Mouseland


This is the story of a place called Mouseland.
Mouseland was a place where all the little mice lived and played, were born and died. And they lived much the same as you and I do.
They even had a parliament. And every four years they had an election. Used to walk to the polls and cast their ballots. Some of them even got a ride to the polls. And got a ride for the next four years afterwards, too. Just like you and me. And every time on election day all the little mice used to go to the ballot box and they used to elect a government.
A government made up of big, fat, black cats.
Now if you think it strange that mice should elect a government of cats, look at the history of Canada for the last 90 years and maybe you'll see they weren't any stupider then us.
Now I'm not saying anything against the cats. They conducted their government with dignity. They passed good laws - that is, laws that were good for cats. But the laws that were good for cats weren't very good for mice. One of the laws said that mouse holes had to be big enough so a cat could get his paw in. Another law said that mice could only run at certain speeds - so a cat could get his breakfast without too much effort.
All the laws were good laws. For cats. But, oh, they were hard on mice. And life was getting harder and harder. And when the mice couldn't put up with it any more, they decided that something had to be done. So they went en masse to the polls. They voted the black cats out. They put in white cats.
Now the white cats had put up a terrific campaign. They said, "All Mouseland needs is more vision." They said, "The trouble with Mouseland is the round mouse holes. If you put us in we'll make square mouse holes." And they did. And the square mouse holes were twice as big as the round ones, and now a cat could get both paws in.
And life was tougher then ever.
And when they couldn't take that anymore, they voted the white cats out and black ones in again. Then they went back to white cats. Then to black cats. They even tried half black and half white cats. And they called that a coalition. They even got one government made up of cats with spots on them: They were cats that tried to make a noise like a mouse but ate like a cat.
You see, my friends, the trouble wasn't with the colour of the cat. The trouble was that they were cats. And because they were cats, they naturally looked after cats instead of mice.
Presently there came along one little mouse who had an idea. My friends, watch out for the little fellow with an idea. And he said to the other mice, "Look fellows, why do we keep electing a government made up of cats? Why don't we elect a government made up of mice?" "Ohhh," they said, "he’s a BOLSHEVIK. Lock him up!"
So they put him in jail.
But I want to remind you: That you can lock up a mouse or a man but you can't lock up an idea!

Tommy Douglas


Es la historia de un lugar llamado Mouseland [Tierra de los ratones].
Mouseland era un lugar donde todos los pequeños ratones vivían y jugaban, nacían y morían. Y ellos vivían de la misma manera que tú y que yo.
Incluso tenían un Parlamento, y cada cuatro años tenían una elección. Caminaban rumbo a las urnas y votaban. Algunos de ellos incluso obtenían un aventón a las casillas, un aventón que recibían cada cuatro años. Como tú y como yo. Y cada día de elecciones todos los pequeños ratones acostumbraban ir a la casilla y elegían un gobierno.
Un gobierno integrado por enormes y gordos gatos negros.
Ahora, si piensas que es extraño que ratones elijan un gobierno de gatos, sólo mira la historia de Canadá por los últimos noventa años y entonces verás que ellos no son más estúpidos que nosotros... No estoy diciendo nada en contra de los gatos. Ellos eran buenas bestias. Ellos conducían su gobierno con dignidad, pasaban buenas leyes, esto es, leyes que eran buenas para los gatos. Pero estas leyes que eran buenas para los gatos no eran muy buenas para los ratones. Una de las leyes decía que la entrada a la ratonera tenía que ser lo suficientemente grande para que un gato pudiera meter su pata en ella. Otra ley decía que los ratones sólo podían moverse a ciertas velocidades, para que el gato pudiera obtener su desayuno sin mucho esfuerzo físico.
Todas estas leyes eran buenas leyes... para los gatos. Pero, oh, eran en verdad duras para los ratoncitos. Y cuando los ratones no pudieron soportar más, decidieron que algo debía hacerse. Entonces, fueron en masa a las urnas y echaron a los gatos negros del gobierno... Y pusieron gatos blancos en su lugar.
Ahora, los gatos blancos hicieron una campaña fabulosa. Ellos dijeron: “Todo lo que Mouseland necesita es más visión”. Dijeron: “El problema con Mouseland son las entradas redondas a las ratoneras. Si nos elijen introduciremos entradas cuadradas”. Y eso fue lo que hicieron. Ahora, las entradas cuadradas fueron el doble de grandes que las redondas, y así los gatos pudieron introducir en ellas sus dos patas.
Así que la vida se tornó más difícil que nunca.
Para cuando los ratones no pudieron soportarlo más votaron en contra de los gatos blancos y pusieron a los negros de nuevo. Para luego regresar a los gatos blancos y de ahí otra vez a los negros. Incluso trataron con gatos mitad blancos, mitad negros y lo llamaron: Coalición.
Desesperados intentaron un gobierno de gatos con motas en la piel, un gobierno de gatos que hacían sonidos como ratones, pero que comían como gatos.
Ven mis amigos, el problema no estaba en el color de los gatos. El problema era que eran gatos. Y porque eran gatos, naturalmente, veían por los intereses de los gatos y no los de los ratones. Finalmente, llegó un pequeño ratoncito que tenía una idea. Mis amigos, tengan cuidado con quien tiene una idea. Y él dijo a los otros ratones, “Miren compañeros, ¿por qué seguimos eligiendo un gobierno de gatos? ¿Por qué no elegimos un gobierno de ratones?“ "¡Ohhh!!", dijeron, “es un BOLCHEVIQUE, ¡Enciérrenlo!
Así que lo pusieron en la cárcel.
Lo que quiero recordarles es: ¡pueden encerrar a un ratón o un hombre, pero no pueden encerrar una idea!

Tommy Douglas


Questa è la storia di un luogo chiamato Mouseland [Terra dei topi].
Mouseland era un luogo dove tanti topolini vivevano e giocavano, dove nascevano e morivano. E vivevano più o meno come facciamo noi.
Avevano anche un parlamento. E ogni quattro anni c'era un'elezione. Usavano recarsi alle urne ed esprimere la loro preferenza col voto. Qualcuno otteneva anche un passaggio, per andarci. In tutta onestà... un passaggio ogni quattro anni. Esattamente come accade a te e a me. E ogni volta i topolini erano abituati, nel giorno delle elezioni, a recarsi alle urne per eleggere un governo.
Un governo formato da grandi e grossi gatti neri!
Ora, se pensate che sia alquanto raro che dei topolini eleggano un governo di gatti, fate caso alla storia del Canada negli ultimi novant'anni e noterete che, in fondo, non erano poi tanto più stupidi di noi.
Non voglio dire niente contro i gatti. Conducevano il loro governo con dignità. Approvavano ottime leggi, ovvero... ottime leggi per i gatti. Ma queste leggi, che erano ottime per i gatti, non erano così buone per i topi. Una delle leggi diceva che l'ingresso alla tana dei topi doveva essere abbastanza grande da permettere ai gatti di infilare la loro zampa. Un'altra legge diceva che i topi potevano muoversi solo ad una certa velocità, affinché i gatti potessero "fare colazione" senza eccessivo sforzo fisico.
Tutte queste leggi erano buone leggi. Per i gatti. Però erano molto dure per i topolini. E quando la loro vita diventò molto, molto difficile, quando iniziarono a non poterne proprio più, decisero che occorreva fare qualcosa. E quindi, quando tornarono alle urne, votarono contro i gatti neri. Ed elessero i gatti bianchi.
I gatti bianchi fecero una straordinaria campagna elettorale. Dissero che tutto ciò di cui si necessitava a Mouseland era una "visione più ampia". Dissero: "il problema maggiore a Mouseland è l'ingresso alla tana dei topolini. E se ci votate noi faremo delle entrate quadrate". E lo fecero. Solo che l'ingresso quadrato lo fecero grande il doppio rispetto al precedente, in maniera tale che ora i gatti potevano mettere due zampe nella tana!
E la vita divenne ancora più dura.
E quando non lo sopportarono più, i topolini votarono contro i gatti bianchi, ed elessero nuovamente i gatti neri. Per poi tornare nuovamente ai gatti bianchi. E di nuovo ai gatti neri. Elessero anche gatti che erano metà bianchi e metà neri, e la chiamarono "coalizione". Tentarono anche un governo di gatti bianchi con macchie nere: erano gatti che tentavano di fare il verso dei topolini, ma mangiavano come i gatti.
Perché vedete, amici miei, il problema non era il colore dei gatti. Il problema era... che erano gatti. E siccome erano gatti, ovviamente facevano l'interesse dei gatti, non dei topolini.
Ma un bel giorno arrivò da lontano un piccolo topolino che ebbe un'idea. Amici miei, state ben attenti agli umili che hanno un'idea. Egli infatti disse agli altri topolini: "Compagni, perché continuiamo ad eleggere un governo fatto di gatti? Perché non eleggere un governo composto da topi?" "Ohhh", dissero tutti "è un COMUNISTA. Arrestatelo!"
E così lo misero in carcere.
Quello che voglio ricordarvi è: si può arrestare un topo o un uomo, ma non si può mai arrestare un'idea!

Tommy Douglas


Metafore & Metamorfosi (gennaio)

день памяти жертв Холокоста

Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa, e precisamente la 60ª Armata del Primo Fronte Ucraino, arrivò nella cittadina polacca di Oswieçim (in tedesco Auschwitz). Le avanguardie più veloci, al comando del maresciallo Ivan Stephanovic Koniev, raggiunsero il complesso di Auschwitz-Birkenau-Monowitz. Verso le ore 15:00 i soldati sovietici abbatterono i cancelli del campo di sterminio e liberarono circa 7.650 prigionieri.


