetere le imprese di George W. Bush. In fin dei conti, Obama ha avuto la dignità di votare contro la guerra in Iraq mentre il partito democratico e il partito repubblicano applaudivano l'annuncio di quella macelleria. Durante la sua campagna, la parola leadership è stata la più ripetuta nei discorsi di Obama.
Durante il suo governo continuerà a credere che il suo paese è stato eletto per salvare il mondo, venefica idea che condivide con quasi tutti i suoi colleghi? Continuerà a insistere nella leadership mondiale degli Stati uniti e nella loro messianica missione di comando? Magari la crisi attuale, che sta scuotendo le imperiali fondamenta, servisse almeno per far fare un bagno di realismo e di umiltà a questo governo che inizia.
Obama accetterà che il razzismo sia normale quando venga esercitato contro i paesi che il suo paese invade? Non è razzismo contare uno a uno i morti invasori in Iraq e olimpicamente ignorare i moltissimi morti nella popolazione invasa? Non è razzista questo mondo dove esistono cittadini di prima, seconda e terza categoria, e morti di prima, seconda e terza? La vittoria di Obama è stata universalmente celebrata come una battaglia vinta contro il razzismo. Magari si assumesse, con le azioni del suo governo, questa magnifica responsabilità.
Il governo di Obama confermerà una volta di più che il partito democratico e il partito repubblicano sono due nomi dello stesso partito? Magari la volontà di cambiamento, che queste elezioni hanno consacrato, fosse più che una promessa e più di una speranza. Magari il nuovo governo avesse il coraggio di rompere con questa tradizione del partito unico, camuffato da due che al momento della verità fanno più o meno lo stesso, anche se simulano di scontrarsi.
Obama manterrà la promessa di chiudere il sinistro carcere di Guantanamo? Magari, e magari finisse il sinistro embargo a Cuba.
Obama continuerà a credere che va benissimo che un muro eviti ai messicani di passare la frontiera, mentre il denaro passa senza che nessuno gli chieda il passaporto? Durante la campagna elettorale, Obama ha affrontato con franchezza il tema dell'immigrazione. Magari a partire da ora, quando non corre più il rischio di spaventare i voti, potesse e volesse farla finita con questo muro, molto più lungo e oppressivo di quello di Berlino e di tutti i muri che violano il diritto alla libera circolazione delle persone.
Obama, che con tanto entusiasmo ha appoggiato il recente regalino di settecentocinquanta miliardi di dollari ai banchieri, governerà, come è costume, per socializzare le perdite e per privatizzare i profitti? Ho paura di sì, però magari no.
Obama firmerà e rispetterà l'accordo di Kyoto o continuerà a concedere il privilegio dell'impunità alla nazione più avvelenatrice del pianeta? Governerà per le automobili o per la gente? Potrà cambiare il cammino assassino di un modo di vita di pochi che si giocano il destino di tutti? Ho paura di no, però magari sì.
Obama, il primo presidente nero della storia degli Stati uniti, metterà in pratica il sogno di Martin Luther King o l'incubo di Condoleezza Rice? Questa Casa Bianca, che ora è casa sua, venne costruita da schiavi negri. Magari non lo dimenticasse, mai.

Eduardo Galeano

Los Caminos de la Otra



En agosto del 2003 nacen los Caracoles zapatistas y, con ellos, las llamadas Juntas de Buen Gobierno. Se avanzó entonces en la separación tendencial entre el aparato político-militar del EZLN y las estructuras civiles de los pueblos zapatistas. En forma paralela se trabajó en la estructuración de la cadena de mando y se afinaron los detalles para la defensa y resistencia ante un eventual ataque militar. Los primeros pasos para la Sexta Declaración y lo que después sería La Otra Campaña se estaban dando...

1. - ¿Sol@s? - Durante la segunda mitad del 2004, el EZLN publica, en una serie de escritos, el fundamento de su posición crítica frente a la clase política y “manda” señales de por dónde va el asunto. Para el inicio del año del 2005 las premisas sobre las que se construiría la Sexta Declaración estaban listas.
La contienda electoral tenía tiempo que se había adelantado. Se presentaban entonces 3 posibles caminos para el EZLN: incorporarse a la “ola” lopezobradorista haciendo caso omiso de las señales y datos que teníamos sobre su verdadera tendencia (o sea, siendo nosotros inconsecuentes); mantenerse en silencio y esperar a ver qué ocurría con el proceso electoral; o lanzar el proyecto que estábamos preparando.
La decisión no le correspondía tomarla a la dirección zapatista, sino a las comunidades. Así que se empezó a preparar lo que más adelante sería la alerta roja, la consulta interna y, dependiendo de su resultado, la Sexta Declaración.
El antecedente inmediato de la Sexta fue el texto llamado “La Imposible Geometría del Poder”. Viene después la alerta roja, que algunos interpretaron como el anuncio de una ofensiva zapatista o como una “respuesta” a los constantes patrullajes militares. No fue ni una cosa ni otra, sino la prevención frente a una acción militar enemiga… alentada por los ataques mediáticos de la intelectualidad progresista que, desencantada de que no la acompañáramos en sus loas a AMLO – y de que no nos quedáramos callados -, nos atacaba ya sin miramiento alguno.
Se consulta la Sexta en los pueblos zapatistas y éstos deciden y dicen: “estamos dispuestos, aunque quedemos solos”. Es decir, a recorrer sol@s el país, escuchar a la gente de abajo, levantar con esa gente el Programa Nacional de Lucha para transformar nuestra patria y crear un nuevo acuerdo, una nueva Constitución. Para eso nos habíamos preparado por 3 años: para quedarnos sol@s.
Pero no fue así.
Pronto la Sexta Declaración empezó a recibir adhesiones. De todo el país llegaron comunicaciones que demostraban que la Sexta no sólo fue entendida y aceptada, también que much@s la hacían suya. Día a día, la Sexta creció y se hizo nacional.

2. - Los primeros pasos... y roces - Como ya explicamos antes, habíamos previsto un proceso largo. Nuestra idea era convocar a una serie de encuentros iniciales para irnos conociendo entre quienes abrazábamos la causa y el camino. Y estos encuentros debían ya marcar una diferencia con los que se habían dado en otras ocasiones. Ahora el oído zapatista debía tener un lugar primordial.
Iniciamos las reuniones con la de organizaciones políticas, para señalarles el lugar que les reconocíamos. Después con pueblos y organizaciones indígenas, para remarcar que no abandonábamos nuestra lucha, sino que la englobábamos en una más grande. Luego con organizaciones sociales, reconociendo un terreno donde el otro había construido su historia. Más luego, con ong´s, grupos y colectivos de diverso tipo que eran quienes se habían mantenido cerca nuestro. Después con familias e individuos, y así decir que para nosotr@s contaban tod@s, no importa su tamaño o número. Y al final, con l@s otr@s, es decir, reconocer que nuestra visión de afuera podía ser limitada (como es de por sí).
En julio, agosto y septiembre del 2005 se realizan las llamadas “reuniones preparatorias”. En ellas cumplimos nuestra palabra, escuchamos con atención y respeto TODO lo que se dijo, incluidos reproches, críticas, amenazas... y mentiras (aunque entonces no sabíamos que eran mentiras).
Hace un año, el 16 de septiembre del 2005, con la presencia de la hoy finada Comandanta Ramona, la dirección del EZLN hizo entrega formal de la autodenominada “Otra Campaña” al conjunto de l@s adherentes; informó que participaría en el movimiento, además de con las comunidades zapatistas, con una delegación (llamada “Comisión Sexta”) de su dirección; y anunció la “salida” del primer explorador, el delegado número zero (para indicar que seguirían otr@s delegad@s después), con la misión de conocer y escuchar, en todo el país, a tod@s l@s ya compañer@s que no habían podido asistir a las reuniones preparatorias, y para explorar las condiciones en las que realizaría su trabajo constante la Comisión Sexta.
En esa primera plenaria, el EZLN propone que se cumpla con el propósito de la Sexta de construir otra forma de hacer política y se tome en cuenta la palabra de tod@s, sin importar si han asistido o no a las reuniones.
También en esa reunión se dan los primeros intentos de algunas organizaciones para incorporar a La Otra Campaña a la lista de membretes que forman la “Promotora”, el “Frentote” y el llamado “Diálogo Nacional”. Frente a esa posición, el EZLN propuso que ahí no se decidiera nada. Que se argumentara y discutiera, pero que no se tomaran decisiones SIN LA PARTICIPACIÓN DE TOD@S L@S ADHERENTES. Quienes apostaban a que en asambleas se decidiera lo fundamental, con la ausencia de la gran mayoría de l@s adherentes, tuvieron su primer contratiempo cuando se acordó que los llamados “6 puntos” se fueran a discusión de tod@s en todo el país. Después, en reuniones posteriores a esa primera plenaria, el EZLN fue tomando distancia de esas organizaciones por la manipulación que pretendían ejercer.
Las direcciones de esas pocas organizaciones, grupos y colectivos no fueron honestas. Como se vería después, apostaban a meterse al movimiento para dirigirlo, para reventarlo... o para negociar una mejor posición en el “mercado” en que se estaba convirtiendo el movimiento en torno a AMLO. Estaban tan seguros de que sería presidente... bueno, presidente oficial, que sentían que se les iba el tren (del presupuesto) y ni boleto tenían. Y la Otra era la mercancía a intercambiar por prebendas, candidaturas y puestos.

