Lei non si sente responsabile di nulla?
Come no!. Mi sento responsabile delle morti che abbiamo avuto come movimento, non solo nella sollevazione popolare, nei primi giorni di gennaio del 94, ma anche delle morti, soprattutto di bambini, che abbiamo avuto nei dieci anni prima della rivolta e degli errori che come movimento si sono commessi. Veniamo da un dialogo interrotto, in cui è stato raggiunto un accordo che non ha poi trovato attuazione, ma che tuttavia speriamo possa ancora realizzarsi. Speriamo così di poter dar vita ad un altro movimento e alla diversa società dove ci sia spazio per noi come popoli indios. Ma il punto fondamentale è che non importa quali siano le nostre differenze, se possono risolversi per una via che non sia l'esercizio della violenza, è vada nel senso dell'umanità. E' questa la sfida nel secolo XXI, diciamo noi.
Lei, Marcos, può essere arrestato nel momento in cui il governo e la giustizia lo vogliano, in Messico?
Sì. C'è una legge, che è la Legge per il Dialogo, che dice che non possono eseguirsi gli ordini di cattura che sono già stati emessi finché esiste un processo di dialogo. Poiché questo processo di dialogo è ora sospeso e non c'è più alcun tipo di comunicazione, né aperta né clandestina, con le autorità di governo, in qualunque momento possono decidere che la legge si dà per abrogata e riattivare l'ordine di cattura per mettermi in prigione, o farmi sparire, a seconda di quale sia la loro decisione.
Teme che possano ucciderla?
No, per la verità no. Da quando ci sollevammo il 1 da gennaio del 94, né la prigione, né la sparizione, né la morte entra nelle mie preoccupazioni; è un rischio possibile, fa parte di quello che può ragionevolmente prevedersi, ma non mi preoccupa. Non penso ogni mattina se sarà quello il giorno in cui mi cattureranno, o ammazzeranno. Diciamo che è possibile.., che in questo senso la cosa si è fatta naturale tanto quanto per qualcuno quello di correre il rischio possano investirlo nel momento di attraversare la strada.
Lei ha ammazzato?
No. Noi non ammazziamo la gente. Noi resistiamo, nel senso che lottiamo affrontando il nemico. E' quel che avvenne al tempo in cui vi fu la prima sollevazione e ci furono scontri armati: sparammo e ci spararono. Non teniamo una contabilità come i malviventi della televisione, che continuano a fare la conta di quanti morti continuano a causare. Noi siamo soldati, e come qualunque soldato del mondo non ammazziamo, non assassiniamo, se non in un combattimento aperto.
Marcos, il muro di 600 km che Bush vuole alzare lungo la frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico, chi proteggerà di più?
Quello che fa in primo luogo è favorire i trafficanti di clandestini, che aumenteranno i prezzi per portare la gente oltreconfine. Favorisce altresì la corruzione delle autorità messicane, che già hanno abbondanti prospettive, dal momento che stanno favorendo anche il traffico di clandestini dall'America Centrale e Sud-America, perfino dall'Asia... La sola cosa che quel muro porà fare è trasformare in un commercio ancor più redditizio, il traffico di clandestini. La soluzione che ora, col pretesto di impedire l'infiltrazione di eventuali terroristi, sta cercando il Nordamerica per impedire il flusso di migranti, può essere raggiunta solo tra nazioni sane economicamente. Ma il Messico non avrà sanità economica senza giustizia per i diseredati, per cui è necessario trasformare il sistema, che poi è quello che noi chiediamo. In realtà il muro non è nient'altro che il simbolo di quello stesso stupido affanno del governo nordamericano che ha portato alla guerra in Iraq. Ora tenta di concretare le sue apprensioni su questa parete che lo divida da un paese che, tuttavia, considera come il suo cortile, come una parte del suo territorio. Vogliamo la ricchezza, dice il governo nordamericano, ma non amiamo la gente che la produce.
Marcos, c'è qualcosa che non le ho chiesto e che desidera dire?
Noi siamo qui perché stiamo tentando di costruire un'altra forma di fare politica, quella che chiamiamo “l'altra campagna”, fuori dal circuito dei partiti politici e della questione elettorale. E costruire un'alternativa, ormai non più limitata ai soli popoli indios, non circoscritta solo agli zapatisti, bensì destinata a congiungersi e armonizzarsi anche con i contadini, con gli operai, con le donne, gli intellettuali, i giovani, con quanti operano nei mezzi di comunicazione, per vedere se sia possibile realizzare quello che stiamo dicendo fin dal principio, e cioè: è possibile fare una politica che non abbia come scopo la presa del potere? Ed adesso ci troviamo qui, in questo momento a città del Messico, perché stiamo tentando di ottenere la liberazione dei nostri compagni, contadini, contadine, giovani e tutti quelli che furono fermati, più di 30 finora, nel corso della manifestazione di San Salvador Atenco. Una repressione che ha già causato due morti, due giovani morti, e trenta carcerati. Noi vogliamo si trovi una soluzione a tutto questo e che vengano liberati quei compagni, per potere proseguire nel nostro lavoro.
Marcos, spero di poterla intervistare di nuovo, in Chiapas, in una Chiapas felice. Benché siamo a migliaia e migliaia di chilometri, per me la comunicazione è stata molto, molto vicina e molto sentita. Grazie Subcomandante Marcos. La mia gratitudine, abbia la mia gratitudine.
Grazie a te e grazie agli ascoltatori. Grazie a tutti voi.
Parte precedente: Entrevista (1° pt)
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