Ernesto "Che" Guevara (4 pt.)




Il Che simbolo di unità

L'esemplare virtù del Che di far proprie istanze diverse e di volersi sacrificare per la vita di qualsiasi uomo oppresso da un’ingiustizia, ha creato un secondo mito sul grande sentimento di fratellanza, nel senso quasi cristiano del termine, che Ernesto Guevara riuscì a diffondere.
Lo spirito di sacrificio, infatti, accomuna e lega intensamente gli uomini tra loro, e questa fratellanza ha abbracciato, congiungendoli, uomini, città, nazioni, diverse e lontane tra loro, tramutandosi in un forte sentimento di unità.
L’immagine del Che diventa simbolo della comunanza tra gli oppressi e la sua fratellanza si trasforma in unità ed unione tra i popoli. Così ogni uomo vittima di un ingiustizia e pronto alla rivolta in nome degli ideali di Ernesto Guevara si unisce profondamente ad ogni persona nel mondo nella sua medesima condizione.
Questa grande fratellanza, sinonimo poi di unità, è stata oggetto di studio di un grande scrittore: l’uruguayano Eduardo Galeano. In un articolo dal titolo Una vida magica egli ricorda come in Guatemala, un paese conosciuto partecipando per la prima volta ad una azione di guerriglia (contro il regime di Arbenz), il Che inizia a costruire questo sentimento di fratellanza. E’ il 1954, e Guevara non ha ancora raggiunto una maturazione ed un convincimento politici ben definiti, ma il fatto che in quel paese migliaia di uomini siano vittime del potere autoritario di Arbenz, lo spinge senza esito ad imbracciare il fucile. Così, sulla base di questa fratellanza, ha iniziato ad unire uomini e a costruire la rivoluzione.

"El Che era el ejemplo vivo de que la revolución es la forma más pura de fraternidad, pero también la más dura, la más difícil. No un desahogo patológico, en este caso, de un señorito de familia bien en la ruina, sino un acto continuo de amor y generosidad y desprendimiento: muy pocos hombres en la historia de nuestro tiempo han renunciado a tanto y tan reiteradamente, a cambio de una o dos esperanzas y sin pedir nada para sí. Sin pedir, para sí, otra cosa que el primer puesto a la hora del sacrificio y el peligro y el último a la hora de las recompensas y la seguridad."

"Il Che era l’esempio vivo del fatto che la rivoluzione è la forma più pura di fraternità, ma tuttavia la più dura, la più difficile. Non un cruccio patologico, in questo caso di un signorotto di famiglia agiata in rovina, ma un atto perpetuo di amore, generosità e abnegazione. Pochi uomini nella storia del nostro tempo hanno rinunciato a tanto e in modo così reiterato, in cambio di una o due speranze, e senza chiedere niente per sé. Senza chiedere, per sé, altra cosa che il primo posto all’ora del sacrificio e del pericolo e l’ultimo all’ora delle ricompense e della sicurezza."

Sulla scia del pensiero trotskista, afferma Galeano, il Che, da vero rivoluzionario, scelse la rivoluzione al posto di qualsiasi altra cosa, stringendo un forte vincolo con altri uomini che cancellava qualsiasi sentimento di estraneità e di solitudine, ed alimentando al contrario una necessità di totalità e purezza.

"Esa necesidad de totalidad y pureza se tradujo, entonces, en una insuperable capacidad de sacrificio personal; era intransigente consigo mismo hasta el extremo de no permitirse una sola debilidad, una sola transacción, para poder apoyar sobre bases sólidas su alto nivel de exigencia ante los demás."

"Questa necessità di totalità e purezza si traduce, allora, in una insuperabile capacità di sacrificio personale; era intransigente con se stesso fino all’estremo di non permettersi una sola debolezza, un solo compromesso, per poter poggiare su basi solide il suo alto livello di esigenza davanti ad ogni cosa."


Questo rigore morale spinse Guevara a vivere in funzione del “o tutto o niente”, perché solo così si potevano ottenere risultati, solo con la ostinazione e la pervicacia la rivoluzione poteva trionfare, dato che, come lui stesso disse, “il compromesso è l’anticamera del tradimento”. E questa convinzione alimentò il suo spirito di sacrificio, rafforzando a sua volta la determinazione di migliaia di rivoluzionari in tutto il mondo.
Galeano riporta la testimonianza del sacerdote Hernán Benítez, il confessore di Evita Perón, il quale definì la figura del Che in questi termini:

"como los judíos del Viejo Testamento creían siempre vivo al profeta Elías, es posible también que, en los años venideros, los soldados del Tercer Mundo crean sentir la presencia alucinante del Che Guevara en el fragor de las luchas guerrilleras."

"Come i giudei del Vecchio Testamento credevano sempre vivo il profeta Elia, così è possibile che, negli anni venturi, i soldati del terzo mondo credano di sentire la presenza immaginaria del Che Guevara nel fragore delle lotte guerrigliere."

Conclude Galeano,

"la vida del Che Guevara, tan perfectamente confirmada por su muerte es, como toda gran obra, una acusación, formulada esta vez a balazos contra un mundo, el nuestro, que convierte a la mayoría de los hombres en bestias de carga de la minoría de los hombres y condena a la mayoría de los países a la servidumbre y la miseria en beneficio de la minoría de los países; es también, una acusación contra los egoístas, los cobardes y los conformistas que no se lanzan a la aventura de cambiarlo."

"La vita del Che Guevara, tanto perfettamente confermata dalla sua morte, è, come una intera grande opera, una accusa, formulata a turno per lottare contro un mondo, il nostro, che trasforma la maggior parte degli uomini in bestie da carico della minoranza degli uomini e condanna la maggior parte dei paesi alla servitù e alla miseria a beneficio della minoranza dei paesi; è, inoltre, una accusa contro gli egoisti, i codardi e i conformisti che non si lanciano nell’avventura di cambiarlo."