3. - Los primeros problemas - También en esa plenaria se vio que había un desequilibrio: los grupos y colectivos (que encuentran en la asamblea su modo natural de discutir y decidir) tenían amplia ventaja sobre las organizaciones políticas y sociales, sobre familias e individu@s... y sobre los pueblos indios.
Debemos decir en este punto que la mayoría de adherentes a la Sexta Declaración son indígenas (y eso sin contar a l@s zapatistas). Si no se refleja en actos y reuniones, es porque los pueblos indios tienen otros espacios de participación, y de lucha, menos “visibles”. Por ahora baste decir que si se reunieran, en una ocasión y lugar, tod@s l@s adherentes, habría (en un cálculo muy conservador) una proporción de 10 indígenas para cada persona de otra organización política, social, ong, grupo, colectivo, familia o individu@. Ojala y se pudiera, los pueblos indios enseñarían entonces, a tod@s, que no usamos el “yo”, sino el “nosotros”, para nombrarnos y para ser quienes somos.
Vimos todo esto y algunas cosas más (por ejemplo, que no había un mecanismo de toma de decisiones, ni un espacio para el debate; que los grupos y colectivos querían imponer su modo a las organizaciones políticas y sociales, y viceversa) pero no nos preocupamos. Pensábamos que lo primero era conocernos tod@s y, ya después, entre tod@s definir el perfil, entonces todavía incompleto, de la Otra.

4. - Los plazos - Según nuestra idea, iniciar la Otra y “salir” al primer recorrido en tiempo electoral tenía varias ventajas. Una era que, dada nuestra posición anti clase política, no seríamos “atractiv@s”, en los templetes y reuniones, para quienes estaban, y están, en la pista electoral. El ir a contrapelo de los “bien pensados” exhibiría a quienes se acercaron antes al EZLN sólo para tomarse la foto, y l@s llevaría a evitarnos y a deslindarse del neozapatismo (con libros, declaraciones... y candidaturas).
Otra no menos importante era que, como íbamos a escuchar a l@s de abajo, la palabra de las otras luchas se haría visible, y así se haría palpable también su historia y su trayectoria. Entonces, el “mostrarse” en la Otra sería también “mostrarse” para la represión de caciques, gobierno, empresarios y partidos. Según nosotros, el que fuera en época electoral elevaría el “costo” de una acción represiva y disminuiría la vulnerabilidad de las luchas y organizaciones pequeñas. Una ventaja más era que, absorbidos como estaban allá arriba en lo electoral, nos dejarían en paz para nuestro proyecto y el neozapatismo dejaría de ser una moda a modo.

Bueno, entonces pensamos en los siguientes plazos:

- 6 meses de gira de exploración y conocimiento por todo el país (de enero a junio del 2006). Al terminar, informe a toda La Otra: “est@s somos, estamos aquí, ésta es nuestra historia”; dejar pasar el proceso electoral y preparar el siguiente paso.

- Después, una siguiente etapa para profundizar el conocimiento y crear los medios de comunicación y apoyo (la red) entre l@s adherentes para apoyarnos y defendernos entre todos (ya con la participación de más delegad@s de la Comisión Sexta, -septiembre del 2006 a finales del 2007-, con intermedios para informar y relevar a l@s delegad@s).

- Más luego, la exposición, el debate y la definición del perfil de La Otra según tod@s sus adherentes, no sólo el EZLN (todo el año del 2008).

- Para el 2009, 3 años después de iniciada, La Otra podría presentarse ya ante nuestro pueblo con un rostro y voz propios, construidos por tod@s. Entonces sí, a levantar el Programa Nacional de Lucha, de izquierda y anticapitalista, con y por l@s de abajo.

Recordemos que, según nuestro análisis, para ese año se acabaría el “sueño lopezobradorista”. Entonces nuestra patria no tendría la desilusión, el desánimo y la desesperanza como único futuro, sino que habría “otra cosa”...

5. - Los pasos hasta Atenco: ¿ser compañer@s? - Inició entonces la gira... y pasó lo que pasó. El dolor que habíamos intuido no se comparaba ni de lejos con el que íbamos encontrando, escuchando y conociendo a nuestro paso. Gobiernos de todos los partidos políticos (incluyendo a los de supuesta “izquierda” – PRD, PT y Convergencia -) aliados con caciques, terratenientes y empresarios para despojar, explotar, despreciar y reprimir a ejidatarios, comunidades indígenas, pequeños comerciantes y ambulantes, trabajador@s sexuales, obreros, empleados, maestros, estudiantes, jóven@s, mujeres, niños, ancianos; para destruir la naturaleza, para vender la historia y la cultura; para fortificar un pensamiento y actuar intolerantes, excluyentes, machistas, homofóbicos y racistas. Y nada de eso aparecía en los grandes medios de comunicación.
Pero si el México de abajo que íbamos encontrando destilaba un dolor indignante, las rebeldías organizadas que iban apareciendo, y uniéndose, develaban y (desvelaban) “otro” país, uno en ebullición, en lucha, en construcción de alternativas propias.
Si en sus primeros pasos, el recorrido de la Comisión Sexta fue visto, con la torpeza del que sólo mira hacia arriba, como “un buzón ambulante de quejas”, pronto se transformó y la palabra del otro, de la otra, fue adquiriendo el tamaño que el silencio de los de arriba había disimulado hasta entonces. Historias asombrosas de heroísmo, dedicación y sacrificio para resistir la destrucción que viene de arriba, tuvieron oído y eco en l@s demás adherentes honestos.
Llegamos así al Estado de México y al DF con un cargamento que incluía a lo mejor de todos los colores que abajo luchan. El calendario marcó el 3 y 4 de mayo del 2006, y el dolor y la sangre pintaron al pueblo de Atenco y a l@s compas de la Otra Campaña.
Dando una verdadera lección de lo que es ser compañer@s en La Otra, el Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra, de Atenco, se movilizó para apoyar a compas de Texcoco. El gobierno municipal (PRD) fingió dialogar y negociar, mientras llamaba a la policía estatal (PRI) y a la federal (PAN) para reprimir. Los partidos más representativos de la clase política, PRD-PRI-PAN, conjuntaron fuerzas para golpear a La Otra. Alrededor de 200 compas fueron agredid@s, golpead@s, torturad@s, violad@s y encarcelad@s. Un menor de edad, Javier Cortés Santiago, fue asesinado por la policía. Nuestro joven compañero Alexis Benhumea Hernández, adherente a La Otra y estudiante de la UNAM, después de una larga agonía, murió también asesinado.
La mayoría reaccionamos y emprendimos acciones de solidaridad y apoyo, de denuncia y presión. Con un mínimo de decencia y compañerismo, detuvimos la gira de la Comisión Sexta del EZLN y nos dedicamos, primero, a contrarrestar la campaña de desprestigio y mentiras que, en los medios masivos de comunicación, se hacía en contra del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra (lo que ofendió a algun@s compas de medios alternativos); después a actividades que recaudaran fondos para l@s pres@s, y a actos para exponer la verdad sobre lo ocurrido.
Al contrario de la mayoría de La Otra, algunas organizaciones sólo se preocuparon y movilizaron mientras tuvieron militantes suyos presos, o mientras los actos eran llamativos. Cuando sus compañeros salieron libres y Atenco “pasó de moda”, dejaron caer la demanda que exigía la libertad y la justicia para l@s demás pres@s. Tiempo después serían los primeros en correr a instalarse en el plantón de AMLO en el Zócalo y Reforma. Lo que no hicieron por Atenco, lo hicieron por López Obrador… ¡porque con él estaban “las masas”!... bueno, también los reflectores.
Otras organizaciones se dedicaron a aprovechar la coyuntura para, mañosamente, tratar de imponer a La Otra una política de alianzas con quienes estaban, y están, mirando hacia arriba. Con el pretexto de “tenemos que unirnos tod@s en la lucha por l@s pres@s”, pretendieron (manipulando asambleas plenarias) imponer acuerdos que ataban a La Otra al cálculo electorero de organizaciones de amarillo abierto o vergonzante. Y no sólo, se dedicaron a sembrar la discordia y la división, diciendo que el EZLN quería imponerle al pueblo de Atenco una política de alianzas sectaria. Pero fracasaron.
Alguna otra organización, con algun@s compañer@s, se dedicaron a decir que l@s pres@s no saldrían pronto, que no había por qué dedicar tanto esfuerzo a eso, que “alguien” (que no fueran ell@s, por supuesto) se encargara del asunto, que La Otra siguiera y que la Comisión Sexta del EZLN había cometido un error al detener su viaje, que había sido una decisión “unilateral”, y que mejor continuara su recorrido… para llegar a los lugares donde tenían trabajo político o les interesaba hacerlo.
Pero la actitud de est@s “compañer@s” fue superada por la actividad solidaria de la mayoría de La Otra. En todo México, y en más de 50 países del mundo, la demanda por la libertad y la justicia para l@s pres@s de Atenco resonó con muchos colores.