Con una risoluzione del 2005, l’ONU ha stabilito proprio la data del 27 gennaio, come giorno in cui ricordare lo sterminio, da parte dei nazifascisti, di circa 6 milioni di ebrei. E' il “Giorno della memoria”... ma quanto alla ragione della scelta di tale data, la maggior parte dei media si guardano bene dal ricordarlo.
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HO UN RIGURGITO ANTIFASCISTA


Questo stronzetto occhialuto ed ilare è Mario Andrea Vattani, rampollo dell'ambasciator Umberto, diplomatico per discendenza ed antico privilegio dinastico. Alla fine degli anni '80 venne anche indagato e poi prosciolto, assieme ad altri militanti di estrema destra, per il pestaggio di due giovani di sinistra davanti al cinema Capranica a Roma. La cosa però non ha minimamente impedito al giovane virgulto di entrare in diplomazia, appena un anno dopo la laurea in scienze politiche! Il fighetto figlio di papà è stato anche per due volte "consigliere diplomatico" di Gianni Alemanno, prima al ministero dell'agricoltura (2001-2003) e poi al comune di Roma (2008-2011), col modico salario di 488 mila euro l'anno! Adesso fa il console e ministro plenipotenziario ad Osaka (paese della moglie). Per coprire il ruolo l'hanno pure promosso da consigliere di legazione a consigliere d'ambasciata con un anno di abbuono: quattro anni d'anzianità anziché cinque! Ma Lui, si sa, può tutto... E' razza superiore!
Il cretino (i cretini sono sempre attivi) è anche leader di gruppi musicali "fasciorock" (Sottofasciasemplice e Intolleranza) e negli ambienti neofascisti di Casapound si fa chiamare col nome di Katanga.
E sì, perché questa testa pelatissima, in arte Katanga, ha solo tre passioni nella vita: la Repubblica di Salò, il rock e naturalmente Lui, caro lei. Fa saluti romani nei concerti di Casa Pound, inscena grottesche celebrazioni della bandiera nera dei repubblichini, ma soprattutto fa ironie sulla "Repubblica dei Depurati", la stessa Repubblica che, ogni fine mese, gli paga il lauto stipendio e che lui dovrebbe rappresentare.
Senti Mario Andrea Benito Adolfo Vattani Katanga... o come cazzo ti piace farti chiamare, io non sono in diplomazia: per me l'unico fascista buono è un fascista morto! (D)
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ALLA FINE DELLA FIERA...


Spread salendo, tasse aumentando, boria ministeriale crescendo...
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IL LADRO


...e il "compagno" del ladro

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FACCIA DI MIUR


Questa faccia da idiota appartiene ad uno che che faceva niente meno che il Direttore Generale del Ministero dell'Istruzione!
Massimo Zennaro, così si chiama, si trovava infatti, per meriti noti solo a lui, a capo della Direzione Generale per lo Studente, l'Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione del Ministero di viale Trastevere. Un ruolo dirigenziale di prima fascia che gli assicurava fino a ieri il modico stipendio di 174 mila euro l'anno (per l'esattezza € 174.591,08!). Come c'era arrivato?
Il dott. Zennaro, classe 1973, ci era arrivato per "chiamata diretta" del ministro, scavalcando tutti gli altri dirigenti di ruolo, senza nessun concorso e senza aver fatto nessuna gavetta (a meno di non considerare gavetta l'esser stato portaborse della Gelmini al comune di Milano). Mai era accaduto che il portavoce di un ministro diventasse anche direttore generale dello stesso dicastero! Ma Zennaro è Zennaro...
Nato a Padova, il 25 Aprile del 1973, si è laureato in Scienze Politiche alla Cattolica di Milano. Con una laurea in Scienze Politiche c'è chi non fa niente e c'è chi fa moltissimo. Il bravo Massimo Zennaro è evidentemente uno di questi, un’esponente d'eccellenza di quell’Italia migliore che prospera a carico della Pubblica Amministrazione e che tanto piace al ministro Renato Brunetta. Uno che fa parte di quell’Italia laboriosa e silente, che lavora e mai si lamenta, trovando ottime e abbondanti le gioie della flessibilità estrema che tanto eccitava i desideri del ministro Maurizio Sacconi prima e Mario Monti ora.
Eppure i meriti straordinari di Massimo Zennaro non erano così evidenti, visto che il 10/12/09 (ad oltre un anno dalla nomina "ad personam") viene presentata perfino un'interrogazione parlamentare alla Gelmini ministro, per ottenere la pubblicazione del curriculum del dott. Zennaro sul sito del MIUR, come impone il cosiddetto decreto Brunetta. Il neo-direttore generale, infatti, è l’unico dirigente del MIUR a non aver fornito i suoi requisiti professionali, a fronte di uno stipendio che sfiora i 175mila euro annuali!
Alla fine il curriculum viene pubblicato (il 24 febbraio 2010). Una paginetta scarna, imbarazzante per fumosità e laconicità dei titoli e requisiti ("conoscenza e utilizzo di Windows e dei principali strumenti applicativi Microsoft Office, Word, Excel, Work") e dove le “esperienze professionali” sono riconducibili unicamente alla collocazione politica di portaborse in carriera. Un curriculum nel quale i riferimenti alle collaborazioni, esperienze ed attività professionali sono vacui e rigorosamente privi di date di riferimento.
In compenso gli effetti di tanto curriculum non si sono fatti attendere. Il Zennaro è diventato famoso, in Italia e nel mondo quando, quando da portavoce del ministro Gelmini fece il famoso comunicato sul "tunnel" fra il Cern di Ginevra e il laboratorio del Gran Sasso per il passaggio veloce dei neutrini.


Da allora, poverino, ha resistito attaccato alla sua scrivania per tre mesi (altro stipendio rubato) come una cozza allo scoglio. Ora ha capitolato, soccombendo al peso del ridicolo e dell'inadeguatezza. Il 10 gennaio ha rassegnate le "proprie dimissioni dall'incarico".
Resterà disoccupato? Andrà a scavare un tunnel (vero) tra Ginevra e il Gran Sasso? Nemmeno per idea! E' già pronto a passare ad un incarico di livello in una società della galassia Fininvest. Del resto, aveva già accettato il ruolo di superconsulente di Barbara Berlusconi. Obiettivo? Aiutare la figlia dell'amato leader a rilanciare sui media la sua immagine nel mondo della cultura.
Insomma Zennaro è uno ambizioso. Non è come quelle centinaia di migliaia di bamboccioni sfigati, laureati col massimo dei voti, costretti ad estenuanti tirocini gratuiti e corsi a pagamento, senza alcuna reale prospettiva occupazionale. Non è come i tanti precari costretti ad elemosinare il rinnovo dei contratti e giustamente umiliati da Brunetta prima e da Monti-Fornero ora. Lui non si consumata nel limbo della precarietà, non si annoia col posto fisso, non si umilia con lavoretti infami e sottopagati...
Lui è un professionista... Una vera faccia di Miur!
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METAFORE

In Italia non è questa o quell'imposta che è troppo gravosa, è il totale che è troppo grande. In proporzione di ciò che il paese produce, il governo distrugge troppo cumulo di ricchezze. Le imposte non gravano mica soltanto coloro i quali prima feriscono. Se l'imposta diretta rovina i ricchi, i poveri staranno peggio. Se le imposte indirette fanno crescere il costo del vitto e dell'alloggio dei poveri e degli operai, ne soffrono tutte le industrie. In Italia oramai più che badare a chi paga più e a chi meno, c'è da darsi pensiero che tutti pagano troppo. Ben venga, dunque, e sia lodato, chiunque sia da tanto da far scemare quella somma totale che lo Stato malamente all'esausto popolo carpisce e distrugge.

Scritti politici 1896-1923, Vilfredo Pareto


I simbolisti [russi] prestavano orecchio ai sussulti sismici, al rumore del fendersi del vecchio mondo in sfacelo. Chlébnikov, specie nel faraonico poema Ladomir, presagisce il Futuro come un regresso alla ferità primordiale, un rigermogliare di creature silvestri e rusaliche (pur in mezzo a una folla d'ordigni meccanici e treni), un risveglio della slavità precristiana, un riscatto degli animali sinora oppressi dagli uomini. "Io vedo le libertà cavalline — e la parità delle mucche" (I, 193). È forse per questo che Kruënych propose d'erigere un monumento nel quale Velimir apparisse "zooformo". [...] Egli asserisce gli zar finiranno al serraglio dentro una gabbia di ferro (I, 187) e l'ambasciatore dei cavalli verrà ospitato nella palazzina di Volkonskij (1, 194).

Saggi in forma di ballate, Angelo Maria Ripellino


C'è tanta gente malata ed esausta che, generalmente, il paradiso è concepito come un luogo di riposo.

Texts and Pretexts, 1932. Aldous Huxley


Mai la ragione è stata in grado di definire il bene e il male e nemmeno di distinguere il bene dal male, sia pure approssimativamente; al contrario, li ha sempre confusi in modo vergognoso e meschino, e la scienza ha offerto soltanto soluzioni brutali. In questo si è segnalata particolarmente la semiscienza, il più terribile flagello dell'umanità, peggio della peste, della fame e della guerra, ignoto fino al nostro secolo.

I demoni, Fëdor Michailovic Dostoevskij


In tutto il secolo vi sono state intelligenze diplomatiche assai astute, intriganti, con la pretesa della più reale comprensione delle cose e intanto nessuno di essi ha visto mai niente oltre la punta del proprio naso e degli interessi correnti (tra l’altro i più superficiali ed erronei). Riattaccare i fili strappatisi, mettere una toppa ad un buco, "accrescere il prezzo di qualche cosa, indorare la merce per farla sembrare nuova", ecco il nostro compito, ecco il nostro lavoro! Tutto ciò ha una ragione, e secondo me la principale è la separazione dei princìpi, la separazione dal popolo e l’isolamento delle menti diplomatiche in una sfera per così dire troppo mondana e astratta dall’umanità. Prendete, per esempio, il conte di Cavour — non è un’intelligenza, non è un diplomatico? Io prendo lui come esempio perché ne è già riconosciuta la genialità e inoltre perché è già morto. Ma che cosa non ha fatto, guardate un po’; oh sì, ha raggiunto quel che voleva, ha riunito l’Italia e che ne è risultato: per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, cedendola al più logoro principio borghese — la trentesima ripetizione di questo principio dal tempo della prima rivoluzione francese — un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!

Diario di uno scrittore, Fëdor Michailovic Dostoevskij


In Egitto viene ritrovata una mummia. Tutti gli egittologi del mondo si riuniscono ma non riescono a stabilire di che faraone si tratti. Arrivano tre egittologi sovietici in borghese. "Lasciateci soli con lui", dicono. D'accordo. Passa un giorno, due giorni, tre, niente. Al quarto escono: "Ramsete XXV". Restano tutti stupiti: "Come avete fatto?" "Ha confessato da solo, la canaglia"

Il vento va, e poi ritorna, Vladimir Bukovskij


I buoni cittadini della Grecia classica trassero forza dalla determinazione di due dei loro concittadini, Spertia e Buli, a resistere alle lusinghe del potere. Mentre si recavano a Susa, andò incontro agl'inviati spartani Idarne, un alto funzionario persiano, il quale promise loro solo che si fossero schierati dalla parte del Gran Re, suo dispotico padrone. A profitto della Grecia — e a profitto di tutti gli uomini liberi — Erodoto ci ha tramandato la loro risposta. “Idarne”, dissero, "tu sei un consigliere unilaterale. Tu hai esperienza di mezza realtà soltanto e ignori l'altra metà. Tu conosci la vita dello schiavo, ma non conosci la libertà e non puoi dire se essa sia dolce o no. Ah, se tu sapessi cos'è la libertà, ci avresti invitato a batterci per essa non solo con la lancia ama anche con le mazze"

Il dispotismo orientale, Karl A. Wittfogel


C'è una frase di G.K. Chesterton che fin dall'infanzia mi accompagna e mi scalda il cuore: "Gli angeli riescono a volare perché si prendono alla leggera". Chi si prende alla leggera non costringerà mai il proprio vicino ebreo a lustrare il marciapiede con uno spazzolino da denti.

