A alegria do povo

I dittatori passano. Passeranno sempre. Ma un gol di Garrincha è un momento eterno. Non lo dimentica nessuno.

Edilberto Coutinho
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Sembrava avesse due gambe destre o due gambe sinistre e nella finale del 1958 ci massacrò.

Nils Liedholm
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Obrigado Garrincha per voce ter vivido.
Grazie Garrincha per aver vissuto.

Frase scritta su di un muro di Rio de janeiro



Garrincha è stato il genio del dribbling, la più imprevedibile e fantasiosa ala del calcio mondiale, un giocoliere col pallone ai piedi, con un passaggio di rara precisione e un tiro devastante da fermo e in corsa.
Riusciva a saltare gli avversari come birilli dando vita ad azioni tuttora ritenute tra le più spettacolari del gioco del calcio. Imprevedibile, magico, elusivo, esplosivo sono solo alcuni dei molti aggettivi usati per definirlo. Se Pelé è stato considerato dai brasiliani come il giocatore tecnicamente più dotato di tutti i tempi, Garrincha verrà sempre ricordato per la sua sfrontatezza e inventiva. Audace, combattivo e divertente, fece divertire gli spettatori di tutto il mondo.
Ma Manoel Francisco Dos Santos, detto Garrincha, non è stato solo una leggenda del calcio. La stella del campione, le sue debolezze, il suo talento e infine il suo tragico declino, non bastano da soli a raccontare le gesta della più grande ala destra che abbia mai messo piede in un campo di calcio. Dietro la sua leggenda c'è molto di più. C’è un uomo.
Garrincha era caratterizzato, nel gioco, da un doppio passo micidiale dovuto ad una gamba storta e di sei centimetri più corta dell'altra, frutto degli stenti patiti da bambino, di una poliomielite e di un'operazione di chirurgia correttiva. Il soprannome di "Garrincha" gli venne dato da suo fratello maggiore (uno dei dodici) che lo accostò ad uno degli uccelli più brutti che abitano il Mato Grosso. “Uno storpio dalle gambe storte, tutto pelle e ossa, con la colonna vertebrale storta”, così veniva descritto da piccolo.

Quando nasce, il 28 ottobre del 1933 a Pau Grande (nei pressi della foresta, zona poverissima di Rio de Janeiro), il piccolo Mané è già sfortunato di suo. Oltre a crescere nel Brasile della fame e del degrado, infatti, il destino sembra proprio accanirsi con lui. Si ammala di una grave forma di poliomielite e gli stessi genitori dubitano disperati che il loro bambino possa riuscire un giorno a camminare. Grazie a Dio, un’operazione rimette a posto parzialmente le cose e Mané riesce a correre, ma in modo sghembo. In fondo, sarà proprio questa la sua unica fortuna, unita alla sua grande passione: il calcio. La gamba destra più corta di sei centimetri gli permette d’inventare una finta che tutti gli avversari conoscono a memoria ma che tutti frega, lasciandoli sul posto interdetti.
La stella di Garrincha comincia a splendere il 13 marzo del 1953. Gioca in una squadra amatoriale, il Serrano di Petropolis, quando lo portano a Rio per un provino sul campo del Botafogo.
Quel giorno, siccome sono in pochi trova posto, fatto inedito e straordinario, tra le riserve che giocano contro i titolari. Il Botafogo, gloriosa squadra di Rio de Janeiro, forse vuole umiliarlo e gli piazza d’avanti il leggendario laterale sinistro Nilton Santos. Garrincha gioca ala destra e si trova così di fronte il più grande laterale sinistro di ogni epoca, Nilton Santos, il cui soprannome dice tutto: "Enciclopedia del calcio". Garrincha mostra fin da subito il suo repertorio di finte sulle fasce laterali e fa ammattire i suoi avversari, divertendosi con le sue corse sbilenche e gli incredibili cambi di passo.
Su quel provino sono state scritte pagine e pagine. Si disse che Garrincha fece fare una figuraccia al grande Nilton, e ci fu chi raccontò che alla fine Nilton era così esasperato che lo voleva prendere a cazzotti. Alla fine sarà proprio lui, il pluricampione del mondo e bandiera del club bianconero con più di mille presenze in prima squadra, ad insistere con i suoi dirigenti: quel formidabile ragazzo con la sua finta l’ha saltato dieci volte su dieci e senza neanche il tempo di capire come. Va messo subito sotto contratto, senza pensarci due volte!

