Perché gli intellettuali latinoamericani parlano del Che
Si è ormai dimostrato il valore e, per certi versi, la “potenza” del mito di Ernesto Guevara, così come l’enorme importanza che la sua figura ricopre in America Latina, tra le popolazioni e nella cultura. Tuttavia, fermo restando il ruolo dei mass media nell’opera di mitizzazione del Che, è giusto chiedersi come mai gli intellettuali si soffermano con grande attenzione sul suo mito e perché perseverano nel parlarne, oggi più di ieri, soprattutto gli intellettuali latinoamericani.
E’ evidente che tanto interesse e tanta attrazione non possono essere casuali. Forse sono proprio la situazione e le condizioni culturali dell’America Latina che spingono i suoi intellettuali ad esaltare il Che, perché continuare a parlare di lui significa dare un seguito alla sua ideologia rivoluzionaria.
Ecco dunque che la necessità di Guevara di scoprire e definire l'America Latina torna a farsi preponderante anche tra gli scrittori, e i problemi e la realtà del continente latinoamericano si presentano costantemente come argomento di discussione.
Ma cos’è allora questo “oggetto” che chiamiamo America Latina? Come mai si può unificare una così contraddittoria geografia e un così intricato retaggio storico? Una valida risposta la fornisce Rosalba Campra nel suo già menzionato America Latina: l’identità e la maschera.
L’America Latina, afferma, è il mondo nuovo creato dallo sguardo europeo e frutto di un insostenibile paradosso: cancellare ciò che esiste ha prodotto esistenza, ma non di soggetto. Come può, quindi, un latinoamericano, con una disperata volontà di essere, non voler scoprire una identità non imposta?
Necessariamente, una prima affermazione di sé si produce come risultato della rottura della realtà di colonizzato. È come risposta a successive volontà di annullamento (la penetrazione economica inglese, poi l’espansionismo nordamericano), che in America Latina si risveglia e si sviluppa questo bisogno di unità. Infatti se la condizione coloniale significa innanzitutto subordinazione politicoeconomica, non meno evidente è l’effetto su altri piani, e cioè sul piano della coscienza dell’essere. Una condizione di sfruttamento e una subalternità alla cultura occidentale e nordamericana che dura in America Latina dal 1492.
"La volontà esplicita è di proibire l’immaginazione o, ciò che è lo stesso, di imporre un’immaginazione controllata, e che non venga considerata come imposta, ma come naturale. Il comportamento mimetico viene così percepito come l’unico esistente, la maschera come l’unico volto accettabile. Una letteratura dipendente non può produrre come immagine di sé che il riflesso della metropoli irraggiungibile. Quindi una letteratura indipendente risulta sempre pericolosa per il colonizzatore: diventa coscienza. E’ per questo che ogni conquista è un’imposizione di silenzio. Si nega a se stessi la natura di emittente di un messaggio, perché non esiste un destinatario che voglia accoglierlo. Questa è l’impalcatura sulla quale si andrà innalzando la storia della scrittura in America Latina: una folgorante appropriazione della parola - della capacità di messaggio - ; una richiesta all’altro di accettarsi come destinatario di questo messaggio." (Rosalba Campra)
Secondo la Campra, quindi, l’idea di unità latinoamericana appare legata alla lotta contro la condizione di colonizzato, contro questo essere fatti dall’esterno. Di fronte ad una subalternità di secoli “oggi l’America Latina tende ad affermarsi con lo slancio del relegato che finalmente reclama il diritto di dire io".
La letteratura diventa così strumento di ricerca e di definizione dell’essere, e la rivoluzione cubana segna una svolta: finalmente l’intera America Latina diventa, come afferma Octavio Paz, contemporanea del resto del mondo. Scrive ancora la Campra.
"Si sviluppa da questo momento una seconda tappa, nella quale il balbettio raggiunge la dignità di parola. Per la prima volta visibile agli occhi dell’Europa, in quanto produttrice di un – invidiabile – fenomeno proprio, l’America Latina risulta visibile anche a se stessa. Gli autori trovano i loro destinatari, i destinatari si riconoscono nei loro autori. Vanno sfumando i parametri valutativi di matrice europea; si cancella l’apparentemente inesorabile vocazione di letteratura esotica."
I tentativi compiuti in questo senso da vari scrittori come Sabato, Cortázar, Roa Bastos, Vargas Llosa, García Márquez, Fuentes, Neruda ecc., confluiscono verso la creazione di una coscienza di sé, della quale la letteratura è voce privilegiata.
José Martí, ricorda la Campra, considerava impossibile l’esistenza di una letteratura senza una previa essenza latinoamericana da esprimere: “Non esistono lettere, che sono espressione, finché non c’è un’essenza da esprimere. Né ci sarà una letteratura ispanoamericana finché non ci sarà Ispano-America”.
La letteratura così si fa carico del pericoloso compito di esprimere l’essere. Sono i libri a fare i popoli, e non viceversa, come insinuava Ezequiel Martínez Estrada.
L’appropriazione della parola, conclude la Campra, fa finalmente dell’America Latina un soggetto, una realtà con un proprio “io”, per cui la parola, opposto di maschera, diventa identità.
A questo punto, se consideriamo che gli elementi ricorrenti della letteratura latinoamericana sono la lotta dell’uomo contro la natura ostile, la natura vista come spazio incommensurabile, la rivolta contro la sfruttamento, appare evidente come parlare di Che Guevara significhi per un intellettuale parlare di coscienza, di essere, di identità, e, conseguentemente, trasmetterla e diffonderla.
Parlando del Che, si toglie la maschera e si afferma se stessi. Questo compito viene assolto in particolar modo da quella che viene definita “poesia sociale”. La studiosa Graciela Mántaras Loedel, in un articolo intitolato El Che en la poesía y en el cuento, pone in discussione proprio la valenza e il significato di questo genere di poesia. La Loedel, circa la poesia sociale, o politica, o di protesta, o rivoluzionaria a seconda di come la si vuole definire, cita le parole dello scrittore Carlos Altamirano che, a tal proposito, mette in guardia dai pericoli che provoca l’ambiguità dell’espressione poesia sociale, che induce a pensare all’esistenza di una poesia che sia invece pura espressione della soggettività.