6. - Indios versus mestizos y provincia versus DF - Si el EZLN había previsto para La Otra un paso pausado y alargado (con una o dos plenarias por año), en los meses de mayo y junio del 2006 hubo hasta 4 plenarias, todas en el D.F., puesto que ahí se concentraron buena parte de las actividades para Atenco.
Y en esas reuniones, los “profesionales de las asambleas” maniobraron para convertirlas en instancias de decisión, sin importar que eso hacía a un lado uno de los propósitos esenciales de la Sexta: tomar en cuenta a tod@s. Convocadas para lo de Atenco, las asambleas quisieron ser manipuladas por algunas organizaciones, grupos y colectivos, primordialmente del D.F., para tomar decisiones y definiciones… que les convenían a ell@s. Y esa lógica se generalizó.
Algunas discusiones y decisiones eran, por decir lo menos, ridículas. Por ejemplo, en una de las plenarias, alguien que tiene trabajo cultural con la lengua náhuatl, propuso que el náhuatl fuera el idioma oficial en el país y que se le entregara al EZLN (que está formado, en un 99.99% por indígenas que hablan lenguas de raíz maya) el documento. La asamblea votó por aclamación que sí. De esta forma, la plenaria de La Otra decidía tratar de imponer lo que no habían podido lograr los aztecas, los españoles, los gringos, los franceses, los etcéteras, y todos los gobiernos desde la época de la Colonia: despojar a las comunidades zapatistas de su lengua original... que no es el náhuatl. En una asamblea posterior, la mesa pretendía poner a discusión si los pueblos indios eran un sector o no... sin que l@s compañer@s indígenas hubieran dicho nada. Después de 500 años de resistencia y lucha, y a 12 años del alzamiento armado zapatista, la asamblea iba a discutir qué eran los pueblos indios… sin darles la palabra.
Si la represión en Atenco nos obligó a responder organizadamente como movimiento, el vacío creado por la falta de definiciones básicas (como el lugar del debate, y la forma y modo de la toma de decisiones) corre el peligro de ser llenado por las propuestas y “modos” de quienes se diferencian del resto de adherentes, no sólo en que pueden estar presentes en las asambleas, también en que pueden aguantar horas y horas esperando el momento oportuno (o sea, cuando van a ganar) de votar su propuesta... o el de reventar la votación con “mociones” (cuando van a perder).
En una asamblea vale el que habla, no el que trabaja. Y el que habla castilla. Porque si sólo habla lengua indígena, los “españolistas” aprovechan para ir al baño, comer o dormitar. L@s zapatistas hemos revisado la Sexta y en ningún punto se dice que, para ser adherente, hay que saber español... u oratoria. Pero, en las asambleas, la lógica de esas organizaciones, grupos y colectivos así lo ha estado imponiendo.
Y hay más. En esas asambleas se votaba a mano alzada. Y da la casualidad que, como son en un punto geográfico (digamos el DF), La Otra en estados y regiones envía delegados con el pensamiento que acordaron los adherentes de esos lugares. Pero a la hora de votar, esto no se tomaba en cuenta. Para la asamblea valía igual el voto de un delegado estatal o regional, que el de uno que era parte de un grupo o colectivo. Y había compañer@s que tenían que viajar días enteros para llegar a la asamblea, pero ésta establecía que debía sujetarse a los mismos 3 minutos de intervención que tenía una persona que había llegado en metro a la sede de la reunión. Y, si el delegado estatal o regional tenía que marcharse porque le esperaban días de camino para llegar a su tierra, y no podía quedarse hasta el final de la asamblea (cuando la mesa - como en la plenaria del 1 de julio - estaba votando resolutivos con puros adherentes del D.F. - agolpados en la puerta porque ya estaban apagando las luces del local -), pues ni modos. Y si el resolutivo estaba acordando que habría otra asamblea en 15 días, ahí en el DF, y el o la compa era delegad@ de una comunidad indígena, pues que le apurara a llegar a su pueblo y le impusiera el tiempo de la ciudad a un pueblo indio que entró a La Otra porque pensó que era el lugar donde sería respetado su modo... y su tiempo.
Las acciones y actitudes de esos grupos y colectivos (que son minoritarios en la Otra del DF y nacional, pero hacen bulla como si fueran mayoritarios), provocó la aparición de dos tendencias que son visibles dentro de La Otra:

- Que algun@s compas de provincia identifiquen a l@s defeños con esa forma autoritaria (disfrazada de “democrática”, “antiautoritaria” y “horizontal”) y gandalla de participar, discutir y tomar acuerdos. Sin ser parte de esa forma de “reventar” las reuniones, la mayoría de l@s compas del DF es incluida como objeto de repudio.

- Que compas del Congreso Nacional Indígena identifiquen los desprecios y torpezas de esos grupos como “modo” de todos los mestizos. Porque si alguien sabe estar, discutir y acordar en una asamblea, son los pueblos indios (y rara vez llegan a votar para ver quién gana). Otra injusticia, porque la inmensa mayoría de l@s no indígenas de la Otra respetan a los indígenas.

Ambas tendencias son injustas y falsas. Pero el problema está, pensamos l@s zapatistas, en que las asambleas permiten ese engaño, a saber, que algunos grupos, colectivos u organizaciones presenten como de tod@s, o de la mayoría, sus modos sucios y deshonestos de discutir y acordar.
No. L@s zapatistas pensamos que las asambleas son para informar y, en todo caso, para discutir y acordar cuestiones operativas, no para discutir, acordar y definir.
Pensamos también que fue un error nuestro, del EZLN, el no haber abordado desde un principio de La Otra lo de la definición de los espacios y mecanismos para la información, el debate y la toma de decisiones. Pero señalar y reconocer nuestras deficiencias como organización y como movimiento no resuelve los problemas. Siguen faltando esas definiciones básicas. Sobre esto, sobre los llamados “6 puntos”, haremos una propuesta en el capítulo final de estas reflexiones.

