Le idee non si possono uccidere

Crediamo che il mondo sia diviso in due classi antagoniste: gli sfruttati e gli sfruttatori. E noi non possiamo esimerci dalla ricerca ad oltranza della giustizia sociale.”
Thomas Sankara



Quella di Thomas Sankara non è solo la storia di un uomo, ma è anche la storia di un sogno. Il sogno di una nazione libera, di un popolo libero, ma libero davvero e non solo sulla carta. “Un popolo che ha fame e sete non sarà mai un popolo libero!” diceva Sankara per esemplificare il concetto.
La sua storia potrebbe essere liquidata in modo superficiale con le poche, vaghe parole che si è soliti leggere: “Nel 1983 in Burkina Faso Thomas Sankara, un giovane capitano dell’esercito, sale al potere dopo l’ennesimo di una lunga serie di colpi di stato. Vi rimarrà sino al 1987, anno del suo assassinio da parte di alcuni suoi compagni di governo”.
Parole queste che, pur contenendo qualche grossolana imprecisione, risultano pressoché corrette, ma che non bastano a restituirci la storia di un testimone così importante per l’Africa contemporanea.
Il percorso umano ed ideale di Thomas Sankara è complesso e sfaccettato, come lo è quello di ciascun essere umano; mentre quello politico è di difficile comprensione per chiunque cerchi di interpretarlo attraverso strumenti culturali tipicamente europei.
Vale dunque la pena leggere in maniera più approfondita le parole sopra scritte. Si incomincia con la seguente macroscopica imprecisione:
Nel 1983 in Burkina Faso…”
Se, nel 1983, avessimo aperto un qualsiasi atlante geografico non vi avremmo trovato traccia del Burkina Faso. Nessun errore: il Burkina Faso, nel 1983, non esisteva! Avreste trovato, sopra la Costa d’Avorio, lo stesso territorio ma un’altro nome: Alto Volta, un’ex-colonia francese indipendente dal 1960, il cui nome coloniale rimanda all’alto corso del fiume Volta.
Il 4 agosto 1984 Sankara, ed il governo da lui presieduto, ribattezzeranno il Paese Burkina Faso, nome che, nell’intreccio delle due lingue più parlate del Paese, le lingue Mossi e Djula, potremmo tradurre come "Paese degli uomini onesti".
“…dopo l’ennesimo di una lunga serie di colpi di stato…”
Come già scritto l’Alto Volta raggiunge l’indipendenza dalla Francia nel 1960 (il 5 agosto). Ne diviene primo presidente Maurice Yaméogo, il leader dell’Unione Democratica Voltaica. Rimarrà alla guida del Paese per poco più di cinque anni. Nei primi giorni del 1966 un colpo di stato militare porta al potere il tenente colonnello Sangoulé Lamizana (ex-generale delle truppe coloniali francesi). Rimarrà al potere fino al 1980, deposto anch’egli da un colpo di stato militare guidato dal colonnello Saye Zerbo.
La fine, almeno formale, della colonizzazione in Alto Volta, come altrove in Africa, lascia un Paese privo di classe dirigente e dalla struttura socio-politica tutta da costruire seguendo strumenti tipicamente europei: dall’idea stessa di democrazia nelle sue varie declinazioni alla struttura del governo, ai diritti e doveri delle persone all’interno della società, all’esistenza di strutture che ben poco hanno a che spartire con l’organizzazione africana della vita comune.
Fra queste ultime, una ricoprirà tuttavia un ruolo di primo piano nelle vicende del paese: il Sindacato, rimasto unico tipo di opposizione dopo che Yaméogo, subito dopo l’indipendenza, aveva messo fuori legge i partiti d’opposizione.
Val la pena ricordare che l’Alto Volta era uno dei Paesi più poveri del mondo sia sulla carta, a guardare le statistiche internazionali, sia nella realtà. “Un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille e un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato chi sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un medico ogni 50.000 abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%”.
La povertà estrema delle zone rurali, l’impoverimento dei dipendenti pubblici (parte minimalissima della popolazione, ma vero perno delle organizzazioni sindacali), l’economia in mano ai poteri neocoloniali, la corruzione dilagante, le lotte per accaparrarsi scampoli di potere e altre concause determinarono l’instabile situazione politico-istituzionale dei primi anni ottanta.
E' il 1981 quando Saye Zerbo nomina segretario di stato per l’informazione Thomas Isidore Noël Sankara. E’ un giovane capitano dell’esercito (32 anni all’epoca). Eroe suo malgrado per essere stato comandante vittorioso in alcune battaglie della guerra che Alto Volta e Mali combatterono, nel 1974, per il controllo di un pezzo di terra di confine, la Striscia di Agocher. “Io contesto la necessità politica ed umana di questa guerra; se dobbiamo combattere, facciamolo, coscientemente e per volontà comune, per sopprimere le frontiere tra due popoli uniti da tutto e non per rafforzarle”.
Alla prima riunione del consiglio dei ministri cui partecipa, Sankara si presenta in bicicletta! E’ uno dei tanti, piccoli gesti quotidianamente eclatanti che spiegheranno più di mille parole la sua Politica e che lo renderanno famoso anche fuori dal Paese di cui, un paio d’anni dopo, diverrà presidente.
Nel maggio 1982 si dimette dall’incarico, in disaccordo con la politica del governo. Fra le cause delle dimissioni: lo scioglimento del principale sindacato del Paese e l’arresto del suo segretario, la sparizione del denaro che la cooperazione olandese aveva versato per la costruzione della diga di Korsimoro e la distribuzione fra i ministri, i funzionari di governo ed i loro parenti di un convoglio di aiuti umanitari desinati alla popolazione.
Non posso contribuire a servire gli interessi di una minoranza”, disse in televisione per motivare le sue dimissioni.
Si dimettono con lui dal governo altri due giovani sottufficiali Herni Zongo e Blaise Compaoré, amici di Sankara da lungo tempo. Tutti e tre sono arrestati e chiusi in prigione.
Ma chi sono questi giovani sottufficiali?
Sankara, Zongo e Compaoré avevano dato vita al "Gruppo degli Ufficiali Comunisti" (Regroupement des officiers communistes, o ROC). Erano i leader carismatici di una parte dell’esercito. Esercito piccolo (6000 uomini) ma influente, come abbiamo visto, sulla vita politica del Paese.
Thomas Sankara era nato quando ancora l’Alto Volta era ancora una colonia francese, il 21 dicembre 1949, terzo di dieci fratelli. La madre Marguerite era di stirpe Mossi, il padre Joseph, di etnia Puel, era stato soldato dell’esercito coloniale francese.
Metà dei bambini nati nel mio stesso anno sono morti entro i primi tre mesi di vita. Io ho avuto la fortuna di sfuggire alla morte e di non cadere vittima di nessuna di quelle malattie che quell’anno fecero più vittime di quanti fossero i nati. Sono stato poi uno dei sedici bambini su cento che hanno potuto frequentare la scuola, altro enorme colpo di fortuna
Il giorno dell’Indipendenza del Paese, nella scuola frequentata da Sankara nasce uno scontro fra gli studenti voltaici e quelli francesi dopo che alcuni di questi ultimi hanno bruciato la bandiera voltaica che aveva sostituito quella francese, solitamente esposta nel cortile. La polizia coloniale individua nel giovane Thomas (11 anni) l’ispiratore della risposta all’offesa subita (anche se probabilmente la polizia la definì rivolta, o sommossa, o chissà come). Il padre di Sankara finisce in galera per espiare le “colpe” del figlio. Non era la prima volta né sarà l’ultima viso che la vita di Sankara bambino è costellata di altre piccole storie di ribellione contro ogni genere di sfruttamento e prevaricazione.
Nei primi anni dell’indipendenza l’ex-colonia francese, ora stato sovrano, ha bisogno di formare ufficiali per il suo nuovo esercito. A 17 anni Sankara entra alla scuola militare preparatoria, anche perché chi, come lui, è figlio di una famiglia povera non ha altro modo di proseguire gli studi.
Completerà la sua preparazione militare in giro per l’Africa e poi in Francia. Ed in questo spostarsi da una caserma all’altra viene a contatto con alcuni movimenti di miliari nazionalisti che stanno, in quegli anni, nascendo in alcuni Paesi africani.
Militare” è un’altra parola che per il nostro orecchio europeo ha un suono contrastante. Per alcuni è una parola che evoca profondi aspetti positivi, per altri meno. Comunque “militare” richiama l’utilizzo delle armi e della violenza, qualcosa dunque di potenzialmente non democratico (ed anche su quest’ultimo aggettivo ci sarebbe da discutere un bel po’). Per quel che riguarda la formazione dei militari ed il loro ruolo nella società Sankara, che militare era, disse che “Un militare senza formazione politica non è che un potenziale criminale”.
Sarà una rivolta dei sottufficiali dell’esercito (la prima ad aver successo nella storia africana) a rovesciare il governo di Saye Zerbo, a liberare Sankara, Zongo e Compaoré ed a nominare Jean Baptiste Ouédraogo (sottufficiale anch’esso ma anche dottore pediatra) presidente e lo stesso Sankara capo del governo.
Già nel suo discorso d’insediamento annuncia quali dovranno essere le caratteristiche dei suoi ministri: “Forza di carattere, coraggio, dedizione al lavoro, probità e onestà”.
Il suo governo, caratterizzato dal suo forte carisma e da un’organizzazione basata sulla democrazia partecipativa, intraprese importanti subito importanti iniziative contro la corruzione e a favore dell'educazione, dell'agricoltura e della condizione delle donne.
Sono decisioni che potranno forse far sorridere (o preoccupare), ma riassumono l’idea che si governa anche attraverso l’esempio degli stessi governanti:

