A World-Wide Style Culture

Sarebbe molto più facile uscire dall’ondata di depressione a cui stiamo assistendo se non avessimo paura di ammettere che la nostra società di consumi ci rende infelici
Bruce E. Levine


Quello che realmente ha devastato la nostra società, svenduto i nostri valori e svalutato il nostro tempo (e con esso la nostra stessa vita) è il consumismo, che ha trasformato tutta la realtà in un unico grande supermercato.
Scriveva Pier Paolo Pasolini: “cos'è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall'ansia economica di esserlo? Che cos'è che ha trasformato le masse dei giovani in masse di criminaloidi?" (quelli che oggi sono dediti al bullismo per noia) L'ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una seconda rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la prima: il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo reale, trasformandolo in una totale irrealtà”.
E' una mutazione avvenuta in modo progressivo e inarrestabile, graduale e senza traumi, senza quasi ce ne accorgessimo. Oggi nella società il ruolo centrale ed unico è quello di consumatore. Gli americani sono diventati portatori concreti di un nuovo stile di vita, o come dicono loro di “a world-wide style culture”, un nuovo modo di vedere il mondo. L’americanizzazione ha agito su due aspetti in particolare, le idee di libertà e di modernità, fondendole insieme nel consumismo: un modello di crescita fondato sull’espansione dei consumi privati e basato sulla diffusione crescente di merci inutili e superflue.
Alexis de Tocqueville, già nella prima metà dell'Ottocento prevedeva: “se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i propri desideri”. Bingo! Centro! Eccoci finalmente arrivati, questo è quello che siamo diventati. Il consumismo è la manifestazione di un bisogno cronico e malato di acquistare continuamente nuovi beni e servizi, senza riguardo alla loro effettiva necessità, alla loro durata, alla loro origine o alle conseguenze ambientali della loro produzione e del loro smaltimento.
Un bisogno alimentato solo dal senso di gratificazione ed autocompiacimento che deriva dall'esser parte di un gregge, assecondare la pubblicità, seguire la moda, far parte del trend. Siamo ormai talmente abituati e assuefatti da non vedere neppure come il consumismo interferisca quotidianamente nelle nostre scelte o nella nostra vita sociale, rimpiazzando i bisogni naturali e necessari, dettati dal buon senso, con bisogni indotti, non naturali né necessari, alimentati dalla pubblicità. Alla fine è solo il consumismo che detta le regole dell'agire individuale e plasma il vivere sociale. Produce effetti distorsivi sostituendo la necessità di una famiglia stabile con la precarietà dei rapporti e delle unioni (perché una famiglia separata diventa due e quindi consuma di più), l'esigenza di una vita in comunità con quella individuale (perché il single, in quanto isolato, è debole, manipolabile e portato a consumare di più come gesto compensativo della propria solitudine), il bisogno di sane relazioni umane con parossistiche forme di antagonismo (il rapporto competitivo tra chi ha l'auto più lussuosa, il telefonino più bello e tecnologico, l'orologio più costoso, i vestiti più firmati, etc..).
E a tutto questo si accompagnano argomentazioni pseudo-logiche che negano la natura oppressiva e omologante del consumismo ed esaltando invece la libertà individuale e la modernità, sostenendo che i consumatori in realtà sono liberi e felici, che il consumo è fonte di soddisfazione e dà significato e pienezza all'esistenza. Si alimenta l'idea che, se la felicità è davvero ciò che conta, possiamo raggiungerla in modo semplice e rapido con lo shopping al supermercato. Abbiamo finito per dimenticare una verità che un tempo era tanto intuitiva da essere quasi un luogo comune, e cioè che tutte le cose che vale davvero la pena avere nella vita, come la generosità, la saggezza, gli affetti umani, l'Amore non sono in vendita negli scaffali dei centri commerciali.
Oggi, come scrive Paul Samuelson, la formula della Felicità consiste nell'eseguire una semplice operazione aritmetica: quantità di consumi fratto desideri. Il rapporto tra numeratore e denominatore ci dà la misura della nostra Felicità. Questa è la ricetta offerta dal consumismo senza pensare che invece, se si azzerano i desideri eliminando i bisogni indotti, la Felicità tende all'infinito. Allora sì che potremmo realmente essere felici e parte di una grande Rivoluzione Umanista.
