Metafore & Metamorfosi (gennaio)

E' L'AZIONE L'IDEALE



Pria di morir sul fango della via,

imiteremo Bresci e Ravachol;

chi stende a te la mano, o borghesia,
è un uomo indegno di guardare il sol.


Le macchine stridenti
dilaniano i pezzenti,
e pallide e piangenti
stan le spose ognor,
restano i campi incolti
e i minator sepolti
e gli operai travolti
da omicidio ognor.

E a chi non soccombe
si schiudan le tombe,
s'apprestin le bombe,
s'affili il pugnal.
E' l'azione l'ideal!

Francia all'erta, sulla ghigliottina

tronca il capo a chi punirla vuol;

Spagna vil, garrotta ed assassina;

fucila Italia chi tremar non suol.


In America impiccati,
in Africa sgozzati,
in Spagna torturati
a Montjuich ognor;
ma la razza trista
del signor teppista
l'individualista
sa colpir ancor.

E a chi non soccombe
si schiudan le tombe,
s'apprestin le bombe,
s'affili il pugnal.
E' l'azione l'ideal!

Finché siam gregge, è giusto che vi sia

cricca social per leggi decretar;

finché non splende il sol dell'anarchia

vedremo sempre il popol trucidar.

Sbirri, inorridite,
se la dinamite
voi scrosciare udite
contro l'oppressor;
abbiamo contro tutti,
sbirri e farabutti,
e uno contro tutti
noi li sperderem.

E a chi non soccombe
si schiudan le tombe,
s'apprestin le bombe,
s'affili il pugnal.
È l'azione l'ideal!

Inno a Gaetano Bresci (1901)
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RESISTENZA!



Из тайги, тайги дремучей,
От Амура, от реки,
Молчаливо, грозной тучей
Шли на бой сибиряки.

Их сурово воспитала
Молчаливая тайга,
Бури грозные Байкала
И сибирские снега.

Ни усталости, ни страха;
Бьются ночь и бьются день,
Только серая папаха
Лихо сбита набекрень.

Эх, Сибирь, страна родная,
За тебя ль мы постоим,
Волнам Рейна и Дуная
Твой привет передадим!

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Par le froid et la famine
Dans les villes et dans les champs
A l’appel du grand Lénine
Se levaient les partisans.

Pour reprendre le rivage
Le dernier rempart des blancs
Par les monts et par les plaines
S’avançaient les partisans.

Notre paix, c’est leur conquête
Car en mil neuf cent dix-sept
Sous les neig’s et les tempêtes
Ils sauvèrent les Soviets.

Ecrasant les armées blanches
Et chassant les atamans
Ils finirent leur campagne
Sur les bords de l’Océan.

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Durch's Gebirge durch die Steppen zog
Unsre kühne Division
Hin zur Küste dieser weißen,
Heiß umstrittenen Bastion.

Rot vom Blut, wie unsere Fahne,
War das Zeug, doch treu dem Schwur,
Stürmten wir die Eskadronen,
Partisanen vom Amur.

Kampf und Ruhm und bittere Jahre!
Ewig bleibt im Ohr der Klang,
Das Hurra der Partisanen,
Als der Sturm auf Spassk gelang.

Klingt es auch wie eine Sage,
Kann es doch kein Märchen sein:
Wolotschajewska genommen!
Rotarmisten zogen ein.

Und so jagten wir zum Teufel
General und Ataman.
Unser Feldzug fand sein Ende
Erst am Stillen Ozean.

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Por montañas y praderas
avanza la división,
al asalto va a tomarse
la enemiga posición.

Rojo el bosque de banderas
en la marcha rumbo al sur:
son los obreros en armas,
partisanos del amor.

La gloria de esos combates
no se apagará jamás.
¡Adelante camaradas
los echaremos al mar!

Quedará en la leyenda
de esta guerra, este volcán,
los días de Balachaied,
los soldados del soviet.

Se acabaron los bandidos,
se acabó la intervención,
nuestra marcha ha terminado
¡viva la revolución!