7. - Otro “problema” - Ha sido señalada por algunos colectivos y personas la crítica al “protagonismo” y “autoritarismo” del Sup. Comprendemos que algun@s se sientan ofendidos por la presencia de un militar (aunque sea “otro”) en La Otra, puesto que es la imagen de la verticalidad, el centralismo y el autoritarismo. Dejando de lado que estas personas “se saltan” lo que el EZLN y su lucha representan para millones de mexican@s y de personas en todo el mundo, les decimos que no hemos “usado”, en beneficio propio, la autoridad moral que se han ganado nuestros pueblos en más de 12 años de guerra. En nuestras participaciones en La Otra, hemos defendido con lealtad a quienes la integran... aunque no estemos de acuerdo en sus símbolos y posiciones.
Con nuestra voz hemos defendido la hoz y el martillo de l@s comunistas, la @ sobre fondo negro de anarquistas y libertarios, a l@s skinheads, a l@s punks, a l@s darket@s, a la banda, a la raza, a l@s autogestionari@s, a l@s trabajador@s sexuales, a quienes promovían la abstención electoral o la anulación del voto o que no importara si se votaba o no, al trabajo de los medios alternativos, a quienes usan y abusan de la palabra, a l@s intelectuales que están en La Otra, al trabajo político silencioso pero efectivo del Congreso Nacional Indígena, al compañerismo de organizaciones políticas y sociales que, sin alardear, han puesto TODO lo que tienen en La Otra y en la lucha por la libertad y la justicia para l@s pres@s de Atenco, al libre ejercicio de la crítica, a veces soez y altanera (como la que se hace a organizaciones sociales y políticas del DF que ponen el espacio, las sillas y el equipo de sonido para actos y reuniones de La Otra, y por eso se les acusa... ¡de protagonismo!), o, no pocas veces, fraternal y compañera.
Y también hemos recibido, contra nosotr@s, verdaderas estupideces, disfrazadas de “críticas”. No hemos respondido a ellas... todavía. Pero las hemos diferenciado de las que se hacen, honestas, para señalar nuestros errores y hacernos mejores.

8. - Tendencias frente a la movilización postelectoral de AMLO - El fraude electoral perpetrado en contra de López Obrador, produjo, entre otras cosas, el surgimiento de una movilización. Nuestra posición frente a esto la diremos después. Ahora señalamos algunas de las posiciones que, según hemos visto, se presentan en La Otra Campaña:
- Está la posición deshonesta y oportunista de algunas, pocas, organizaciones políticas de izquierda. Ellas sostienen que estamos ahora frente a un momento histórico y pre-insurreccional (un parte aguas, mano, y con esta lluvia lo que se necesita es un paraguas), pero que AMLO no es un líder que sabrá conducir a las masas al asalto del palacio de invierno... bueno, de palacio nacional. Pero para eso están las vanguardias concientes por quienes esperan y suspiran las masas que ahora convoca el perredista.
Entonces se sumaron al plantón y a las movilizaciones lopezobradoristas “para crear conciencia en las masas”, “arrebatar” el movimiento a esa dirección “reformista” y “claudicante”, y llevar la movilización “a un estadio superior de lucha”. Tan pronto juntaron sus dineritos, declararon “muerta y difunta” a La Otra Campaña (¿Marcos? ¡bah!, un cadáver político), se compraron su carpa o tienda de campaña y se instalaron en el plantón de Reforma. Ahí llamaron a juntar víveres.
No, no para l@s compas que, en condiciones heroicas, mantienen el plantón de Santiaguito en apoyo a l@s pres@s de Atenco, sino para el plantón lopezobradorista.
Ahí organizaron conferencias y mesas redondas, y distribuyeron volantes y periódicos “revolucionarios” con “profundos” análisis sobre la coyuntura, la correlación de fuerzas y el surgimiento de frentes de masas, coaliciones populares… ¡y más promotoras y diálogos nacionales! ¡Hurra! ¡Sííííííí!
Y, bueno, ahí esperaron pacientemente a que las masas se dieran cuenta de su error (de las masas, claro) y aclamaran su claridad y determinación (de esas organizaciones, claro), o a que López Obrador, o Manuel Camacho, o Ricardo Monreal, o Arturo Núñez acudieran a ellos en busca de consejo, orientación, apoyo, d-i-r-e-c-c-i-ó-n,... pero nada.
Después asistieron impacientes a la CND para aclamar y proclamar a AMLO como presidente legítimo.
Ahí mismo aceptaron sin chistar la dirección y el control político de, entre otros “insignes” “revolucionarios”: Dante Delgado, Federico Arreola, Ignacio Marván, Arturo Nuñez, Layda Sansores, Ricardo Monreal y Socorro Díaz (si encuentra alguno que no haya sido priísta, se ganará un premio), es decir, los pilares fundamentales de la “nueva” república, la “nueva” generación del futuro “nuevo” partido político (¡chin! ¿me estoy adelantando?).
Las masas se fueron ahora a sus casas, a sus trabajos, a sus luchas, pero estas organizaciones sabrán esperar el momento oportuno... ¡y le arrebatarán a López Obrador la dirección del movimiento! (¡já!)
Lo que sea de cada quién, ¿a poco no son conmovedoras?
- También está, dentro de La Otra, una tendencia honesta que se encuentra preocupada sinceramente por el “aislamiento” que pudiera representar el no sumarse a la movilización de AMLO. Suponen que es posible apoyar la movilización, sin que eso represente apoyar al perredista. Ell@s analizan que hay ahí gente de abajo, y que hay que acercarse a ella porque nuestro movimiento es con y para l@s de abajo, y porque si no lo hacemos habremos de pagar un alto costo político.

9. - La Otra realmente existente - Y está la tendencia que, según lo que hemos visto y escuchado, es la mayoritaria dentro de La Otra Campaña. Esta posición (que es también la nuestra como zapatistas), sostiene que la movilización lopezobradorista no es nuestra pista y que hay que seguir mirando abajo, creciendo como La Otra, sin buscar a quien dirigir y mandar, ni suspirar por quien nos mande y dirija.
Y esta posición sostiene claramente que no han cambiado las consideraciones que alientan a la Sexta Declaración, es decir, nacer y crecer un movimiento desde abajo, anticapitalista y de izquierda.
Porque, fuera de esos problemas que detectamos y señalamos, y que se localizan y focalizan en algun@s compas dispersos en varios puntos del país (no sólo en el DF) y en esas pocas organizaciones (que, ahora lo sabemos y entendemos, nunca han estado ni estarán sino donde hay masas… esperando a una vanguardia), La Otra en todo el país sigue su andar y no abandona ni su camino ni su destino.

Es La Otra de las presas y presos polític@s de Atenco, la de Ignacio Del Valle, Magdalena García, Mariana Selvas y todos los nombres y rostros de esa injusticia.

Es La Otra de tod@s l@s pres@s polític@s en Guanajuato, Tabasco, Chiapas, Oaxaca, Puebla, Hidalgo, Jalisco, Guerrero, Estado de México, y en todo el país; La Otra de Gloria Arenas y Jacobo Silva Nogales.

Es La Otra del Congreso Nacional Indígena (región Centro-Pacífico), que extiende sus contactos a las penínsulas de Yucatán y de Baja California, y al noroeste, y crece.

Es La Otra que en Chiapas florece sin perder identidad y raíz, logra organizar y articular zonas y luchas que habían permanecido separadas, y avanza en la explicación y definición de la otra lucha de género.

Es La Otra que en grupos y colectivos culturales y de información sigue demandando la libertad y la justicia para Atenco, que fortalece sus redes, que arranca músicas para otros oídos y baila con otros pies.

Es La Otra que en el plantón de Santiaguito se mantiene y se convierte en una luz y un mensaje para nuestr@s compañer@s pres@s: “no l@s olvidamos, l@s sacaremos”.

Es La Otra que en organizaciones políticas de izquierda y sociales anuda más sus relaciones y compromisos con una nueva forma de hacer política.

Es La Otra que en los estados del norte de México, y al otro lado del río Bravo, no se detuvo a esperar a la Comisión Sexta y siguió trabajando.

Es La Otra que en Morelos, Tlaxcala, Querétaro, Puebla, la Huasteca Potosina, Nayarit, Estado de México, Michoacán, Tabasco, Yucatán, Quintana Roo, Veracruz, Campeche, Aguascalientes, Hidalgo, Guerrero, Colima, Jalisco, el Distrito Federal, aprende a decir “nosotr@s” luchando.

Es La Otra que en Oaxaca hace crecer, abajo y sin protagonismos, el movimiento que ahora asombra a México.

