Marcos e gli zapatisti non sono solo un evento locale e un fenomeno mediatico, ma rappresentano anche e soprattutto un grande fenomeno politico, forse il più grande degli ultimi anni. A qualcuno potranno sembrare qualcosa di anacronistico e nostalgico, il colpo di coda di un mondo ormai sconfitto o fuori del tempo, ma sono invece l'avanguardia di qualcosa di potente che sta nascendo.
Un nuovo modo di intendere e fare politica, un nuovo modo di usare il linguaggio e i mezzi della comunicazione, un nuovo modo di concepire la lotta contro il Potere, un nuovo modo di gestire i rapporti dell'intreccio locale-globale.
Mentre da noi ci si pongono faticosi e travagliati interrogativi e dilemmi per un ripensamento-rinnovamento di una Sinistra al creme caramel, in Messico è già sorto un nuovo modo di considerare ciò che è Sinistra e, sopratutto, la sua assoluta necessità in una prospettiva new global.
Da geniale e raffinatissimo comunicatore qual è, Marcos ha posto le basi per le rivendicazioni di una nuova grande Umanità che reclama un proprio riconoscibile ruolo al tavolo della Storia. A fronte del neoliberismo economico-finanziario e del neoimperialismo militare, il movimento zapatista si è posto come metafora degli esclusi e marginali di tutto il mondo, facendo da catalizzatore a tutto il movimento alteromondista. Una vera e propria spina nel fianco di chi pensava di avere la strada ormai spianata nell'imposizione di quello che riteneva essere l'unico modo di vedere e concepire le cose: il Sistema neoliberale.
In questo senso lo zapatismo non è affatto un evento locale e circoscritto o una moda passeggera che presto sparirà, ma un sintomo importante di qualcosa di profondo e potente con cui prima o poi bisognerà fare i conti. Questo piccolo movimento di lotta e resistenza indigena è infatti servito, e ancora può servire nei tempi a venire, a farci capire, a noi che annaspiamo nella ignavia e nell'incapacità di politicanti da strapazzo, le grandi potenzialità che un movimento di ribellione ancora può avere nel contribuire a cambiare realmente le cose.
Come fare? Il Subcomandante Insurgente Marcos ha agito per tre tappe.
Primo: manifestare con forza l'esistenza di diritti umani imprescindibili.
Secondo: chiedere con forza il riconoscimento di questi diritti.
Terzo: esercitare direttamente questi diritti.
Ognuno di questi momenti è caratterizzato a sua volta da tre elementi: la Ribellione (contrasto, dissenso, opposizione), il Dialogo (linea politica, democrazia, libertà, giustizia) e l'Organizzazione (indispensabile per la costruzione delle autonomie dal basso).
Nel caso delle società occidentali la prima fase assume un ruolo assolutamente peculiare, perché i diritti non sono affatto negati ma sono, anche se solo in modo formale, già ampiamente riconosciuti. C'è addirittura una sovrabbondanza di diritti, d'ogni tipo. Ma proprio questa è la forma più subdola di controllo e soggezione, se unita alla mistificazione e alla deformazione propria del Sistema neoliberale.
Infatti il pensiero unico, l’ideologia neoliberistica in cui ormai paiono trovarsi concordi Destra e Sinistra, occulta e mistifica l’intrinseca politicità di ogni normazione giuridica, sociale ed economica, e contrabbanda per legge “naturale”, neutra, oggettiva, imparziale e per questo necessitata, ciò che propriamente è risultato di una decisione che mira ad un preciso e funzionale assetto sociale. Soltanto lo smascheramento di questa realtà potrà allora restituire alla Politica la passione delle idee e le responsabilità delle scelte.
Smascherare significa sfatare gli idoli del mercato neoliberale, guardare in faccia il “nulla” del suo produrre, scambiare e consumare, per riprendere finalmente la strada della responsabile consapevolezza. La consapevolezza che è sempre e solo la volontà degli uomini che decide il Futuro, determina la Storia, costruisce la Società e il Mondo.