Si ipotizza che il motivo del brano risalga al 1828, ai volontari del Gen. Cherniavsky. Le parole, attribuite a Piotr Parfenov, vennero poi rielaborate nel 1929 dal poeta Serghei Alimov e musicate da A. T. Alexandrov. Con lo scoppio della II Guerra Mondiale lo scrittore V. Gilyarovskii ha riscritto il testo. La canzone è poi stata adattata e tradotta in tutte le lingue europee e cantata dai partigiani di tutte le nazioni, come inno alla resistenza.

Attraverso valli e monti
eroico avanza il partigian
per scacciare l'invasore
all'istante e non doman.
Per scacciare l'invasore
all'istante e non doman.

E si arrossan le bandiere,
tinte nel sangue del partigian;
giù dai monti a balde schiere
sotto il fuoco avanti van.

I tedeschi e i traditori
saran scacciati con l'acciar
e il clamor della vittoria
varcherà le Alpi e il mar.

Combattiam per vendicare
tanta infamia e atrocità
combattiam perchè l'Italia
viva in pace e libertà.
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QUANDO VIENE LA NOTTE SCURA



Il bersagliere ha cento penne
e l'alpino ne ha una sola,
il partigiano ne ha nessuna
e sta sui moflti a guerreggiar.

Là sui monti vien giù la neve,
la bufera dell'inverno,
ma se venisse anche l'inferno
il partigiano riman lassù.

Quando viene la notte scura
tutti dormono alla pieve,
ma camminando sopra la neve
il partigiano scende in azion.

Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro al cuore,
perché se libero un uomo muore
che cosa importa di morir.

(Autore ignoto, 1944)
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LA DEMOCRAZIA SENZA REGOLE


Tanti anni fa, in un'intervista, lo stravagante e folcloristico Muhammad Alì, (ineguagliabile campione di pugilato) dichiarò: "Se mi dovesse mai capitare d'incontrare, per caso, in un vicolo scuro di New York, uno solo, a caso, dei fratelli Spinks (Leon o Michael), credo che, forti come sono, potrebbero anche uccidermi a pugni. Ma sul Ring, dove esistono "REGOLE" da rispettare è un'altra cosa, sul Ring il più forte sono io, sono io il campione, sono io il Re!".
Nella stravagante ipotesi di Alì c'è una grande verità, la democrazia senza regole non è più tale, oppure potremmo dire che le regole (o le leggi) sono i pilastri della democrazia. La democrazia senza regole è come un vicolo buio dove ci si trova alla mercé dei delinquenti. Se però le regole, quindi le leggi, le fanno i delinquenti, tutto può avvenire alla luce del sole. Invece, purtroppo, mi viene alla mente un'altra finale considerazione: "Ecco, considerando l'attuale e precaria situazione italiana, possiamo affermare "tranquillamente" che il "cittadino italiano" si trova già in quel vicolo oscuro (e senza sbocco), ed ha difronte ormai tutti e due i fratelli Spinks... e senza regole!".

Maurizio Tesei
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CARO MONICELLI...



- Gli italiani, gli intellettuali, i giornalisti, gli artisti, sono poco coraggiosi?

- Sì, lo sono sempre stati. Sono stati vent’anni sotto un governo fascista, ridicolo, con un pagliaccio che stava lassù... Avete visto quello che ha combinato. Ci ha mandato a fare l’Impero, ha fatto fare le falangi romane lungo Via dell’Impero; ha fatto le guerre coloniali, ci ha mandato in guerra... Eravamo tutti contenti. Eravamo tutti contenti che c'era uno che guidava lui, pensava lui, il Mussolini ha sempre ragione, lasciamo lavorare... E allora tutti stavano boni e zitti, e lo applaudivano.

- E gli italiani di alora assomigliano anche agli italiani di adesso?

E sì, perché hanno detto c'è un grande imprenditore che ha detto: "Lasciatemi governare, votatemi, perché io mi sono fatto da solo, sono un lavoratore, sono diventato miliardario, vi farò diventare tutti milionari!". Benissimo! Avanti. E sono quindici anni che tutti quanti credono e aspettano. Gli italiani sono fatti così, vogliono che qualcuno pensi per loro. Se va bene ve bene, se va male ecco che poi lo impiccano a testa in giù.

- Quindi il ritratto di Gassman e Sordi de "La Grande Guerra" non è tanto distante dal ritratto degli italiani che abbiamo a fianco in questo periodo...