- riduzione dello stipendio dei militari e dei funzionari pubblici;
- denuncie pubbliche (via radio) dei funzionari statali scoperti a far altro durante l’orario di lavoro;
- ministri e dirigenti che rispondono (sempre via radio) alle domande dei cittadini;
- adesione, per quel che riguarda la politica internazionale, al gruppo dei Paesi non allineati.

Questo programma rivoluzionario incontrò ben presto forti opposizioni da parte dei leaders tradizionali e dai ceti medi del paese, numericamente inferiori ma molto potenti (questi fattori, in aggiunta alle frizioni tra i membri radicali e quelli più conservatori del governo, porteranno poi al suo assassinio nel colpo di stato del 15 ottobre 1987).
Il governo non durerà molto: dall’insediamento di Sankara come primo ministro (1/2/83) al colpo di stato (anch’esso, sempre, militare) che lo destituisce (17/5/83) passano poco più di tre mesi.
Sankara è di nuovo in prigione, con lui Zongo e Lingani, altro giovane sottufficiale che aveva guidato la rivolta precedente. Compaoré riesce, invece, a fuggire ed a rifugiarsi a Pô, cittadina in cui si trova la caserma dei paracadutisti. Compaoré ne è il comandante da quando ha sostituito in quel ruolo lo stesso Sankara al tempo del suo primo incarico nel governo di Saye Zerbo, due anni prima.
Ci si potrebbe sbizzarrire studiando questo ultimo colpo di stato (il terzo in quattro anni, il quarto in 23 anni di indipendenza), ma è preferibile soffermarsi invece a ricordare alcuni fatti dalla cronaca di quei giorni e a porsi qualche domanda.
Fatto uno. Due settimane prima del colpo di stato il presidente libico Gheddafi atterra ad Ouagadougou (la capitale dell’Alto Volta) per una visita a sorpresa al primo ministro Sankara
Fatto due. Il governo Sankara aveva da subito stretto rapporti diplomatici con la Libia e ne aveva ricavato, fra l’altro, 30.000 tonnellate di cemento e la promessa di un prestito di 3 miliardi e mezzo di franchi cfa.
Fatto tre. Nei giorni precedenti il colpo di stato, ai confini meridionali dell’Alto Volta si erano svolte manovre militari congiunte dell’esercito del Togo e di truppe francesi di stanza nella regione.
Fatto quattro. Il giorno del colpo di stato è presente a Ouagadougou Guy Penne, consigliere per gli affari africani dell’allora presidente francese Francoise Mitterandt. Si tratta di uno degli uomini più influenti per quel che riguarda lo scacchiere geopolitico africano di quegli anni, tanto da meritarsi l’appellativo di Monsieur Afrique.
Domanda uno. E’ possibile che avvenga un colpo di stato sotto gli occhi di una tale autorità, senza che questi ne sappia nulla anticipatamente?
Fatto cinque. La Francia sta combattendo in Ciad una dura guerra che la vede, al fianco delle truppe ciadiane, contrapposta alla Libia
Fatto sei. I governi precedenti quello di Sankara avevano sempre appoggiato la Francia ed i suoi alleati nella regione.
Fatto sette. Pochi giorni dopo il colpo di stato il governo francese concorda col nuovo governo dell’Alto Volta, presieduto dal capo di stato maggiore dell’esercito il colonnello Yorian Gabriel Somé, un prestito di 21 miliardi di franchi cfa.
Domanda due. Cosa mai avrebbe avuto da guadagnarci la Francia dalla rimozione del governo Sankara?
E anora: cosa si dice quando si dice Francia? Quali erano e di chi erano gli interessi che potevano essere messi a repentaglio dal neonato governo di un piccolo e poverissimo Paese dell’Africa nera?
E chi, in Alto Volta, aveva tornaconto a che il governo ed il progetto politico del giovane capitano Sankara e dei suoi fosse definitivamente accantonato?
Sankara avrebbe risposto che questo interesse, in Alto Volta come nel resto del mondo, sta in tutti coloro che sono privilegiati. In quelli che vivono per il proprio tornaconto parassitando il bene comune, costringendo alla miseria, e dunque alla morte, altri esseri umani.
Sankara non rimarrà per molto in carcere. Ouédraogo –rimasto presidente– è costretto a rimetterlo in libertà dopo grandi manifestazioni di piazza animate soprattutto dai più poveri, i diseredati che hanno eletto quel giovane capitano, dall’aria onesta e dal parlare diretto, loro speranza per una vita più degna.
Che cosa sarà passato per la testa di Sankara nelle settimane che seguirono la sua scarcerazione? Avrà pensato, anche solo per un momento, di poter diventare presidente dell’Alto Volta? Avrà pensato, anche solo per un momento, di poter mettere in pratica le sue idee di rivoluzione trasformandole in leggi e disegni politici? O avrà, forse, pensato che tutto sarebbe finito di lì a poco? Che lì sarebbero finiti i suoi sogni, i desideri di riscatto di un popolo e forse anche la sua vita, dato che l’omicidio di avversari politici non è pratica rara in momenti concitati della storia delle nazioni.
Sappiamo come continuò questa storia. Sappiamo che Compaoré tornò ad Ouagadougou alla testa dei paracadutisti di Pô e mise a segno “l’ennesimo” colpo di stato portando al potere il gruppo di sottufficiali capeggiato da Sankara, che fu nominato presidente.
Era il 4 agosto 1983: iniziava la rivoluzione burkinabé, la "Rivoluzione Democratica e Popolare" (Révolution démocratique et populaire, o RDP).
Noi siamo quello che siamo, cioè un regime che si consacra anima e corpo al benessere del proprio popolo. Chiamate ciò come volete, ma sappiate che non abbiamo bisogno di etichette. La nostra è una rivoluzione autentica, diversa dagli schemi classici”.