"Toda poesía es social en la medida en que es social su instrumento (el lenguaje); son sociales sus prácticas (la escritura) y sociales también las remisiones que el mundo intelectual y moral de los testos provoca […] el (los) público(s) a que se dirige el escritor, conscientemente o no y, por supuesto, la(s) recepción(es) de su escritura. No obstante, cuando usamos esa ambigua espresión sabemos que nos estamos refiriendo a una poesía que deliberadamente aborda los temas y conflictos sociales con el propósito de trasmutarlos en material estético."
"Tutta la poesia è sociale nella misura in cui è sociale il suo strumento (il linguaggio); sono sociali i suoi mezzi (la scrittura) e sociali inoltre le conseguenze che il mondo intellettuale e e morale dei testi provoca […] lo (gli) spettatore (i) a cui si rivolge lo scrittore, la (le) interpretazione (i) di ciò che scrive. Tuttavia, quando usiamo questa ambigua espressione sappiamo che ci stiamo riferendo ad una poesia che deliberatamente tratta i temi e i conflitti sociali con il proposito di trasformarli in materiale estetico."
Del resto, ricorda la Loedel, è utile ricordare che la critica sociale e la politica hanno avuto un ruolo in tutte le varie forme di letteratura, nelle commedie teatrali in particolare, e che proprio la tradizione letteraria dell’Occidente ha elaborato il concetto di scrittore come guida intellettuale della comunità a cui appartiene. Sono stati i pensatori dell’Enciclopedia francese coloro che proposero di trasmettere non solo delle conoscenze ma anche e soprattutto di cambiare il modo abituale di pensare, come affermò Diderot. La stessa rivoluzione francese, ricorda, è stata ideologicamente una conseguenza delle teorie degli enciclopedisti, che fornirono appunto ai rivoluzionari una ideologia, la quale comportava sia una critica e una negazione del passato, sia un progetto e una prospettiva valida per il futuro. Riferendosi sempre ad Altamirano la Loedel afferma che
"tiene razón cuando asevera que las mejores plasmaciones literararias de la poesía social partenecen a nuestro siglo y son el resultado del encuentro de los ideales revolucionarios de este tiempo con la vasta renovación poética producida por las llamadas vanguardias."
"ha ragione quando sostiene che i migliori prodotti letterari della poesia sociale appartenente al nostro secolo sono il risultato dell’incontro degli ideali rivoluzionari del nostro tempo con il vasto rinnovamento poetico prodotto per quelle che vengono chiamate avanguardie."
E’ giusto allora in questo senso, conclude Loedel, considerare due i grandi momenti che hanno generato la maggiore e la migliore produzione della poesia sociale: la guerra civile spagnola e la rivoluzione cubana.
Queste considerazioni mi sembrano idonee a legittimare ancora una volta il motivo per cui Che Guevara è “oggetto” ricorrente nella letteratura e tra gli intellettuali latinoamericani.
La sua vita, le sue imprese, la sua morte hanno quasi lasciato una eredità ed una missione agli scrittori. Cosa abbia rappresentato per essi, e quale sia il loro compito, lo spiegano in modo lampante, per la semplicità delle parole, Roque Dalton e Hilda Gadea.
Secondo lo scrittore salvadoregno Dalton la morte del Che è stata la notizia che negli ultimi anni più ha colpito i cuori e più ha ferito le menti dei latinoamericani, lasciando un’impronta indelebile.
"El Comandante Guevara era la encarnación de lo más puro y lo más hermoso que existe en el seno de esta actividad grandiosa que nos impone nuestra época: la lucha por la liberación de la humanidad; la profunda lección moral y política de su vida y de su muerte forma desde ahora parte inapreciable del patrimonio revolucionario de todos los pueblos del mundo. Y así su desaparición fisica es un hecho irreparable para el cual no debemos escatimar lágrimas de hombres y revolucionarios; la actitud fundamental a que nos obliga su actual immortalidad histórica es la de hacernos verdaderamente dignos de su ejemplar sacrificio. Ser dignos de la vida y de la muerte del gran combatiente revolucionario, Comandante Ernesto Guevara. Esta es la consigna que debe unir a los revolucionarios latinoamericanos en el duro combate contra el enemigo común de la humanidad: el imperialismo nortamericano."
"Per noi il Comandante Guevara era l’incarnazione di ciò che di più puro e grandioso esiste nel seno di questa attività grandiosa che ci impone la nostra epoca: la lotta per la liberazione dell’umanità; la profonda lezione morale e politica della sua vita e della sua morte crea da adesso una parte inestimabile del patrimonio rivoluzionario di tutti i popoli del mondo. E così la sua scomparsa fisica è un evento irreparabile per il quale non dobbiamo lesinare lacrime di uomini e rivoluzionari; l’atteggiamento fondamentale a cui ci obbliga la sua attuale immortalità storica è quello di sentirsi veramente degni del suo sacrificio esemplare. Essere degni della vita e della morte del gran combattente rivoluzionario, Comandante Ernesto Guevara. Questa è l’ordine che deve unire i rivoluzionari latinoamericani nella dura lotta contro il nemico comune dell’umanità: l’imperialismo nordamericano."
I contenuti fondamentali dell’articolo di Dalton vengono ripresi da Hilda Gadea nell’articolo A Ernesto Che Guevara. Anche in lei quei concetti di identità, di lotta e di coscienza già menzionati, sono ben manifesti e ricorrenti. Oltretutto, proprio perché ne fu la moglie, l’articolo assume una forma molto confidenziale, quasi epistolare, dalle cui parole traspaiono una passione ed un coinvolgimento che ne rafforzano il valore delle espressioni.