Avendo sottolineato questa capacità del Che di unire gli uomini trasmettendo agli stessi rivoluzionari lo spirito di lotta e di sacrificio per gli altri, mi sembra opportuno riportare la testimonianza di un guerrigliero, nell’occasione prestato alla poesia, che combatté a fianco di Guevara, acquisendone i profondi valori spirituali.
Si tratta di Coco Peredo, uno dei più prestigiosi combattenti boliviani, che cadde come il Che nella boscaglia di Vallegrande, nel 1967. La sua poesia si intitola
La Felipe Varela.

"Ernesto Guevara viene
del monte pa’ la ciudad.
El publo lo aclama y tiene
un corazón y un fusil.

Ya tienen lo guerrilleros
un jefe a quien seguir.
Se lo verá en la frontera
juntando pueblos para vencer.

Y hoy vemos al Che Guevara
que contra los yanquis va.
Lo sigue un pueblo oprimido
hasta vencer o morir.

Ya pasa por las montañas
y en las selvas se la ve
porque Ernesto Guevara
luchando viene y se va.

Ayer fue Simón Bolívar
que junto con San Martín
liberaron nuestros pueblos
mas no pudieron volver.

Y hoy vemos
…"

"Ernesto Guevara scende
dalla montagna verso la città.
Col cuore e il fucile
il popolo lo acclama.

Ormai i guerriglieri hanno
un capo da seguire.
Lo si vedrà alla frontiera
unire i popoli per vincere.

E oggi vediamo Che Guevara
che va contro gli yankees.
Lo segue per vincere o morire
un popolo oppresso.

Ormai ha passato le montagne
e lo si vede nelle selve
perché, lottando, Ernesto Guevara
arriva e va via.

Ieri è stato Simón Bolívar
che insieme a San Martín
hanno liberato i nostri popoli
ma senza più ritorno.

E oggi…"

La semplicità delle parole di Peredo è forse emblematica della trasparenza di ideale e della forte consapevolezza di valori acquisiti che animava i guerriglieri del Che, così come rende l’idea di quanto potente fu l’ideologica fratellanza che egli seppe trasmettere ai suoi uomini. Del resto non si spiega come un manipolo di venti uomini riuscì a resistere un anno intero nella foresta boliviana, braccato da centinaia di rangers.
Evidentemente doveva esserci una forza morale tra i rivoluzionari per cui, come affermava il Che, un suo uomo valeva dieci soldati nemici. Così questo concetto di fratellanza viene evidenziato da vari autori e l’idea di popoli e paesi lontani tra loro ma uniti idealmente nella lotta dal mito del Che ormai imperante in ogni angolo del mondo, inizia ad essere ricorrente nei versi di molte poesie.
A tal proposito credo siano da ricordare i frammenti di due poesie scritte rispettivamente da José Martínez Matos e Auguste Macouba. Nella poesia intitolata Che Martínez Matos scrive.

"Te vieron cruzando los ríos del Congo,
te mataron en Viet Nam,
organizaste una reunión secreta
en Venezuela, anduviste
por Perú, Brasil, Guatemala y China
al mismo tiempo,
te volvieron a matar en Santo Domingo.
Dondequiera que sonaran tiros,
rebeldía estaba tu nombre
."

"Ti hanno visto attraversare i fiumi del Congo
ti uccidevano nel Vietnam
organizzavi una riunione segreta
in Venezuela, eri
in Perù, Brasile, Guatemala e in Cina
allo stesso tempo,
ancora una volta ti uccidevano a Santo Domingo
Ovunque risuonassero gli spari
la ribellione, c’era il tuo nome."

Analoga l’idea di fratellanza propagata dal Che nei versi tratti da La parole est à l’espoir di Macouba.

"Vous tous opprimés plein vent
monde accroupi et humilé
frères de la faim offensés sans force
je dis qu’on ne verra plus de nègre lacunaire,
d’hindou famélique
ni de jaune qui soit un péril
l’homme ne verra plus napalm
pour le Viet-Nam et pour le Chine.
Il n’y aura plus de chiens en Alabama
et pas plus à Salisbury ou Johannesbourg
ni Baie des Cochons
ni marines à Saint Domingue et ailleurs.
Je dis qu’ll n’y aura plus de poussières
qui ne puissent totalement exister.
Camadares opprimés
a la tyrannie des faucons en puissance
nos mains à d’autres mains par delà les océans
triomphera un bouquet fraternel.
Aujourd’hui, la parole est à l’Espoir
."

"Voi tutti oppressi privi del vento
mondo piegato e umiliato
fratelli della fame offesi senza forza
io dico che non vedremo più i neri lacustri
gli indiani famelici
i gialli giudicati un pericolo
l’uomo non vedrà più il napalm
nel Vietnam o nella Cina
non ci saranno più cani in Alabama
e neanche a Salisbury o a Johannesburg
né Baia dei Porci
né marines a Santo Domingo o altrove
Io dico che non ci sarà polvere
che possa esistere totalmente
compagni oppressi
sulla tirannide dei falchi in potenza
le nostre mani insieme ad altre mani al di là degli oceani
trionferanno come ramo fraterno
oggi, la Speranza ha la parola."