Sankara ed i suoi si definirono rivoluzionari in quanto miravano ad un cambiamento radicale della società. Una società che non avrebbe più visto sfruttati e sfruttatori, ma che avrebbe dovuto vedere la felicità per tutti i suoi componenti. Perché la felicità, che è un bene comune, o è di tutti o non è di nessuno. E fu nell’attuazione politica di quest’idea che Sankara diede, probabilmente, il meglio di sé, dimostrandosi politico capace e ricco di idee.
L'ideologia della rivoluzione fu definita "anti-imperialista"; la sua politica era orientata verso la battaglia alla corruzione e ai problemi della fame, la promozione della riforestazione e lo sviluppo dell'educazione della sanità.
Il governo soppresse molti dei benefici di cui ancora erano titolari i capi-tribù, come corvè e tributi obbligatori.
Quando dice felicità Sankara intende qualcosa di molto concreto. Intende poter mangiare almeno due volte al giorno tutti i giorni ed avere a disposizione almeno dieci litri d’acqua pura tutti i giorni. E due pasti al giorno e dieci litri d’acqua furono assicurati, investendo nello scavo di pozzi, nella costruzione di piccole dighe, nell’aiuto economico e tecnico a quel 90% della popolazione che viveva nelle zone rurali. E tutto questo in pochissimo tempo.
Ma felicità significa anche potersi curare quando si sta male senza veder morire i propri figli per malattie facilmente curabili, andare a scuola, potersi dedicare alle proprie passioni, non essere schiavizzati da leggi e regole tradizionali, non dover vivere in un ambiente distrutto dall’incuria e dall’incedere del deserto.
La nostra rivoluzione è e deve essere l’azione collettiva di rivoluzionari per trasformare la realtà e migliorare concretamente la situazione delle masse del nostro Paese. La nostra rivoluzione avrà avuto successo solo se, guardando indietro, attorno e davanti a noi, potremmo dire che la gente è, grazie alla rivoluzione, un po’ più felice perché ha acqua potabile, un’alimentazione sufficiente, accesso ad un sistema sanitario ed educativo, perché vive in alloggi decenti, perché è vestita meglio, perché ha diritto al tempo libero, perché può godere di più libertà, più democrazia, più dignità”.
E questa rincorsa verso la felicità avrebbe avuto al suo centro i contadini, e cioè la stragrande maggioranza degli abitanti del Paese. Un Paese che avrebbe dovuto cercare di essere autosufficiente e non più vittima delle più disparate forme di neo-colonialismo. Un cambiamento rappresentato simbolicamente nel cambio del nome della nazione, anch’esso eredità coloniale. Il 5 agosto 1984, primo anniversario della rivoluzione, nasceva il Burkina Faso.
L’idea che sta alla base del governo di Sankara è semplice e credo che tutti saremmo pronti, seduta stante, a sostenerla: non è giusto che qualcuno muoia di fame e privazioni mentre qualcun altro può permettersi di sprecare o gozzovigliare.
Saremmo pronti, però, ad accettare le ovvie conseguenze di questo ragionamento? Saremmo pronti, cioè, a rinunciare ad una parte di ciò che noi consideriamo nostro per condividerla con chi ha meno?
Saremmo pronti ad essere un po’ più poveri perché qualcuno sia meno misero?
Queste sono alcune delle domande che Sankara ci pone oggi, a più di vent’anni dagli avvenimenti in questione.
Ma sono anche alcune delle domande che Sankara poneva ai suoi concittadini ed a se stesso.
Le risposte che riuscì a darsi, ed a dare al suo popolo, sono quelle politiche che trasformarono un Paese miserabile nella splendida anomalia del Burkina Faso della rivoluzione.
La rivoluzione proseguirà, accelerandole, quelle politiche di austerità intraviste nei pochi mesi in cui Sankara fu primo ministro: stipendi tagliati; viaggi aerei in classe turistica e rimborsi spese molto contenuti per i politici in viaggi diplomatici; ben pochi privilegi per i governanti che dovrebbero essere i servitori del popolo e non i suoi sfruttatori. Sankara stesso si muoveva per Ouagadougou in bicicletta – ed era presidente! – ed i suoi averi ammontavano alla sua casa e una Renault 5. “Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un paese povero”.
Il suo governo incluse un grande numero di donne, condannò l'infibulazione e la poligamia, promosse la contraccezione. Fu il primo governo africano a dichiarare che l'AIDS era la piú grande minaccia per l'Africa.
Promosse numerose iniziative spettacolari le quali contribuirono alla sua popolarità e all'attenzione della stampa estera; vendette la maggior parte delle Mercedes presidenziali e assunse la Renault 5 come macchina ufficiale dei ministri (all'epoca era la macchina più a buon prezzo del Burkina Faso); la sua guardia personale era composta da sole donne in motocicletta; trasformò il deposito di approvvigionamento dell'esercito in un supermarket statale aperto a tutti (il primo supermarket del paese).
Questo non piacque (e non credo ci sia da stupirsene) a chi su quella situazione di privilegio aveva costruito la propria vita: ex-governanti e funzionari pubblici che con Sankara sosterranno un lungo scontro.
E’ inammissibile che ci siano uomini politici proprietari di ville che affittano a caro prezzo agli ambasciatori stranieri, quando a quindici chilometri da Ouagadougou la gente non ha il denaro per comprare nemmeno una confezione di nivachina per curare la malaria”.
Sarà presa posizione contro i furti perpetrati dai governi precedenti, giudicati da tribunali popolari istituiti ad hoc. Tribunali che, probabilmente ci farebbero gridare allo scandalo se assistessimo, noi oggi, ad uno di quei processi dove l’imputato era posto dinnanzi alla giuria senza la mediazione di alcun avvocato. E davanti al nostro restar scandalizzati Sankara risponderebbe: “Pensiamo che se un avvocato difende un cliente (si tratta proprio di termini mercantili) questo cliente potrà essere difeso veramente solo se paga lautamente l’avvocato. Il miglior avvocato sarà quindi riservato a chi paga di più. Ciò significa che più si ruba, più denaro si ha per meglio difendersi. Ma se non si hanno i soldi per difendersi?