Il consumismo alimenta invece senza sosta desideri, voglie, capricci, appetiti e con essi un'artificiale ed insaziabile ricerca del denaro necessario a comprare sempre più cose, per lo più inutili, ma che siamo stati portati a desiderare e che ci sembrano essenziali, indispensabili, senza le quali non potremmo vivere. Cose che poi sono progettate già per non durare o per passare di moda in tempi sempre più brevi (la cosiddetta “obsolescenza programmata”).
Non solo, ma il consumismo ha finito pure per incidere, da ultimo, sui nostri valori fondamentali, sui principi e parametri di riferimento della nostra vita. Un consumismo sinonimo di svendita, saldo, superofferta, ribasso, prezzo scontato, offerta speciale, promozione, etc.. ha finito per trasmettere un senso di liquidazione, svalutazione e perdita di valore anche a virtù, principi e ideali. Onestà, moralità, integrità, lealtà, rispettabilità, serietà, decenza, correttezza... tutto finito nel supermercato dei valori, tutto relativo e prescindibile, tutto in vendita e al tempo stesso deprezzato: prendi tre paghi uno. L'antitesi classica e tormentata tra essere e avere è stata così felicemente risolta e superata: ha vinto l'avere, non c'è dubbio.
E le persone sono cambiate anch'esse, adeguandosi. Il vero segno distintivo dei nostri tempi non è, come si potrebbe credere, internet o il telefonino, ma il degrado dei rapporti umani, la perdita di Umanità. Tutto e tutti tendono a diventare cose, merci da comprare, vendere, scambiare. Si è quel che si ha. Le relazioni si riducono a favori da ricevere, promettere e scambiare. Tutto e tutti hanno il cartellino del prezzo. Ogni cosa ha un suo valore: conoscenze, amicizie, informazioni, affetti. Ecco a cosa ci ha portati, gradualmente e senza accorgercene, il consumismo: persone come oggetti e oggetti come persone. Cani accuditi e viziati come figli, figli trascurati e abbandonati come cani.
Un mondo in cui la gentilezza è scambiata per debolezza, la sensibilità per ingenuità, l'educazione per formalismo, l'intelligenza per pedanteria, la serietà per pesantezza. Un mondo in cui si rivendica con orgoglio e si esibisce sfacciatamente in pubblico ciò di cui ci si dovrebbe vergognare privatamente, mentre si umilia e insolentisce quello che andrebbe ammirato e portato ad esempio. La ragione è semplice: lo standard di condotta, di intelligenza, di capacità, di moralità, va livellato verso il basso in modo che tutti si sentano partecipi di un'unica grande famiglia. La persona troppo intelligente “deve” essere pesante, perché il consumismo vuole una massa stupida. La persona sobria “deve” essere percepito come manchevole e insufficiente, perché il consumismo deve alimentare il consumo. La persona seria “deve” essere uno disturbato, perché la superficialità, la leggerezza, la frivolezza sono il motore del consumo. I meccanismi virtuosi di emulazione sociale sono saltati, oggi si esalta e ammira Fabrizio Corona, non Leonardo da Vinci.
Pasolini scriveva che “la società preconsumistica aveva bisogno di uomini forti, e dunque casti. La società consumistica ha invece bisogno di uomini deboli, e perciò lussuriosi. Al mito della donna chiusa e separata (il cui obbligo alla castità implicava la castità dell'uomo) si è sostituito il mito della donna parte e vicina, sempre a disposizione, l'obbligo che impone la permissività: cioè l'obbligo di far sempre e liberamente l'amore”.
La è donna ridotta ad oggetto e felicissima di esserlo, perché raccoglie attenzioni e diventa centro del consumo: consumo di beni e consumo del suo corpo. Il femminismo è servito solo a “rivalutare” l'oggetto. Ci si ribellava prima ad essere oggetto di uso sessuale remissivo e rassegnato, si è felicissime oggi che si è oggetto di uso sessuale, ma in modo glamour e charmante. Cazzo (qui l'oggetto in questione ci sta bene!) che progresso, vuoi mettere ballare come una deficiente su un tavolo ed essere chiamata velina? Oppure fare la “topolona” del Grande Fratello? So' soddisfazioni, dicono con orgoglio i genitori (gli stessi che un tempo preparavano la dote per le figlie e i matrimoni combinati).