Dai ricordi di Nilton: "Quando lo vidi mi sembrava uno scherzo, con quelle gambe storte, l'andatura da zoppo e il fisico di uno che può fare tante cose nella vita meno una: giocare al calcio. Come gli passano la palla gli vado incontro cercando di portarlo verso il fallo laterale per prendergliela con il sinistro, come facevo sempre. Lui invece mi fa una finta, mi sbilancia e se ne va. Nemmeno il tempo di girarmi per riprenderlo e ha già crossato. La seconda volta mi fa passare la palla in mezzo alle gambe e io lo fermo con un braccio e gli dico: senti ragazzino, certe cose con me non farle più. La terza volta mi fa un pallonetto e sento ridere i pochi spettatori che assistono all'allenamento. Mi incazzo e quando mi si ripresenta di fronte cerco di sgambettarlo, ma non riesco a prenderlo. Alla fine vado dai dirigenti del Botafogo e dico: tesseratelo subito, questo è un fenomeno..."

Ai primi di giugno del 1953, il Botafogo acquista quindi Garrincha dal Serrano di Petropolis per cinquecento cruzeiros, una cifra che rapportata ai giorni nostri equivale a ventisette dollari, la cifra più bassa che sia mai stata scritta su un contratto professionistico nella storia del calcio brasiliano.
I tifosi brasiliani, da sempre grandi estimatori della tecnica, finiscono ben presto per adorare la miriade di dribbling, finte e tocchi vellutati in grado di far fuori anche il migliore dei difensori. Fu a quel tempo che lo soprannominarono “il Chaplin del calcio” e “l’orgoglio e l’allegria della gente”.
Garrincha diventò presto la stella del Botafogo e poi quella della nazionale brasiliana dove debuttò il 18 settembre del 1955 contro il Cile (1-1). In totale, alla fine, il suo record internazionale fu di 50 presenze e 12 gol, oltre a 5 gol nelle 12 gare disputate nelle fasi finali dei Mondiali. Durante il lungo raduno prima della spedizione in Svezia per i campionati mondiali del 1958 tutti i giocatori vennero sottoposti a dei test di intelligenza. In un punteggio da 0 a 123 Garrincha totalizza 38 punti! La relazione medica del Dr. Carvalho su Garrincha è impietosa: "Ha la psiche di un bambino di quattro anni, non ha l'intelligenza sufficiente per fare l'autista di autobus". Un cronista lo venne a sapere e gli chiese se si considerava un mezzo idiota. Garrincha senza scomporsi risponde: "Non sarò Rui Barbosa, ma per fortuna non sono nemmeno Mazola". Mazola era un giovane centravanti del Palmeiras che poi avrebbe giocato in Italia con il vero nome di Altafini. In quei test, per la verità, non brillò neppure Pelé. A lui lo psicologo attribuì un punteggio di 68, da mezzo idiota o quasi. "Pelè è un infantile, gli manca il necessario spirito alla lotta, è troppo giovane per reagire con l'adeguata aggressività, non ha senso di responsabilità necessario allo spirito di squadra, ne sconsiglio la convocazione". Garrincha e Pelè hanno invece giocato nella nazionale brasiliana, assieme e senza saltare una partita, dal 1958 al 1966 e Garrincha, grazie alla sua leggendaria abilità nel dribbling ed alla sua predisposizione al gol, portò la propria nazionale ai trionfi nella Coppa del Mondo del 1958 e del 1962.

Il Brasile prima di sbarcare in Svezia per i Mondiali del 1958 gioca diverse amichevoli in Europa. Una di queste in Italia, a Firenze, contro la Fiorentina. Garrincha entusiasma il pubblico: dribbling, assist e infine, sul 3-0, lascia tutti a bocca aperta. Punta Robotti, lo scarta con un dribbling, evita il portiere in uscita e... invece di mettere la palla in rete si ferma, aspetta ancora Robotti! Lo dribbla ancora una volta mandandolo a terra, e poi segna ridendo sguaiatamente.
I giocatori brasiliani gli corrono incontro, ma non per abbracciarlo, per dargli un cazzotto. Nilton Santos gli urla: "Cretino, certe cose non si fanno. Così prima o poi troverai qualcuno che ti spezza una gamba".