Saranno imposti periodi di lavoro comunitario ad alcune fasce della popolazione, ad esempio gli studenti universitari, in alcune importanti campagne sociali: dalla vaccinazione di massa contro le malattie infantili alla costruzione di opere pubbliche.
Uno dei sogni di Sankara, l’abbiamo già detto, è un Paese che ce la possa fare da solo, un paese veramente indipendente in quanto autosufficiente.
Mangiare quel che si produce e vestire con tessuti locali sono due importanti mobilitazioni sociali volte a garantire la sussistenza al popolo del Burkina Faso, a rilanciare alcuni rami dell’economia e ad incominciare così a smarcarsi il più possibile dalle importazioni straniere che incidevano negativamente non solo sul debito pubblico.
Dobbiamo accettare di vivere all’africana, perché è il solo modo di vivere liberamente, il solo modo di vivere degnamente. Il nostro paese produce cibo sufficiente per nutrire tutti i burkinabè. Ma, a causa della nostra disorganizzazione, siamo obbligati a tendere la mano per ricevere aiuti alimentari, che sono un ostacolo e che introducono nelle nostre menti le abitudini del mendicante. Molta gente chiede dove sia l’imperialismo: guardate nei piatti in cui mangiate. I chicchi di riso importato, il mais, ecco l’imperialismo. Non c’è bisogno di guardare oltre.”
Potremmo andare avanti a lungo, elencando le politiche di Sankara presidente. Sia quelle che portarono ad immediati benefici a quelle che fallirono, per errori del governo o perché bloccate quando ancora non avevano dato frutti consolidati.
Fra le prime ,sicuramente le già ricordate politiche alimentari e sanitarie. Va registrato che in soli quattro anni la vita media in Burkina Faso passò da 44 a 50 anni. Ancora fra le prime le politiche scolastiche che, con la costruzione di centinaia di scuole pubbliche e l’obbligo scolastico, portarono milioni di persone a scuola. All’inizio degli anni 80 l’analfabetismo raggiungeva più del 90% della popolazione.
Una delle condizioni per lo sviluppo è la fine dell’ignoranza. L’analfabetismo deve essere incluso fra le malattie da eliminare il più presto possibile dalla faccia della Terra”.
Fra le seconde, le politiche a favore della donna e contro pratiche e tradizioni che la tenevano (e la tengono!) ai margini della società e che ne umiliano la dignità.
Se la rivoluzione perde la lotta per la liberazione della donna, avrà perso il diritto ad una trasformazione positiva della società”; “Il peso delle tradizioni secolari della nostra società ha relegato le donne al rango di bestie da soma. Le donne subiscono due volte le conseguenze nefaste della società neo-coloniale: provano le stesse sofferenze degli uomini e, inoltre, sono sottoposte dagli uomini ad ulteriori sofferenze. La nostra rivoluzione si rivolge a tutti gli oppressi e gli sfruttati e quindi si rivolge anche alle donne”.
Va inoltre ricordato che Sankara fu il primo leader africano a scagliarsi contro le mutilazioni genitali femminili, tanto in uso anche in Burkina Faso, condannandole pubblicamente a più riprese.
Le politiche di controllo statale della cooperazione internazionale, così da evitare la creazione di squilibri e ingiustizie causate dall’assuefazione agli aiuti umanitari spesso “inutili ed imbevuti di colonialismo”, ricercando solo “l’aiuto che aiuta a far velocemente a meno dell’aiuto” e non quello che “serve alle imprese del Nord e ad esperti pagati in un mese cifre che basterebbero ognuna a costruire una scuola”. “La politica degli aiuti è servita fino ad oggi solo ad asservirci, a distruggere la nostra economia. L’origine di tutti i mali del Paese è politica. E la nostra risposta non può essere che politica”.
Le politiche ambientali di salvaguardia del territorio e di riforestazione, contro l’avanzare del deserto ed a favore di una buona agricoltura di sussistenza: “La distruzione impunita della natura continua. Noi non siamo contro il progresso, semplicemente chiediamo che esso non significhi anarchia e criminale disprezzo per i diritti degli altri Paesi”.
Le politiche per trasformare le forze armate (di cui Sankara stesso fa parte, è bene ricordarlo!) in un corpo sempre meno militare e sempre più al servizio “civile” della popolazione: “Una rivoluzione non si fa per prendere il posto dei vecchi governanti che si depongono. Il nuovo soldato deve vivere e soffrire fra la gente cui appartiene.”
Le politiche internazionali per la richiesta della cancellazione del debito estero dei Paesi impoveriti: “Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzato, sono gli stessi che hanno gestito per tanto tempo i nostri stati e le nostre economie. Loro hanno indebitato l’Africa. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo”.
Quelle contro l’imperialismo e di sostegno alle lotte di liberazione dei popoli: “L’imperialismo, attraverso le multinazionali, il grande capitale e la potenza economica è un mostro senza pietà, dotato di artigli, corna e denti velenosi. E’ spietato e senza cuore. Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. (…) Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”.
Quelle per la rivitalizzazione del fronte dei Paesi non allineati: “Il Movimento dei non allineati significa rifiutare di essere il terreno dello scontro fra elefanti che calpestano tutto impunemente”.
