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BERLUSCAU MERAVIGLIAO
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C'ERA UNA SCUOLA
Cari colleghi, Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società [...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: 1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. 2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: 1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. 2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. 3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito [...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.
Piero Calamandrei
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FORTEZZA ITALIA
Siamo in attesa, ma non si sa di cosa. Deve passare la nottata, ma nessuno sa quanto sia lunga e nera la notte e, in fondo, non ci importa. Dalla nostra fortezza, avamposto in rovina, appartamento di periferia o in centro città, osserviamo l'orizzonte attraverso la malia della televisione. Voci familiari di perfetti sconosciuti ci tengono compagnia ogni sera. Interpretano gli accadimenti alle nostre frontiere e anche i pericoli, e insieme ad essi le soluzioni. Noi, come è ovvio, non ci crediamo più, né ai pericoli, né alle soluzioni. I pericoli sono ben più minacciosi, già dentro i nostri confini, e le soluzioni sono giochi di prestigio di chi non può che perpetuare il proprio potere, non ha del resto scelta. Le falsità di cui ci circondiamo sono troppo evidenti e prolungate, ma quel futuro così minaccioso non si può affrontare ora, con queste miserabili armi, senza una strategia, senza un'oncia, o anche un solo grammo, di coraggio. La fortezza è accogliente, non ci manca nulla a parte la libertà e la conoscenza. L'attesa ci consuma come delle candele, ma il loro calore è sufficiente per rimandare anche il più piccolo esame di coscienza.
Dal deserto che si estende ininterrotto di fronte alle mura, in cui ci siamo rinchiusi per viltà o per scelta, non verrà nessuno, non formidabili e spietati nemici, non amici in nostro soccorso con le armi della democrazia e della libertà, due parole di cui crediamo di sapere il significato, ma che abbiamo mutato, più o meno inconsciamente, in dittatura e servilismo. L'attesa deve durare per sempre, resistere (a chi?) è il nostro unico e vero obiettivo. Il tempo dell'attesa dura da generazioni, una dopo l'altra cancellate come le stelle dalla luce del mattino. Nella fortezza c'è ancora abbastanza cibo, ma i più giovani spesso partono per delle terre straniere senza fare più ritorno. Sono milioni ormai.
La fortezza invecchia insieme ai suoi abitanti e le sue mura cominciano a sgretolarsi, si dice che avvenga per tutte le fortezze, che sia una regola universale, che nessuna fortezza sia eterna, che nessuna attesa sia per sempre. Il muro di Berlino è caduto, e ora le fortezze del Maghreb, una dopo l'altra. Ma è dolce l'attesa, pur con il boato dei primi crolli. Quel nemico, che mai apparirà da territori sconosciuti, siamo in realtà noi, ma è così rassicurante pensarlo diverso, lontano.
Beppe Grillo
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LA SAGA DI GIARABUB
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UNA STORIA SEMPLICE
[...] Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. "Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!".
"Tanti: e mi pesano" convenne il professore.
"Ma che dice? Lei non è mutato per nulla, nell'aspetto".
"Lei sì" disse il professore con la solita franchezza.
"Questo maledetto lavoro... Ma perché mi dà del lei?".
"Come allora" disse il professore.
"Ma ormai...".
"No".
"Ma si ricorda di me?"
"Certo che mi ricordo".
"Posso permettermi di farle una domanda?... Poi gliene farò altre, di altra natura... Nei componimenti d'italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?".
"Perché aveva copiato da un autore più intelligente".
Il magistrato scoppiò a ridere. "L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, Procuratore della Repubblica...".
"L'italiano non è l'italiano: è il ragionare" disse il professore. "Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto".
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì.
E passò a un duro interrogatorio.
Leonardo Sciascia
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17 MARZO
Amo l'Italia, non voglio un primo ministro iscritto alla loggia massonica eversiva Propaganda 2.
Amo l'informazione, non voglio un governante che con la corruzione e la forza ha il monopolio totale delle tv private.
Amo il servizio pubblico, non voglio un primo ministro che imbottisce le istituzioni di servi, pregiudicati e prostitute.
Amo la cultura, non voglio un primo ministro che corrompendo alcuni giudici ha arraffato più grande casa editrice italiana, la Mondadori.
Amo lo stato moderno, non voglio un capo del governo che pretende di comandare la giustizia.
Amo l'onestà, non voglio un politico che diventa primo ministro grazie ai soldi, la corruzione, la menzogna e allo strapotere dei suoi media.
Amo l'uguaglianza di fronte alla legge, non voglio un primo ministro che si crea più di 80 leggi create per se stesso e per sfuggire alla giustizia e per fare ancora più soldi, contro l'interesse collettivo.
Amo la possibilità di scegliere e non voglio un primo ministro che mi ha rubato la possibilità di decidere chi mandare in parlamento.