Sulle mie tracce, Gregor von Rezzori


I vecchi partiti parlamentari che avevano ricevuto il monopolio del governo esistono ormai solo solo sotto forma di cricche, ma gli stessi motivi che hanno privato queste cricche della forza necessaria per formare partiti tra loro differenziati, le privano anche della forza necessaria per unirsi. Nessuna epoca della storia parlamentare inglese è mai stata contrassegnata da un simile frazionamento in una massa di combriccole insignificanti e fortuite come l'epoca del governo di coalizione. [...] Troppo piccoli per formare una maggioranza parlamentare autonoma, sono troppo ampi e hanno al loro interno troppi cacciatori di cariche da accontentare per poter comprare all'esterno appoggi sufficienti.

I partiti e le cricche, Scritti 1854-1855, Karl Marx


Se un cannibale quando mangia si serve del coltello e della forchetta, si tratta d'un progresso?

Unkempt Thoughts, Stanislaw Jerzy Lec


A metà degli anni cinquanta [Kurt Vonnegut] fu assunto per breve tempo da Sport Illustrated. Si presentò, e gli chiesero di scrivere un breve articolo su un cavallo da corsa che aveva saltato la barriera e cercato di scappare. Kurt fissò il foglio bianco per tutta la mattina, poi scrisse: "Il cavallo ha saltato quella barriera del cazzo" e se ne andò, ridiventando un lavoratore autonomo.

Introduzione a "K. Vonnegut, Ricordando l'apocalisse", Mark Vonnegut


L'universo è un posto semplice. È vero, contiene cose complicate come le galassie, le otarie e le commissioni parlamentari, ma se lo guardiamo in media, ignorando le idiosincrasie locali, su scale molto grandi l'universo ha praticamente lo stesso aspetto ovunque.

Dall'eternità a qui, Sean Carroll


Come rendermi superiore alla forza del denaro? Il modo più semplice era allontanarmi dalla sfera della sua influenza, cioè dalla civiltà (...) Ma questo non era combattere una finzione sociale: era fuggire. Il metodo doveva essere un altro: (...) guadagnarlo (...) in modo da essere libero da tale bisogno. È stato quando ho visto questo con tutta la forza della mia convinzione d'anarchico che sono entrato nella fase attuale (quella commerciale e bancaria, amico mio) della mia anarchia.

Il banchiere anarchico, Fernando Pessoa


L'idea di trattativa da parte di Franco Lucentini è: dare un calcio alla porta, mitragliare i convenuti, cominciare a discutere quando arrivano i necrofori.

Carlo Fruttero


Come ha scritto Wendell Berry, viviamo in un'epoca di "sentimentalismo economico", perché credere nelle promesse del capitalismo globale, in modo molto simile a quanto accadeva col comunismo, richiede in realtà un atto di fede: la certezza che, permettendo la distruzione di certe cose che ci piacciono qui e ora, raggiungeremo una ben più grande felicità in un non meglio precisato futuro. Per citare Lenin, bisogna rompere qualche uovo per fare una frittata: una massima che l'Organizzazione mondiale per il commercio fa sua ogni giorno.

Il dilemma dell'onnivoro, Michael Pollan

Thomas Sankara, un révolutionnaire!

Venu à New York pour s’adresser à l’Assemblée générale des Nations Unies, Sankara profite de ce séjour pour se rendre le 2 octobre 1984 à Harlem. Le texte ci-dessous est la retranscription d’un enregistrement du discours que Sankara a fait l’occasion de l’inauguration d’une exposition d’art burkinabé au Centre de commerce du Tiers Monde de Harlem.

Chers amis, je vous dis merci. Je vous dis merci parce que vous nous avez donné l’occasion de présenter le Burkina Faso. Comme vient de le dire si brillamment notre frère, nous avons décidé de changer de nom. Cela correspond à un moment où nous sommes en train de renaître. Nous avons voulu tuer la Haute-Volta pour faire renaître le Burkina Faso. Pour nous, le nom de Haute-Volta, symbolise la colonisation. Et nous estimons que pas plus que nous n’avons d’intérêt pour la Haute-Volta nous n’en avons pour la Basse Volta, l’Ouest Volta, l’Est Volta. Cette exposition nous permet ici de donner à la face du monde entier le véritable nom que nous avons choisi : Burkina Faso. Cela est une très grande opportunité pour nous.
On peut se poser la question de savoir pourquoi nous avons préféré commencer notre exposition par Harlem. Parce que nous estimons que le combat que nous menons en Afrique et principalement au Burkina Faso est le même combat que vous menez à Harlem. Nous estimons que nous en Afrique, nous devons apporter à nos frères de Harlem tout le soutien nécessaire pour que leur combat soit connu également. Quand à travers le monde entier l’on saura que Harlem est devenu un coeur vivant qui bat au rythme de l’Afrique, alors tout le monde respectera Harlem. Tout chef d’État africain qui vient à New York devrait d’abord passer par Harlem : parce que nous considérons que notre Maison blanche se trouve dans le Harlem noir.
Cette exposition que vous êtes venus voir ce soir, a pour nous une grande signification. Elle traduit tout notre passé, elle traduit également notre présent. En même temps, cette exposition ouvre la porte sur notre avenir. Elle constitue un lien vivant entre nous et nos ancêtres, nous et nos enfants. Chaque objet que vous verrez ici exprime la douleur de l’Africain. Chaque objet exprime également la lutte que nous menons contre les fléaux naturels mais aussi contre les ennemis qui sont venus nous dominer.
Chaque objet ici exprime les sources d’énergie auxquelles nous faisons confiance pour le combat que nous menons. Que ce soit d’une façon ancestrale ou d’une façon moderne, nous pensons que notre avenir se dessine aussi, s’inscrit dans ces objets d’art.
La magie qui se cache dans ces objets, dans ces masques, est peut-être cette même magie qui a permis à d’autres d’avoir confiance en l’avenir, d’explorer le ciel et d’envoyer des fusées sur la lune. Nous voulons qu’on nous laisse libre de donner toute sa signification à notre culture et à notre magie. C’est quand même un phénomène magique que d’appuyer simplement sur un bouton et de voir la lumière surgir. Si l’on avait voulu barrer la route à Jules Vernes certainement qu’il n’y aurait pas eu aujourd’hui tout ce développement astronomique.
Nos ancêtres en Afrique avaient engagé une certaine forme de développement. Nous ne voulons pas qu’on assassine ces grands savants africains. C’est pourquoi au Burkina Faso nous avons décidé de créer un centre de recherche pour l’homme noir. Dans ce centre nous étudions les origines de l’homme noir. Nous étudions également l’évolution de sa culture, la musique africaine à travers le monde entier, l’art vestimentaire à travers le monde entier, l’art culinaire africain à travers le monde entier, les langues africaines à travers le monde entier. Bref, tout ce qui nous permet d’affirmer notre identité sera étudié dans ce centre.
Ce centre ne sera pas un centre fermé. Nous appelons tous les Africains à venir étudier dans ce centre. Nous appelons les Africains d’Afrique, nous appelons les Africains hors d’Afrique, nous appelons les Africains de Harlem: que chacun vienne participer à son niveau pour le développement et l’épanouissement de l’homme africain. Nous souhaitons que cette exposition constitue une espèce de prélude à ce gigantesque travail qui nous attend.
Faisons en sorte, chers frères et camarades que les générations à venir ne nous accusent pas d’avoir bradé, d’avoir étouffé l’homme noir.
Faisons en sorte, chers frères et camarades, que les générations à venir ne nous accusent pas d’avoir bradé, d’avoir étouffé l’homme noir.
Je ne voudrais pas être plus long que cela. D’autres objets d’art sont attendus pour compléter cette exposition notamment, je crois, des objets en bronze et j’espère aussi que j’aurai l’occasion, peut-être demain, ou après-demain de repasser par ici, à Harlem et de discuter avec vous de cette exposition.
Tout en vous remerciant d’avoir permis à un pays d’Afrique, le Burkina Faso, de se manifester, je voudrais au nom du peuple du Burkina Faso, et au nom de nos frères qui sont ici à Harlem je voudrais déclarer cette exposition ouverte.
Je vous remercie.

Capitaine Thomas Isidore Noël Sankara

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Venuto a New York per rivolgersi all'assemblea generale delle Nazioni Unite (discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1984), Sankara approfitta di questo soggiorno per recarsi, il 2 ottobre 1984, ad Harlem. Il testo qui sotto è la trascrizione di un discorso pronunciato da Sankara in occasione dell'inaugurazione di un'esposizione di arte burkinabé al Centro di commercio del Terzo Mondo di Harlem.