Le politiche per il disarmo: “Ogni volta che un paese africano acquista armi lo fa contro gli africani. Dobbiamo trovare una soluzione al problema degli armamenti. Sono un militare e ho con me un’arma. Eppure propongo il disarmo, perché io porto l’unica arma che ho, mentre altri hanno nascosto tutte quelle che hanno. Abbiamo l’obbligo di considerare la lotta per il disarmo un obiettivo permanente come presupposto essenziale al nostro diritto allo sviluppo”.
Le politiche contro il razzismo all’interno del Burkina Faso e, a livello internazionale, contro l’apartheid in Sudafrica: “Dobbiamo combattere l’apartheid non perché siamo neri, bensì semplicemente perché siamo uomini e non animali e ci opponiamo alla classificazione degli uomini in base al colore della pelle”.
Non tutte queste politiche funzionarono o furono efficaci, ma sta di fatto che durante gli anni della rivoluzione il Burkina Faso ha incominciato una via che sembrava andare in una direzione di vera autosufficienza. Il Burkina Faso stava diventando un esempio molto osservato dai popoli dell’Africa di metà anni 80 (non di secoli fa, è sempre bene tenerlo presente).
Questo esempio di Paese ribelle terminò di esistere il 15 ottobre 1987 quando un colpo di stato(!) vi pose fine assassinando il presidente Sankara.
Sarei felice se fossi stato utile, se fossi stato un pioniere: quello che sembra oggi un sacrificio, domani sarà un normale e semplice comportamento. (…) Ho detto a me stesso che trascorrerò la vecchiaia in qualche libreria a leggere, sempre che prima, visto che abbiamo molti nemici, non abbia incontrato una fine violenta. Una volta accettata questa realtà, è solo questione di tempo”.
Da pochi mesi era incominciato il quinto anno della rivoluzione burkinabè. Un anno che sarebbe dovuto essere un anno diverso. Un anno che, in qualche modo, avrebbe dovuto rompere con una certa tradizione rivoluzionaria novecentesca che vuole le avanguardie a guidare e il popolo a seguire.
Abbiamo deciso di prenderci il tempo, il tempo necessario a trarre lezione dalla nostra attività passata. Dobbiamo fare del quinto anno di rivoluzione un anno di valutazione critica del nostro lavoro”.
Sembrava ci fosse un profondo desiderio di portare nuove esperienze all’interno della rivoluzione, così da renderla ancora più proprietà del popolo: “Dovremo considerare l’espressione arricchente, variegata e multiforme di tanti diversi pensieri ed attività. Abbiamo bisogno di pensieri e attività intensi e pieni di sfumature, tutti insieme coraggiosamente e sinceramente nel rispetto della necessità di critica e autocritica e tutti diretti verso uno stesso, luminoso obiettivo, che non può essere altro che la felicità dei burkinabè. Dovremo stare in guardia contro un tipo di unità sterile, monolitica, paralizzante e infeconda.”.
A guidare il colpo di stato furono Zongo, Lingani e, soprattutto, il suo “amico fraterno” Blaise Compaoré, che da allora è presidente del Burkina Faso. Dissero che Sankara era stato eliminato perché era pronto a tradire la rivoluzione(?), ma fu qualcun altro a tradire quel sogno.
Alla notizia della morte, il comitato di difesa della rivoluzione oppose resistenza armata all'esercito per parecchi giorni.
Sankara fu seppellito in una tomba anonima.
Una settimana prima della sua morte Sankara rivolto alla popolazione disse: "Sebbene un rivoluzionario possa essere ucciso come individuo, non si possono uccidere le idee".
Gli anni che seguirono furono anni di epurazioni, omicidi e torture nel tentativo di cancellare ogni traccia della rivoluzione. Nel 1989 Lingani e Zongo furono condannati a morte, ed uccisi, con l’accusa di aver tramato per assassinare il presidente. Piccola postilla: Compaoré è stato "democraticamente" rieletto presidente anche nel 2005 con l’80% circa dei voti.
La democrazia è il popolo. La scheda elettorale e l’apparato per votare non significano automaticamente l’esistenza della democrazia”.
Dal 1987 allora il Burkina Faso è tornato ad essere quello che qualcun altro ha deciso che debba essere: un Paese poverissimo, miserabile in alcuni casi, ultima (o penultima) ruota del carro di un mondo globalizzato dominato dal dio del libero mercato.
Imperialismo, un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che con dei cannoni vengono ad occupare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto. Noi stiamo combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di dirigere tutta l’umanità.”
Perché fu ucciso Sankara?
E’ una domanda alla quale è facile rispondere: sfruttamento, privatizzazioni, FMI e BM. Dopo pochi mesi dall’assassinio di Sankara il Burkina Faso tornava in condizioni sociali ancora peggiori di quelle antecedenti la rivoluzione.
in vita Sankara ebbe a dire: “Potete citarmi un solo caso in cui il FMI e il suo aiuto non abbiano prodotti effetti negativi? Abbiamo detto al FMI: quello che chiedete noi l’abbiamo già fatto. Abbiamo ridotto i salari dei funzionari, risanato l’economia. Non avete niente da insegnarci. Ci è sembrato di capire che quello che il FMI cerca va ben al di là di un controllo sulla gestione: è un controllo politico. Certo che abbiamo bisogno di denaro, di capitali freschi, ma non al prezzo di un’abbondanza artificiale, di un consumo improduttivo a cui si abbandonerebbe sicuramente una classe dirigente prigioniera del suo confort e di questo stesso FMI. Abbiamo quindi rifiutato i prestiti della Banca Mondiale per alimentare progetti che non abbiamo scelto.”
Del Burkina Faso della rivoluzione (agosto 83-ottobre 87) cosa rimane oggi?
Della speranza suscitata da quell’esperimento tutto africano di governo cosa è rimasto oggi?
Sono rimaste soprattutto le idee e l'esempio di un uomo integro che diceva: “per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d’inventare l’avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l’avvenire”.