Es La Otra de l@s jóven@s, las mujeres, l@s niñ@s, l@s ancian@s, los homosexuales, las lesbianas.

Es La Otra del pueblo de Atenco.

Es La Otra, algo de lo mejor que han parido estas tierras mexicanas.

(Continuará...)

Por el Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional.
Comisión Sexta del EZLN.

Subcomandante Insurgente Marcos




Nell’agosto del 2003 nascono i Caracoles zapatisti e, con loro, le cosiddette Giunte di Buon Governo. Si procedette quindi alla separazione tra l’apparato politico-militare dell’EZLN e le strutture civili delle comunità zapatiste. Parallelamente si lavorò alla strutturazione della catena di comando e si affinarono i dettagli per la difesa e la resistenza davanti ad un eventuale attacco militare. Si stavano facendo i primi passi per la Sesta Dichiarazione e quello che poi sarebbe stata L’Altra Campagna.

1. - Soli? – Nella seconda metà del 2004, l’EZLN pubblica, in una serie di scritti, il fondamento della sua posizione critica rispetto alla classe politica e “manda” segnali rispetto a dove sta andando. Per l’inizio dell’anno 2005 le premesse sulle quali si sarebbe costruita la Sesta Dichiarazione erano pronte.
La contesa elettorale si stava avvicinando. Si presentavano allora tre possibili strade per l’EZLN: unirsi alla “ondata” lopezobradorista ignorando i segnali ed i dati che avevamo sulla sua vera tendenza (cioè, essendo incoerenti); restare in silenzio ed aspettare di vedere che cosa succedeva con le elezioni; o lanciare il progetto che stavamo preparando.
La decisione non spettava alla direzione zapatista, ma alle comunità. Così si cominciò a preparare quello che più avanti sarebbe stata l’allerta rossa, la consultazione interna e, in base al suo risultato, la Sesta Dichiarazione.
Il precedente immediato alla Sesta è stato il testo dal titolo “L’Impossibile Geometria del Potere”. Poi arriva l’allerta rossa che alcuni hanno interpretato come l’annuncio di un’offensiva zapatista o come una “risposta” ai costanti pattugliamenti militari. Non era né una cosa né l’altra, ma la misura preventiva di fronte ad un’azione militare nemica... incoraggiata dagli attacchi mediatici dell’intellighenzia progressista che, delusa che non l’accompagnassimo nelle sue lodi ad AMLO – e che non ce ne stessimo in silenzio – ci attaccava ormai senza alcun ritegno.
La Sesta viene sottoposta alle comunità zapatiste e queste decidono e dicono: “Siamo pronti anche se rimaniamo soli”. Cioè, a percorrere da soli il paese, ascoltare la gente del basso, realizzare con quella gente il Programma Nazionale di Lotta per trasformare la nostra patria e creare un nuovo accordo, una nuova Costituzione. A questo ci eravamo preparati per tre anni: a rimanere soli.
Ma non è stato così.
La Sesta Dichiarazione cominciò subito a ricevere adesioni. Da tutto il paese arrivarono comunicazioni che dimostravano che la Sesta non solo era compresa ed accettata, ma anche che molt@ la facevano propria. Giorno per giorno, la Sesta crebbe e diventò nazionale.

2. – I primi passi... e frizioni. – Come abbiamo già spiegato in precedenza, avevamo previsto un processo lungo... La nostra idea era di convocare una serie di incontri iniziali per cominciare a conoscerci tra di noi che abbracciavamo la causa e la strada. E questi incontri dovevano già segnare una differenza rispetto ad altri svolti in altre occasioni. Ora l’ascoltare zapatista doveva avere un luogo di primaria importanza.
Iniziammo le riunioni con le organizzazioni politiche, per indicare loro il posto che gli riconoscevamo. Poi con popoli ed organizzazioni indigene, per rimarcare che non abbandonavamo la nostra lotta ma la inglobavamo in una più grande. Quindi con organizzazioni sociali, riconoscendo un terreno dove l’altro aveva costruito la sua storia. Più avanti, con ONG, gruppi e collettivi di diverso tipo che erano quelli che si erano mantenuti vicini a noi. Poi con famiglie e singoli individui, per dire così che per noi contavano tutt@, non importa la loro dimensione o numero. Ed alla fine, con le/gli altr@, cioè, riconoscere che la nostra visione dell’esterno poteva essere limitata (come di fatto lo è).
A luglio, agosto e settembre del 2005 si sono svolte le cosiddette “riunioni preparatorie”. In queste abbiamo mantenuto la nostra parola, abbiamo ascoltato con attenzione e rispetto TUTTO quello che si è detto, compresi i rimproveri, le critiche, le minacce... e le bugie (anche se allora non sapevamo che erano bugie).
Un anno fa, il 16 settembre 2005, alla presenza della scomparsa Comandante Ramona, la direzione dell’EZLN consegnò formalmente l’autodenominata “Altra Campagna” all’insieme de@ aderenti; informò che avrebbe partecipato al movimento, oltre che con le comunità zapatiste, con una delegazione (chiamata “Commissione Sesta”) della sua direzione; ed annunciò “l’uscita” del primo esploratore, il delegato numero zero (per indicare che poi sarebbero seguiti altr@ delegat@) con il compito di conoscere ed ascoltare, in tutto il paese, tutt@ le/i compagn@ che non avevano potuto assistere alle riunioni preparatorie e per verificare le condizioni nelle quali avrebbe svolto il suo costante lavoro la Commissione Sesta.
In quella prima plenaria, l’EZLN propone che si compia il proposito della Sesta di costruire un’altro modo di fare politica e si prenda in considerazione la parola di tutt@, senza che importi se hanno assistito o non alle riunioni.
In quella riunione si fanno anche i primi tentativi di alcune organizzazioni di inserire nell’Altra Campagna la lista di nomi che formano la “Promotora”, il “Frentote” ed il cosiddetto “Dialogo Nazionale”. Davanti a questa posizione, l’EZLN propose che in quell’occasione non si decidesse nulla. Che si parlasse e discutesse, ma che non si prendessero decisioni SENZA LA PARTECIPAZIONE DI TUTT@ LE/GLI ADERENTI. Chi credeva che si decidessero le questioni fondamentali nelle assemblee in assenza della maggioranza de@ aderenti, ha subíto il suo primo colpo quando è stato concordato che i cosiddetti “6 punti” fossero discussi da tutt@ in tutto il paese. Poi, in riunioni successive a quella prima plenaria, l’EZLN ha cominciato a prendere le distanze da quelle organizzazioni per la manipolazione che volevano esercitare.
Le direzioni di quelle poche organizzazioni, gruppi e collettivi non sono state oneste. Come si sarebbe visto dopo, puntavano di inserirsi nel movimento per dirigerlo, per ribaltarlo... o per negoziare una migliore posizione nel “mercato” in cui si stava trasformando il movimento intorno ad AMLO. Erano tanto sicuri che sarebbe diventato presidente... bene, presidente ufficiale, che temevano di perdere il treno (del budget) e non avevano nemmeno il biglietto. E l’Altra era la merce di scambio per prebende, candidature e poltrone.

3. - I primi problemi – In quella plenaria si vide inoltre uno squilibrio: i gruppi ed i collettivi (che trovano nell’assemblea il loro modo naturale di discutere e decidere) godevano di un ampio vantaggio sulle organizzazioni politiche e sociali, sulle famiglie ed i singoli individui… e sui popoli indios.
Dobbiamo dire, a questo punto, che la maggioranza degli aderenti alla Sesta Dichiarazione è indigena (e questo senza contare le/gli zapatisti). Se non si vede negli atti e nelle riunioni, è perché i popoli indios hanno altri spazi di partecipazione e di lotta meno “visibili”. Per ora basti dire che se si riunissero, in una circostanza e luogo, tutt@ le/gli aderenti, ci sarebbe (facendo un calcolo molto conservativo) una proporzione di 10 indigeni per ogni persona di un’altra organizzazione politica, sociale, ONG, gruppo, collettivo, famiglia o singoli individui. Se si potesse, i popoli indios insegnerebbero a tutt@ che non usiamo “io”, ma il “noi”, per nominarci e per essere chi siamo.
Abbiamo rilevato tutto questo ed alcune altre cose (per esempio, che non c’era un meccanismo di presa di decisioni, né uno spazio per il dibattito; che i gruppi ed i collettivi volevano imporre il loro modo alle organizzazioni politiche e sociali, e viceversa) ma non ci siamo preoccupati. Pensavamo che prima bisognava conoscerci tutt@ e poi, tra tutt@ definire il profilo, allora ancora incompleto, dell’Altra.