In terra scandinava, l’allenatore ricorre all’estro di Garrincha solo nel terzo incontro perché alle prime due partite la sera prima lo trovano ubriaco. Dopo aver vinto con l’Austria 3-0, il Brasile è stato bloccato 0-0 dall’Inghilterra. Contro l'Unione Sovietica Garrincha prende il posto di Joel (Joel Antônio Martins) e con lui entra in campo per la prima volta anche un certo Edison Arantes do Nascimento, detto Pelè, che sostituisce José (João) Altafini. In tre soli minuti distrugge letteralmente l'Unione Sovietica. Mezza difesa avversaria dribblata, una traversa, una paratissima di Jascin e una palla gol (realizzata) a Vavà. La partita finisce 2-0 per i sudamericani e, da quel momento, più nessuno riesce ad arrestare la marcia trionfale dei verde-oro che si aggiudicano il primo titolo mondiale della loro storia. Vavà (Edvaldo Izidio Neto) e Pelè timbrano in due ben undici gol e devono ringraziare soprattutto Garrincha, autore della quasi totalità degli assist e di altre giocate memorabili. Ormai la stella del ragazzo di Pau Grande brilla nel firmamento calcistico di tutto il globo e i tifosi impazziscono per le sue azioni: una finta verso sinistra, un’accelerazione seguita da un passo a destra, un’altra accelerazione e poi un’altra conversione al centro.
E' lui il giocatore chiave della nazionale brasiliana, eppure di quei Mondiali del '58 l'immagine che rimane è quella di un Pelè adolescente che piange durante la premiazione.
Tutti piangono. Tutti meno Garrincha, che ingenuamente domanda al proprio capitano "Cosa è successo?" e quando gli dicono che il Brasile ha battuto la Svezia ed è campione del mondo, replica "ma la partita di ritorno quando la giochiamo?".
Ecco, questo è Garrincha: l'anima di un bambino ingenuo e senza malizia, con una visione inguaribilmente di allegra e leggerezza nella vita come nel calcio.
Josè Altafini, ricordando quel Mondiale giocato con il soprannome di Mazola, ha detto: "L'ha vinto Garrincha, come quello di quattro anni più tardi in Cile. Tutti dicono Pelè, ma senza Garrincha quel Brasile non sarebbe stato immenso".