"Al sonar los 21 cañonazos era evidente la despedida y pensé: Ernesto Guevara ya no estás, ya no existes fisicamente, hombre excepcional, revolucionario sin tacha, hijo y padre cariñoso, hombre nuevo que practicaba con todos los actos de su vida los principios morales revolucionarios que preconizaba, camarada fraterno y profundamente humano […] Ya no estás fisicamente Ernesto Che Guevara, pero está tu ejemplo, está tu obra, están los pueblos irredentos. Otros luchadores tomarán tus armas y liberarán a nuestros pueblos, tu sangre ha abonado los caminos duros y difíciles de nuestra revolución en marcha. Siempre estarás presente en nuestras luchas […] Y a pesar de nuestro dolor y del dolor de todos los revolucionarios, tenemos que decir por conocerte que has enfrentado todos los peligros y has ido al combate, con la alegría, feliz por brindarlo lo mejor de ti en la lucha por la justicia, feliz, sufriendo y feliz, muriendo por nuestros ideales, con la alegría de saber que otros hombres seguidrán tu ejemplo. Siempre serás el guía de la revolución latinoamericana, como Bolívar y Martí conducirás a nuestros pueblos hasta el triunfo. Y aunque un “sudario de cubanas lágrimas” y también de todo el continente y del mundo te acompañan en tu “tránsito a la historia americana”, te acompañan, también, la decisión y la inquebrantable resolución de todos los revolucionarios de continuar tu obra en todos los terrenos, en el trabajo, en el estudio y en el combate."
"Al suono dei 21 cannoni era evidente l’addio e pensai: Ernesto Che Guevara non ci sei più, non esisti più fisicamente, uomo eccezionale, rivoluzionario senza difetto, figlio e padre affettuoso, uomo nuovo che attuava con tutte le azioni della sua vita i principi morali rivoluzionari che si prefiggeva, compagno fraterno e profondamente umano […] Non esisti più fisicamente Ernesto Che Guevara, però c’è il tuo esempio, c’è la tua opera, ci sono i popoli irredenti. Altri guerriglieri prenderanno le tue armi e libereranno i nostri popoli, il tuo sangue ha irrigato i cammini duri e difficili della nostra rivoluzione in marcia. Sempre sarai presente nelle nostre lotte […] E pensando al nostro dolore e al dolore di tutti i rivoluzionari vogliamo dire per onorarti che hai affrontato tutti i pericoli e sei andato in guerra con la allegria di sempre, felice per offrire il meglio di te alla lotta per la giustizia, felice, soffrendo e felice, morendo per i nostri ideali, con la allegria di sapere che altri uomini seguiranno il tuo esempio. Sarai sempre la guida della rivoluzione latinoamericana, come Bolivar e Martí condurrai i nostri popoli al trionfo. E sebbene “un sudario di lacrime cubane” e anche di tutto il continente e del mondo ti accompagnano nel tuo “passaggio nella storia americana”, ti accompagna, inoltre, la decisione e la irremovibile risoluzione di tutti i rivoluzionari di continuare la tua opera in tutti i campi, nel lavoro, nello studio e nella lotta."
E’ proprio l’ultima frase che dimostra chiaramente quale sia il compito degli intellettuali latinoamericani. Gadea afferma infatti che i principi insegnati dal Che devono essere ripresi e trasmessi da ogni uomo, ognuno nelle attività e negli spazi in cui opera. Così agli scrittori non resta che, attraverso la letteratura, continuare a parlare di Ernesto Guevara, per rendere perenne, in ogni luogo del mondo dove si consumi un’ingiustizia, la sua lotta rivoluzionaria.
Si è ormai dimostrato il valore e, per certi versi, la “potenza” del mito di Ernesto Guevara, così come l’enorme importanza che la sua figura ricopre in America Latina, tra le popolazioni e nella cultura. Tuttavia, fermo restando il ruolo dei mass media nell’opera di mitizzazione del Che, è giusto chiedersi come mai gli intellettuali si soffermano con grande attenzione sul suo mito e perché perseverano nel parlarne, oggi più di ieri, soprattutto gli intellettuali latinoamericani.
E’ evidente che tanto interesse e tanta attrazione non possono essere casuali. Forse sono proprio la situazione e le condizioni culturali dell’America Latina che spingono i suoi intellettuali ad esaltare il Che, perché continuare a parlare di lui significa dare un seguito alla sua ideologia rivoluzionaria.
Ecco dunque che la necessità di Guevara di scoprire e definire l'America Latina torna a farsi preponderante anche tra gli scrittori, e i problemi e la realtà del continente latinoamericano si presentano costantemente come argomento di discussione.
Ma cos’è allora questo “oggetto” che chiamiamo America Latina? Come mai si può unificare una così contraddittoria geografia e un così intricato retaggio storico? Una valida risposta la fornisce Rosalba Campra nel suo già menzionato America Latina: l’identità e la maschera.
L’America Latina, afferma, è il mondo nuovo creato dallo sguardo europeo e frutto di un insostenibile paradosso: cancellare ciò che esiste ha prodotto esistenza, ma non di soggetto. Come può, quindi, un latinoamericano, con una disperata volontà di essere, non voler scoprire una identità non imposta?
Necessariamente, una prima affermazione di sé si produce come risultato della rottura della realtà di colonizzato. È come risposta a successive volontà di annullamento (la penetrazione economica inglese, poi l’espansionismo nordamericano), che in America Latina si risveglia e si sviluppa questo bisogno di unità. Infatti se la condizione coloniale significa innanzitutto subordinazione politicoeconomica, non meno evidente è l’effetto su altri piani, e cioè sul piano della coscienza dell’essere. Una condizione di sfruttamento e una subalternità alla cultura occidentale e nordamericana che dura in America Latina dal 1492.