4. - I tempi – Secondo la nostra idea, iniziare L’Altra e “uscire” per il primo giro in periodo elettorale aveva diversi vantaggi. Uno era che, data la nostra posizione anti classe politica, non saremmo stati “interessanti”, sui palchi e nelle riunioni, per chi stava, e sta, sulla strada elettorale. L’andare controcorrente ai “benpensanti” avrebbe fatto venir fuori quelli che si erano avvicinato all’EZLN solo per fare le foto, e li avrebbe indotti ad evitarci e a dissociarsi dal neozapatismo (con libri, dichiarazioni... e candidature).
Altra cosa non meno importante era che, mentre andavamo ad ascoltare quell@ in basso, si sarebbe resa visibile la parola delle altre lotte e così sarebbe diventata palpabile anche la loro storia ed il loro percorso. Quindi, il “mostrarsi” nell’Altra sarebbe stato anche il “mostrarsi” della repressione di caciques, governo, imprenditori e partiti. Secondo noi, quello che sarebbe apparso in periodo elettorale avrebbe alzato il “costo” di un’azione repressiva e diminuito quindi la vulnerabilità delle lotte e delle piccole organizzazioni. Un altro vantaggio era che, assorbiti com’erano in alto dalle elezioni, ci avrebbero lasciato in pace nel nostro progetto ed il neozapatismo avrebbe smesso di essere una moda.

Quindi, abbiamo pensato ai seguenti tempi:

- 6 mesi di giro di esplorazione e conoscenza per tutto il paese (da gennaio a giugno del 2006). Alla fine, relazione a tutta L’Altra: “siamo quest@, siamo qui, questa è la nostra storia”; lasciar passare le elezioni e preparare il passo successivo.

– Poi, una tappa successiva per approfondire la conoscenza e creare i mezzi di comunicazione ed appoggio (la rete) tra le/gli aderenti per appoggiarci e difenderci tra tutti noi (con la partecipazione di altri delegat@ della Commissione Sesta – da settembre 2006 alla fine del 2007 – con pause per informare e sostituire le/i delegat@).

– Più in là, la presentazione, il dibattito e la definizione del profilo dell’Altra secondo tutt@ i suoi aderenti, non solo l’EZLN (tutto l’anno 2008).

– Per il 2009, 3 anni dopo l’iniziata, L’Altra avrebbe potuto essere presentata al nostro popolo con un volto e voce propri, costruiti da tutt@. Allora sì per realizzare il Programma Nazionale di Lotta, di sinistra ed anticapitalista, con e per quell@ del basso.

Ricordiamo che, secondo la nostra analisi, per quell’anno dovrebbe spegnersi il “sogno lopezobradorista”. Allora la nostra patria non avrebbe davanti a se la delusione, lo scoraggiamento e la disperazione come unico futuro, ma ci sarebbe “un’altra cosa”...

5. - I passi fino ad Atenco: essere compagn@? – Quindi è iniziato il giro... ed è successo quello che è successo. Il dolore che avevamo intuito non era neppure lontanamente paragonabile con quello che incontravamo al nostro passaggio ascoltando e conoscendo. Governi di tutti i partiti politici (compresi quelli di presunta “sinistra” – PRD, PT e Convergencia -) alleati con caciques, proprietari terrieri ed imprenditori per derubare, sfruttare, disprezzare e reprimere ejidatarios, comunità indigene, piccoli commercianti ed ambulanti, lavoratrici e lavoratori del sesso, operai, impiegati, maestri, studenti, giovani, donne, bambini, anziani; per distruggere la natura, per vendere la storia e la cultura; per rafforzare un pensiero ed agire intolleranti, escludenti, maschilisti, omofobici e razzisti. E niente di tutto questo appariva sui grandi mezzi di comunicazione.
Ma se il Messico del basso che incontravamo distillava un dolore indignante, le ribellioni organizzate che apparivano, e si univano, disvelavano “un altro” paese, in ebollizione, in lotta, in costruzione di alternative proprie.
Se nei suoi primi passi il percorso della Commissione Sesta è stato visto, con la stupidità di chi guarda solo in alto, come “un raccoglitore ambulante di lamentele”, presto si è trasformato e la parola dell’altro, dell’altra, ha acquisito la dimensione che il silenzio di quelli in alto aveva dissimulato fino ad allora. Storie sorprendenti di eroismo, dedizione e sacrificio per resistere alla distruzione che viene dall’alto, hanno avuto ascolto ed eco nella maggior parte de@ aderenti onesti.
Arriviamo così nello Stato del Messico e nel DF con un carico che comprendeva forse tutti i colori che lottano in basso. Il calendario segnava il 3 e 4 maggio 2006 ed il dolore ed il sangue hanno tinto il popolo di Atenco e le/i compagn@ dell’Altra Campagna.
Dando una vera lezione di quello che è essere compagn@ nell’Altra, il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra, di Atenco, si era mobilitato per appoggiare i compagni di Texcoco. Il governo municipale (PRD) aveva finto di dialogare e negoziare mentre chiamava la polizia statale (PRI) e federale (PAN) per reprimere. I partiti più rappresentativi della classe politica, PRD-PRI-PAN, hanno messo insieme le forze per colpire L’Altra. Circa 200 compagn@ sono stati aggredit@, picchiat@, torturat@, stuprat@ ed arrestat@. Un minorenne, Javier Cortés Santiago, è stato assassinato dalla polizia. Anche il nostro giovane compagno Alexis Benhumea Hernández, aderente all’Altra e studente della UNAM è morto ammazzato dopo una lunga agonia.
In maggioranza abbiamo reagito ed intrapreso azioni di solidarietà ed appoggio, di denuncia e pressione. Con un minimo di decenza e cameratismo, abbiamo interrotto il giro della Commissione Sesta dell’EZLN e ci siamo dedicati, in primo luogo, a contrarrestare la campagna di discredito e bugie che dai media di massa si era scatenata contro il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (quello che ha offeso alcun@ compagn@ dei media alternativi), oltre ad attività per raccogliere fondi per le/i prigionier@ ed eventi per esporre la verità sui fatti.
Al contrario della maggioranza dell’Altra, alcune organizzazioni si sono preoccupate e mobilitate solo nel momento in cui avevano in carcere i loro militanti, o quando le manifestazioni erano eclatanti. Quando i loro compagni sono stati rilasciati ed Atenco “è passata di moda”, hanno lasciato perdere la causa per la libertà e la giustizia per le/gli altr@ prigionier@. Tempo dopo sarebbero stati i primi ad accorrere a stabilirsi nel presidio di AMLO nello Zócalo e Reforma. Quello che non hanno fatto per Atenco lo hanno fatto per López Obrador… perché con lui c’erano “le masse”!... beh, anche i riflettori.
Altre organizzazioni si sono dedicate ad approfittare abilmente della congiuntura per tentare di imporre all’Altra una politica di alleanze con chi guardava, e guarda in alto. Col pretesto di “dobbiamo unirci tutt@ nella lotta per le/i prigiornier@”, volevano (manipolando assemblee plenarie) imporre accordi che legavano l’Altra al calcolo elettoralistico di organizzazioni apertamente o sfacciatamente gialle. E non solo, si sono dedicate a seminare la discordia e la divisione dicendo che l’EZLN voleva imporre al popolo di Atenco una politica di alleanze settaria. Ma hanno fallito.
Qualche altra organizzazione, con alcun@ compagn@, andavano dicendo che le/i prigionier@ non sarebbero usciti tanto presto, che non bisognava dedicare tanto sforzo a questo, che “qualcuno” (che non fossero loro, ovviamente) si incaricasse della questione, che L’Altra proseguisse e che la Commissione Sesta dell’EZLN aveva commesso un errore nel fermare il suo viaggio, che era stata una decisione “unilaterale” e che sarebbe stato meglio che avesse continuato il suo percorso... per arrivare nei posti dove svolgevano lavoro politico o interessava loro farlo.
Ma l’atteggiamento di quest@ “compagn@” è stato scavalcato dall’attività solidale della maggioranza dell’Altra. In tutto il Messico, ed in oltre 50 paesi del mondo, la richiesta di libertà e giustizia per le/i prigionier@ di Atenco è risuonata con molti colori.