In Cile, nei Mondiali del '62, a seguito dell'infortunio a Pelè nella prima partita, il manager Aymore Moreira responsabilizza ancor di più Garrincha che fa tutto: il centrocampista, l'attaccante e il goleador. La fiducia del manager alla fine venne ampiamente ricompensata da Garrincha con un gioco straordinario e quattro gol determinanti, che lo portarono al titolo di capocannoniere alla pari con altri cinque calciatori. Il "pazzo Garrincha", quello che non ti aspetti, diventa l'uomo-squadra. Forse solo il Maradona di Mexico'86 legherà altrettanto indissolubilmente ad un singolo calciatore la conquista di una Coppa del Mondo, perché Garrincha, negli stadi cileni, farà vedere di tutto.
Contro l'Inghilterra, nei quarti, segna una doppietta.
Il secondo gol è addirittura da cineteca : un destro tagliato a rientrare dai venti metri che non dà scampo al portiere britannico, al termine di un'azione personale che è un concentrato di potenza e tecnica.
Nella semifinale con il Cile viene espulso per aver aggredito a calci nel sedere il difensore Rojas, e per non fargli saltare la finale (come da regolamento) interviene persino il primo ministro del Brasile, Tancredo Neves, chiedendo alla Fifa che non venga applicata la squalifica per meriti sportivi. Scrive persino che Garrincha in tutta la sua carriera si è sempre distinto per correttezza e che mai e poi mai è stato espulso e chiede, in nome del popolo brasiliano, il perdono di Garrincha. Il presidente del Perù, Manuel Prado y Ugarteche, attraverso l'ambasciatore in Cile chiede che Yamasaki (l'arbitro cileno che aveva espulso Garrincha) scriva nel suo referto che c'è stato un errore di persona. E nel caso fosse chiamato a deporre anche il guardialinee, i dirigenti brasiliani intervengono anche su di lui: l'uruguayano Esteban Marino. Questi viene accompagnato all'aeroporto di Santiago dai dirigenti Falcao e Di Giorgio, viene fatto salire su un aereo per Montevideo, con scalo (di dieci giorni!) a Parigi. Garrincha fu assolto con cinque voti a favore e due contrari.
Garrincha gioca la finale e risulta decisivo come in tutte le altre gare in Cile. Cecoslovacchia-Brasile, 3-1! Garrincha oltre alla coppa si porta a casa il titolo di capocannoniere con quattro gol. Un autentico trionfo! L’ala destra dal caratteristico passo sbilenco viene nominato miglior giocatore del torneo.”Da che pianeta viene Garrincha?”, titola il giornale cileno Mercurio, dopo l’eliminazione degli ospiti da parte del Brasile in semifinale.
Assieme a lui in Cile c'è anche Elza Soares, la stella della canzone brasiliana con una storia alle spalle, al confronto della quale quella di Garrincha sembra un picnic domenicale.
Elza quando conosce Manè ha trentun anni, tre più di lui. Cresciuta in una favela, sposata a tredici anni con Alauerde Soares, l'uomo che l'aveva stuprata tre anni prima, otto figli, dei quali tre morti per fame, vedova a venticinque anni, quando conosce Garrincha sta uscendo dalle umiliazioni della vita.
La storia d'amore è una passione travolgente che dura quasi vent'anni. In Cile la stella di Garrincha è all'apice, ma ben presto inizia la parabola discendente.
E' alcolizzato da tempo, i compagni non lo aiutano di certo, è lasciato solo, ricade nella miseria più nera e l'alcolismo lo divora giorno dopo giorno. Gli ingaggi sono sempre più rari e all'inizio degli Anni '70, quando segue Elza in una tournèe in Italia gioca anche a Torvaianica, in una squadra dopolavoristica. Torna in Brasile e da ubriaco, guidando senza patente, in un incidente ammazza la suocera. Un altro incidente era accaduto anni prima e aveva investito il padre, scampato alla morte per miracolo.
Tenta il suicidio, continua a bere e ad avere figli. Alla fine quelli riconosciuti saranno 14, undici femmine e tre maschi, più Ulf Lindberg un figlio avuto da un'avventura con una svedese ai Mondiali del 1958.

La parabola discendente di Garrincha non rallenta nè si ferma. Anzi. Precipita negli abissi della miseria più nera e dell'abbandono.
La sera nel 20 gennaio del 1983 all'ospedale Alto da Boavista sopra Rio de Janeiro, due medici, Ana Helenio Bastos e Maria Beatriz Carneiro da Cunha mettono Garrincha su una sedia a rotelle e lo trasportano al padiglione Santa Teresa, quello riservato agli alcolizzati. Gli somministrano del siero glicosato, Griplex, Lasix e vitamina B e dicono agli infermieri di legarlo al letto, se necessario.
Garrincha è lasciato addormentato e solo, la stella più solitaria di quella notte estiva. La morte arriva pietosa all'alba di quel 21 gennaio del 1983 ad alleviargli la solitudine. L'autopsia rivelerà che il suo cervello, il cuore, i polmoni, il fegato, il pancreas, l'intestino e i reni, erano parzialmente distrutti dall'alcol.
Muore così Manoel Dos Santos, detto Garrinchia, uno dei pochi brasiliani che non ha bisogno di presentazioni. Anche chi non sa di football sa che fu un genio del dribbling, eroe di due campionati del mondo, l'uomo più amato dell'intero Brasile. Sa anche della sua unione con la cantante Elza Soares e che dalla pagine sportive è passato in quelle scandalistiche per le sue drammatiche vicende di alcolizzato.
Quando muore Garrincha, a 49 anni, nella miseria e nell'abbandono, un sentimento di colpa di abbatte su tutto il Brasile, che ancora una volta si dimostra ingrato con uno dei suoi figli più ingenui e più amati. I suoi resti vennero esposti nello stadio Maracaná, dove migliaia di tifosi si recarono a rendergli omaggio. Tutti i compagni di squadra nell'occasione ricordano quanto fosse semplice, spontaneo, quasi ingenuo e immaturo per affrontare la vita. E tanti piangono un amico che non hanno saputo aiutare nel momento del bisogno e a cui volevano davvero bene. Mané, quando ancora giocava e abitava nella foresta di Pau Grande, spesso si presentava in ritardo agli allenamenti. Ma non era indolenza. L’allenatore gli chiedeva: “Perchè” E lui: “Sono rimasto a casa mia, a vedere gli uccellini volare”.