Cari amici, vi ringrazio. Vi ringrazio perché ci avete dato l'opportunità di presentare il Burkina Faso. Come ha appena detto così brillantemente nostro fratello, abbiamo deciso di cambiare nome. Ciò corrisponde ad un momento in cui stiamo rinascendo. Abbiamo voluto uccidere l'Alto-Volta per far rinascere il Burkina Faso. Per noi, il nome di Alto-Volta simboleggia la colonizzazione. E noi riteniamo di non avere maggior interesse per l'Alto-Volta, di quanto se ne possa avere per il Basso Volta, l'Ovest Volta, l'Est Volta. Questa esposizione ci permette qui di portare a conoscenza del mondo intero il vero nome che abbiamo scelto: Burkina Faso. Questa è una grande opportunità per noi.
Ci si può porre la domanda del perché abbiamo preferito cominciare la nostra esposizione da Harlem. Perché riteniamo che la lotta che conduciamo in Africa, e principalmente in Burkina Faso, è la stessa lotta che conducete voi ad Harlem. Riteniamo che noi dell'Africa, dobbiamo portare ai nostri fratelli di Harlem tutto il sostegno necessario affinché la loro lotta sia ugualmente conosciuta. Quando in tutto il mondo si saprà che Harlem è diventato un cuore vivente che batte al ritmo dell'Africa, allora tutti rispetteranno Harlem. Ogni capo di stato africano che viene a New York avrebbe il dovere di passare prima da Harlem: perché consideriamo che la nostra Casa bianca si trova nella Harlem nera.
Questa esposizione che siete venuti a vedere questa sera, riveste per noi un grande significato. Incarna tutto il nostro passato, dà corpo anche al nostro presente. Allo stesso tempo, questa esposizione apre la porta sul nostro avvenire. Costituisce un legame vivente tra noi e i nostri antenati, noi e i nostri bambini. Ogni oggetto che vedrete esprime qui il dolore dell'africano. Ogni oggetto esprime anche la lotta che conduciamo contro i flagelli naturali ma anche contro i nemici che sono venuti a dominarci.
Ogni oggetto qui esprime le sorgenti di energia alle quali ci affidiamo per la lotta che conduciamo. Che sia primitivo o di foggia moderna, pensiamo che il nostro avvenire si staglia anche, si iscrive in questi oggetti d'arte.
La magia che si cela in questi oggetti, in queste maschere, è forse quella stessa magia che ha permesso ad altri di avere fiducia nell'avvenire, di esplorare il cielo e di mandare dei razzi sulla luna. Chiediamo che ci si lasci libero di dare tutto il suo significato alla nostra cultura ed alla nostra magia. È un fenomeno magico simile allo schiacciare semplicemente su un bottone e vedere la luce accendersi. Se si fosse voluto sbarrare la strada a Jules Vernes certamente non ci sarebbe stato oggi tutto questo sviluppo astronomico.
I nostri antenati in Africa avevano principiato una certa forma di sviluppo. Non vogliamo che si assassinino questi grandi sapienti africani. Ecco perché in Burkina Faso abbiamo deciso di creare un centro di ricerca per l'uomo nero. In questo centro studiamo le origini dell'uomo nero. Studiamo anche l'evoluzione della sua cultura, la musica africana attraverso il mondo intero, l'arte del vestiario attraverso il mondo intero, l'arte culinaria africana attraverso il mondo intero, le lingue africane attraverso il mondo intero. In breve, tutto ciò che ci permette di affermare la nostra identità sarà studiato in questo centro.
Questo centro non sarà un centro chiuso. Chiamiamo tutti gli africani a venire a studiare in questo centro. Chiamiamo gli africani dell'Africa, chiamiamo gli africani fuori dall'Africa, chiamiamo gli africani di Harlem: che ciascuno venga a contribuire alla sua cresita per lo sviluppo e la fioritura dell'uomo africano. Auguriamo che questa esposizione costituisca una specie di preludio a questo gigantesco lavoro che c'aspetta.
Facciamo in modo che, cari fratelli e compagni, le generazioni a venire non ci accusino di avere svenduto, di avere soffocato l'uomo nero.
Non vorrei dilungarmi oltre. Altri oggetti di arte sono attesi per completare questa esposizione, particolarmente, credo, degli oggetti in bronzo ed io spero anche di avere l'opportunità, forse domani o dopodomani, di ripassare di nuovo qua, ad Harlem, e di discutere con voi di questa esposizione.
Ringraziandovi ancora per avere permesso ad un paese dell'Africa, il Burkina Faso, di manifestarsi, vorrei a nome del popolo del Burkina Faso, ed al nome dei nostri fratelli che sono qui a Harlem, vorrei dichiarare questa esposizione aperta.
Vi ringrazio.

Capitano Thomas Isidore Noël Sankara




Le 3 octobre 1984, toujours à Harlem, c'est devant 500 personnes réunies d l'école Harriet Tubman, que Sankara prend la parole.


L’impérialisme! ["À bas!"]
L’impérialisme! ["À bas!"]
Le néo-colonialisme! ["À bas!"]
Le racisme! ["À bas!"]
Le fantochisme! ["À bas!"]
Gloire! ["Au peuple!"]
Dignité! ["Au peuple!"]
Pouvoir! ["Au peuple!"]
La patrie ou la mort! ["Nous vaincrons!"]
La patrie ou la mort! ["Nous vaincrons!"]
Merci camarades.
Je ne serai pas long parce que ceux qui m’ont précédé ici ont dit ce que doit être la révolution. La camarade membre du Comité central [du All African People’s Revolutionary Party] toujours dit et je le répète, que notre Maison blanche se trouve dans le Harlem noir.
Ils sont nombreux ceux qui considèrent que Harlem est un dépotoir. Ils sont nombreux ceux qui considèrent que Harlem est fait pour étouffer. Mais nous sommes aussi nombreux, nous qui pensons que Harlem donnera à l’âme africaine toute sa dimension. En tant qu’Africains nous sommes nombreux et très nombreux nous devons comprendre que notre existence doit être vouée à lutter pour la réhabilitation de l’homme africain. Nous devons mener le combat qui nous soustraira à la domination des autres hommes et à leur oppression.
Certains Noirs ont peur et ils préfèrent s’inféoder aux Blancs. Il faut les dénoncer, il faut les combattre. Nous devons être fiers d’être Noirs. Souvenez-vous, il y a beaucoup de ces hommes politiques qui ne pensent aux Noirs qu’à la veille des élections. Nous devons être Noirs avec les Noirs, le jour comme la nuit.
Mais nous comprenons que notre lutte est un appel à la construction. Nous ne demandons pas que le monde soit construit uniquement pour les Noirs et contre les autres hommes. Nous voulons en tant que Noirs apprendre aux autres hommes à s’aimer entre eux. Malgré leur méchanceté contre nous, nous saurons résister et ensuite leur enseigner ce que c’est que la solidarité. Nous savons également qu’il nous faut être organisés et déterminés. Nos frères sont en Afrique du Sud, ils doivent être libérés.
L’année dernière j’ai rencontré Maurice Bishop [le Premier ministre de Grenade]. Nous avons discuté longuement. Nous nous sommes donnés mutuellement des conseils. Quand je suis rentré dans mon pays j’ai été arrêté par l’impérialisme. J’ai pensé à Maurice Bishop. Quelque temps après j’ai pu être délivré de prison grâce à la mobilisation de la population. J’ai pensé encore à Maurice Bishop. J’ai préparé une lettre pour lui. Je n’ai pas eu l’occasion de la lui envoyer. Là encore à cause de l’impérialisme. Alors nous avons compris qu’il faut désormais lutter contre l’impérialisme sans relâche. Si nous ne voulons pas que demain on assassine encore des Maurice Bishop, il faut que nous nous mobilisions dès aujourd’hui.
Et c’est pourquoi je veux vous montrer que je suis prêt contre l’impérialisme. [Il tient sa pistole dans les airs] Et je vous prie de croire que ce n’est pas un jouet. Ce sont des balles réelles. Et lorsque nous tirerons ces balles, ce sera contre l’impérialisme. Ce sera en faveur de tous les hommes noirs. Ce sera en faveur de tous ceux qui souffrent de la domination. Ce sera également en faveur des hommes blancs qui sont de véritables frères pour les Noirs. Et ce sera également en faveur du Ghana, parce que le Ghana est un pays-frère.
Vous savez pourquoi avons-nous organisé avec le Ghana les manoeuvres Bold Union? C’était pour montrer à l’impérialisme de quoi nous sommes capables en Afrique. Beaucoup d’autres États africains préfèrent organiser leurs manoeuvres en accord avec les puissances extérieures. Lorsque nous aurons les prochaines manoeuvres, il faudra qu’il y vienne, qu’il y ait de Harlem des combattants pour participer avec nous.
Notre révolution est symbolisée dans notre drapeau. C’est le nouveau drapeau de notre pays. Notre pays a également changé de nom. Et ce drapeau, vous constaterez qu’il ressemble au drapeau de votre parti. C’est parce que nous aussi nous sommes dans ce parti. C’est parce que nous oeuvrons pour la même cause que ce parti. C’est pourquoi tout naturellement les couleurs de ces deux drapeaux se ressemblent. Et ces couleurs ont la même signification. Nous n’avons pas mis la couleur noire parce que nous sommes en Afrique déjà. Mais vous pouvez considérer que ces deux drapeaux sont égaux.
Vous savez, il est important que chaque jour chacun de vous se souvienne d’une chose. Pendant que nous sommes là en train de discuter, pendant que nous sommes là en train de nous parler entre Africains, il y a des espions qui sont là pour rendre compte demain matin. Nous leur disons qu’ils n’ont pas besoin d’apporter des micros secrets, puisque même si la télévision venait ici nous allions répéter exactement la même chose.
Alors, il faut vous dire que nous avons en nous la force et la capacité de combattre l’impérialisme et la seule chose dont vous devez vous souvenir c’est que quand le peuple se met debout, l’impérialisme tremble.
J’ai admiré beaucoup les ballets qui ont été exécutés. C’est pourquoi je voudrais vous inviter à la prochaine semaine nationale de la culture qui se déroulera au Burkina Faso au mois de décembre. Vous devez envoyer ne serait-ce qu’un représentant. Je vous invite également au prochain Festival panafricain du cinéma de Ouagadougou au mois de février. Tous les États africains seront représentés. L’Afrique du sud sera représentée par le mouvement de libération africain. Harlem doit être représenté.
Nous ferons tout notre possible pour vous envoyer ici à Harlem des troupes du Burkina Faso pour des exhibitions en faveur de nos frères et de nos soeurs africains qui sont ici. Je vous demande de les encourager, de les soutenir et de leur permettre d’aller dans d’autres villes américaines pour rencontrer d’autres Africains qui sont dans ces villes américaines.
J’ai constaté que vous avez beaucoup d’estime et de respect pour le camarade Jerry John Rawlings, alors nous vous enverrons des pagnes africains qui portent sa photo. Et sur ces pagnes nous avons écrit : "Ghana et Burkina Faso: même combat". Il faudra porter ces vêtements partout, au bureau, dans la rue, au marché, n’importe où. Soyez fiers de cela, montrez que vous êtes Africains. N’ayez jamais honte d’être des Africains.
J’avais dit que je ne serais pas long et avant de terminer je vous demanderai de vous mettre debout parce que demain, lorsque je ferai mon discours aux Nations unies, je parlerai des ghettos, je parlerai de Nelson Mandela qui doit être libéré. Je parlerai de l’injustice, je parlerai du racisme, et je parlerai de l’hypocrisie des dirigeants à travers le monde. Je leur dirai que vous et nous, nous tous, nous menons nos combats et qu’ils ont intérêt à faire attention. Parce que vous représentez le peuple, partout où vous êtes debout, l’impérialisme tremble. Et c’est pourquoi je vous invite a répéter "Lorsque le peuple se met debout, l’impérialisme tremble".
["Lorsque le peuple se met debout, l’impérialisme tremble!"] Encore!
["Lorsque le peuple se met debout, l’impérialisme tremble!"] Encore!
["Lorsque le peuple se met debout, l’impérialisme tremble!"] L’impérialisme!
["À bas!"]
L’impérialisme!
["À bas!"]
Le fantochisme!
["À bas!"]
Le racisme!
["À bas!"]
Le sionisme!
["A bas!"]
Le néo-colonialisme!
["A bas!"]
Gloire!
["Au peuple!"]
Dignité!
["Au peuple!"]
Musique!
["Au peuple!"]
Santé!
["Au peuple!"]
Education!
["Au peuple!"]
Pouvoir!
["Au peuple!"]
Tout le pouvoir!
["À bas!"]
La patrie ou la mort, nous vaincrons!
La patrie ou la mort, nous vaincrons!
Merci camarades.