Amo la divisione dei poteri, fondamenta degli stati moderni da 300 anni e non voglio un primo ministro che pretende di governare e allo stesso tempo di fare le leggi.
Amo la sincerità e non voglio come mio governante un bugiardo davanti ai giudici, al parlamento, alla stampa e ai cittadini.
Amo la giustizia e non voglio come mio governante uno che aveva come dipendente un capo mafioso, Mangano da lui indicato come eroe e che ha come braccio destro e co-fondatore di partito un condannato per mafia, come Dell'Utri.
Amo la storia e non mi piace pensare che il mio governante possa essere stato, come sempre più pentiti affermano, il mandante delle stragi di mafia del 1992-93.
Amo e rispetto le donne e non mi piace essere governato da uno che compra il sesso anche da minorenni.
Amo la libertà degli altri e non sopporto un primo ministro che offende gli omosessuali, gli ebrei, chi ha il colore della pelle più abbronzato. Ho rispetto per me stesso e mi offende che un simile uomo dica che tutti noi italiani siamo come lui.
Amo i cittadini quando scelgono con la propria testa e non mi piace un prepotente che rovescia le scelte dei referendum.
Amo il mio paese e per continuare ad avere rispetto di me stesso, urlo con tutto il mio cuore: "Dimettiti!"
Dimostro il mio amore per l'Italia, per la giustizia, per la democrazia con un sistema semplice uno striscione appeso al mio balcone.
Quando dai balconi saranno appesi migliaia e migliaia e milioni di inviti a dimetterti, caro Berlusconi, non potrai più ignorarci. Le tue dimissioni saranno inevitabili, perchè tutti rideranno di te.
Quando gli striscioni saranno migliaia e migliaia e milioni, anche noi cittadini ci renderemo finalmente conto di essere la maggioranza e capiremo che tutti i tuoi sondaggi erano tristi bugie
Questo è un piccolo passo che tutti possiamo compiere
Nessuna iniziativa è inutile.
E' il nostro Piccolo Atto di Resistenza
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ODISSEY DAWN... AND SUNSET
Quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, Mussolini almeno lo dichiarò dal balcone di Palazzo Venezia davanti a una folla oceanica. Ci mise, come si dice, la faccia dopo quasi un anno di attesa dall'inizio del conflitto europeo in cui, per starne fuori, si era inventato la "non belligeranza", né guerra, né pace. 71 anni dopo, nel giorno del 150° anniversario dell'Unità, siamo entrati in guerra con la Libia, un nostro ex alleato (in questi voltafaccia abbiamo una certa esperienza...) senza un pubblico dibattito o che Berlusconi o Napolitano sentissero il bisogno di andare in televisione a spiegarne i motivi. [...] Frattini ha dichiarato: "Daremo le basi, possibili nostri raid". Lo ha fatto con quell'aria stolida e tranquilla che lo accompagna dalla nascita.
Beppe Grillo
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MANI IMPUNITE
Non siamo noi a dover emigrare, ma loro a dover prendere gli elicotteri.
"Qui ed in molti altri luoghi, sento parlare laureati e lavoratori che se ne vanno all'estero, perché qui non c'è lavoro, non c'è meritocrazia, non c'è nessuno che rispetta leggi che vanno solo a danno dei cittadini. Sento padri e madri di famiglia che si costringono a infrangere i propri ideali, la propria dignità, pur di andare avanti. Sento politici che cambiano sponda e bandiera "perché a mali estremi..." e "vado dove c'è più bisogno", ma dimenticano ben presto le promesse elettorali. Io non me ne vado.
Io non abdico i miei ideali.
Io non scendo a patti con la mia coscienza.
Io non accetterò o verserò mazzette per lubrificare ingranaggi, non pagherò pizzi, non sverserò e inquinerò perché meno costoso.
So benissimo che questo Paese è in mano ai furbi (nel migliore dei casi) ed ai delinquenti (nel peggiore), ma non li lascerò vincere, non gli lascerò in mano il paese che amo solo perché loro sono più forti. Io sono più forte. Non guarderò mio figlio, tra vent'anni, confessando di aver contribuito al malaffare "perché tanto lo facevano tutti, così è la vita". Resterò coerente con me stesso, perché oggi la coerenza non è più un valore, ma si decide caso per caso. Non me ne vado all'estero, dove tutto è sì più facile, ma dove non è la mia patria. Lavoro per creare lavoro, inizierò una nuova attività nonostante gli ostacoli e lo scetticismo di chi mi circonda. Avrò successo o fallirò, ma l'avrò fatto nel mio Paese, nella mia Nazione. Io resto qui e la mia sola presenza sia di monito e minaccia per coloro che usano il MIO Paese per pulirsi le natiche e ingrossarsi il portafoglio. Li sto aspettando".
Bad
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