Non sono gli uomini comuni a passare alla storia. Non sono gli uomini che eccellono solo nella loro disciplina a diventare leggenda. Per diventare un mito ci vuole qualcosa di più. Non basta essere un grande politico, un grande letterato, un grande scienziato, un grande sportivo, aver primeggiato in un solo campo. Per colpire gli animi di moltitudini di persone e lasciare il segno bisogna essere campioni nella vita.
Cassius Clay lo è. E lo è stato non solo perché campione del mondo di pugilato per ben nove volte!, battendo campioni del calibro di Sonny Liston, Joe Frazier, George Foreman e Leon Spinks, non solo perché il pugilato con lui negli anni Sessanta e Settanta ha ricominciato a far sognare la gente, ma perché in sé incarna i più profondi sentimenti e le più alte ambizioni umane.
Col suo stile fuori dal comune, in cui stupisce per la capacità di unire potenza nel colpire e agilità nel muoversi sul ring, tanto da dire di sé stesso: “leggero come una farfalla e pungente come un’ape”, Cassius Clay comincia la carriera da professionista vincendo la medaglia d’oro nella categoria dei pesi medio massimi alle Olimpiadi di Roma del 1960, ad appena diciotto anni. Quella medaglia la getterà poi nel fiume Ohio quando, rientrato in patria, si rese conto che, anche con una medaglia olimpica al collo, molti ristoranti ancora si rifiutavano di far entrare un “negro”. Da quel momento Cassius Clay-Mohammad Alì sarà sempre impegnato nella battaglia per l’uguaglianza etnica e sociale della sua gente, fino ad esserne considerato un paladino, accanto a Martin Luther King e Malcolm X.
La consacrazione di Cassius Clay-Muhammad Ali "the greatest" avviene a Miami Beach il 25 febbraio 1964, quando conquista il mondiale dei pesi massimi con una sconcertante vittoria al settimo round sull'ex galeotto Sonny Liston. Non meno curioso sarà l'esito della rivincita, il 25 maggio dello stesso anno a Lewinston nel Maine. Sonny Liston cade al tappeto dopo appena un minuto scarso, colpito da un destro di Mohammad Alì. L'episodio appare tanto eclatante che si parla perfino di match "addomesticato" e scoppiano polemiche a non finire. La storia confermerà poi abbondantemente che non era così.
Muhammad Alì difende poi il suo titolo mondiale spazzando via, uno ad uno, tutti gli avversari che lo sfidano. A Toronto batte ai punti il canadese Georges Chuvalo, sconfigge poi per due volte Patterson, dapprima il 22 novembre 1965 al dodicesimo round, poi il 20 settembre 1972 al settimo. Trionfa sul rude peso massimo inglese Henry Cooper, domina Brian London a Londra. Il tedesco Karl Mildenberger s'inchina davanti alla sua forza a Francoforte. Poi è la volta degli americani Ceveland Williams e Emie Terrel, che viene sconfitto alla distanza, il 6 febbraio 1967 a Houston nel Texsas.
A New York, il 22 marzo 1967, abbatte Zora Folley al settimo round. Davanti a questi pugili, ridotti a semplici comparse, Muhammad Ali sviluppa una boxe sontuosa e poco a poco nasce l'ammirazione per l'atleta e per l'uomo, si comincia a capire che ha inventato un nuovo modo di boxare.
Muhammad Ali non danza soltanto per sottrarsi ai colpi degli avversari. Ciascuno dei suoi spostamenti, peraltro misterioso o imprevedibile, serve anche per costringere i suoi avversari a spostarsi, corrergli appresso, stancandosi e senza riuscire a sottrarsi ai suoi micidiali jab, i classici diretti sinistri che alla lunga fanno soffrire.
Più che uno stilista, è forse innanzitutto uno sguardo. In certi filmati questo aspetto è sorprendente, si ha veramente la sensazione che Muhammad Alì veda e inventi, nel senso latino del termine (invenire-scoprire) il suo avversario. Il suo sguardo, difficile da descrivere, è fisso, eppure mobile. Il centro della difesa dell'avversario è sempre localizzato in modo preciso e ciascuno dei suoi movimenti captato dall'occhio scuro. La sua tecnica è sopraffina e inimitabile, potenza e leggerezza sono i suoi cardini.
Gli Stati Uniti entrano in guerra contro il Vietnam, e Muhammad Alì rifiuta di arruolarsi. Memorabili le sue battute al riguardo, tra le quali: "Io non ho nulla contro i Vietcong. Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro”. Inizia con questa presa di posizione la sua "disobbedienza civile", altra decisione radicale della sua vita che conferma il suo impegno morale e politico, e che lo porterà a una sospensione per squalifica di due anni dall'attività agonistica. Il suo comportamento fece urlare allo scandalo, e si sparò a zero sul pugile, sfogando su di lui le paure e le frustrazioni di un'America depressa e razzista.
La giustizia americana lo dichiara decaduto dal titolo, gli viene ritirato il patentino da professionista, il passaporto (è perciò costretto a risiedere negli Stati Uniti). Ma non basta. Viene condannato al carcere e a un'ammenda astronomica di cinque milioni di dollari! Fortunatamente i suoi avvocati riescono ad evitargli la prigione.
Muhammad Ali ora non è più niente, nessuno sa se sarà mai in grado di salire ancora su un ring. La leggenda nera subisce una battuta d'arresto. Inizia un lungo intervallo che dopo, alla sua ripresa, diventerà favola, mito, leggenda.