Il significato dei versi di queste due poesie combaciano poi con quella visione internazionalista che Ernesto Guevara aveva della rivoluzione, un internazionalismo che non era solo militare ( e quindi non si trattava solo di rispondere col fuoco al fuoco dell’imperialismo), ma anche e soprattutto morale. Ciò perché la solidarietà tra i popoli e quel senso di unione e partecipazione collettiva tra chi si batte per la libertà, rappresenta spesso un’arma pacifica e vincente. Eloquenti risultano in tal senso le parole del Che nel suo saggio Tattica e strategia della rivoluzione latinoamericana:

"In questa lotta di portata mondiale, la posizione geografica ha una grande importanza. A volte è determinante. Cuba, per esempio, è una collina che funge da avamposto, che guarda al campo vastissimo del mondo economicamente deforme dell’America Latina, che lancia il proprio messaggio e con l’esempio rappresenta un faro per tutti i popoli d’America. Diverso sarebbe il suo valore se fosse collocata in un’altra situazione geografica o sociale. Diverso era il suo valore quando rappresentava solo un elemento tattico del mondo imperialistico prima della rivoluzione. Non è aumentato ora solo per il fatto di essere una porta aperta verso l’America. Alla forza della propria posizione strategica , militare e politica, essa unisce la potenza della propria influenza morale; i proiettili morali sono un’arma di efficacia così distruttiva, che tale elemento diventa più importante nella determinazione del valore di Cuba."

Questa originale dimensione sovranazionale del suo pensiero e della sua formazione culturale dimostra la capacità di Guevara di andare oltre le semplificazioni dogmatiche, gli schematismi e le degenerazioni militaristiche che in molte parti del mondo sono sfociate poi in regimi autoritari e repressivi. Questa indubbiamente è una delle sue eredità ideologiche più apprezzate e di cui se ne lamenta, dalla sua morte ad oggi, la pesante mancanza in molti uomini di stato.
La nostalgia e il vuoto che la scomparsa del Che hanno lasciato nel mondo sono il tema dominante di un saggio scritto nel 1997 da Jorge Enrique Adoum intitolato Fugacità della sua morte. Adoum si interroga su come abbiamo potuto continuare a vivere trent’anni in un mondo in cui lui non c’era e su come una generazione ha potuto nascere, crescere e procreare in un mondo in cui da trent’anni manca il Che.Come immaginare il mondo per trent’anni senza di lui? (se gli europei dicevano perfino che doveva essere triste non essere latinoamericano)”.
Secondo Adoum, infatti, Guevara ha rappresentato il primo esemplare di quell’uomo futuro che l’America avrebbe un giorno partorito, generando ammirazione e affetto nell’umanità ogni qual volta si parla di una qualunque delle sue imprese o delle sue difficili virtù di cui, in un certo modo, ognuno in cuor suo ha avuto la pretesa che ce ne toccasse una parte
.

"lui era quell’essere di carne che era già leggenda o al contrario quell’eroe da epopea con il quale fino a poco tempo prima prendevamo il caffè
lui ha fatto sentire nobile la nostra america l’ha fatta sentire degna quando a cuba era più america che mai
e andavamo in giro orgogliosi di esser nati nel suo stesso continente nello stesso tempo
."

Tuttavia egli mette in evidenza la paura e lo sbalordimento che inizialmente le sue imprese crearono, tanto da sconcertare e intimidire anche chi lo doveva sostenere. Non a caso la sua sconfitta in Bolivia fu il risultato di un isolamento totale e del mancato appoggio militare che in definitiva nessuno, in quel momento, si sentì di offrirgli. Ed allora viene naturale riflettere se la sua condizione di solitudine nell’atto finale della vita sia da considerarsi un emblema fallimentare della sua rivoluzione. La risposta è un’altra.

"qualcuno disse quel giorno che il gran barbudo dell’isola del caribe era rimasto solo
no cazzo ho detto
lui è lì con dieci milioni di compagni che lo amano e con i rivoluzionari del mondo che l’ammirano
quelli che son rimasti soli e senza scuse siamo noi
noi che siamo stati sempre soli perché abbiamo voluto star soli viziosamente soli
occupati dalla nostra quotidianità dal nostro blablabla sulla rivoluzione prima di andare a bere o a dormire
e noi che ormai neanche parliamo di rivoluzione
e non si trattava più di morire al suo posto ma di unire le nostre solitudini e le nostre piccolezze per rimpiazzarlo fra tutti noi
non più di stare al posto suo ma di andare al suo posto
perlomeno quelli di noi che non si erano imputriditi…
e molto tempo dopo perfino nei villaggi remoti dell’asia e dell’africa abbiamo visto contadini discutere di problemi agrari intorno a un tavolo sulla terra sotto la bandiera del loro paese e uno stendardo con l’immagine dell’uomo dalla stella in fronte
e sui muri delle nostre città dipinta, l’immagine successiva dell’uomo dalla stella in fronte
e le adolescenti che non l’hanno conosciuto portare nel seno sui seni l’immagine dell’uomo dalla stella in fronte…
"

In questo modo, afferma Adoum, si è potuta ribaltare la convinzione secondo cui, uccidendolo e credendolo morto, il mondo imperialista e neoliberista ha potuto annunciare “la fine della storia”. La storia infatti, conclude, non potrà terminare prima del ritorno dell’uomo nuovo che lui ha annunciato portandolo con sé come la più bella utopia d’America.

"e per questo lo aspetto per poter continuare a essere vivo
e poter continuare ad aspettare ciò che arriva
allora che hasta la victoria siempre?
"

A conclusione di questo paragrafo mi sembra opportuno riportare alcune strofe, le più significative, di una poesia composta da Thiago de Melho, dal titolo Sangue e orvalho, in quanto riassumono in modo esemplare un po’ tutte le considerazioni finora esposte.

"Porque tu, comandante de esperança,
irmäo és dos homens dêste mundo,
irmäo és dos que querem compartir,
irmäo dos que cairam contigo,
antes e depois de ti,
na construçäo da vida verdadeira.
Irmäo de um menino que acaba de nascer
no châo sofrido de minha infância.
Sobretudo irmäo do homem.

que está nascendo, agora,
dentro do homem.
E’ só por isso, comandante Che Guevara
que hoje te quero escrever,
enquanto navego pelo río Amazonas,
debaixo da claridâo do meio-día.
Estou, neste instante do mundo e dos homems,
navegando diante do Leprosário San Pablo,
onde começaste a tua larga
e luminosa caminhada.
E entâo te ecrevo.