Capitaine Thomas Isidore Noël Sankara


Il 3 ottobre 1984, sempre ad Harlem, davanti a 500 persone riunite nella scuola Harriet Tubman, Sankara prende la parola.

Imperialismo! ["Abbasso!"]
Imperialismo! ["Abbasso!"]
Neo-colonialismo! ["Abbasso!"]
Razzismo! ["Abbasso!"]
Fantoccismo! ["Abbasso!"]
Gloria! ["Al popolo!"]
Dignità! ["Al popolo!"]
Potere! ["Al popolo!"]
Patria o morte, vinceremo!
Patria o morte, vinceremo!
Grazie compagni.
Non mi dilungherò perché quanti mi hanno preceduto hanno detto qui ciò che deve essere la rivoluzione. Il compagno membro del Comitato centrale [del All African People's Revolutionary Party] ha sempre detto, ed io lo ripetono qui ora, che la nostra Casa bianca si trova nella Harlem nera.
Sono numerosi quelli che considerano Harlem un mondezzaio. Sono numerosi quelli che sono convinti che Harlem sia fatta per soffocare. Ma siamo molto più numerosi noi, che pensiamo Harlem darà tutta la sua dimensione all'anima africana. In quanto africani siamo numerosi e in molti dobbiamo comprendere che la nostra esistenza deve essere destinata alla lotta per la riabilitazione dell'uomo africano. Dobbiamo condurre la battaglia che ci sottrarrà al dominio degli altri uomini ed alla loro oppressione.
Certi Neri hanno paura e preferiscono affiliarsi ai Bianchi. Bisogna denunciarli, bisogna combatterli. Dobbiamo essere fieri di essere Neri. Ricordatevi, molti di questi politici non pensano ai Neri che alla vigilia delle elezioni. Dobbiamo essere Neri coi Neri, il giorno come la notte.
Ma siamo consapevoli che la nostra lotta è una chiamata alla costruzione. Non chiediamo che il mondo sia costruito unicamente per i Neri e contro gli altri uomini. Vogliamo in quanto Neri far comprendere agli altri uomini l'amore reciproco. Malgrado la loro cattiveria contro di noi, sapremo resistere e poi insegnar loro che cos'è la solidarietà. Sappiamo anche che ci occorre essere organizzati e determinati. I nostri fratelli sono in Sud Africa, devono essere liberati.
L'anno scorso ho incontrato Maurice Bishop [il Primo ministro di Granada]. Abbiamo discusso a lungo. Ci siamo dati reciprocamente dei consigli. Quando sono rientrato nel mio paese sono stato arrestato dall'imperialismo. Ho pensato a Maurice Bishop. Qualche tempo dopo sono stato liberato di prigione grazie alla mobilitazione della popolazione. Ho pensato ancora a Maurice Bishop. Ho preparato una lettera per lui. Non ho avuto l'opportunità di mandargliela. E questo ancora a causa dell'imperialismo. Allora abbiamo compreso che bisogna ormai lottare contro l'imperialismo senza pausa. Se non vogliamo che domani si assassinino ancora dei Maurice Bishop, occorre che ci mobilitiamo fin da oggi.
Voglio ora mostrarvi che sono pronto contro l'imperialismo [solleva la sua pistola in aria]. E vi prego di credere: non è un giocattolo. Sono delle pallottole reali. E quando tireremo queste pallottole, sarà contro l'imperialismo. Sarà in favore di tutti gli uomini neri. Sarà in favore di tutti quelli che soffrono la dominazione. Sarà anche in favore degli uomini bianchi che sono dei veri fratelli per i Neri. E sarà anche in favore del Ghana, perché il Ghana è un paese-fratello.
Sapete perché abbiamo organizzato col Ghana le manovre Bold Union? Per mostrare all'imperialismo ciò di cui siamo capaci in Africa. Molti altri Stati africani preferiscono organizzare le loro manovre in accordo con le potenze esterne. Quando avremo le prossime manovre, occorrerà che veniate lì, che ci siano dei combattenti di Harlem a partecipare con noi.
La nostra rivoluzione è simboleggiata nella nostra bandiera. È la nuova bandiera del nostro paese. Il nostro paese ha cambiato anche nome. E questa bandiera constaterete che somiglia alla bandiera del vostro partito. Questo è perché anche noi siamo di questo partito. Questo è perché operiamo per la stessa causa di questo partito. Ecco perché naturalmente i colori di queste due bandiere si somigliano. E questi colori hanno lo stesso significato. Non abbiamo messo il colore nero perché siamo già in Africa. Ma potete considerare come queste due bandiere siano uguali.
Sapete, è importante che ogni giorno ciascuno di voi si ricordi di una cosa. Mentre stiamo là discutendo, mentre stiamo là parlando tra africani, ci sono delle spie che sono là per render conto l'indomani. Diciamo loro che non hanno bisogno di portare dei microfoni nascosti, poiché se anche qui fosse venuta la televisione noi avremmo ripetuto esattamente le stesse cose.
Allora, devo dirvi che abbiamo in noi stessi la forza e la capacità di combattere l'imperialismo e la sola cosa di cui dovete ricordarvi e questo: che quando il popolo si mette in piedi, l'imperialismo trema.
Ho molto ammirato i balli che sono stati eseguiti. Questo è perché vorrei invitarvi alla prossima settimana nazionale della cultura che si svolgerà in Burkina Faso nel mese di dicembre. Non dovete che mandare un rappresentante. Vi invito anche al prossimo Festival panafricano del cinema di Ouagadougou nel mese di febbraio. Tutti gli Stati africani saranno rappresentati. Il Sud Africa sarà rappresentato dal movimento di liberazione africana. Harlem deve essere rappresentata.
Faremo tutto il possibile per mandarvi qui ad Harlem delle truppe del Burkina Faso per le esibizioni in favore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle africane che sono qui. Vi chiedo di incoraggiarli, di sostenerli e di permetter loro di andare in altre città americane per incontrare gli altri africani che vivono in quelle città.
Ho constatato che avete molta stima e rispetto per il compagno Jerry John Rawlings, allora vi manderemo delle stoffe africane con la sua foto. E su queste stoffe abbiamo scritto: "Ghana e Burkina Faso: stessa lotta". Bisognerà portare questi vestiti ovunque, in ufficio, per la via, al mercato. Siate fieri di ciò, mostrate siate africani. Non abbiate mai vergogna di essere africani.
Avevo detto che non mi sarei dilungato e prima di concludere vi chiederò di mettervi in piedi perché domani, quando farò il mio discorso alle Nazioni unite, parlerò dei ghetti, parlerò di Nelson Mandela che deve essere liberato. Parlerò dell'ingiustizia, parlerò del razzismo, e parlerò dell'ipocrisia dei dirigenti del mondo. Dirò loro che voi e noi, noi tutti, conduciamo le nostre lotte e che è nel loro interesse fare attenzione. Perché rappresentate il popolo, e dovunque vi sollevate in piedi, l'imperialismo trema. Per questo vi invito ha ripetere: "Quando il popolo si mette in piedi, l'imperialismo trema".
["Quando il popolo si mette in piedi, l'imperialismo trema!"] Ancora!
["Quando il popolo si mette in piedi, l'imperialismo trema!"] Ancora!
["Quando il popolo si mette in piedi, l'imperialismo trema!"]
L'imperialismo!
["Abbasso!"]
L'imperialismo!
["Abbasso!"]
Il fantoccismo!
["Abbasso!"]
Il razzismo!
["Abbasso!"]
Il sionismo!
["Abbasso!"]
Il neo-colonialismo!
["Abbasso!"]
Gloria!
["Al popolo!"]
Dignità!
["Al popolo!"]
Musica!
["Al popolo!"]
Salute!
["Al popolo!"]
Educazione!
["Al popolo!"]
Potere!
["Al popolo!"]
Tutto il potere!
["Abbasso!"]
Patria o morte, vinceremo!
Patria o morte, vinceremo!
Grazie compagni.