Astounding allegations have come forth about the 1987 assassination of the former president of Burkina Faso, Thomas Sankara, through a documentary aired on Italy’s public channel RAI 3. The documentary, entitled ‘African Shadows’ and by Silvestro Montanaro, details the alleged links of the American and French secret services to Sankara’s assassins and the involvement of the current President of Burkina Faso Blaise Compaoré.







NARRATOR: This is an intriguing international issue. I am meeting with Liberian Senator Jewel Howard Taylor, ex-wife of Charles Taylor.

SILVESTRO: Do you think that people should be worried if Taylor tells ‘the truth’? Should important people?

LADY HOWARD TAYLOR: Yes, absolutely. I am sure of it...

SILVESTRO: Very important people?

LADY
HOWARD TAYLOR: For sure. There is a part of this story that has remained hidden, even from me. I am certain that he still holds secrets. How did he leave the US? What deal did he make with Ghaddafi in order to train in Libya? Who were his friends, and what information did they give him?


MOMO: He had lots of friends in the US...

SILVESTRO: Important people?

MOMO. Yes, certainly, business people.

SILVESTRO: Can you give me any names?

MOMO: Ah, no. I cannot divulge their names. I am not a fool... He had friends in diplomatic circles, who have gone underground, but I know who they are, and that they would not be happy if I spoke out. Taylor did not drop out of the sky just like that. From prison to Liberia. It is them who sent him to Liberia, and they are very aware of this fact!

NARRATOR: This gentleman, also considered a war criminal by the UN, was Taylor’s aide-de-camp. Today, General Momo Jiba – one of those who know the real story –gives us a glimpse of the goings-on during the reign of Charles Taylor.

SILVESTRO: Who sent him here?

MOMO: Those who sent him know themselves. The big hand. They know everything. He did not come here alone. Taylor was in prison in the US... and all of a sudden, he was in Monrovia. How did he get out of a US prison? How was he able to escape?

SILVESTRO: The CIA?

MOMO: Eh heh... I cannot say it... a big hand, The Big Hand.

HISTORIAN: What happened in the US with Charles Taylor is quite a remarkable story.

NARRATOR: Liberia’s current minister of posts and telecommunications, Marcus Dahn, is also one the country’s pre-eminent historians. He also suspects a third force behind Taylor’s escape.

HISTORIAN: Taylor fled Liberia after President Doe accused him of stealing millions of dollars from state coffers. He was arrested and was due for extradition to Liberia. It is noteworthy that Taylor’s lawyer, Ramsey, one of the best in the country, was attorney general under Jimmy Carter. Taylor was incarcerated at a federal prison in Massachusetts, one of the most secure. It seems to me especially difficult to escape from a federal prison... Taylor managed to escape, to come back here and launch a revolution to depose Samuel Doe.

BLEAH: It is impossible to escape form such a facility without someone’s assistance. Taylor was not a little bird. Neither was he God, or a spirit.

NARRATOR: Mose Bleah was Taylor’s vice-president, and one of his top aides. When Taylor fled, he became president for a period of a few months.

BLEAH: Many people, including some who currently occupy important posts in the government, helped us. Even our current president admitted to having assisted Taylor, and having given him financial assistance at the time.

SILVESTRO: But it was mostly the Americans...

BLEAH: Certainly... yes...

SILVESTRO: In what way?

BLEAH: How can I explain this to you... Our godfather –since some of us Liberians consider ourselves a province of the US– helped us. The US consented to Taylor becoming president.