"La volontà esplicita è di proibire l’immaginazione o, ciò che è lo stesso, di imporre un’immaginazione controllata, e che non venga considerata come imposta, ma come naturale. Il comportamento mimetico viene così percepito come l’unico esistente, la maschera come l’unico volto accettabile. Una letteratura dipendente non può produrre come immagine di sé che il riflesso della metropoli irraggiungibile. Quindi una letteratura indipendente risulta sempre pericolosa per il colonizzatore: diventa coscienza. E’ per questo che ogni conquista è un’imposizione di silenzio. Si nega a se stessi la natura di emittente di un messaggio, perché non esiste un destinatario che voglia accoglierlo. Questa è l’impalcatura sulla quale si andrà innalzando la storia della scrittura in America Latina: una folgorante appropriazione della parola - della capacità di messaggio - ; una richiesta all’altro di accettarsi come destinatario di questo messaggio." (Rosalba Campra)
Secondo la Campra, quindi, l’idea di unità latinoamericana appare legata alla lotta contro la condizione di colonizzato, contro questo essere fatti dall’esterno. Di fronte ad una subalternità di secoli “oggi l’America Latina tende ad affermarsi con lo slancio del relegato che finalmente reclama il diritto di dire io".
La letteratura diventa così strumento di ricerca e di definizione dell’essere, e la rivoluzione cubana segna una svolta: finalmente l’intera America Latina diventa, come afferma Octavio Paz, contemporanea del resto del mondo. Scrive ancora la Campra.
"Si sviluppa da questo momento una seconda tappa, nella quale il balbettio raggiunge la dignità di parola. Per la prima volta visibile agli occhi dell’Europa, in quanto produttrice di un – invidiabile – fenomeno proprio, l’America Latina risulta visibile anche a se stessa. Gli autori trovano i loro destinatari, i destinatari si riconoscono nei loro autori. Vanno sfumando i parametri valutativi di matrice europea; si cancella l’apparentemente inesorabile vocazione di letteratura esotica."
I tentativi compiuti in questo senso da vari scrittori come Sabato, Cortázar, Roa Bastos, Vargas Llosa, García Márquez, Fuentes, Neruda ecc., confluiscono verso la creazione di una coscienza di sé, della quale la letteratura è voce privilegiata.
José Martí, ricorda la Campra, considerava impossibile l’esistenza di una letteratura senza una previa essenza latinoamericana da esprimere: “Non esistono lettere, che sono espressione, finché non c’è un’essenza da esprimere. Né ci sarà una letteratura ispanoamericana finché non ci sarà Ispano-America”.
La letteratura così si fa carico del pericoloso compito di esprimere l’essere. Sono i libri a fare i popoli, e non viceversa, come insinuava Ezequiel Martínez Estrada.
L’appropriazione della parola, conclude la Campra, fa finalmente dell’America Latina un soggetto, una realtà con un proprio “io”, per cui la parola, opposto di maschera, diventa identità.
A questo punto, se consideriamo che gli elementi ricorrenti della letteratura latinoamericana sono la lotta dell’uomo contro la natura ostile, la natura vista come spazio incommensurabile, la rivolta contro la sfruttamento, appare evidente come parlare di Che Guevara significhi per un intellettuale parlare di coscienza, di essere, di identità, e, conseguentemente, trasmetterla e diffonderla.
Parlando del Che, si toglie la maschera e si afferma se stessi. Questo compito viene assolto in particolar modo da quella che viene definita “poesia sociale”. La studiosa Graciela Mántaras Loedel, in un articolo intitolato El Che en la poesía y en el cuento, pone in discussione proprio la valenza e il significato di questo genere di poesia. La Loedel, circa la poesia sociale, o politica, o di protesta, o rivoluzionaria a seconda di come la si vuole definire, cita le parole dello scrittore Carlos Altamirano che, a tal proposito, mette in guardia dai pericoli che provoca l’ambiguità dell’espressione poesia sociale, che induce a pensare all’esistenza di una poesia che sia invece pura espressione della soggettività.
"Toda poesía es social en la medida en que es social su instrumento (el lenguaje); son sociales sus prácticas (la escritura) y sociales también las remisiones que el mundo intelectual y moral de los testos provoca […] el (los) público(s) a que se dirige el escritor, conscientemente o no y, por supuesto, la(s) recepción(es) de su escritura. No obstante, cuando usamos esa ambigua espresión sabemos que nos estamos refiriendo a una poesía que deliberadamente aborda los temas y conflictos sociales con el propósito de trasmutarlos en material estético."
"Tutta la poesia è sociale nella misura in cui è sociale il suo strumento (il linguaggio); sono sociali i suoi mezzi (la scrittura) e sociali inoltre le conseguenze che il mondo intellettuale e e morale dei testi provoca […] lo (gli) spettatore (i) a cui si rivolge lo scrittore, la (le) interpretazione (i) di ciò che scrive. Tuttavia, quando usiamo questa ambigua espressione sappiamo che ci stiamo riferendo ad una poesia che deliberatamente tratta i temi e i conflitti sociali con il proposito di trasformarli in materiale estetico."
Del resto, ricorda la Loedel, è utile ricordare che la critica sociale e la politica hanno avuto un ruolo in tutte le varie forme di letteratura, nelle commedie teatrali in particolare, e che proprio la tradizione letteraria dell’Occidente ha elaborato il concetto di scrittore come guida intellettuale della comunità a cui appartiene. Sono stati i pensatori dell’Enciclopedia francese coloro che proposero di trasmettere non solo delle conoscenze ma anche e soprattutto di cambiare il modo abituale di pensare, come affermò Diderot. La stessa rivoluzione francese, ricorda, è stata ideologicamente una conseguenza delle teorie degli enciclopedisti, che fornirono appunto ai rivoluzionari una ideologia, la quale comportava sia una critica e una negazione del passato, sia un progetto e una prospettiva valida per il futuro. Riferendosi sempre ad Altamirano la Loedel afferma che
"tiene razón cuando asevera que las mejores plasmaciones literararias de la poesía social partenecen a nuestro siglo y son el resultado del encuentro de los ideales revolucionarios de este tiempo con la vasta renovación poética producida por las llamadas vanguardias."