Torna sul ring nel 1970, quattro anni dopo. Il pugile che ama definirsi "leggero come una farfalla e pungente come un'ape" riconquista, in una mitica sfida notturna in Africa, nella città di Kinshasa in Zaire, il titolo dei massimi con uno dei gesti atletici più belli e intensi della storia del pugilato e dello sport modiale: l'indimenticabile capolavoro del match contro George Foreman.
In quell'incontro, nelle prime riprese, sembra che Muhammad Alì abbia la peggio sull'avversario, non fa altro che incassare colpi terribili e tutti pensano che sia solo questione di tempo prima che finisca al tappeto. Ma all'ottava ripresa, contro ogni pronostico, stende a terra un Foreman oramai stremato. E' l'incontro del secolo il più bello e intenso in assoluto! Ora è leggenda. E' lui il numero uno, per sempre!
Negli anni a venire respinge tutti gli attacchi degli sfidanti, spazzandoli via uno dietro l'altro con estrema facilità. Mitici rimarranno gli incontri con Joe Frazier che passeranno alla storia del pugilato moderno.
Il mito, oramai trentaseienne si incontra con un giovane e turbolento avversario Leon Spinks, e viene sconfitto, ma come sempre torna a ruggire ancora una volta umiliandolo nella rivincita. Quando è arrivato all’ultimo combattimento è già ammalato, ma non si sa di che cosa, tant’è che viene curato per “sangue avvelenato”, e le botte prese negli ultimi combattimenti accelerano o aggravano la malattia.
Negli anni 90 Muhammad Alì inizia così una battaglia ancora più difficile delle precedenti, questa volta con il morbo di Parkinson che lo limita nei movimenti e nella parola. Alì diventa così una controfigura di quell'immenso fuoriclasse che ha impresso una svolta rivoluzionaria alla boxe dei colossi, affievolendone la brutalità ed incrementandone la fantasia.
Nell'ultima apparizione, alle Olimpiadi di Atlanta, quando commuovendo il mondo intero ha accende la fiamma che inaugura i giochi, pur menomato nei movimenti sembra un gigante pronto a riprendere il combattimento.
Possiamo dire che ad aver reso Cassius Clay non tanto uno dei più amati campioni del mondo ma una leggenda sono stati non soltanto i suoi risultati sportivi, ma le sue azioni, i suoi comportamenti, i pensieri che espresse durante una vita intensa e vissuta con coerenza e senza compromessi, impegnato politicamente e amato dalle folle.
Perfino le sue esternazioni lo rendono umano e al tempo stesso leggenda. Ha detto: “io sono il più grande. L’ho detto persino prima di sapere di esserlo” e “è difficile essere umile se sei grande come lo sono io”, ma anche: “è la ripetizione delle affermazioni che ti porta a crederci. E quella credenza si trasforma poi in una convinzione profonda, e le cose cominciano ad accadere”.
Lui è Mohammad Alì, il suo nome è leggenda. (D*)
Impossible is Nothing
Un uomo che osserva il mondo a cinquanta anni allo stesso modo in cui l'ha fatto a venti, ha sprecato trenta anni della sua vita.
Un gallo canta soltanto quando vede la luce. Mettilo nell'oscurità e lui non canterà mai. Io ho visto la luce e sto cantando.
L'età è quella che pensi che sia. Si è vecchi quanto si pensa di esserlo.
E' la ripetizione delle affermazioni che ti porta a crederci. E quella credenza si trasforma poi in una convinzione profonda, e le cose cominciano ad accadere.
E' difficile essere umile se sei grande come lo sono io.
Ho odiato ogni minuto di allenamento, ma mi dicevo "Non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione!"
Chi non è abbastanza coraggioso da assumersi le proprie responsabilità non compirà mai niente nella vita.
Io sono il più grande. L'ho detto persino prima di sapere di esserlo.
I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall'interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l'abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell'abilità.
E' la mancanza di fede che rende le persone paurose di accettare una sfida, e io ho sempre avuto fede: infatti, credo in me.
Sono così veloce che l'altra notte ho spento l'interruttore della luce nella mia camera da letto, ed ero nel letto prima che la stanza fosse buia.
Non credo di essere bello. Ma che valore ha la mia umile opinione contro quella che invece dichiara lo specchio?
Nessun vietcong mi ha mai chiamato negro.
Fluttuare come una farfalla, pungere come un'ape. Le tue mani non possono colpire ciò che i tuoi occhi non vedono, muoviti ragazzo, muoviti!
Quest'uomo è talmente brutto che quando suda il sudore gli va in dietro sulla testa, per non vedere la sua faccia (rivolto a Sonny Liston prima dell' incontro)
L'uomo che non ha fantasia non ha ali per volare.
L'amicizia è la cosa più difficile al mondo da spiegare. Non è qualcosa che si impara a scuola. Ma se non hai imparato il significato dell'amicizia, non hai davvero imparato niente.
La boxe è quando un sacco di bianchi stanno a guardare due neri che si riempiono di botte.
Dovrebbero abolire la boxe perché un boxeur si fa male? Sarebbe una follia. C'è molta più gente che muore in bagno.
Tutte le religioni hanno nomi diversi, ma tutti contengono le stesse verità.
Dicono ai bambini che Gesù era bianco, così come gli apostoli e gli angeli. Il posto in cui vive il presidente si chiama Casa Bianca. Perfino Tarzan è bianco. Ma come? Bianco uno nato e cresciuto nella giungla?
L'islam non è odio, Dio non sta con gli assassini.
La spiritualità è riconoscere la luce divina che è dentro di noi. Essa non appartiene a nessuna religione in particolare, ma appartiene a tutti.
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