E poi l'obbligo del sesso in tutte le sue declinazioni: sensualità, erotismo, feticismo, pornografia. Questa è la vera benzina del consumismo! In fondo sempre di consumo si tratta, anche in questo caso, e siccome fa leva sull'istinto più potente che esista, la libido, può veicolare qualsiasi cosa. Uno dei principali artefici della diffusione del consumismo di massa non a caso è stato Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, il quale ha utilizzato le teorie sviluppate dallo zio sugli esseri umani per riuscire a controllare e manipolare le masse. Fu il primo a mostrare alle corporations americane come creare nella gente il bisogno di cose di cui non avevano bisogno, semplicemente facendo in modo di associare le merci di consumo di massa ai loro desideri inconsci, soddisfacendo o facendo credere di soddisfare i loro più reconditi ed egoistici desideri, così da renderli “felici” e, quindi, mansueti.
“Spider coupè gitti alfetta, a duecento c'è sempre una donna che ti aspetta, sdraiata sul cofano all'autosalone e ti dice prendimi maschiaccio libidinoso, coglione!” A bordo della sua coupè nuova fiammante qualsiasi idiota risolve il suo complesso di castrazione e mentre le donne, ormai ridotte allo stato pavloviano di oche giulive, stanno tutte lì a guardare, gli sembrerà di avere un pisello lungo un chilometro.
La speranza nel futuro? Le nuove generazioni? La famiglia non esiste più, la scuola non sa cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli nel Paese dei Balocchi, sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti, ma la loro stessi, la loro stessa vita. A vent'anni sono completamente idioti, ma perfettamente integrati. Vivono anestetizzati dal benessere materiale e non riescono a proiettarsi in un futuro capace di intravedere un mondo altro e possibile. Questa è la prima generazione senza ideali nè cultura (cultura non è istruzione).
Moravia diceva che anche per spendere i soldi ci vuole cultura, invece pare se ne possa fare a meno. Abbiamo ormai ricchi che pensano come poveri (e si abbuffano di sushi al Billionaire) e poveri che aspirano a fare vita da ricchi (operai che firmano tratte, cambiali, prestiti, mutui, rate per farsi la crociera, la mercedes o il villino con gli gnomi in giardino). Briatore, un ragioniere cretino, diventa un modello mentre la nostra società sta diventando una realtà finta, una via di mezzo tra Dineyland e una fiction di Vanzina in cui domina solo l'ansia di comprare e vendere. Fino ad esaurimento scorte, s'intende.
Ma a che cosa ha portato questo meccanismo perverso? Che le persone si danno a fare lavori che odiamo, sono depresse e insoddisfatte, vivono una vita che non è la loro... E tutto solo per comprare cose che non gli servono e far colpo su persone di cui, nella maggior parte dei casi, non gliene ne fotte nulla.
E poi la politica... La politica in tutto questo è quella che fornisce gli esempi peggiori. Come dice il Subcomandante Marcos, la politica è ormai una puttana: destra, sinistra, centro. Quelli di sinistra attaccano e denigrano il politico miliardario che s'è fatto il vulcano e il mausoleo con tanto di statue nel parco della villa, ma poi non vedono il funzionario comunista con gusti, finezze e attitudini da arricchito del novantesimo minuto. I politici hanno ormai tutto in comune: codici estetici, linguaggi simbolici, preferenze griffate. Sentono anche allo stesso modo, perfino i loro istinti e i loro ideali sono gli stessi. La politica è oggi diventata una riunione di condominio dove tutti partecipano alla condivisione millesimale di uno stesso sistema di valori. Quello che cambiano sono le alleanze, le cricche, il peso dei millesimi... e, ogni tanto, l'amministratore del condominio (a rotazione).
Nonostante tutto però io dico che, se si è passati dagli stili di vita frugali di un tempo alle smanie consumistiche che oggi schiavizzano così tante persone, è anche possibile si possa percorrere la via inversa. Certo disintossicarsi da questa droga che crea dipendenza, come l’ha definita Serge Latouche, sarà difficile e faticoso, ma la depressione culturale e la miseria prodotte da un sistema studiato per renderci infelici di ciò che abbiamo e farci desiderare ciò che non abbiamo, stanno diventando sempre più evidenti.
Una ragazza mi ha raccontato della sua convivenza fallita con il compagno (adesso che non ci sono più comunisti aumentano i compagni! Proprio strana la vita..). Non leggeva nulla, non conosceva chi fosse il Piccolo Principe e se ne stava tutto il tempo stravaccato in poltrona a giocare con la x-box (io manco so cos'è). Ieri ho trovato un annuncio nella mia casella di posta elettronica su una fantastica promozione da non lasciarsi assolutamente sfuggire: la nuova x-box a soli 293,68 euro!! “Benkei deve arrivare al palazzo reale della principessa Yoshitsune ma è in ritardo; aiutalo a raggiungere la Porta di Suzaku...” Machisenefotte!! (D*)