"ha ragione quando sostiene che i migliori prodotti letterari della poesia sociale appartenente al nostro secolo sono il risultato dell’incontro degli ideali rivoluzionari del nostro tempo con il vasto rinnovamento poetico prodotto per quelle che vengono chiamate avanguardie."
E’ giusto allora in questo senso, conclude Loedel, considerare due i grandi momenti che hanno generato la maggiore e la migliore produzione della poesia sociale: la guerra civile spagnola e la rivoluzione cubana.
Queste considerazioni mi sembrano idonee a legittimare ancora una volta il motivo per cui Che Guevara è “oggetto” ricorrente nella letteratura e tra gli intellettuali latinoamericani.
La sua vita, le sue imprese, la sua morte hanno quasi lasciato una eredità ed una missione agli scrittori. Cosa abbia rappresentato per essi, e quale sia il loro compito, lo spiegano in modo lampante, per la semplicità delle parole, Roque Dalton e Hilda Gadea.
Secondo lo scrittore salvadoregno Dalton la morte del Che è stata la notizia che negli ultimi anni più ha colpito i cuori e più ha ferito le menti dei latinoamericani, lasciando un’impronta indelebile.
"El Comandante Guevara era la encarnación de lo más puro y lo más hermoso que existe en el seno de esta actividad grandiosa que nos impone nuestra época: la lucha por la liberación de la humanidad; la profunda lección moral y política de su vida y de su muerte forma desde ahora parte inapreciable del patrimonio revolucionario de todos los pueblos del mundo. Y así su desaparición fisica es un hecho irreparable para el cual no debemos escatimar lágrimas de hombres y revolucionarios; la actitud fundamental a que nos obliga su actual immortalidad histórica es la de hacernos verdaderamente dignos de su ejemplar sacrificio. Ser dignos de la vida y de la muerte del gran combatiente revolucionario, Comandante Ernesto Guevara. Esta es la consigna que debe unir a los revolucionarios latinoamericanos en el duro combate contra el enemigo común de la humanidad: el imperialismo nortamericano."
"Per noi il Comandante Guevara era l’incarnazione di ciò che di più puro e grandioso esiste nel seno di questa attività grandiosa che ci impone la nostra epoca: la lotta per la liberazione dell’umanità; la profonda lezione morale e politica della sua vita e della sua morte crea da adesso una parte inestimabile del patrimonio rivoluzionario di tutti i popoli del mondo. E così la sua scomparsa fisica è un evento irreparabile per il quale non dobbiamo lesinare lacrime di uomini e rivoluzionari; l’atteggiamento fondamentale a cui ci obbliga la sua attuale immortalità storica è quello di sentirsi veramente degni del suo sacrificio esemplare. Essere degni della vita e della morte del gran combattente rivoluzionario, Comandante Ernesto Guevara. Questa è l’ordine che deve unire i rivoluzionari latinoamericani nella dura lotta contro il nemico comune dell’umanità: l’imperialismo nordamericano."
I contenuti fondamentali dell’articolo di Dalton vengono ripresi da Hilda Gadea nell’articolo A Ernesto Che Guevara. Anche in lei quei concetti di identità, di lotta e di coscienza già menzionati, sono ben manifesti e ricorrenti. Oltretutto, proprio perché ne fu la moglie, l’articolo assume una forma molto confidenziale, quasi epistolare, dalle cui parole traspaiono una passione ed un coinvolgimento che ne rafforzano il valore delle espressioni.
"Al sonar los 21 cañonazos era evidente la despedida y pensé: Ernesto Guevara ya no estás, ya no existes fisicamente, hombre excepcional, revolucionario sin tacha, hijo y padre cariñoso, hombre nuevo que practicaba con todos los actos de su vida los principios morales revolucionarios que preconizaba, camarada fraterno y profundamente humano […] Ya no estás fisicamente Ernesto Che Guevara, pero está tu ejemplo, está tu obra, están los pueblos irredentos. Otros luchadores tomarán tus armas y liberarán a nuestros pueblos, tu sangre ha abonado los caminos duros y difíciles de nuestra revolución en marcha. Siempre estarás presente en nuestras luchas […] Y a pesar de nuestro dolor y del dolor de todos los revolucionarios, tenemos que decir por conocerte que has enfrentado todos los peligros y has ido al combate, con la alegría, feliz por brindarlo lo mejor de ti en la lucha por la justicia, feliz, sufriendo y feliz, muriendo por nuestros ideales, con la alegría de saber que otros hombres seguidrán tu ejemplo. Siempre serás el guía de la revolución latinoamericana, como Bolívar y Martí conducirás a nuestros pueblos hasta el triunfo. Y aunque un “sudario de cubanas lágrimas” y también de todo el continente y del mundo te acompañan en tu “tránsito a la historia americana”, te acompañan, también, la decisión y la inquebrantable resolución de todos los revolucionarios de continuar tu obra en todos los terrenos, en el trabajo, en el estudio y en el combate."