Só para te contar que cresce,
que cada día mais cresce
a mäo do homem,
a mäo do homem bom oprimido,
êsse teu irmäo, por quem viveste
e em cujo peito permaneces vivo,
essa mäo miserável, mas tâo linda,
que recolhe do chäo americano
o canto que plantaste, amor e dádiva,
o caminho que abriste, estrêla e chäo,
que para todos nós è como um sol
-um sol úmido de sangue e orvalho
."

"Perché tu, comandante della speranza
fratello degli uomini di questo mondo
fratello di coloro che vogliono condividere
fratello di coloro che sono caduti insieme a te
o prima o dopo di te
nella costruzione della vita vera
Fratello di un bambino appena nato
nel suolo sofferto della mia infanzia
Soprattutto fratello dell’uomo.

che sta per nascere, ora
dentro all’uomo
Per questo soltanto, comandante Che Guevara
voglio scriverti oggi
mentre navigo sul fiume delle Amazzoni
sotto i bagliori del mezzogiorno
in questo istante del mondo e degli uomini
sto navigando davanti al Lebbrosario San Paolo
dove hai cominciato il tuo lungo
e luminoso percorso
E allora ti scrivo.

Solo per raccontarti che cresce
che ogni giorno cresce
la mano dell’uomo
la mano dell’uomo buono e oppresso
il fratello per il quale hai vissuto
e nel cui petto rimani vivo
quella mano misera, ma così bella
che raccoglie dal suolo americano
il canto che hai seminato, amore e dono
la strada che hai aperto, stella e polvere
che per noi tutti è come un sole
-un sole umido di sangue e di rugiada."








La “negritudine” e il rapporto con l’Africa

Nel discorso del 24 febbraio 1964, pronunciato ad Algeri al II Seminario economico afro-asiatico, Ernesto Guevara disse:

"Il socialismo non può esistere se, nelle coscienze, non si opera una trasformazione che determini un nuovo atteggiamento di fratellanza nei confronti dell’umanità: atteggiamento sia di carattere individuale, nella società in cui si costruisce o si è costruito il socialismo, sia di carattere mondiale, nei confronti di tutti i popoli che subiscono l’oppressione imperialista. Pensiamo che la responsabilità di aiutare i paesi dipendenti debba essere affrontata con questo spirito."

Coerentemente con quanto affermava, e quindi non limitandosi a pronunciare proteste ufficiali o a proclamare atti di solidarietà, egli è intervenuto in Africa mettendo le sue esperienze di guerrigliero al servizio di una causa nella quale vedeva ancora annodati, in modo inscindibile, interessi nazionali e multinazionali.
Il momento topico di questo intervento è rappresentato senza dubbio dalla sua attiva partecipazione, sempre con un nutrito gruppo di rivoluzionari cubani, al Movimento Nazionale di Liberazione in Congo che si batteva per riportare libertà e democrazia in quel paese dopo l’assassinio del presidente Lumumba. Ma cosa spinse il Che ad intervenire in Congo e quindi in una realtà per certi versi così lontana da quella latinoamericana?
Noi sappiamo, e forse lui lo presagiva, che l’episodio africano avrebbe costituito il diretto antefatto di quel dramma simbolico in cui è culminata e si è conclusa la sua parabola politica. Come afferma la studiosa Paola Belpassi, in un articolo dal titolo Il Che e l’Africa, tale parabola si è sviluppata all’insegna di una grande coerenza.

"Essa esordisce con la presa di coscienza del carattere multinazionale delle contraddizioni politico-sociali del suo tempo e culmina in azioni che rimangono fedeli ai lineamenti fondamentali di questa concezione e alle scelte morali che essa via via gli ha dettato: fedele all’idea che la liberazione dei popoli dominati sarà un evento dai contorni internazionali e mondiali o non sarà affatto."

In base a tale analisi occorreva alimentare una guerra di movimento e non una guerra di posizione tra il blocco dei paesi dominati e la vasta geografia del sottosviluppo. La scoperta di conflitti sociali come conflitti multinazionali è dunque il terreno entro cui fatalmente doveva avvenire l’incontro del Che con l’Africa.
E’ chiaro però che alle spalle di questo pensiero ci sono un percorso ed una formazione culturale ben delineati: secondo la Belpassi sono i viaggi della gioventù che faranno scoprire a Guevara, uomo dotato di grande sensibilità, di grande vivacità intellettuale e di una cultura non convenzionale, la mappa delle lacerazioni sociali e dei conflitti che accomunano i popoli dell’America Latina. E’ così inevitabile che gli schiavi neri e i meticci del continente latinoamericano appaiano subito al Che come riflesso di una condizione di sfruttamento e sottomissione presente in tutto il mondo.
E la sua grande sensibilità riuscì ad accogliere nel proprio animo quella cultura nera e africana che già a Cuba lo circondava, facendo esplodere un sentimento di partecipazione e solidarietà internazionale che sfocerà appunto nella spedizione in Congo.
Roberto Massari ricorda come negli ultimi anni di vita di Guevara si ritrova un’imprevedibile ed entusiastica riscoperta del negrismo, “non tanto afrocubano quanto africano autentico”. Proprio riguardo alla negritudine e all’eredità della tradizione afrocubana, al ritorno da un suo viaggio in Africa nel 1965, Ernesto Guevara disse:

"La cultura cubana, il modo di sentire cubano, riuniscono in modo veramente vistoso le antiche culture negre…Oggi Cuba ha un venti-trenta per cento di sangue negro, tra negri puri e le varie gradazioni. Per questo si dice che “chi non ha qualcosa di congo ha qualcosa di carabalí… Anche la musica naturalmente. Il fatto curioso è che la musica africana è arrivata a Cuba molti anni fa e, in parte, si è trasformata nella maniera di sentire della nazione cubana. Poi, negli ultimi anni, è tornata laggiù, come espressione nuova, e ha influenzato profondamente tutti i paesi dell’Africa nera… Questo dimostra come l’integrazione culturale, alle sue origini naturalmente, tra Africa e Cuba sia notevole, e l’influenza africana nella nostra cultura sia veramente profonda."