ALLEN: You must understand that the leaders of the NPFL [National Patriotic Front of Liberia] chose Taylor. The leadership of the NPFL included the likes of Mrs Ellen Sirleaf, the current president.

NARRATOR: Cyril Allen was a leading figure in Taylor’s party, former head of the National Petroleum corporation and is now one of the top names on the UN’s blacklist.

ALLEN: They were seeking help in toppling Samuel Doe. So the Americans asked whom they had chosen to lead their revolution. Their response was immediate and unequivocal; we have a Liberian who has a bone to pick with Samuel Doe. This man has a brilliant military mind, he is intelligent and courageous… Unfortunately, he is in one of your prisons. We ask that you to let him go so he can lead the revolution. They complied, and there Taylor was...

SILVESTRO: They agreed?

ALLEN: Of course, they made it possible for Taylor to escape.

MINISTER DOE: You need to find out from the State Department, from the highest levels of the CIA, the FBI, and the political establishment... they know what happened. Listen, I never want find myself in the American prison system. It is practically impossible to escape. Incredibly, Taylor managed to escape. Who was Taylor’s lawyer? Ramsey Clark, former US attorney general and one of the most powerful men in the world. Taylor escapes from prison in Boston and the next thing we know, Taylor is in Africa. When Taylor got here, he had a sack-load of money. We enquired into the origins of the initial US$25,000. I had all this information on my computer, but unknown individuals destroyed it. Luckily, a friend of mine kept copies. One of the signatures on the document was that of the current president, and the other was, well, an American.

SILVESTRO: Where were you trained, prepared?

MOMO: I was trained...

SILVESTRO: Please be truthful.

MOMO: Yes... in Libya.

SILVESTRO: Who trained you?

MOMO: He he, good question...

SILVESTRO: What kind of instructors did you have? Where were they from? Which country? Please be honest.

MOMO: I cannot reveal that on camera, it is top-secret. But they were definitely instructors.

SILVESTRO: Who supplied you with arms?

MOMO: For combat?

SILVESTRO: Yes.

MOMO: He he.

SILVESTRO: The same people?

MOMO: No, no, it was a revolution, we provided for ourselves. Nobody gave us anything. President Taylor used his own resources.

NARRATOR: At this point, I ask the filming crew to leave and return with a hidden television camera.

SILVESTRO: So, who was it that trained you?

MOMO: He he... ok, I cannot tell him... besides he already knows...

SILVESTRO: The CIA?

MOMO: Yes, the CIA trained me.

SILVESTRO: How about Gaddafi... Libya.

MOMO: Don’t go there, that’s politics...

SILVESTRO: Unbelievable.

MOMO: Let’s not get into that, that’s politics.

SILVESTRO: And they gave you money...

MOMO: Money, everything.

SILVESTRO: Arms?

MOMO: Everything, everything.

SILVESTRO: The CIA.

MOMO: Don’t go there... that’s politics.

SILVESTRO: Good heavens.

MOMO: You know, they are dangerous... right now they want it kept quiet... they would not appreciate us talking about it. If we do, it would be dangerous for them...

SILVESTRO: How is it possible that the CIA helped Taylor escape from prison?

LADY
HOWARD TAYLOR: I am sure that they were involved.

SILVESTRO: But after that, he was in Libya planning the war against Doe. Libya was an enemy of the US.

LADY
HOWARD TAYLOR: I believe that Taylor was nothing but a pawn in this game. The US was against Libya, but at the same time was eager to overthrow Doe. It is for this reason that they needed an ally, and authorised Taylor going to Libya for training to fight these people. Even before he triumphed and became president, he was in constant contact with the US. He was part of a scheme to topple Doe. He needed to be clear with his priorities: the Liberian question, his orientations vis-à-vis the US, the natural resources at stake, especially petroleum, from which the US would benefit. Liberia was a strategic target, and for this reason, more important than the Libyan question.


NARRATOR: As General Momo states, Taylor was at this point working for the CIA, spying on Gaddafi and infiltrating African liberation movements that were training in Libya.

MOMO: It was a CIA operation.

SILVESTRO: The fact of the matter is that Taylor was working for the CIA, and had been sent expressly to infiltrate African liberation movements that were training in Libya.

MOMO: Those are the facts.

SILVESTRO: Are you sure about that?

MOMO: Absolutely. I was working with him, and we spoke about these issues. I am not in the habit of lying.

SILVESTRO: And how did Taylor go about spying on Gaddafi for the CIA?

MOMO: One … a key area was Burkina Faso.

SILVESTRO: Taylor’s mysterious escape path crosses with the fate of Thomas Sankara, the young president of Burkina Faso. Some time ago, Liberian senator and former warlord Prince Johnson, told the Truth Commission that he and Taylor had been involved in Sankara’s death. I approached him so he would explain the story.

PRINCE: But this is not part of what you have written here...

SILVESTRO: It is part of the last question.

PRINCE: No, it isn’t. And in any case, you must stick to the agenda you prepared here...

SILVESTRO: Excuse me?

PRINCE: You cannot raise a new issue that was not mentioned before.

SILVESTRO: Is it that difficult for you to answer the question?

PRINCE: No, no, it does not work like that.

SILVESTRO: So, what actually happened in Burkina Faso?

PRINCE: No, we … once an issue has been dealt with one, two, three times...

SILVESTRO: The issue of Thomas Sankara?

PRINCE: This is getting tedious.

SILVESTRO: Excuse me?

PRINCE: I went to the Truth Commission, I gave an interview to the French media that was broadcast worldwide, and I will go on repeating what I said about Burkina Faso.

SILVESTRO: I understand, but please answer the question.

PRINCE: Right, after I spoke, the president of Burkina Faso faced all kinds of problems, and I do not want to end up there again. Besides, if you really want to know what happened in Burkina Faso, why don’t you go there and ask President Blaise Compaoré... you are part of the international media, you are like a doctor, to whom the truth must be told. Therefore, go to Burkina Faso... (bursts of laughter).

NARRATOR: Then, with the camera ostensibly off...

PRINCE: There was an international plot to get rid of this man, and if I tell you how this happened, are you aware the secret services could kill you?