"Al suono dei 21 cannoni era evidente l’addio e pensai: Ernesto Che Guevara non ci sei più, non esisti più fisicamente, uomo eccezionale, rivoluzionario senza difetto, figlio e padre affettuoso, uomo nuovo che attuava con tutte le azioni della sua vita i principi morali rivoluzionari che si prefiggeva, compagno fraterno e profondamente umano […] Non esisti più fisicamente Ernesto Che Guevara, però c’è il tuo esempio, c’è la tua opera, ci sono i popoli irredenti. Altri guerriglieri prenderanno le tue armi e libereranno i nostri popoli, il tuo sangue ha irrigato i cammini duri e difficili della nostra rivoluzione in marcia. Sempre sarai presente nelle nostre lotte […] E pensando al nostro dolore e al dolore di tutti i rivoluzionari vogliamo dire per onorarti che hai affrontato tutti i pericoli e sei andato in guerra con la allegria di sempre, felice per offrire il meglio di te alla lotta per la giustizia, felice, soffrendo e felice, morendo per i nostri ideali, con la allegria di sapere che altri uomini seguiranno il tuo esempio. Sarai sempre la guida della rivoluzione latinoamericana, come Bolivar e Martí condurrai i nostri popoli al trionfo. E sebbene “un sudario di lacrime cubane” e anche di tutto il continente e del mondo ti accompagnano nel tuo “passaggio nella storia americana”, ti accompagna, inoltre, la decisione e la irremovibile risoluzione di tutti i rivoluzionari di continuare la tua opera in tutti i campi, nel lavoro, nello studio e nella lotta."
E’ proprio l’ultima frase che dimostra chiaramente quale sia il compito degli intellettuali latinoamericani. Gadea afferma infatti che i principi insegnati dal Che devono essere ripresi e trasmessi da ogni uomo, ognuno nelle attività e negli spazi in cui opera. Così agli scrittori non resta che, attraverso la letteratura, continuare a parlare di Ernesto Guevara, per rendere perenne, in ogni luogo del mondo dove si consumi un’ingiustizia, la sua lotta rivoluzionaria.
Il Che portatore di una identità
Nel primo e secondo capitolo si è visto come il Che abbia maturato la consapevolezza di una identità latinoamericana e come la sua figura, il suo pensiero e le sue azioni siano ormai accettate, oltre che consolidate, nella cultura dell’America Latina.
Ora è giusto dimostrare come questa “identità” che Ernesto Guevara ha trasmesso e trasmette tutt’oggi, venga in un certo senso legittimata, e gli sia riconosciuto esplicitamente il ruolo di “portatore” di tale identità; un ruolo riconosciuto da molte persone (e culture) diverse, e che quindi si può definire a pieno titolo universale.
La musicologa italiana Meri Lao, che, come abbiamo visto, ha dedicato ad Ernesto Guevara una raccolta di poesie e canzoni tributategli da autori di tutto il mondo, nella prefazione del suo libro fa notare come lo stesso soprannome “Che” sia indicativo di e unifichi contemporaneamente vari aspetti di culture diverse, che con significati differenti si raccolgono poi nello stesso monosillabo.
"Forse non appare altrettanto palese il significato della sillaba che ne sta all’origine. Di uso frequente in Argentina, Uruguay e Paraguay come interiezione, vocativo o particella pronominale, essa sostituisce il “tu”, superandolo in familiarità. In guaraní –l’idioma indigeno che in Paraguay è riuscito a tener testa allo spagnolo ufficiale - che viene inteso come prima persona, al nominativo o all’accusativo: chevé – mi, a me; cheyehé o chendié – con me; cheichaguá – uno come me. Sillaba viva che sta in agguato nella lingua (Cortázar), che occorre canCHEllare e scrivere (Toti); sillaba indigena capace di evocare un altro ceppo, l’indomito araucano, il mapu-che o il Che del Mapu (Pérez); interiezione veneta (Toti); Che, appena un pronome personale come asta per issare la parola (Lihn); lo volevano con nome e cognome ma lui è diventato nomignolo (Nogueras)."
Si può allora affermare che forse era proprio nel destino e nell’indole di Guevara stesso doversi ergere a simbolo di una identità latinoamericana.
Un valido riconoscimento per questo suo ruolo gli viene attribuito dal giovane e oggi molto conosciuto scrittore cileno Luis Sepúlveda. In un articolo intitolato Il Che: eroe romantico o terrorista afferma che ci sono uomini che nascono segnati da una morte prematura e tuttavia intraprendono l’avventura del vivere con una intensità ed una allegria che li distingue dai martiri religiosi.
Così era il Che, definito da alcuni un bandito, da altri un leader, un avventuriero, un esempio o un santo, e di fronte al cui destino nessuna persona sensata e sensibile può rimanere indifferente. La sua vita ha ispirato dozzine di libri ma pochi autori, sostiene, sono riusciti a cogliere l’essenza del Che: il suo essere profondamente latinoamericano.
"Ma in cosa consiste questo essere profondamente latinoamericano? E’ una questione soprattutto culturale e nasce dalla nostra appartenenza a un enorme conglomerato umano che ancora non ha il tempo sufficiente per pensare a se stessa e giungere alla sintesi necessaria della sua identità. Riprendendo l’affermazione socratica, il Che ha sempre saputo che non sapevamo quasi niente di noi stessi e che la nostra realtà era dominata da categorie analitiche e di pensiero ben lontane dalla nostra convulsa forma di essere. Il Che si autoimpose una conoscenza precisa e radicale della realtà continentale, della sua storia di eroismi e sconfitte, di imprese segnate dalla fatalità."
Secondo Sepúlveda il Che sostenne sempre che la realtà latinoamericana non poteva essere soggetta ad interpretazioni meccanicistiche, perché esse condannano ad una sorta di eclettismo, quindi “ci facevano avanzare in cento direzioni diverse ma ci impedivano di avanzare di cento metri in un’unica direzione”.
Nella vita e nell’opera del Che non si avverte mai un’ossessione per il messaggio marxista, perché per lui era la più grande negazione del pluriculturalismo dell’America Latina, di una realtà sicuramente determinata dalle imposizioni del Primo Mondo e dalla necessaria dipendenza.
Quando il Che intraprese l’avventura guerrigliera, afferma, sembrava che l’America Latina conoscesse solo due proposte per il futuro: una dettata dal capitalismo brutale, che consiste nel perpetuare la “dipendenza economica, culturale, politica, in definitiva esistenziale”; e l’altra, suggerita da una sinistra di stampo autoritario, che propone un socialismo simile a quello dei Paesi dell’Est dell’Europa, quindi “unilineare, unidimensionale, di sclerosi sociale, culturale e politica”.