6. - Indios contro meticci e provincia contro DF – Se l’EZLN aveva previsto per L’Altra un passo tranquillo e prolungato (con una o due plenarie l’anno), nei mesi di maggio e giugno del 2006 si sono svolte fino a 4 plenarie, tutte nel DF, dato che lì si era concentrata buona parte delle attività per Atenco.
In quelle riunioni i “professionisti delle assemblee” manovravano per trasformarle in istanze decisionali, non importa che questo trascurasse uno dei propositi essenziali della Sesta: prendere in considerazione tutt@. Convocate per i fatti di Atenco, le assemblee hanno cercato di essere manipolate da alcune organizzazioni, gruppi e collettivi, principalmente del DF, per prendere decisioni e definizioni… che convenivano a loro. E quella logica si è generalizzata.
Alcune discussioni e decisioni erano, per lo meno, ridicole. Per esempio, in una delle plenarie qualcuno che faceva lavoro culturale con la lingua náhuatl aveva proposto che il náhuatl fosse la lingua ufficiale nel paese e che fosse consegnato all’EZLN (che è formato per il 99,99% da indigeni che parlano lingue di radice maya) il documento. L’assemblea votò ‘sí’ per acclamazione. In questo modo, la plenaria dell’Altra decideva di imporre quello che non erano riusciti a fare gli aztechi, gli spagnoli, i gringo, i francesi, gli eccetera, e tutti i governi dall’epoca della Colonia: espropriare le comunità zapatiste della loro lingua originale... che non è il náhuatl. In un’assemblea successiva il tavolo della presidenza voleva mettere in discussione se i popoli indios erano un settore o no... senza che le/i compagn@ indigeni avessero detto niente. Dopo 500 anni di resistenza e lotta, e a 12 anni dall’insurrezione armata zapatista, l’assemblea discuteva su che cosa erano i popoli indios… senza dare loro la parola.
Se la repressione in Atenco ci ha obbligato a rispondere organizzativamente come movimento, il vuoto creato dalla mancanza di definizioni basilari (come il luogo del dibattito, e la forma e modo della presa di decisioni) corre il pericolo di essere riempito dalle proposte e dai “modi” di chi si differenzia dal resto degli aderenti, non solo in quanto può essere presente nelle assemblee, anche perché può sopportare ore ed ore aspettando il momento opportuno (cioè, quando vincerà) di votare la sua proposta… o di fare ribaltare la votazione con delle “mozioni” (quando perde).
In un’assemblea vale quello che parla, non quello che lavora. E quello che parla castigliano. Perché se parla solo lingua indigena, gli “spagnolisti” ne approfittano per andare in bagno, mangiare o sonnecchiare. Noi zapatisti abbiamo riguardato la Sesta ed in nessun punto si dice che per essere aderente bisogna sapere lo spagnolo… o di oratoria. Ma, nelle assemblee, la logica di quelle organizzazioni, gruppi e collettivi stava imponendo questo.
E c’è dell’altro. In quelle assemblee si votava per alzata di mano. E si dà il caso che, siccome si trovano in un punto geografico (diciamo il DF), L’Altra negli altri stati e regioni manda delegati per trasmettere il pensiero che è stato concordato tra gli aderenti di quei posti. Ma nel momento di votare, di questo non si teneva conto. Per l’assemblea valeva allo stesso modo il voto di un delegato statale o regionale di quello di uno che faceva parte di un gruppo o collettivo. E c’erano compagn@ che dovevano viaggiare giorni interi per arrivare all’assemblea, ma questa stabiliva che doveva sostenere gli stessi tre minuti di intervento di una persona che era arrivata in metrò alla sede della riunione. E se il delegato statale o regionale doveva andare via perché l’aspettavano giorni e giorni di viaggio per arrivare alla sua terra, e non poteva rimanere fino al fine dell’assemblea (quando il tavolo – come nella plenaria del 1 luglio – votava risoluzioni con aderenti esclusivamente del DF – ammucchiati sulla porta perché già stavano spegnendo le luci del locale -), niente da fare. E se la risoluzione stabiliva che si sarebbe svolta un’altra assemblea in 15 giorni, lì nel DF, il compagno o la compagna che erano delegati di una comunità indigena che si affrettassero quindi ad arrivare al loro villaggio ad imporre il tempo della città ad un popolo indio entrato nell’Altra perché pensava che era il posto dove sarebbe stato rispettato il suo modo... ed il suo tempo.
Le azioni ed i modi di quei gruppi e collettivi (che sono minoritari nell’Altra del DF e nazionale, ma fanno chiasso come fossero la maggioranza) hanno provocato la nascita di due atteggiamenti che sono visibili dentro L’Altra:

– Che qualche compagn@ di provincia identifichi quell@ del DF con quel modo autoritario (mascherato da “democratico”, “antiautoritario” e “orizzontale”) e furbesco di partecipare, discutere e fare accordi. Anche se non fa parte di quel modo di “ribaltare” le riunioni, la maggioranza de@ compagn@ del DF è percepita come qualcosa da rifiutare.

– Che compagn@ del Congresso Nazionale Indigeno identifichino il disprezzo e la stupidità di quei gruppi come “modalità” di tutti i meticci. Perché se c’è qualcuno che sa stare, discutere e fare accordi in un’assemblea, sono i popoli indios (e raramente arrivano a votare per vedere chi vince). Un’altra ingiustizia, perché l’immensa maggioranza de@ non indigeni dell’Altra rispetta gli indigeni.

Entrambi gli atteggiamenti sono ingiusti e sbagliati. Ma il problema sta, pensiamo noi zapatisti, nel fatto che le assemblee permettono quest’inganno per cui alcuni gruppi, collettivi od organizzazioni presentano come di tutt@, o della maggioranza, i loro metodi sporchi e disonesti di discutere e fare accordi.
No. Noi zapatisti pensiamo che le assemblee servono per informare e, in ogni caso, per discutere e concordare questioni operative, non per discutere, concordare e decidere.
Pensiamo anche che sia stato un nostro errore, dell’EZLN, il non aver affrontato fin dal principio dell’Altra la questione della definizione degli spazi e dei meccanismi per l’informazione, il dibattito e la presa di decisioni. Ma segnalare e riconoscere le nostre deficienze come organizzazione e come movimento non risolve i problemi. Continuano a mancare queste definizioni basilari. Su questo, sui cosiddetti “6 punti”, faremo una proposta nel capitolo finale di queste riflessioni.

7. - Altro “problema” – È stata segnalata da alcuni collettivi e persone la critica al “protagonismo” e “autoritarismo” del Sup. Comprendiamo che qualcun@ si senta offeso per la presenza di un militare (anche se “altro”) nell’Altra, dato che è l’immagine della verticalità, il centralismo e l’autoritarismo. Lasciando da parte che queste persone “ignorano” cosa l’EZLN e la sua lotta rappresentano per milioni di messican@ e di persone in tutto il mondo, diciamo loro che non abbiamo “usato”, a nostro beneficio, l’autorità morale che si sono guadagnati i nostri popoli in oltre 12 anni di guerra. Nei nostri interventi nell’Altra abbiamo difeso con lealtà chi ne fa parte... anche se non siamo d’accordo con i suoi simboli e posizioni.
Con la nostra voce abbiamo difeso la falce e il martello de@ comunist@, la bandiera nera di anarchici e libertari, le/gli skinhead, le/i punk, le/i dark, la banda, la raza, quell@ per l’autogestione, le lavoratrici ed i lavoratori del sesso, chi promuoveva l’astensione elettorale o l’annullamento del voto o che non importava se si votava o no, il lavoro dei media alternativi, chi usa ed abusa della parola, le/gli intellettuali che stanno nell’Altra, il lavoro politico silenzioso ma efficace del Congresso Nazionale Indigeno, il cameratismo di organizzazioni politiche e sociali che, senza ostentazione, hanno messo TUTTO quello che hanno nell’Altra e nella lotta per la libertà e la giustizia per le/i prigionier@ di Atenco, il libero esercizio della critica, a volte rozza ed arrogante (come quella contro organizzazioni sociali e politiche del DF che mettono a disposizione lo spazio, le sedie e l’impianto stereo per eventi e riunioni dell’Altra, e per questo li si accusa… di protagonismo!) o, non poche volte, fraterna e compagna.
Ed abbiamo anche ricevuto, contro di noi, vere stupidità mascherate da “critiche”. Non abbiamo risposto a queste… non ancora. Ma le abbiamo distinte da quelle che si fanno, oneste, per segnalare i nostri errori e renderci migliori.