Terminava così la favola di Garrincha, l'uccellino zoppo che non aveva saputo trovare il nido una volta che aveva smesso di volare.
C'è un bell'aforisma che ci fa capire cosa sia stato Garrincha per i suoi connazionali: se parli di Pelè a un vecchio brasiliano questi si toglie il cappello per un senso di devota gratitudine. Se gli parli di Garrincha, il vecchio si mette a piangere.
Mentre Pelè rappresenta ciò che ogni Brasiliano di colore vorrebbe essere (il nero integrato, di successo, l'icona di successo e fortuna), Garrincha è stato lo specchio di quello che sono.
Certo, in un paese razzista e classista come il Brasile è Pelè l'esempio da seguire, non Garrincha: lui è l'alcolista da dimenticare, da seppellire, da rimuovere dalla coscienza.
Come al solito, dopo la sua morte si sono levati cori di dispiacere, e di condanna verso chi lo avrebbe abbandonato.
Raccontano che solo Nilton Santos avesse infinite volte cercato di aiutarlo, di riportarlo alla vita, ma così come il suo modo di giocare, semplice ed inimitabile, la sua famosa finta, sempre uguale eppur imprevedibile, lo avevano reso incontenibile sul campo, così il suo modo di vivere lo rendeva incompatibile con la società delle persone "perbene", decretandone irrimediabilmente l'emarginazione.
Nilton Santos, il “suo” capitano nel Botafogo e nella "seleçao" - perché ,anche se la fascia la portava un altro, Manè ascoltava solo Nilton e solo Nilton riusciva a comprendere quel portoghese misto al guaranì che era la lingua in cui si esprimeva Garrincha sul campo di calcio - quando parla di lui, ha gli occhi lucidi e la voce rotta dalla commozione:

"Non ci sarà mai un altro Manè Garrincha. Ci saranno forse un altro Pelè ed un altro Maratona, ma non credo. Se avranno fortuna vedranno un altro Nilton Santos, ma non ci sarà un altro Manè Garrincha. Non su questa terra.
Il Brasile, prima e dopo di lui ha avuto grandi campioni: Julinho, che era grandissimo, Jairzinho, che è stato 'tricampeao' in Messico, ma, anche limitandoci al suo ruolo, nessuno è stato e sarà mai come lui.
Chi l’ha visto, chi ha visto Manè, ancor più chi ci ha giocato assieme, può dire di aver avuto fortuna, molta fortuna.
La più grande fortuna che possa capitare a chi gioca al calcio. Nessuno, penso, possa saperlo meglio di me. Sono stato io a consigliarne l'acquisto. Era venuto da Pau Grande a fare un provino a Rio, al Botafogo, e lo fecero giocare nella squadra delle riserve contro noi titolari. Era magrissimo, fragile, si vedeva che era un poveraccio. Alla fine della partita andai personalmente dal nostro Presidente e gli dissi di comprarlo, di fargli firmare un contratto o qualsiasi altra cosa. Anni dopo qualcuno disse che il grande Nilton Santos l'aveva fatto per compassione, per aiutare quel povero ragazzo zoppo. E' una sciocchezza, l'avevo fatto per non trovarmelo mai più di fronte e non dovermene pentire
".