Nonostante i diversi percorsi dei quali più tardi si avvalse la rivoluzione cubana, coloro che intrapresero questa impresa, ed il Che tra essi, lo fecero ponendosi le prime domande che poi saranno il grande motivo di militanza di varie generazioni.
"Che cosa ha in comune il lavoratore della lana di Ushuaia con il raccoglitore di caffè in Colombia? Lo studente di medicina dell’università di Cordoba, che cosa ha in comune con lo sciamano dell’Orinoco? La nostalgia dell’emigrante europeo somiglia al ricordo del tempo mitico in cui scompare l’indio delle Ande? Gli operai di Santiago del Cile sfilano con bandiere rosse il primo maggio, e gli indios salasacas si vestono di nero per il lutto interminabile della morte di Atahualpa: che cosa li unisce? Un minatore di Lota non supera mai i cinquant’anni di età, e i vecchi di Vilcabamba conoscono i segreti di longevità che li fanno vivere fino a novant’anni: è possibile mettere un ponte tra loro? La divisione politica del continente ci rappresenta veramente? Dal Messico a Capo Horn sogniamo un presente di giustizia sociale, di pace, di lavoro, di libertà. Ma come coniugare tutto questo con la necessaria allegria che ci è propria? Come fare della malinconia un diritto e del dolore un motore di liberazione? Da queste e altre simili domande è nato il guevarismo. Oggi, a trent’anni dalla morte del Che, si riaccende una polemica che per sfortuna considera soltanto la condotta dell’eroe (e gli eroi sono sempre freddi) e dimentica la dimensione umana del personaggio."
Di conseguenza, secondo l’intellettuale cileno, l’umanità del Che è parte della storia dell’uomo, che prende talvolta diverse sembianze ma in definitiva continua a far rimanere sempre se stessa l’antica utopia della fratellanza. La sua breve vita ed il suo esempio sono stati la rivendicazione del diritto a dire no e della più civilizzata delle forme sociali, perché la civiltà si capisce solo quando si è in grado di criticarla, di trasformarla, di renderla funzionale alle necessità della maggioranza del genere umano.
Ernesto Guevara ha lottato per questo, “affinché i latinoamericani cominciassero a scoprire le domande che non erano mai state formulate prima, e che avevano bisogno di risposte urgenti”. In pratica Sepúlveda dimostra come i latinoamericani hanno in comune proprio il fatto di essere tanti e diversi, con pensieri differenti ma con una origine indigena libera sopraffatta e oscurata dal colonialismo. Ed il Che ha avuto il grande merito di riportare alla luce, pagando come prezzo la propria vita, una identità che si basa proprio su questa comune libertà originaria.
Questo concetto di popolazione complessa, culturalmente variegata oltre che numericamente estesa, ed incitata alla rivolta contro chi determinava la sua povertà per risvegliare tra gli uomini quel senso di libertà che consente di sconfiggere i padroni che li hanno sottomessi, è ben delineato in una poesia del poeta canadese Joe Rosemblatt, dal titolo The bee hive.
"I don’t believe in ghosts
yet surgeons transplant a living heart
into the chest cavity of a dead man
a fisty pulping orange
… a new ticker!
But for a bullet hole in the heart
there is no second valentine for a Marxist.
The worms have murdered the tiger. Che is dead.
And in time, we too shall face the bee keeper
for they who move with tender feet
through the saw-mills of the hive
they shall hear a hymn of Carpenter bees
whose furnace song is dum-dum’s liturgy.
In secret ground they’ve buried Che’s dust
trembling like monks who hide religious radium
from the lead eyes of the poor."
"Non credo ai fantasmi
eppure i chirurghi trapiantano un cuore vivo
nel torace di un uomo morto
un pugno di arancia palpitante
… un nuovo orologetto!
Ma per un foro di pallottola nel cuore
un marxista non avrà una seconda occasione
i vermi hanno assassinato la tigre: Il Che è morto.
E col tempo, anche noi dovremo affrontare il guardiano delle api
perché coloro che si muovono con passo lieve
attraverso le segherie dell’alveare
udranno l’inno delle api falegname
il cui canto di fornace è liturgia degli spari.
In terra segreta hanno seppellito la polvere del Che
tremando come monaci che nascondono un radium religioso
agli occhi di piombo dei poveri."
Secondo Rosemblatt, dunque, il Che ha rappresentato l’eroe temerario che, come una tigre nella foresta al cui passaggio ogni animale si trovi nei paraggi sussulta, ha scosso gli animi della popolazione latinoamericana, risvegliando tra gli uomini quel senso di libertà tramite cui si può sconfiggere i padroni che li hanno sottomessi. E come un alveare, in cui regnano compattezza, uguaglianza e operosità, essi, forti di una ritrovata identità collettiva, hanno iniziato la lotta per riconquistare la libertà perduta.
Un’altra poesia mette a fuoco con semplicità e trasporto emotivo questa capacità di Guevara di trasmettere identità e senso di appartenenza ad una cultura comune. Si tratta de Las manos, scritta dal poeta cileno Floridor Pérez.
"Y ahora con qué los voy a saludar, amigos,
y con qué manos acariciar tus muslos
o recibir tus hijos, compañera,
con qué miéchica voy a escribir mi poema
ahora que mutilaron al guerrillero.
El era mapuche–antillano, “Che
del Mapu”: el hombre de la tierra, nuestra tierra,
pero yo no soy quién para decir quien era
y esto no es un poema, esto no es nada
más que un grito de dolor o rabia, qué sé yo,
no es que lo llore, no es
que le haga tampoco a un immortal mucha falta la vida,
pero cómo es posible, los bellacos
“Mandáronle cortar ambas las manos”
Y esto que yo le traigo no es un poema:
-Aquí tiene las manos de Galvarino,
comandante."