Da queste parole emerge chiaro il forte contatto che legava Guevara all’Africa e come già prima del suo intervento in Congo egli avesse maturato l’idea di un ruolo cruciale di quel paese nella lotta antimperialista, non solo africana ma mondiale, mentre cercava di comporre in una sintesi, in una visione unitaria e di insieme, gli elementi di cui disponeva per comprendere la situazione del continente africano. Paola Belpassi riporta questa testimonianza del Che.

"Noi rivoluzionari americani abbiamo constatato in tutta umiltà che conosciamo molto poco di questo continente. Di fatto, non conosciamo le forze attuali dell’Africa (…) L’imperialismo ha diviso gravemente l’Africa, più di quanto si possa immaginare. Per noi è un insegnamento, ed è per questo che dobbiamo visitare l’Africa con grande modestia."

Secondo la studiosa, quindi, per Guevara l’Africa si trovava ad un crocevia: imboccare quella via di sviluppo che avevano già perduto le borghesie nazionali latinoamericane in qualsiasi progetto nazionale, verso una latinoamericanizzazione dell’Africa, o, viceversa, “conquistarsi sempre più ampi margini di indipendenza autentica, o per usare una terminologia non guevariana, di una indipendenza nazionale che sia una rivoluzione sociale”.
Chiaramente questo intenso legame del Che con l’Africa è stato avvertito, e poeticamente approfondito, da vari poeti che non hanno mancato, con i loro versi, di onorare la comunanza ideologica e le esperienze personali che lo avvicinarono ai popoli africani. Ma è interessante rilevare come nelle parole di questi poeti, soprattutto africani, oltre all’orgoglio per l’attenzione e l’ammirazione che Guevara ebbe per l’Africa, traspare ancor di più il fascino di un uomo che seppe soffrire e lottare per tutti i popoli oppressi del mondo. Così anche nelle loro poesie si palesa quel grande insegnamento del Che di saper capire e interpretare realtà ed esigenze diverse dalle nostre, cosa che rappresenta il primo passo per capire a fondo se stessi.
Scrive Masa Mbatha Opasha in una poesia dal titolo To Che Guevara with love:

"Dear brother, warrior and possible friend,
A distante echo brings me these sad notes;
a low slow cry, a deaf pain
and five billion scarlet illusios.
It was for you, brother Che,
that many of us cried at great length
for your early death,
that you died that violent, merciless death.
Life was truly unjust to you
and perhaps you to life!

Mankind is still bewildered by your courage,
still stunned by your sacrifice.
You have been crowned a hero, a legend and a myth.
You have been elevated to the holy seat of saints, prophets and gods.
Was this really your dream?

There is no pace yet here-only war!
Guns thunder across the scared skies
of Europe, Africa, Asia and Americas.
Helpless, hungry children run amok
In search of land, life and love.
The grown-ups mourn and curse in their graves.
Senseless violence reigns like a king.
“Bloodbaths of peace” flood the earth
as darkness fills the emptiness of our dreams
."

"Caro fratello, guerriero e possibile amico
Un’eco lontana mi porta queste tristi note
un grave lento lamento, un dolore sordo
e cinque miliardi di rosse illusioniù
E’ stato per te, fratello Che, che molti di noi hanno pianto a lungo
per la tua morte prematura
E’ stato per molti di noi, Guevara
che sei morto di quella morte violenta e spietata
La vita è stata davvero ingiusta con te
come forse lo sei stato tu con la vita!

L’umanità è ancora sconcertata per il tuo coraggio
ancora sbalordita per il tuo sacrificio
Sei stato coronato eroe, una leggenda e un mito
Ti hanno innalzato al sacro luogo dei santi, dei profeti e degli dei
Era davvero questo il tuo sogno?

Non c’è ancora pace qui, solo guerra!
Tuonano i fucili attraverso i cieli impauriti
di Europa, Africa, Asia e le Americhe
Bambini derelitti e affamati sfuggono alla follia omicida
cercando terra, vita e amore
Gli adulti piangono e bestemmiano dentro la loro tomba
un’insensata violenza governa da despota
Bagni di sangue per la pace” inondano la terra
come l’oscurità colma il vuoto dei nostri sogni."

L’asprezza delle parole e la durezza dei contenuti sono inevitabilmente il frutto di una situazione che, per quanto concerne in special modo l’Africa, allo stato attuale presenta ancora motivi di angoscia e scoramento, data la triste realtà di molti paesi africani. Se infatti attualmente in America Latina il periodo delle grandi dittature sembra essersi arrestato, fermi restando i grandi problemi politici ed economici che attanagliano molti paesi, ed almeno istituzionalmente, pur tra grandissime difficoltà, sembra essersi finalmente avviato un percorso democratico, la realtà odierna dell’Africa dimostra ancora il contrario. Dittature, regimi, repressioni e retaggi colonialisti sono ancora presenti e vivi. E ciò aumenta la rabbia di molti scrittori, che solo con le loro opere e le loro inesorabili parole possono
provare a rompere il muro di dolore che sembra isolarli dal mondo.
In questo modo gli ideali del Che ne esaltano ancor di più il mito leggendario, e continuano a simboleggiare un incitamento alla lotta e alla speranza. In questo contesto si inserisce la poesia di Joe A. A. In tribute to Ernesto Che Guevara.

"Che, now our fingers are propellors
cities burn where our minds were numb
our arms are the barrels of mortars
our heads are fused like a bomb.

You have turned our tribus to brigades
we flow remorseless where rivers ran
our loins are the seed of grenades
our ribs are the armoury of man.

After you, we will never yeild
we have one thing to give you, a life
and the bullet shall break on our shield
and the vulture shall fall on our knife.