Capitaine Thomas Isidore Noël Sankara



Thomas Sankara, la rivoluzione burkinabè e il Che

L’8 ottobre 1987 a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, si rende omaggio a Ernesto Che Guevara, nel ventesimo anniversario della sua morte. Sono gli ultimi giorni della rivoluzione burkinabè, spezzata come molte altre nella storia con l’uccisione del suo laeder, Thomas Sankara, colpevole di aver osato sfidare il sistema di oppressione e sfruttamento e di aver criticato la politica criminale in Africa e in Medio Oriente di Stati Uniti, Francia, Sud Africa e Israele. Troppo per un capo di stato di un piccolo paese dell’Africa subsahariana. Da quattro anni durava l’esperimento burkinabè, nato dalla volontà di ridare speranza e dignità a un paese e un continente saccheggiato e martirizzato per secoli. Quattro anni in cui nell’ex Alto Volta si cercò, invano, di consolidare una rivoluzione che potremmo definire più che in ogni altro modo, antimperialistica. Erano stati creati i Comitati di difesa della Rivoluzione e molte strutture analoghe a quelle sperimentate negli stessi anni a Cuba e nel Nicaragua sandinista.
Sankara commemora il Che, consapevole del sacrificio del rivoluzionario argentino, che prima di trovare la morte in Bolivia era stato nove mesi in Congo per cercare di risollevare le sorti del paese dopo l’assassinio di Patrice Lumumba. Erano i paesi africani le “altre terre che reclamano il contributo dei miei modesti sforzi”, come scrisse nella Carta de despedida, letta da Fidel Castro all’Avana nell’ottobre del 1965. Ecco spiegata la sua insistenza sulla situazione in Congo come paradigma della volontà dei paesi ricchi di continuare a sfruttare impunemente il Sud del mondo, anche dopo aver concesso alle ex colonie l’indipendenza.
Dopo vent’anni, Sankara sostiene che la sorte riservata ai paesi poveri è “la perpetua mendacità come modello di sviluppo”. In altri anni in cui si manifestava un attrito tra Cina e Unione Sovietica sulla politica da adottare verso i paesi del Terzo mondo, Guevara scelse di stare vicino alle vittime secolari della dominazione straniera e, dopo aver criticato nel corso del suo intervento ad Algeri, nel febbraio 1965, la posizione di Mosca, sparì nel nulla per cercare di ripetere le gesta della Sierra Madre nella giungla congolese. La carica di ministro dell’Industria, ormai non faceva più per il suo animo ribelle.
Anche Sankara, rivendicò sempre autonomia dall’Unione Sovietica, accusata di non fare abbastanza per i paesi del Terzo mondo, e denunciò l’aiuto “scandalosamente insufficiente” fornito alla lotta di liberazione dei popoli ancora oppressi: “Per quello che rappresentiamo per l’intera Africa non capiamo questa politica, questa mancanza di interesse, questo rifiuto ad aiutarci da parte di chi dovrebbe farlo. Loro dovrebbero essere dalla nostra parte”.
Nell’ottobre del 1986 Sankara si recò a Mosca: si disse ammirato della Rivoluzione d’ottobre, della sincera volontà di Gorbaciov di risolvere le lacune del sistema socialista. Però invocando la specificità e l’originalità dell’esperienza burkinabè, dichiarò: “La vostra rivoluzione deve molto all’inverno, ma da noi non c’è l’inverno”. Anche il Che aveva sempre sostenuto la necessità di tenere le dovute distanze del blocco socialista e, all’inizio del 1965, così aveva tuonato ad Algeri: “I paese socialisti sono in un certo modo complici dello sfruttamento imperialistico”.
Un centinaio di cubani si recarono quindi volontari a combattere contro l’imperialismo, che all’inizio degli anni ’60 nell’ex Congo belga si manifestava in tutta la sua crudeltà, poco prima dell’aggressione al Vietnam, dove l’intervento straniero avvenne sotto forma di armi e mercenari, tra cui anche cubani veterani della Baia dei Porci e soldati di Rhodesia e Sudafrica. E l’imperialismo, già individuato da José Martì alla fine dell’Ottocento come un pericolo mortale per le piccole nazioni dell’America latina, secondo Guevara, era addirittura “il nemico del genere umano”. Sankara riporta alla tragicità della situazione africana negli anni ’80 il concetto: “L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che vengono con dei cannoni a occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente a un pugno di uomini sulla terra di dirigere tutta l’umanità”.
E chi combatte il sistema ha vita difficile.
Quando Samkara si recò all’Avana, espresse piena solidarietà alla rivoluzione cubana e, soddisfatto, affermò, davanti a Fidel Castro e Armando Hart: “Noi sappiamo che avremo sempre l’appoggio del popolo rivoluzionario di Cuba e di tutti quelli che hanno abbracciato gli ideali di José Martì”.
Il Burkina Faso e Cuba avviarono una cooperazione in campo agricolo, educativo e sanitario: macchinari per la coltivazione furono inviati a Ouagadougou, medici cubani lavoravano negli ospedali del Burkina Faso, giovani burkinabè studiavano nelle scuole cubane grazie alle borse di studio concesse loro dal governo all’Avana.
Il Burkina Faso fu vicino anche a un’altra rivoluzione che prese il potere anche negli stessi anni: il Nicaragua del Fsln. Che nel 1979 aveva posto fine alla sanguinaria dittatura di Somoza e stava cercando di costruire una società più giusta. In visita a Managua, Sankara che ben conosceva la pericolosità di non soggiacere ai dettami statunitensi (era salito al potere negli stessi mesi in cui a Grenada perdeva la vita Maurice Bishop), esclamò: “Triste Nicaragua, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti: sì, in queste condizioni è proprio difficile vivere liberi”.
Sankara non poteva non ammirare il tentativo del Che di creare solidi legami tra i paesi africani che negli anni ’60 si opponevano all’ingerenza straniera: l’Algeria di Ben Bella, prima del colpo di stato del 19 giugno 1965 che portò al potere Boumadienne; l’Egitto di Nasser; il Ghana di N’krumah; il Senegal di Sénghor; la Tanzania di Nyerere. Sankara non poteva non ammirare lo stoicismo del Che nella sua lotta quotidiana contro l’asma, contro il paludismo e contro la dissenteria. Pur tra mille difficoltà, Guevara riuscì a consegnare una lettera a Winnie Mandela perché la consegnasse al marito, recluso nelle galere sudafricane, dove rimarrà altri venticinque anni. Le sue parole sono pungenti come sempre: “Nelson Mandela in prigione è mille volte più libero, mille volte più felice di quelli che fuori sono consumati dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo o, peggio, servono gli interessi dei nemici del popolo, soprattutto dell’imperialismo arrogante del nostro tempo”.
Ed era l’imperialismo arrogante, senza pudore né limiti che si stava combattendo nel 1965 in Africa centrale. Guevara, sempre nella Carta de despedia scritta a Fidel Castro, lo aveva ricordato: “Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo e la sensazione di assolvere al più sacro dei doveri: combattere contro l’imperialismo dovunque esso sia”.
Tatu Muganda (così era chiamato il Che in Congo: in swahili Tatu significa “tre”, Muganda “dottore”) si divideva tra la cura degli ammalati e dei feriti, l’educazione e le azioni di vera guerriglia. I suoi sforzi risultarono però vani: il ritiro dalla regione avvenne senza aver portato a termine nulla di concreto. “Creare, due, tre, molti Vietnam”, ripeteva Guevara, che indossati di nuovo i vestiti del Che, cercò di far scoppiare un altro Vietnam nella selva boliviana, dove troverà la morte.
Nel discorso dell’8 ottobre 1987 Sankara però ricorda: “Le idee non si possono uccidere; le idee non muoiono. Ecco perché Che Guevara, incarnazione delle idee rivoluzionarie e del sacrificio di sé, non è morto… Che Guevara, argentino di nascita, ma cubano per l’impegno e il sangue che egli sparse per il popolo cubano, fu soprattutto cittadino del mondo libero – il mondo libero che insieme vogliamo costruire. Ecco perché Che Guevara è anche africano e burkinabè”.

Carlo Batà

¿La hora de las definiciones?


En el corazón colectivo que somos, l@s zapatistas no sabemos exactamente cómo llegó nuestra palabra de la Sexta a ustedes. Lo que sí sabemos es que fue ahí, en su lugar, con su historia y en su lucha, que ustedes respondieron “sí” a la invitación a la Sexta y a lo que después conoceríamos entre nosotr@s como La Otra Campaña. Es en el corazón de cada quien, en veces individual, en veces colectivo, como pueblo indio, como organización política o social, como ong, como colectivo, como grupo, como individu@, donde se decidió emprender este paso que ya no es sólo zapatista sino de much@s, l@s tod@s que somos.
En este año transcurrido, desde aquella plenaria en el caracol de La Garrucha (16 de septiembre del 2005) hasta estos agitados días, hemos visto que un@s se van, que otr@s se quedan, que algun@s más se acercan, que algun@s trabajan que, algun@s nomás están “reventando” y obstaculizando el paso, que algun@s —l@s más— han hecho suyo este proyecto. Estos vaivenes no sólo han provocado “ruido” dentro de La Otra, también han hecho aún más difusos su rostro, su palabra, su camino.
Como zapatistas, pensamos que este año que pasó ha servido bien para conocernos. Y también para saber quiénes se acercaron, o se han acercado, sólo para sacar provecho político. A veces para tratar de capitalizar un supuesto impacto “mediático” del EZLN, a veces para tratar de hegemonizar a La Otra, a veces para conducirla a una política de alianzas que l@s beneficiaría, a veces para ver de qué se trataba y luego irse a otro lado a seguir viendo, a veces para tratar de homogeneizar según su idea.
Nosotr@s creemos que esto ha sido propiciado, además de por nuestros errores (algunos de los cuales hemos señalado y reconocido, más los que agreguen ustedes), porque La Otra carga con una buena dosis de indefinición.
Lo que era una virtud al inicio, porque había conseguido convocar a una amplia gama de lo mejor del movimiento anticapitalista nacional; ahora se empieza a convertir en un lastre.
Aunque fundamentales, las definiciones básicas de La Otra son demasiado generales, sobre todo en lo que se refiere a la estructura organizativa, la política de alianzas, el lugar de las diferencias, y de quiénes son convocados y quiénes no.
Además, según hemos visto y escuchado en nuestro recorrido y en las diferentes reuniones y asambleas, es necesario pronunciarse sobre si las características actuales están completas o no. Por señalar sólo un ejemplo, en no pocas partes se ha señalado que es necesario que La Otra incluya el aspecto anti patriarcal como una característica básica.
Otro problema grave y urgente es que no tenemos definido el cómo se toman las decisiones de La Otra como movimiento. Así que a veces se presenta una posición personal, de grupo o de organización (incluido el EZLN), como si fuera la posición de toda La Otra.
En las reflexiones que aquí les hemos presentado, hemos explicado ya que concebíamos a La Otra como necesaria para un tiempo futuro y que, por lo tanto, teníamos un poco de tiempo para irnos conociendo, acomodando y definiendo.
Como ya lo expusimos también, nosotr@s pensamos que ese tiempo de crisis política de arriba, donde es necesaria una alternativa de izquierda anticapitalista, ya está aquí. Aunque es palpable lo profundo de la crisis de la política de arriba, nosotr@s l@s zapatistas sabemos bien que, si no hay alternativa de abajo, los de arriba terminan por arreglarse y darse un nuevo respiro.
Nosotr@s creemos que la hora de La Otra, la hora de l@s Nadie que somos, ha llegado.
Que debemos empezar ya nuestro contacto directo con tod@s l@s de abajo, nuestro pueblo; y empezar ya a construir con ell@s el programa nacional de lucha.
Ya no sólo conocer, difundir y enlazar entre sí las resistencias que hay en nuestro país contra el sistema capitalista, sino irnos organizando ya en torno a ese plan, su contenido, sus objetivos y los pasos y modos para cumplirlo.
Pero no tenemos todavía un rostro propio como La Otra. Pensamos que es ya el tiempo de hacérnoslo entre tod@s. Y ya es tiempo de que se vayan quienes no se sientan identificad@s con lo que es el pensamiento mayoritario de La Otra, y que permanezcan y lleguen quienes sí se ven reconocidos en ese rostro colectivo que construiremos.
Creemos, pues, que ha llegado la hora de las definiciones que quedaron pendientes.
Las que nosotr@s consideramos principales están agrupadas en los llamados 6 puntos: las características de La Otra; quiénes están convocados y quiénes no; la estructura organizativa (incluyendo aquí el mecanismo o modo de la toma de decisiones); el lugar de las diferencias; la política de alianzas; y las tareas inmediatas.
Estas cuestiones las detectamos en las reuniones preparatorias, y en la primera plenaria propusimos que se fueran a discusión y decisión de tod@s l@s adherentes. Pero ni se puso fecha, ni se estableció el cómo se tomaría en cuenta la voz de cada quien sobre estos asuntos.
Y el tomar en cuenta a tod@s es algo de lo que nos distingue de otras propuestas, proyectos o movimientos políticos.
Durante más de un año hemos avanzado mucho o poco en la discusión de esos 6 puntos. Pensamos que debemos ya concluir esa etapa y tomar una posición cada quien y asumir una definición como La Otra.
Es decir, responder, ya como La Otra, a las preguntas: ¿quiénes somos?, ¿dónde estamos?, ¿cómo vemos el mundo?, ¿cómo vemos nuestro país?, ¿qué queremos hacer? y ¿cómo lo vamos a hacer?