8. - Atteggiamenti rispetto alla mobilitazione post-elettorale di AMLO – La frode elettorale perpetrata contro López Obrador, ha prodotto, tra le altre cose, la nascita di una mobilitazione. La nostra posizione rispetto a questa la diremo più avanti. Ora segnaliamo alcune delle posizioni che, da quanto abbiamo visto, sono presenti nell’Altra Campagna:
– C’è la posizione disonesta ed opportunista di alcune, poche, organizzazioni politiche di sinistra. Esse sostengono che ora ci troviamo di fronte ad un momento storico e pre-insurrezionale (uno spartiacque, e con questa pioggia c’è bisogno di un ombrello), ma che AMLO non è un leader che saprà condurre le masse all’assalto del palazzo d’inverno... beh, del palazzo nazionale. Ma per questo ci sono le avanguardie coscienti nelle quali sperano e sospirano le masse che adesso convoca il perredista.
Quindi si sono uniti al presidio ed alle mobilitazioni lopezobradoriste “per creare la coscienza nelle masse”, “strappare” il movimento a quella leadership “riformista” e “claudicante”, e portare la mobilitazione “ad uno stadio superiore di lotta”. Immediatamente hanno messo insieme i loro soldini, dichiarata “morta e defunta” L’Altra Campagna (Marcos? bah!, un cadavere politico), si sono comprati la loro tenda e si sono installati nel presidio di Reforma. Lì hanno invitato a raccogliere viveri.
No, non per le/i compagn@ che, in condizioni eroiche, mantengono il presidio di Santiaguito in appoggio a@ prigionier@ di Atenco, ma per il presidio lopezobradorista.
Lì hanno organizzato conferenze e tavole rotonde, distribuito volantini e giornali “rivoluzionari” con “profonde” analisi sulla congiuntura, il rapporto di forze e la nascita di fronti di masse, coalizioni popolari... ed altre promotoras e dialoghi nazionali! Urrà! Sííííííí!
Bene, lì aspettano pazientemente che le masse si rendano conto del loro errore (delle masse, chiaro) ed acclamino la loro chiarezza e determinazione (di quelle organizzazioni, chiaro), o che López Obrador, o Manuel Camacho, o Ricardo Monreal, o Arturo Núñez corra da loro alla ricerca di consiglio, orientamento, appoggio, d-i-r-e-z-i-o-n-e,... ma niente.
Poi hanno partecipato impazienti alla CND per acclamare e proclamare AMLO presidente legittimo.
Proprio lì hanno accettato senza batter ciglio la direzione ed il controllo politico di, tra gli altri “insigni” “rivoluzionari”: Dante Delgado, Federico Arreola, Ignacio Marván, Arturo Nuñez, Layda Sansores, Ricardo Monreal e Socorro Díaz (chi trova qualcuno che non sia stato priista, vince un premio), cioè, i pilastri fondamentali della “nuova” repubblica, la “nuova” generazione del futuro “nuovo” partito politico (ops! sto andando troppo avanti?).
Le masse adesso sono tornate a casa loro, al loro lavoro, alle loro lotte, ma queste organizzazioni sapranno aspettare il momento opportuno… e strapperanno a López Obrador la direzione del movimento!
Tutto questo, non è commovente?
– Dentro L’Altra c’è anche un atteggiamento onesto, sinceramente preoccupato per “l’isolamento” che potrebbe comportare il non unirsi alla mobilitazione di AMLO. Si presume che sia possibile appoggiare la mobilitazione senza che ciò rappresenti appoggiare il perredista. Quest@ analizzano che lì c’è gente del basso, e che bisogna avvicinarsi a questa perché il nostro movimento è con e per quell@ in basso, e perché se non lo facciamo pagheremo un alto costo politico.

9. - L’Altra realmente esistente – E c’è l’atteggiamento che, secondo quanto abbiamo visto ed ascoltato, è maggioritario dentro L’Altra Campagna. Questa posizione (che è anche la nostra come zapatisti) sostiene che la mobilitazione lopezobradorista non è la nostra strada e che bisogna continuare a guardare in basso, a crescere come L’Altra, senza cercare chi guidare e comandare, né aspirare a chi ci comandi e diriga.
Questa posizione ritiene decisamente che non sono cambiati i principi che sostengono la Sesta Dichiarazione, cioè, far nascere e crescere un movimento dal basso, anticapitalista e di sinistra.
Perché, al di là di questi problemi che rileviamo e segnaliamo, e che sono localizzati e focalizzati in qualche compagn@ sparso in diversi punti del paese (non solo nel DF) ed in quelle poche organizzazioni (che, ora lo sappiamo e capiamo, stanno e staranno solo dove ci sono masse... che aspettano un’avanguardia), L’Altra in tutto il paese prosegue il suo cammino e non abbandona né la sua strada né la sua destinazione.

E' L’Altra delle prigioniere e dei prigionieri politici de Atenco, quella di Ignacio Del Valle, Magdalena García, Mariana Selvas e di tutti i nomi ed i volti di questa ingiustizia.

E' L’Altra di tutt@ le/i prigionier@ politic@ in Guanajuato, Tabasco, Chiapas, Oaxaca, Puebla, Hidalgo, Jalisco, Guerrero, Estado de México, ed in tutto il paese; L’Altra di Gloria Arenas e Jacobo Silva Nogales.

E' L’Altra del Congresso Nazionale Indigeno (regione Centro-Pacifico) che estende i suoi contatti alle penisole di Yucatan e della Bassa California, ed al nordovest, e cresce.

E' L’Altra che fiorisce in Chiapas senza perdere identità e radici, riesce ad organizzare ed articolare zone e lotte che erano rimaste separate, ed avanza nella spiegazione e definizione dell’altra lotta di genere.

E' L’Altra che in gruppi e collettivi culturali e di informazione continua a chiedere la libertà e la giustizia per Atenco, che rafforza le sue reti, che crea musiche per altri orecchi e balla con altri piedi.

E' L’Altra che nel presidio di Santiaguito resiste e si trasforma in una luce ed un messaggio per le/i nostr@ compagn@ detenut@: “non vi dimentichiamo, vi tireremo fuori”.

E' L’Altra che in organizzazioni politiche di sinistra e sociali lega più saldamente le sue relazioni e impegno ad un nuovo modo di fare politica.

E' L’Altra che negli stati del nord del Messico, e dall’altra parte del Río Bravo, non si è fermata ad aspettare la Commissione Sesta ed ha continuato a lavorare.

E' L’Altra che in Morelos, Tlaxcala, Querétaro, Puebla, la Huasteca Potosina, Nayarit, Stato del Messico, Michoacán, Tabasco, Yucatan, Quintana Roo, Veracruz, Campeche, Aguascalientes, Hidalgo, Guerrero, Colima, Jalisco, il Distretto Federale, impara a dire “noi” lottando.

E' L’Altra che in Oaxaca fa crescere, in basso e senza protagonismi, il movimento che ora sbalordisce il Messico.

E' L’Altra de@ giovani, le donne, le/i bambin@, le/gli anzian@, gli omosessuali, le lesbiche.

E' L’Altra del popolo di Atenco.

E' L’Altra, una delle cose migliori che hanno partorito queste terre messicane.

(Continua...)

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Commissione Sesta del EZLN.

Subcomandante Insurgente Marcos




Los peatones de la historia:
Los Caminos a la Sexta
Los Caminos de la Otra
El día más largo del año más largo
Dos peatones en caminos distintos… y con destinos diferentes
¿La hora de las definiciones?