Insomma il primo passo, come per Tyler Durden di Fight Club, è acquistare perfetta consapevolezza del fatto che il Mercato non è Dio! Anzi, il Mercato è nichilistico in quanto tale, poiché il produrre, il consumare e lo scambiare eletti a principi guida assoluti frantumano il mondo in una molteplicità di merci e rapporti economici e da ultimo relegano l’uomo a semplice portatore di funzioni senza alcun senso individuale e complessivo. Non solo, ma il produrre, il consumare e lo scambiare non si fermano dinanzi a nulla, per cui è l'uomo a dover essere asservito e fungibile a questi: di volta in volta come produttore, consumatore, risparmiatore, investitore....
Alla fine l'uomo come tale non c'è più. E se non può consumare, o non è più in grado di produrre, o non può investire o risparmiare, è semplicemente “prescindibile”, come dice Marcos, può esserci o non esserci, vivere o morire. Bisogna rendersi conto che questo non è un ordine “naturale”, necessario, divino, assoluto e immutabile, piuttosto solo un ordine stabilito dalle volontà dei più forti.
Il Mercato è oggi diventato un idolo a cui sacrificare tutto, ma è un idolo falso, è il vitello d'oro. Viene inteso come luogo di massima Libertà e Democrazia, ma al contrario è costrizione, dipendenza, asservimento, oppressione. Il Mercato è una tra le massime espressioni della volontà di potenza (come direbbe Nietzsche). Questo Sistema maschera il “Nulla” che c'è dietro di sè: nessun ideale, nessuna fede, nessuna utopia, nessun valore, nessun credo, nessuna meta e nessuno scopo che non sia il profitto... E come tutti sanno, nulla può arrestare il Nulla.
Ecco che allora l'unica possibilità che abbiamo, la sola speranza che ci rimane è quella di riuscire ad immaginare "qualcosa" di nuovo, o forse è meglio dire riscoprire qualcosa di antico, che possa diventare "forza frenante" del Mercato neoliberale globale.
Questo qualcosa è quel grande patrimonio che è l'Umanità, il nostro insostituibile e insopprimibile essere individui, persone. Homo-nomos: mettere l'Uomo alla base di ogni nomismo, al di sopra di tutte le cose, e alla luce di questo ripensare ogni altra relazione.
La cosa non è semplice, perché il Mercato non si riduce al solo scambio, consumo e profitto sulla base di leggi economiche, ma postula e implica sempre anche un’eccedenza di senso. Il Mercato dà cioè un'impronta “valoriale” di sé stesso, che alla fine plagia e uniforma gli individui attraverso il consumismo e l'idiozia di massa. Il Mercato non può infatti ammettere il dissenso, non può accettare l'individualità, perché non può gestirli, controllarli, contenerli. Il Mercato non conosce parti, ma contempla solo il tutto. Questo significa che il Mercato non vede individui, ma solo funzioni e titolari di quelle funzioni: produttori e consumatori, prestatori di servizi e fruitori. Ogni differenza, individualità, specificità, singolarità viene avvertita come un elemento perturbatore, un attrito e una resistenza che vanno rimossi, eliminati.
Ma questa non è Libertà e neppure Democrazia. La Libertà non risiede nei rigidi schemi di un unico metodo, ma nella sua natura mobile e composita, nel proprio disperdersi e dividersi in più soggetti. E la Democrazia non è una regola unica, una sola procedura, desunta da una struttura assoluta, da una logica trascendentale capace di governare ed ordinare il fluire caotico della realtà. La Democrazia non è neppure il rifiuto incondizionato di ogni regola, come vorrebbero gli anarchici. La Democrazia è piuttosto, come insegnano Marcos e gli zapatisti, una pluralità di metodi e prospettive, da cui derivano il raffronto, la divisione e il congiungersi di criteri procedurali che vanno a ricomporsi in una sola e superiore grande Umanità.