In un certo senso sì, però avevano una loro spinta personale, un orgoglio, una dignità che era della persona...

- Che noi abbiamo perso?

Perso, sì... Ormai nessuno si dimette, tutti pronti a chinare il capo pur di mantenere il posto, di guadagnare. Pronti a sopraffarci, a intrallazzare. Uno la prima cosa che fa è mettersi d'accordo con un altro per superare le difficoltà. Non c’è nessuna dignità, da nessuna parte. E’ proprio la generazione che è corrotta, malata, che va spazzata via.

- Non sento speranze nelle sue parole...

La speranza è una brutta parola, non la si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è quella di quelli che ti dicono "State buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà... Perciò adesso state buoni, tornate a casa... Sì, siete dei precari, ma fra due o tre mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo un posto." Vanno a casa e stanno tutti buoni. Abbiate speranza... Mai avere la speranza! La speranza è una trappola, un cosa infame, inventata da chi comanda.

- E come finisce questo film?

Come finisce non lo so, spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta! Una bella rivoluzione! Che non c'è mai stata in Italia. C’è stata in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Germania, dappertutto meno che in Italia. Ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, che è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi, il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso. Esige anche dei sacrifici. Se no, vada alla malora... che è dove sta andando, ormai da tre generazioni.

Mario Monicelli

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IL SOGNO DI UN'ITALIA DIVERSA

Berlinguer da morto è molto più vivo di tanti morti viventi che vediamo ogni giorno.

Marco Travaglio





I partiti non fanno più politica. Politica si faceva nel ' 45, nel ' 48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee, certo, scontri di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c'era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c'era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, ne era ricambiato.

La passione è finita?

Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

È quello che io penso.

Per quale motivo?

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.

E secondo lei non corrisponde alla situazione?

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.

Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.

In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?

Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Veniamo alla seconda diversità.

Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

Non voi soltanto.

È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche - e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC - non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

Dunque, siete un partito socialista serio...

...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...

Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?

No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?

Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?

Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è - se vogliamo - l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati - di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza - non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli - come al solito - ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.

La Repubblica, 28 luglio 1981(!)




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PERCHE' IN ITALIA NON C'E' LA RIVOLUZIONE?


Perché in Italia non c'è la rivoluzione? O anche solo un suo timido accenno? E perché non c'è mai stata? I fuochi si stanno accendendo un po' ovunque, dall'Albania, alla Tunisia, all'Egitto. Vecchi dittatori hanno fatto le valige, come Ben Alì, o le stanno preparando, come il faraone Mubarak. L'Italia con il suo stivale immobile al centro del Mediterraneo sembra un castello pietrificato. Un coniglio ipnotizzato dal serpente. Una rana che viene lentamente bollita viva senza accorgersene. Le ragioni di tutto questo sono misteriose, appartengono al campo della metafisica, non più a quello della politica.
La nostra stabilità (immobilità?) assomiglia a quella di chi, cadendo nelle sabbie mobili, chiude gli occhi ed evita il più piccolo movimento per rallentare la sua fine. Non grida aiuto, non cerca appigli, semplicemente affonda. I motivi per spiegare questo comportamento ci sono. Così numerosi da riempire un'enciclopedia: l'invecchiamento della popolazione (gran parte degli italiani dovrebbe scendere in piazza con le badanti), la massoneria, le mafie, l'informazione sotto controllo e pilotata (sia a destra che a sinistra), l'occupazione americana con le sue cento basi, il Vaticano, la mancanza assoluta di una classe dirigente... Queste e altre ragioni non sono però sufficienti per giustificare l'indifferenza degli italiani che, anche quando si scagliano contro il potere, evitano di varcare l'ultima linea, di prendersi dei rischi. Più cani da pagliaio che ascoltano il proprio abbaiare alla luna, e si compiacciono, che rivoluzionari. Cosa manca perché gli italiani prendano il loro destino nelle mani? Il popolo più cinico della Terra, abituato a tutto da millenni, che non crede veramente a nulla. La realtà ci dà fastidio, per questo la evitiamo. E domani, come sempre, è un altro giorno.

Beppe Grillo
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CONTROLLATE IL VOSTRO OTTIMISMO


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SENSE OF HUMOUR



...E poi c'è chi dice che a sinistra non abbiamo il senso dell'umorismo.
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