SILVESTRO: An international plot. Because the truth would harm the current president Blaise Compaoré. In 1987 when Sankara was murdered, Compaoré was considered his best friend. Immediately after Sankara’s death, Compaoré said 'I was ill'.

NARRATOR: Momo and Allen recount to me what exactly happened.

ALLEN: Gambian President Yahya Jammeh, Blaise Compaoré, Thomas Sankara, Domingo Guengeré, and ... Foday Sankoh, as well as the man from Chad, whose name I can’t recall, had all been trained in Libya and were all friends. They are the ones who actually organised the Burkina revolution and installed Sankara as president. Once in power, he set about putting in place his plans. The next thing you know, the US had infiltrated the liberation movements and set about overthrowing Sankara, who was leaning too far left. The Americans were not happy with Sankara. He was talking of nationalising his country’s resources to benefit his people. He was a socialist so he had to go.
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This section contains a sequence of archive images. What follows is the commentary accompanying the images.

NARRATOR: Video showing Sankara: Thomas Sankara was president of Upper Volta from 1983–87, and renamed it Burkina Faso, meaning 'land of the honourable'. To avoid foreign dictates, he refused aid from the IMF and the World Bank. Burkina Faso was semi-arid, hungry, indebted and had one of the highest infant mortality rates, with no hope of going it alone. He had to fight desertification, achieve food self-sufficiency, and provide healthcare. The new motto was "two meals a day and ten litres of water a day for all every day". The whole country, especially women, were mobilised to achieve this goal: to consume only what the country could produce on its own, without unnecessary imports and military purchases, end waste, privilege and corruption. He led by example.

SANKARA: Our ministers can only fly economy, not first class. We have abolished presidential immunity, and are in the process of lowering civil service salaries. There are court proceedings against those who are robbing our country, and these are taking place in public.

NARRATOR: Sankara ate millet, like the peasants in his country, travelled around in a small ordinary car, always wore traditional dress, and never had any personal property. His presidential salary was a pittance, and he shamed every other statesman in the world and at home. His example was not followed with enthusiasm. Roads, railways, schools and hospitals were built, agricultural production grew and desert was reclaimed. In the space of four years, the goal of two meals a day and ten litres of water was a reality. But the spectre of external debt racked up by past corrupt governments loomed. Sankara was fighting on the global stage against this new debt-slavery.

SANKARA: We must speak in one voice, saying this debt cannot be paid. And since I am the lone voice, I will be assassinated. We must say together, we cannot pay, because we have to work to build a future for our people. If only Burkina Faso refuses to pay, I will not be here at the next conference.

Silvestro’s comments: Sankara did well, and did it for all. He called into question the delicate power dynamics of the time. It was an issue that needed to be tackled. Momo Jiba and Cyril Allen, Taylor’s closest allies, recount what happened.
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The interview continues

MOMO: My boss told me to approach Sankara for help in taking power in Liberia. In return, he offered lucrative business opportunities. Thomas Sankara told him he was not interested and asked him to leave the country. He told him that he would not help and asked him to find another staging point for his rebellion. Guengere, who is currently Burkina Faso’s minister of defence, Blaise Compaoré, Charles Taylor, and Chad’s current president... you know who he is?

SILVESTRO: Yes.

MOMO: Yes, him too.

SILVESTRO: Yes.

MOMO: They all met in Mauritania for a whole day... after a while they were joined by a white man from Paris. The discussions carried on, and then there was another meeting in Libya, where the Sankara problem was discussed some more. What emerged was that if we were to use Burkina Faso as a launching pad, Sankara had to be eliminated. Blaise Compaoré, would become president, and he would help us...

SILVESTRO: And was Gaddafi okay with the plan?

MOMO: Yes, yes... please remember, this must all remain confidential.

SILVESTRO: Yes, yes...

MOMO: If Gaddafi helped Taylor, and France sent word that they were in support of the coup d’état … better yet, if France provided funds and indicated that they would recognise Compaoré’s government, then all was well. Blaise told Guengere, the current Burkinabe army chief to avail a group of commandos, Taylor provided other troops, and the coup was staged.

SILVESTRO: Was France the only country involved?

MOMO: France was totally involved.

SILVESTRO: What about the US and the CIA?

MOMO: I am not sure of that... I don’t want to tell you lies.

ALLEN: The Americans and the French sanctioned the plan. There was a CIA operative and the US embassy in Burkina Faso working closely with the secret service at the French embassy, and they made the crucial decisions.

SILVESTRO: So the CIA and the French secret service...

ALLEN: And the French secret service decided to eliminate Sankara. Those are the facts.

MOMO: They sent their men, some commandos, and then there was Prince Johnson, and myself. We communicated by walkie-talkie, we had all the information on Sankara... when he left home, and when he returned... everything was planned.

SILVESTRO: Were you there?

MOMO: Of course, I was in Burkina Faso, I was part of the operation.

SILVESTRO: And were you present when Sankara was assassinated?

MOMO: Of course, I was in the room when he was assassinated.

SILVESTRO: What do you remember of that moment?

MOMO (laughs).

SILVESTRO: Sankara was waiting to meet Blaise Compaoré?

MOMO: No, it was not a meeting... there were important discussions taking place.

MOMO: And Blaise Compaoré, after seeming to have returned home at exactly midnight, was there, ready to act with the others... he entered the room and fired.

ALLEN: He fired the first shot... Sankara was seated and Compaoré was across the table. Then there was a second shot, Sankara sank into the chair and died... a few seconds before that, he had been speaking to Compaoré.

MOMO: I was right there when Thomas Sankara said, 'Blaise, you are my best friend, I call you my brother, and yet you assassinate me?' Blaise made an irritated gesture and said something to him in French – I don’t understand French very well – and then he fired a shot.

ALLEN: If Blaise Compaoré had not shot Sankara, Guengere would have done so, and would now be president. All of this was part of America’s interest in controlling Burkina Faso.

NARRATOR: Whatever the case, one thing is certain: The good will is gone and Burkina Faso is once again one of the world’s poorest countries...

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