Por todo esto que ahora decimos, y por lo que hemos venido viendo, escuchando y diciendo en este año, les proponemos:

1.- Que tod@s l@s adherentes concluyamos ya nuestro análisis, discusión y definición, y que tomemos una posición respecto a:

1.- Las características fundamentales de La Otra (su identidad colectiva, pues).
2.- Su estructura (cómo nos relacionamos entre nosotr@s).
3.- Su política de alianzas (a quién apoyamos, con quién nos unimos).
4.- El lugar de las diferencias (dónde estamos).
5.- Quiénes están convocados y quiénes no (quién es compañer@ y quién no).
6.- Las tareas comunes a tod@s l@s adherentes (además de las que cada quien tiene según su lucha).

2.- Que la conclusión de este análisis, discusión y definición se realice fundamentalmente, en el lugar donde se decidió la adhesión: pueblo indio, organización política o social, ong, grupo, colectivo, familia, individuo. Es ahí donde cada quien resiste y lucha. Y es ahí donde cada quien discute y decide qué tipo de La Otra es mejor para lo que nos proponemos.

3.- Que para este análisis y discusión, tod@s l@s que así se lo propongan, puedan dar a conocer al resto sus posiciones y argumentos. Por ahora no tenemos otro espacio común que las páginas electrónicas de la Comisión Sexta y las de las organizaciones, grupos y colectivos que cuentan con ellas. Pensamos que, aunque es poco y limitado, tod@s debemos poner al servicio de este análisis y discusión los medios con los que contamos. Por artículos, programas de radio o de tv alternativos, “blogs”, correos, mesas redondas, reuniones, conferencias, volantes, periódicos, asambleas o como sea posible, se podría dar a conocer a otr@s adherentes las posiciones de individuos, familias, grupos, colectivos y organizaciones sobre cada uno de los puntos; por ejemplo, sobre lo de anti patriarcal (qué significa, por qué La Otra debe serlo y cómo). En fin, generar un debate intenso, pero siempre respetuoso, sobre las ideas y propuestas de cada quien.

4.- Que este análisis, discusión y debate internos a La Otra, se concluya durante los meses de octubre y noviembre de este año de 2006.

5.- Que la decisión de cada quien se manifieste en una consulta a tod@s l@s adherentes Una consulta universal interna a La Otra, donde sea escuchada y se tome en cuenta la opinión de todo@s y cada un@ de l@s adherentes, sin importar el lugar donde se encuentre, el idioma que hable, su edad, su raza, su preferencia sexual, su escolaridad, ni si sabe hablar en público o no, ni etcétera, sólo si se adhirió a la Sexta Declaración. Una votación, pues, de tod@s l@s adherentes.

6.- Que esta consulta se realice en la semana del 4 al 10 de diciembre de este año.

7.- Que la realización de esta consulta la asuman las distintas unidades organizativas de trabajo que existen o se creen para esto. Que aunque alguien no pueda asistir a una asamblea o reunión por la causa que fuese, alguien de La Otra vaya al lugar donde trabaja, estudia, vive, y le pregunte y tome nota de su opinión sobre cada uno de los puntos, no importa si es un@ o much@s personas.

8.- Que se respeten los “modos” de cada quien para manifestarse y dar a conocer su opinión: sea por pronunciamiento individual, familiar, de grupo, de colectivo, de organización o de pueblo indio.

9.- Que cada unidad organizativa de trabajo decida la forma y contenido de la realización de la consulta en el ámbito donde la llevará a cabo.

10. - Para quienes así lo decidan, la Comisión Sexta del EZLN se ofrece a recibir y ver que se tome en cuenta su opinión (aunque no coincida con la nuestra o sea contraria a la que sostendremos como zapatistas) en la consulta interna de La Otra.

11.- Que, terminada la consulta, cada unidad organizativa de trabajo dé a conocer públicamente, en la página de Enlacezapatista los resultados que se obtuvieron y en dónde. Así tod@s haremos la cuenta y sabremos qué decidió la mayoría.

12.- Que, cuando tod@s sepamos del resultado total, lo informemos a tod@s l@s adherentes siguiendo el mismo camino que se usó para consultarl@s.

13.- Que así La Otra tenga ya definidas claramente sus características, su estructura organizativa, su política de alianzas, los lugares de cada quien, quiénes están y quiénes no, así como las tareas comunes, para finales de este año.

14.- Que en febrero del 2007 se inicie ya otra etapa de La Otra, la de ir levantando el Programa Nacional de Lucha, con la participación directa de delegad@s de la Comisión Sexta del EZLN, entrando en contacto directo con nuestros pueblos, así como las tareas generales que se acuerden, como la lucha por la libertad y la justicia para l@s pres@s de Atenco, la libertad de tod@s l@s pres@s polític@s del país, la presentación con vida de l@s desaparecid@s y la cancelación de todas las órdenes de aprehensión contra luchador@s sociales.

15.- Que l@s adherentes que estén de acuerdo con esta propuesta nos lo hagan saber por los diversos tipos de correos, a través de las unidades organizativas de trabajo de La Otra en todo México, o por los medios que consideren convenientes.

Ésta es nuestra propuesta, compañeras y compañeros de La Otra Campaña.

Por el Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional. Comisión Sexta del EZLN:

Comandanta Grabiela (delegada uno)
Comandante Zebedeo (delegado dos)
Comandanta Miriam (delegada tres)
Compañera Gema (delegada cuatro)
Comandanta Hortensia (delegada cinco)
Comandante David (delegado seis)
Comandante Tacho (delegado siete)
Subcomandante I. Marcos (delegado zero)


In quel cuore collettivo che siamo, noi zapatisti/e non sappiamo esattamente come sia arrivata a voi la nostra parola della Sexta. Quello che sappiamo è che è stato da lì, dal vostro posto, con la vostra storia e dalla vostra lotta che voi avete risposto "sì" all'invito alla Sexta ed a ciò che poi avremo conosciuto tra noi come La Otra Campaña. È nel cuore di ognuno, a volte individualmente, a volte collettivamente, come popolo indio, come organizzazione politica o sociale, come ong, come collettivo, come gruppo, come individui, dove si è deciso di intraprendere questo passo che ormai non è solo più zapatista ma è invece il destino di molti/e, di tutti/e quelli che siamo.
In quest'anno, che è quello trascorso da quella plenaria nel Caracol de La Garrucha (del 16 settembre 2005) fino a questi giorni convulsi, abbiamo visto che alcuni/e se ne vanno, che altri/e rimangono, che alcuni/e si avvicinano di più, che alcuni/e lavorano, che alcuni/e stanno solamente "scoppiando" ed ostacolando il passo, che alcuni/e - i/le più - hanno fatto loro questo progetto. Questi viavai non hanno provocato solo "rumore" dentro La Otra, ma hanno pure diffuso di più il suo volto, la sua parola, la sua strada.
Come zapatisti/e, pensiamo che quest'anno che è trascorso sia servito molto a conoscerci. Ed anche a sapere coloro che si sono avvicinati/e solo per trarre vantaggi politici. A volte per tentare di capitalizzare un presunto impatto "mediatico" dell'EZLN, a volte per cercare di egemonizzare L'Altra, a volte per condurla ad una politica di alleanze che sarebbe servita loro, a volte per vedere di che si trattava e poi andare da un'altra parte a continuare a guardare, a volte per tentare di omogeneizzare secondo le proprie idee.
Noi crediamo che tutto questo sia stato propiziato, oltre che dai nostri errori (abbiamo già segnalato e riconosciuto alcuni di questi, più quelli che potete aggiungere voi) anche dal fatto che La Otra si porta dietro una buona dose di indeterminazione.
Ciò che all'inizio era una virtù, perché era riuscito a convocare un'ampia gamma del meglio del movimento anticapitalista nazionale, ora inizia a diventare una zavorra.
Anche se fondamentali, le definizioni di base de La Otra sono troppo generali, soprattutto per quanto riguarda la struttura organizzativa, la politica delle alleanze, il posto per le diversità e di coloro che sono invitati e no.
Inoltre, come abbiamo visto ed ascoltato nel nostro percorso e nelle differenti riunioni ed assemblee, è necessario pronunciarsi sul fatto se le caratteristiche attuali siano complete o no. Per portare solo un esempio, da non poche parti è stato segnalato che è necessario La Otra includa l'aspetto anti-patriarcale come una caratteristica di base.
Un altro problema grave ed urgente è che non abbiamo definito il come si prendono le decisioni de La Otra come movimento. Così a volte si presenta una posizione personale o di gruppo o di organizzazione (compreso l'EZLN), come se fosse la posizione di tutta La Otra.
Nelle riflessioni che qui vi abbiamo presentato, abbiamo già spiegato perché concepivamo La Otra come necessaria per un lasso di tempo e che, pertanto, avevamo un po' di tempo per andare avanti conoscendo, sistemando e definendo.
Come abbiamo pure già esposto, noi pensiamo che questo tempo di crisi politica in alto, dove è necessaria un'alternativa di sinistra anticapitalista, è già arrivato. Anche se è palpabile quanto profonda sia la crisi della politica in alto, noi zapatisti/e sappiamo bene che, se non c'è alternativa in basso, quelli in alto finiscono per aggiustarsi e darsi un nuovo respiro.
Noi crediamo che l'ora dell'Altra, l'ora dei/lle Nessuno che siamo, sia arrivata.
Che dobbiamo già iniziare il nostro contatto diretto con tutti/e i/le in basso, col nostro popolo, ed incominciare già a costruire con loro il programma nazionale di lotta.
Oramai non solo più per conoscere, diffondere ed unire tra di loro le resistenze che ci sono nel nostro paese contro il sistema capitalista, ma per cominciare già ad organizzarci attorno a questo piano, ai suoi contenuti, ai suoi obiettivi ed ai passi e alle modalità per portarlo avanti.
Ma non abbiamo ancora un nostro volto come La Otra. Pensiamo che sia ormai tempo di crearcelo tra tutti/e. Ed è tempo che se vadano coloro che non si identificano con quello che è il pensiero maggioritario de La Otra, e che rimangano ed arrivino coloro che davvero si riconoscono in quel volto collettivo che costruiremo.
Crediamo, quindi, che sia arrivata l'ora delle definizioni che sono rimaste pendenti.
Quelle che noi consideriamo principali, sono raggruppate in quei 6 punti: le caratteristiche de La Otra. Coloro che sono convocati e non, la struttura organizzativa (includendo qui pure il meccanismo o la modalità per prendere le decisioni), il posto delle diversità, la politica delle alleanze ed i compiti immediati.
Queste questioni erano state individuate nelle riunioni preparatorie e nella prima plenaria abbiamo proposto che fossero sottoposte alla discussione ed alla decisione di tutti/e gli/le aderenti. Ma non è stata fissata la data, né si è stabilito come si sarebbe tenuto conto della voce di ognuno su queste tematiche.
E tener conto di tutti e di tutte è qualcosa che ci distingue da altre proposte, progetti o movimenti politici.
Per più di un anno abbiamo avanzato molto o poco nella discussione di questi 6 punti. Pensiamo che ora si debba concludere questa tappa e prendere una posizione ed assumere una definizione come La Otra.
Cioè, rispondere, ora come La Otra, alle domande: chi siamo? Da che parte stiamo? come vediamo il mondo? come vediamo il nostro paese? che vogliamo fare? e come lo faremo?