The baas fears
when it comes
we’ll wash our spears
in blood of bones
But Che knows
it comes soon…
the white night grows…
See the black moon!
"

"Che, ora le nostre dita sono propellenti
bruciano le città dove le nostre menti erano paralizzate
le nostre braccia sono i fusti dei mortai
le nostre teste sono fuse come una bomba.

Hai trasformato le nostre tribù in brigate
scorriamo senza rimorsi là dove passavano i fiumi
i nostri fianchi sono i semi delle granate
le nostre costole sono l’armatura dell’uomo.

Dopo di te non ci arrenderemo mai
abbiamo una cosa da darti, una vita
e la pallottola si romperà sul nostro suolo
e l’avvoltoio cadrà sul nostro coltello.

Il padrone ha paura
quando viene
laveremo le nostre lance
in sangue di ossa
Ma il Che sa
arriva presto…
la notte bianca cresce…
Guarda la luna nera!"

Anche in Joe A. A. è prepotente il tema dei popoli sottomessi alla volontà dei padroni, che con la repressione paralizzano qualsiasi tentativo di far riemergere una cultura ed una identità offuscate dall’imperialismo.
Per questo Ernesto Guevara appasiona i cuori ed infiamma le menti, perché ridesta negli uomini, in nome dell’identità negata, di qualsiasi identità, il diritto ad affermare il proprio io, cioè la propria libertà. Così l’ultima poesia meritevole di attenzione, tra quelle dedicate al Che da poeti africani, è proprio quella di un poeta egiziano, Ahmed Fouad Negm, che, a causa dei suoi testi, in cui rivendica i diritti degli affamati e degli oppressi, ha conosciuto il carcere. La poesia si intitola Guevara è morto.

"Guevara è morto.
L’ultima notizia alla radio,
nelle chiese e nelle moschee,
nei vicoli e nelle strade,
nei caffè e nei bar:
Guevara è morto.
morto.
Si sentono le chiacchiere e i commenti.
Guevara è morto.
E’ morto il combattente esemplare,
che terribile perdita per gli uomini!

Il suo lamento sale nello spazio, grida
E non c’è nessuno che lo senta.
Che pena l’ora del destino!
Forse ha gridato per il dolore
del morso del fucile tra le viscere;
forse ha riso
o ha sorriso
o ha tremato
o si è sentito soddisfatto;
forse ha emesso il suo ultimo respiro,
una parola di addio.

Per gli affamati, la sua testimonianza rafforza
coloro che promuovono la causa e la lotta.
Molte immagini piene di fantasia,
mille milioni di possibilità.
Ma è certo, è certo,
e non ci può essere dubbio:
Guevara è morto lottando,
Guevara è morto.

Operai e diseredati, incatenati correte alla lotta!
Liberazione, liberazione,
non c’è liberazione per voi,
se non con le bombe e le pallottole.
Questo è il discorso dell’era felice,
l’era dei negri e degli americani.
La parola spetta al fuoco e all’acciaio
quando la giustizia è muta o vigliacca.
Il grido di Guevara è: avanti, schiavi!
In qualsiasi condizione o luogo
non c’è alternativa, non c’è scampo:
o preparate l’esercito della liberazione
o mentite al mondo della liberazione.
Liberazione!
"





Cortázar e il Che

Questa lunga trattazione del mito del Che nella letteratura non può che concludersi con una riflessione sulla figura di uno dei più rappresentativi scrittori latinoamericani, l’argentino Julio Cortázar e sul suo rapporto con Ernesto Guevara.
Cortázar è un esponente del romanzo moderno e nelle sue opere il problema dell’alienazione e della solitudine assume una notevole importanza, cosicchè l’invenzione e la fantasia costituiscono due fondamentali elementi per superare questa condizioni e restaurare la libertà creativa. E’ evidente, quindi, che per lo stile e i temi della sua poetica la figura del Che non poteva restargli indifferente.
La studiosa Alessandra Riccio, in suo articolo intitolato proprio Cortázar e il Che, sostiene come pur fra i mille mestieri in cui Guevara si distinse (medico, avventuriero, fotografo, infermiere), egli privilegiava quello di scrittore e di poeta. Ce ne rende persuasi la sua precoce e instancabile fede nella scrittura: articoli di medicina, negli anni universitari e post-laurea, relazioni e commenti durante i suoi lunghi viaggi per le terre dell’America Latina, saggi economici e politici.
Il Che credeva, come è noto, nella pienezza dell’individuo e, uomo impegnato strenuamente nella prassi e nell’esempio concreto, non disdegnava affatto la componente intellettuale.

"Accanito lettore, sapeva apprezzare il piacere della conoscenza ma anche abbandonarsi all’impatto immediato e commovente della poesia, per cui ben meritò il titolo di poeta della rivoluzione che qualcuno ha voluto attribuirgli. Scrittore stringato e preciso, oratore persuasivo, il Che lasciava spazio anche alla tenerezza, anche alla metafora, anche alla frase elegante, purchè la verità fosse rispettata. Non solo testimone dunque, ma sensibile creatore di immagini."