Ciò significa che all'ottica tradizionale che vede solo nella Struttura il suo feticcio, va sostituita la superiore Funzione. La Struttura subirà fratture, strappi, lacerazioni derivanti dal suo svolgersi lungo diversi itinerari e finirà così per assumere tanti nuclei di senso quante sono le prospettive in cui esso viene considerato, descritto e valutato, ma alla fine la Funzione recupererà quei caratteri -che sembrano perduti- di unitarietà ed organicità, attraverso il supremo imprescindibile valore dell'Umanità.
In questo senso l'Ezln, con la sua piccola realtà e con la sua povertà di mezzi, può far tremare la sedia del Potere neoliberale. Se ancora il potere mantiene il suo discorso del "niente è cambiato", è perché uno degli aspetti della tattica di contrainsurgencia è proprio quella della “normalizzazione”, di considerare anche la ribellione come un fatto fisiologico di Sistema e impedire che sul terreno, nella vita quotidiana, la gente, individualmente, percepisca un qualche cambiamento, anche solo di prospettiva. Ma la verità è che già adesso niente è più come prima, e occorre far sì che individualmente si operi un cambiamento in grado di investire tutta la collettività. La memoria dell'Umanità ci insegna infatti che la Storia non si arresta per la cacofonia mentale del "niente è cambiato, niente cambierà". La Ribellione trova sempre e comunque la sua strada, perché fa parte della natura umana.
Per spiegare come hanno preso piede e prevalso le dinamiche della Ribellione, Barrington Moore -in Le origini sociali della dittatura e della democrazia– ne descrive così la lunga traiettoria: per secoli sorgono, senza stancarsi, ribellioni che falliscono (vale a dire, che non cambiano nulla). Però, d'improvviso, ad un certo punto quelle stesse ribellioni culminano in rivoluzioni vittoriose (questo perché anche dopo i tentativi falliti niente rimane come prima. Per esempio in Messico, con diversi registri, si sono prodotte le insurrezioni dell'Indipendenza, della Riforma e della Rivoluzione).
La Ribellione è cosa buona e giusta, perché sprigiona energia mobilitante anche nelle coscienze più intorpidite e anestetizzate, risulta convocante perché riunisce spiriti affini e impegna alleati, è inarrestabile perché la sua eco oltrepassa confini e valica frontiere, contagia e si riproduce senza mai copiarsi o duplicarsi. E alla fine diventa “trasformatrice”, perché agisce nell'animo ancor prima che nella realtà. Sebbene non abbia ancora vinto, in essa si riconosceranno infatti gli esclusi e i marginali di molti mondi, che troveranno così una direzione per continuare a camminare e a lottare.
È questa l'importanza di Marcos e dello zapatismo: l'aver promosso una Ribellione contro il neoliberalismo e per l'Umanità! Una ribellione che annuncia, e forse già costruisce, una nuova storia. Dopo il 1789 in Francia, le cose dovettero necessariamente cambiare. Dopo il 1848 in Europa e in America latina, la politica non poté essere più la stessa (anche se poi non si è sviluppata secondo le speranze del Manifesto del Partito Comunista di quell'anno). Dopo il 1968, la politica è cambiata di nuovo, e nessuno pensa più come prima né ha la stessa morale di una volta.
Anche dopo Marcos e gli zapatisti, la politica dovrà necessariamente cambiare, perché sarà molto difficile governare senza rispettare il "comandare obbedendo", l'economia e la società dovranno cambiare perché il mondo intero dovrà riconosce il "diritto alla differenza in un mondo che ospita tutti i mondi" (l'altermondialismo come alternativa al neoliberalismo), l'etica stessa dovrà cambiare alla luce della fondamentale norma umanista del "tutto per tutti, niente per noi". (D*)
¡Marcos vive y lucha con nosotros!
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