Per tutto ciò che diciamo ora, ed in base a ciò che abbiamo visto, ascoltato e detto in quest'anno, vi proponiamo:

1. - Che noi tutti/e gli/le aderenti concludiamo le nostre analisi, discussioni e definizioni, e che prendiamo una posizione rispetto a:
1. Le caratteristiche fondamentali de La Otra (cioè la sua identità collettiva);
2. La sua struttura (come ci rapportiamo tra di noi);
3. La sua politica di alleanze (chi appoggiamo, con chi ci uniamo);
4. Il posto delle diversità (dove stiamo)
5. Coloro che sono convocati o no (chi è un/una compagn@ e chi no)
6. I compiti comuni a tutti/e gli/le aderenti (oltre a quelli che ognuno ha nella sua lotta)

2. - Che la conclusione di queste analisi, discussioni e definizioni si raggiunga nel posto in cui si è decisa l'adesione: nel popolo indio, nell'organizzazione politica o sociale, nella ong, nel gruppo, nel collettivo, nella famiglia, a livello individuale. È lì dove ognuno resiste e lotta. Ed è lì dove ognun@ può discutere e decidere che tipo de La Otra sia meglio per quanto ci proponiamo.

3. - Che per queste analisi e discussioni, tutti/e coloro che vogliano farlo, possano rendere note agli/lle altri/e le loro posizioni e ragioni. Per adesso non abbiamo altro spazio comune che le pagine internet della Comisión Sexta e quelle delle organizzazioni, dei gruppi e dei collettivi che ce l'hanno. Pensiamo che, anche se è poco e limitato, tutti/e dobbiamo mettere al servizio di queste analisi e discussioni i mezzi che abbiamo. Atraverso articoli, programmi su radio o tv alternative, "blog", e-mail, tavole rotonde, riunioni, conferenze, volantini, giornali, assemblee o comunque sia possibile, si potrebbero render note agli/lle altri/e aderenti le posizioni a livello individuale, delle famiglie, dei gruppi, dei collettivi e delle organizzazioni su ognuno dei punti: per esempio, su quello anti-patriarcale (che cosa significa e perché La Otra deve esserlo e come). Infine, generare un dibattito intenso, ma sempre rispettoso, sulle idee e proposte di ognuno.

4. - Che queste analisi, discussioni e dibattiti interni all'Altra, si concludano entro i mesi di ottobre e novembre di quest'anno, il 2006.

5. - Che la decisione di ognuno/a si manifesti in una consultazione di tutti/e gli/le aderenti. Una consultazione universale interna a La Otra, dove sia ascoltata e si tenga conto dell'opinione di tutti/e e di ognuno/a degli/delle aderenti, senza che sia importante il luogo dove si trova, la lingua che parla, la sua età, la sua razza, le sue preferenze sessuali, il suo livello di scolarizzazione, né se sa parlare in pubblico o no, né eccetera, ma solo se ha aderito alla Sesta Dichiarazione. Una votazione, quindi, di tutti/e gli/le aderenti.

6. - Che questa consultazione si realizzi nella settimana fra il 4 ed il 10 dicembre di quest'anno.

7. - Che la realizzazione di questa consultazione sia assunta dalle varie unità organizzative di lavoro che esistono o si creino per questo. Che se anche qualcuno non possa assistere ad un'assemblea o ad una riunione per qualsiasi motivo, qualcuno/a de La Otra vada nel posto dove lavora, studia, vive e gli/le domandi e prenda nota della sua opinione su ognuno dei punti, non importa se è un singolo/a o molte persone.

8. - Che si rispettino i "modi" di ognuno/a di manifestarsi e far conoscere la propria opinione: sia per pronunciamento individuale, che familiare, di gruppo, di collettivo, di organizzazione o di popolo indio.

9. - Che ogni unità organizzativa di lavoro decida la modalità ed il contenuto della realizzazione della consultazione nell'ambito di dove la terrà.

10. - Per coloro che lo decidano, la Comisión Sexta dell'EZLN si offre di ricevere la loro opinione e di far sì che se ne tenga conto (anche se non coincide con la nostra, cioè è contraria a quella che sosterremo come zapatisti/e) nella consultazione interna de La Otra.

11. - Che, finita la consultazione, ogni unità organizzativa di lavoro renda noti pubblicamente, nella pagina di Enlacezapatista i risultati e le località. Cosicché tutti/e insieme potremo fare il conto e sapremo che cosa ha deciso la maggioranza.

12. - Che, quando tutti/e sappiamo il risultato totale, informiamo tutti/e gli/le aderenti seguendo lo stesso percorso che si è usato per consultarci.

13. - Che così La Otra definisca già chiaramente le sue caratteristiche, la sua struttura organizzativa, la sua politica di alleanze, il posto di ognuno, chi ci sta e chi no, così come i compiti comuni, entro la fine di quest'anno.

14. - Che nel febbraio del 2007 si dia già inizio ad un'altra tappa de La Otra, quella di continuare a portar avanti il Programma Nazionale di Lotta, con la partecipazione diretta dei/lle delegati/e della Comisión Sexta dell'EZLN, entrando in contatto diretto con i nostri popoli, così come i compiti generali che si saranno decisi, come la lotta per la libertà e la giustizia per i/le prigionieri/e di Atenco, la libertà di tutti/e i/le prigionieri/e politici del popolo, la ricomparsa in vita dei/lle desaparecid@s e la cancellazione di tutti i mandati di cattura contro gli/le attivisti/e sociali.

15. - Che gli/le aderenti che sono d'accordo con questa proposta ce lo facciano sapere attraverso tutti i tipi di posta, attraverso le unità organizzative di lavoro de La Otra in tutto il Messico, o attraverso tutti i mezzi che considererete convenienti.

Questa è la nostra proposta, compagne e compagni dell'Altra Campagna.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale Commissione Sesta dell'EZLN:

Comandante Grabiela (delegata uno)
Comandante Zebedeo (delegato due)
Comandante Miriam (delegata tre)
Comandante Gema (delegata quattro)
Comandante Hortensia (delegata cinque)
Comandante David (delegato sei)
Comandante Tacho (delegato sette)
Subcomandante Insurgente Marcos (delegato zero)



Los peatones de la historia:
Los Caminos a la Sexta
Los Caminos de la Otra
El día más largo del año más largo
Dos peatones en caminos distintos... y con destinos diferentes
¿La hora de las definiciones?


Style


Style is the answer to everything.
A fresh way to approach a dull or dangerous thing
To do a dull thing with style is preferable to doing a dangerous thing without it
To do a dangerous thing with style is what I call art

Bullfighting can be an art
Boxing can be an art
Loving can be an art
Opening a can of sardines can be an art

Not many have style
Not many can keep style
I have seen dogs with more style than men,
although not many dogs have style.
Cats have it with abundance.

When Hemingway put his brains to the wall with a shotgun,
that was style.
Or sometimes people give you style
Joan of Arc had style
John the Baptist
Jesus
Socrates
Caesar
García Lorca.

I have met men in jail with style.
I have met more men in jail with style than men out of jail.
Style is the difference, a way of doing, a way of being done.
Six herons standing quietly in a pool of water,
or you, naked, walking out of the bathroom without seeing me.
_______________

Estilo es la respuesta a todo.
Una forma nueva de enfocar algo aburrido o peligroso.
Hacer con estilo algo aburrido es preferible a hacer algo peligroso sin estilo.
Hacer algo peligroso con estilo, es lo que yo llamo arte.
Torear puede ser un arte.
Boxear puede ser un arte.
Amar puede ser un arte.

Abrir una lata de sardinas puede ser un arte.
No muchos tienen estilo.
No muchos conservan el estilo.
He visto perros con más estilo que algunos hombres.
Aunque no muchos perros tienen estilo.
Los gatos lo tienen en abundancia.

Cuando Hemingway estampó su cerebro contra la pared con una escopeta, eso fue estilo.
A veces, hay personas con estilo.
Juana de Arco tenía estilo.
Juan Bautista,
Jesús,
Sócrates,
César,
García Lorca.
He conocido a hombres con estilo en la cárcel.
He conocido a más hombres con estilo en la cárcel que fuera de ella.
El estilo es una diferencia, una forma de hacer, una forma de estar hecho.
Seis garzas quietas de pie en un estanque, o tú saliendo desnuda del baño sin verme.


Lo stile è una risposta a tutto.
Un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso
fare una cosa noiosa con stile è meglio che fare una cosa pericolosa senza stile.
Fare una cosa pericolosa con stile è ciò che io chiamo arte.
Boxare può essere arte.
Amare può essere arte.

Aprire una scatola di sardine può essere arte.
Non molti hanno stile.
Non molti possono mantenere lo stile.
Ho visto cani con più stile degli uomini,
Sebbene non molti cani abbiano stile.
I gatti ne hanno in abbondanza.

Quando Hemingway si è fatto saltare le cervella con un fucile, quello era stile.
Alcune persone ti insegnano lo stile.
Giovanna d'Arco aveva stile.
Giovanni il Battista.
Gesù
Socrate.
Cesare.
García Lorca.
In cella ho conosciuto uomini con stile.
Ho conosciuto più uomini con stile in prigione che fuori.
Lo stile è una differenza, un modo di fare, un modo di esser fatto.
Sei aironi tranquilli in uno specchio d'acqua o tu, nuda, mentre esci dal bagno senza
vedermi.

Charles Bukowski