Queste ultime parole mettono a fuoco il presupposto del forte legame che inizia ad avvicinare Cortázar alla figura eroica del Che, che però non rappresenta ancora un mito per lui, dal momento che inizia a conoscerlo e a dedicargli opere quando il rivoluzionario è ancora in vita. Anzi, sono proprio le parole di Guevara, nel libro Pasajes de la guerra revolucionaria, che destano in Cortázar interesse e ammirazione. In un breve prologo, infatti, il Che spiega l’esigenza di dare avvio ad una collana di memorie della guerra, perché, afferma, “passano gli anni e il ricordo della lotta insurrezionale si va dissolvenso nel passato senza che vengano fissati con chiarezza fatti che ormai appartengono alla storia d’America”. Per questo incita i compagni superstiti di quell’avventura a fare questo sforzo di memoria.
Quando Cortázar, afferma Alessandra Riccio, nel 1964 pubblica sulla Revista de la Universidad de México il racconto Reunión, doveva essere ancora impressionato dalla lettura del libro di Guevara. Cortázar era già uno scrittore assai noto nel continente, il suo romanzo Rayuela aveva suscitato l’interesse del mondo letterario ed era stato segnalato come uno degli atti di nascita del nuovo romanzo latinoamericano.
Reunión racconta l’episodio dello sbarco, con il Granma, del Che e dei suoi guerriglieri nella Playa de las Coloradas, il 2 dicembre 1956; quell’evento rappresentò il primo scontro a fuoco del rivoluzionario sull’isola di Cuba, destinato a concludersi, anni dopo, con la trionfale conquista di L’Avana.
Nel racconto, di notevole importanza perché costituisce una delle pochissime opere conosciute scritte sul Che quando era ancora in vita, Cortázar maschera con nomi inventati personaggi comunque fin troppo celebri (Guevara, Fidel e Raúl Castro, Camilo Cienfuegos ecc.).


"Scrittore di racconti, secondo la migliore tradizione argentina, ne ha elaborato una teoria secondo la quale non è lo scrittore a scegliere il tema della sua narrazione, ma esattamente il contrario. Afferrato dunque per i capelli dal prepotente fascino della testimonianza di Guevara, Cortázar affronta l’arduo compito di fare letteratura da un oggetto che è già di per sé letterario: la testimonianza scritta del Che; una vistosa citazione che non impedisce allo scrittore argentino di ricostruire – con quell’amore per il vero che il Che pretendeva – l’episodio del tragico sbarco, della prima sconfitta e del battesimo di fuoco del guerrigliero."

Reunión quindi non è solo una riunione di quei personaggi concretamente asimbolici, ma la congiunzione dei desideri di lotta per la liberazione dell’uomo. Il racconto non è, ovviamente, il racconto del Che. Eppure lo scrittore argentino non si ispira alla lotta della rivoluzione cubana, ma al racconto di uno di quegli episodi che ne faceva un protagonista.
Il tema scelto da Cortázar è un tema già elaborato letterariamente da Guevara. Su quella base, afferma la Riccio, lavora lo scrittore, quelle allusioni riprende, mentre altre abbandona, (come quella così significativa del Che che, costretto a scegliere fra la sua borsa da medico e una cassa di munizioni, sceglie le armi), ed altre ancora aggiunge, come il reincontro con Luis/Fidel.
Proprio questa riunione, che dà il titolo al racconto, secondo la Riccio costituisce il centro attorno al quale si articola la finzione di Cortázar.

"Fame, freddo, sangue, morte, paura, coraggio acquistano senso solo nella prospettiva di vedersi di nuovo riuniti attorno alla figura di Luis che simboleggia il futuro, il mondo nuovo. Un abuso di Cortázar? Una sua forzatura? Non credo. Poche pagine più avanti, nell’episodio intitolato Alla deriva, il Che racconta dell’avvenuta riunione e della rabbia di Fidel per alcune ingenuità commesse dai combattenti."

Su questo testo Cortázar ha lasciato abbondanti testimonianze. In particolare è da ricordare una fitta corrispondenza con Fernández Retamar. In una lettera a lui indirizzata il 29 ottobre 1965, a proposito del ruolo e dell’importanza della poesia, scrive:

"Quiero decirte esto: no sé escribir cuando algo me duele tanto, no soy, ni seré nunca el escritor profesional listo a producir lo que se espera de él, lo que le piden o le que él mismo se pide desesperadamente. La verdad es que la escritura, hoy y frente a esto, me parece la más banal de las artes, una especie de refugio, de disimulo casi, la sostitución de lo insustituible. El Che ha muerto y a mí no me queda más que silencio."

"Desidero dirti questo: non riesco a scrivere quando qualcosa mi addolora tanto, non sono, non sarò mai uno scrittore professionale rapido a produrre ciò che si attende da lui, ciò che gli chiedono o ciò che lui stesso vuole disperatamente. La verità è che la scrittura, oggi e di fronte a questo, mi sembra la più banale delle arti, una specie di rifugio, quasi di dissimulazione, la sostituzione dell’insostituibile. Il Che è morto e a me non resta altro che il silenzio."

Tuttavia, in un passaggio di un articolo intitolato Mensaje al hermano (sempre dedicato al Che), Cortázar si esprime in questo modo:

"Ahora serán las palabras, las más inútiles o las más elocuentes, las que brotan de las lágrimas o de la cólera; ahora leeremos bellas imágines sobre el fénix que renace de las cenizas, en poemas y discursos se irá fijando para siempre la imagen del Che…Pido lo imposible, lo más inmerecido, lo que me atreví a hacer una vez, cuando él vivía: pido que sea su voz la que se asome aquí, que sea su mano la que escriba estas líneas…Sólo así tendrá sentido seguir viviendo."

"Allora saranno le parole, le più inutili o le più eloquenti, quelle che scaturiscono dalle lacrime o dalla collera; allora leggeremo belle immagini sopra alla fenice che rinasce dalle ceneri, nei poemi e nei discorsi si andrà fissando per sempre l’immagine del Che…Chiedo l’impossibile, la cosa più immeritata, quella che mi spinse a produrre una voce, quando lui viveva: chiedo che sia la sua voce quella che si manifesti qui, che sia la sua mano quella che scriva queste righe... Solo così avrà un senso continuare a vivere."

A proposito del racconto Reunión, in un’altra lettera a Fernández Retamar datata 24 dicembre 1965, Cortázar afferma:

en cuanto al Che, comprendo de sobra que su destino se sigue cumpliendo como debe ser, como él quiere que sea.

"In quanto al Che, comprendo del resto che il suo destino si segue portandolo a termine come deve essere, come lui vuole che sia."