Sono passati più di cinquant'anni da quando Manè Garrincha fece la sua apparizione ai mondiali di Svezia, eppure, sebbene non abbia mai giocato in Italia, né in Europa, la sua fama è sempre solidissima ed arriva, ancora oggi, a rivaleggiare con quella di Pelè, quel Pelè così diverso da lui, quel Pelè esemplare amministratore della propria immagine di atleta, un'immagine sapientemente costruita assieme alle multinazionali che lo hanno sponsorizzato.
Manè, non è stato sponsorizzato da nessuno, quando ha finito di volare nessuno si è ricordato di lui, la gente "importante" pronta sempre ad aiutarlo quando era un famoso calciatore gli ha voltato le spalle, molte porte, un tempo spalancate, si sono chiuse e per lui il mondo è entrato dentro una bottiglia.
Resta di lui il ricordo del calciatore che è stato : grandissimo, forse il più grande.
Su Manè Garrincha sono stati scritti molti libri, prodotti documentari, portate testimonianze, ma basta ancora oggi vedere un filmato cinematografico sbiadito dal tempo per emozionarsi nuovamente e tornare a sognare, perché per quanto si pensi di conoscerlo la grandezza di Manè resta nel suo gioco, in quel magico gioco di gambe prima dello scatto, nel suo modo unico di "amare" il calcio e trasmettere questo sentimento.
Uno degli "spot" sportivi più famosi è quello della NBA, la lega professionistica statunitense del basket -"I love this game!"- dice un campione palleggiando in TV; Manè Garrincha lanciava lo stesso messaggio cinquant'anni prima ogni volta che portava sul campo la sua magia; e lo faceva gratis.

Alla storia del calcio ha lasciato la sua fuga dinoccolata, il modo di puntare l'avversario e sfuggirgli, palla al piede, divertendosi magari a "fregarlo" con la stessa finta più volte nel corso della stessa partita per poi tirare rasoiate crudeli destinate al fondo del sacco, oppure per appoggiare delicatamente il pallone al centro dell'area lasciando i compagni liberi di battere a rete.

A noi, invece, fa piacere ricordarlo così: al ritorno dai mondiali del '58 con il titolo di campioni del mondo, i calciatori della selecao furono accolti dal governatore di Rio. Li fece riunire nello stadio per farli celebrare come eroi e c'era una colomba in una gabbia.
Al termine della cerimonia il governatore annunciò che c'era una villetta sulla spiaggia come premio per ogni calciatore.
Alla fine del ricevimento, mentre il politico si congratulava con gli atleti, Garrincha, con quegli occhi da bambino felice, ingenuo forse, ma allegro, chiese la parola: “Scusi, signor Governatore, vede quella gabbia dietro la sua testa? Ecco, invece della villa vorrei che mi facesse un altro regalo. Vorrei… Vorrei che liberasse quell'uccello”.

Ora nel cimitero in cui riposa Garrincha si trova un piccolo memoriale che esprime tutto l’amore del Brasile per colui che fu due volte Campione del Mondo.
Sulla lapide si legge: “Era un ragazzo dolce / parlava ai passeri”.







Se há um Deus que regula o futebol, esse Deus é sobretudo irônico e farsante, e Garrincha foi um de seus delegados incumbidos de zombar de tudo e de todos, nos estádios. Mas, como é também um Deus cruel, tirou do estonteante Garrincha a faculdade de perceber sua condição de agente divino. Foi um pobre e pequeno mortal que ajudou um país inteiro a sublimar suas tristezas. O pior é que as tristezas voltam, e não há outro Garrincha disponível. Precisa-se de um novo, que nos alimente o sonho.

Carlos Drummond de Andrade

Se c'è un Dio che governa il calcio, quel Dio è soprattutto ironico e baro, e Garrincha fu uno dei suoi delegati incaricati di prendere in giro tutto e tutti, nello stadio. Ma, poichè è anche un Dio crudele, ha privato lo splendido Garrincha della facoltà di percepire il suo status di agente divino. Fu un povero e misero mortale che aiutò un paese intero a sublimare i suoi dispiaceri. Il peggio è che i dispiaceri sono tornati, ma non c'è nessuno Garrincha disponibile. C'è n'è bisogno di uno nuovo, che alimenti il sogno.

Carlos Drummond de Andrade



1 commento:

  1. Un'umiltà e una sensibilità fuori dal comune. Genio e sregolatezza, sogni e illusioni, sorrisi e lacrime. Estrela Solitaria, Alegria do Povo e Anjo das pernas tortas. Obrigado Manè! Damiao Mel

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