3 commenti:

  1. la visuale che hai della società, non fà una piega. Ma nessuno, se leggesse quello che hai scritto, ammetterebbe di farne parte. A volte credo che dovevamo nascere nei tempi, in cui, la vita, aveva un valore. Ci saremmo riconosciuti? o forse...se non fosse x questa società...non sapremmo nemmeno di esistere?. ciao R.

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  2. Oh caspita, brava! Belle considerazioni, entrambe.

    La prima.
    E' vero, una cappa di ipocrisia e di conformismo ammanta tutto. Siamo una società cattolica eppure, ti chiedo, vedi intorno a te uno spirito cristiano? Ci sono partiti di sinistra e politici che si dicono tali, eppure vedi intorno a te un agire conseguente?
    Io non sono un fedele osservante, ma leggo con piacere spirituale la bibbia (in latino, in greco e in ebraico!), i vangeli anche apocrifi, e poi San Tommaso, Sant'Ignazio, Sant'Agostino, Sant'Anselmo d'Aosta, etc..
    Nello stile di vita sono più misurato, serio e frugale io che tanti preti -pessimi(!) preti- che conosco.
    Non vado in chiesa, mai. Ma le chiese le domeniche sono piene lo stesso... Pessimi preti e ancor più pessimi fedeli, pessimo il gregge e ancor più chi lo guida.
    Non voto, non faccio politica, non ho un partito, non sono comunista, eppure per condotta di vita e agire lineare sono più comunista e di sinistra io che tutti i sedicenti tali d'Italia. Quindi giusta osservazione... Purtroppo posso rispondere solo per me.

    La seconda.
    Non so effettivamente se ci saremmo incontrati e conosciuti in una società diversa. Mi piace però pensare che ci saremmo conosciuti in tanti. Adesso siamo come panda: due, tre, quattro... Magari se la società condividesse in misura prevalente valori, principi e ideali di solidarietà, umanità, intelligenza e serietà, allora saremmo di più.
    Vedi, c'è sempre un punto di non ritorno, una soglia critica. Gli animali si estinguono non quando muoiono gli ultimi esemplari della specie, ma molto tempo prima, quando la popolazione si è talmente ridotta, e quindi dispersa sul territorio, da non riuscire più a trovarsi, accoppiarsi, sopravvivere.
    Ecco, il timore vero è che noi, noi pochi, noi forse ultimi, si sia già assistito a questo passaggio, a questo momento critico, e che adesso resti solo la prevalenza del cretino! Cretino oggi è bello.
    Ciao, D.

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  3. davvero ti ho sorpreso con queste considerazioni? ... un punto x me allora... ciao R

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