La rivoluzione cubana gli mostrò in maniera sia crudele che dolorosa, il gran vuoto politico che c’era in lui, e da quel giorno decise di documentarsi, leggere e capire. Così i temi in cui erano presenti implicazioni politiche o ideologiche andarono via via introducendosi nella sua letteratura.
Reunión è un racconto che non avrebbe mai potuto scrivere nei primi anni della sua produzione letteraria, ma in cambio


en ese momento, el tema de ese relato me resulta absolutamente apasionante, porque yo traté de meter ahí, en esas 20 páginas, toda la esencia, todo el motor, todo el impulso revolucionario que llevó a los barbudos al triunfo.”

"In questo momento, il tema di questo racconto mi risulta completamente appassionante, perché sono riuscito a mettere qui, in queste 20 pagine, tutta l’essenza, tutto il motore, tutto l’impulso rivoluzionario che portò i barbudos al trionfo."

Lui stesso definisce Reunión come il primo racconto che segna il contatto della sua poetica con il campo ideologico e, pertanto, una sua forte partecipazione. Infatti, afferma sempre nella stessa lettera Cortázar,

la toma de conciencia que me da la revolución cubana no se limitó solamente a las ideas. La revolución debe triunfar y se debe hacer la revolución porque sus protagonistas son las hombres, lo que cuenta son las hombres.

"La presa di coscienza che mi ha dato la rivoluzione cubana non si è limitata solo alle idee. La rivoluzione deve trionfare e si deve aiutare la rivoluzione perché i suoi protagonisti sono gli uomini, quello che conta sono gli uomini."

Per ultimo va citato un post-scriptum di un’altra lettera inviata da Cortázar sempre a Fernández Retamar il 3 luglio 1965, perché ribadisce in maniera esaustiva e lineare la concezione che egli aveva riguardo al significato della poesia e al ruolo, e ai compiti, dell’intellettuale.

"Me divirtió mucho la historia de tu conversación con el Che en el avión. (Me divierten mucho menos los persistentes rumores que circulan en Europa a propósito del Che; espero que sean eso, rumores). Es natural que al Che mi cuento le resulte poco interesante (no lo dices tú, pero yo había recibido otras noticias que me lo hacen suponer). Una sola cosa cuenta, y es que en ese relato no hay nada “personal”. ¿Qué puedo saber yo del Che, y de lo que sentía o pensaba mientras se abría paso hacia la Sierra Maestra? La verdad es que en ese cuento él es un poco (mutatis mutandis, naturalmente) lo que fue Charlie Parker en “El perseguidor”. Catalizadores, símbolos de grandes fuerzas, de meravillosos momentos del hombre. El poeta, el cuentista, los elige sin pedirles permiso; ellos son ya de todos, porque por un momento han superado la mera condición del individuo."

"Mi ha divertito molto la storia della tua conversazione con il Che in aereo. (Mi divertono molto meno le persistenti chiacchiere che circolano in Europa a proposito del Che; spero che non siano altro che questo: chiacchiere). E’ naturale che al Che il mio racconto sia parso poco interessante (tu non me lo dici, ma io ho avuto altre notizie che me lo lasciano supporre). Una sola cosa conta, e cioè che in questo racconto non c’è niente di “personale”. Che ne posso sapere io del Che e di quello che sentiva o pensava mentre si faceva strada sulla Sierra Maestra? La verità è che in questo racconto lui rappresenta un poco (mutatis mutandis, naturalmente) quello che rappresenta Charlie Parker in “Il persecutore”. Catalizzatori, simboli di grandi forze, di meravigliosi momenti dell’uomo. Il poeta, il narratore li sceglie senza chiedere loro permesso; loro ormai sono di tutti, perché per un momento hanno superato le mera condizione di individuo."

Infine mi sembra opportuno concludere il paragrafo, e simbolicamente anche questo capitolo dedicato al mito del Che nella letteratura, con due poesie di Julio Cortázar, scritte in onore di Ernesto Guevara, sicuramente tra le più profonde e significative. Si tratta di Sílaba viva e Yo tuve un hermano.

"Qué vachaché, está ahí aunque no lo quieran,
está en la noche, está en la leche,
en cada coche y cada bache y cada boche
está, le largarán los perros y lo mismo estará
aunque lo acechen, lo buscarán a troche y moche
y el estará con el que luche y el que espiche
y en todo el que se agrande y se repeche
él estará, me cachendió
."

"Cosa c’è che c’è, e lì anche non ce lo vogliono
è nel lucernario, è nella cena
nell’automotrice, nell’acceleratore, nei crocevia
gli lanceranno i cani ma lui c’è lo stesso
anche se non gli danno pace, se lo cercano a casaccio
lui è con l’audace e con chi ci rimette la pelle, c’è
è con chi risale la china invece di cedere
lui è lì, c’è, poss’accecarmi se non c’è."


"Yo tuve un hermano.
No nos vimos nunca
pero no importaba.
Yo tuve un hermano
que iba por los montes
mientras yo dormía.
Lo quise a mi modo,
le tomé su voz
libre como agua,
caminé de a ratos
cerca de su sombra.
No nos vimos nunca
pero no importaba;
mi hermano despierto
mientras yo dormía.
Mi hermano mostrándome
detrás de la noche
su estrella elegida."

"Ho avuto un fratello
Non ci siamo mai visti
ma non importava
Ho avuto un fratello
che andava per i boschi
mentre io dormivo
Gli ho voluto bene a modo mio
gli ho preso la voce
libera come l’acqua
a volte ho camminato
accanto alla sua ombra
Non ci siamo mai visti
ma non importava
mio fratello vegliava
mentre io dormivo
Mio fratello mostrandomi
al di là della notte
la stella che aveva scelto
."
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Marco Galice





Puntate precedenti :
Ernesto "Che" Guevara (1 pt.)
Ernesto "Che" Guevara (2 pt.)
Ernesto "Che" Guevara (3 pt.)

1 commento:

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