"E adesso come farò a salutarvi, amici
e con quali mani accarezzerò le tue cosce
o riceverò i tuoi figli, compagna,
con che diavolo scriverò la mia poesia
adesso che hanno mutilato il guerrigliero.
Era indio e antillano, “Mapu-che
Che del Mapu”: l’uomo della terra, la nostra terra
ma io chi sono per dire chi era lui
e questa non è una poesia, è niente
altro che un grido di dolore o rabbia, che so io,
non può dirsi che lo pianga e nemmeno
che un immortale abbia molto bisogno di vita.
Ma come è possibile, le canaglie,
“Ordinarono gli fossero tagliate entrambe le mani”
e questo che vi porto non è una poesia
-Ecco qui le mani di Galvarino
comandante."
La virtù straordinaria del Che, secondo Pérez, è stata dunque quella di lasciare in ogni uomo latinoamericano un’impronta, un messaggio, un senso di comunanza con tutte le persone che, a causa della sua morte leggendaria, sentiamo ora vicine a noi, perché la sua vita è stata sacrificata per ognuno di noi.
Il dolore, la rabbia, lo sconforto che la scomparsa di Guevara provocano sulla terra si espandono nell’anima di ogni uomo, originando un legame comune profondo, per cui la “nostra terra” diventa la terra di tutti, e la nostra vita, quella di ognuno.
Nell’ambito di questo discorso sull’identità non si può però non parlare di uno dei più importanti poeti cubani e latinoamericani: Nicolás Guillén, soprattutto se si considerano la sua formazione culturale e i contenuti della sua poetica. Forse più di ogni altro egli ha potuto comprendere e celebrare questa identità collettiva e fondamentalmente meticcia che Che Guevara ha trasmesso all’America Latina. Guillén infatti è il maggior esponente della poesia afro-cubana, e nelle sue poesie il tema del nero giunge ad essere qualcosa di più che una sfida localistica ai valori europei.
Il suo afrocubanismo è l’affermazione dell’orgoglio del proprio passato nero e delle sofferenze dei suoi antenati. La cultura africana, rimasta fino agli anni venti sotterranea in America, i culti magici, per mezzo dei quali erano stati trasmessi di generazione in generazione il folklore africano ed addirittura lingue come lo yoruba, rimanevano al di fuori delle possibilità di comprensione dei cubani bianchi. Il movimento afro-cubano significò prendere coscienza della ricchezza e dell’importanza della cultura nera nella vita dell’isola, e a un mulatto come Guillén fornì la voce alla parte rimossa della propria coscienza. Per questo egli comprese intensamente il messaggio del Che, perché l’alienazione della sua razza era ed è l’alienazione di tutta la popolazione latinoamericana, di cui è parte integrante e, di conseguenza, parlare di identità significa inglobare ed accomunare in un’unica realtà tutti gli uomini del Sud America. L’unire tanti aspetti diversi crea questa identità. In questo ambito, la poesia più significativa di Guillén dedicata al Che è senz’altro Che Comandante, i cui versi delineano in modo esemplare tale concetto.
"No porque hayas caído
tu luz es meno alta.
Un caballo de fuego
sostiene tu escultura guerrillera
entre el viento y las nubes de la Sierra.
…
Estás en todas partes. En el indio
hecho de sueño y cobre. Y en el negro
revuelto en espumosa muchedumbre,
y en el ser petrolero y salitrero,
y en el terrible desamparo
de la banana, y en la gran pampa de las pieles,
y en el azúcar y en la sal
en los cafetos,
tú, móvil estatua de tu sangre cómo te derribaron,
vivo, como no te querían,
Che Comandante,
amigo.
…
Pasas en tu descolorido, roto, agujereado traje de campaña.
El de la selva, como antes
fue el de la Sierra. Semidesnudo
el poderoso pecho de fusil y palabra,
de ardiente vendaval y lenta rosa.
No hay descanso.
Salud, Guevara!
O mejor todavía, desde el hondón americano:
Espéranos. Partiremos contigo. Queremos
morir para vivir como tú vives,
Che Comandante,
amigo."
"Non perché tu sia caduto
è meno alta la tua luce.
Un cavallo di fuoco
sostiene la tua scultura guerrigliera
tra il vento e le nuvole della Sierra
…
Sei in ogni dove. Nell’indio
fatto di sogno e rame. E nel negro
agitato da schiumanti moltitudini
e in ciò che è petrolio e salnitro
e nel terribile abbandono
dei bananeti e nella grande pampa delle pelli
e nello zucchero e nel sale
e nelle piantagioni di caffè
tu, abbattuta statua del tuo sangue
vivo, come non ti volevano
Che Comandante
amico
…
Passi col tuo scolorito, liso, bucato vestito da campagna
quello della selva, come prima
quello che indossavi nella Sierra. Seminudo
il potente petto di fucile e parola
di ardente impetuoso vento e di lenta rosa.
Non c’è riposo
salve, Guevara!
O sarebbe meglio dirti dalla nostra profondità americana.
Aspettaci. Partiremo con te. Vogliamo
morire per vivere come tu sei morto
per vivere come tu vivi
Che Comandante
amico."
Appare quindi evidente come anche Nicolás Guillén ribadisca il contenuto meticcio dell’identità latinoamericana, insistendo su un meticciato costitutivo che d’altronde già nella poesia La muerte del Neque riconosceva chiaramente:
"Estamos juntos desde muy lejos
jóvenes, viejos,
negros y blancos, todo mezclado."
"E stiamo insieme da molto tempo
giovani, vecchi
negri e bianchi, tutto mischiato."
Nel primo e secondo capitolo si è visto come il Che abbia maturato la consapevolezza di una identità latinoamericana e come la sua figura, il suo pensiero e le sue azioni siano ormai accettate, oltre che consolidate, nella cultura dell’America Latina.
Ora è giusto dimostrare come questa “identità” che Ernesto Guevara ha trasmesso e trasmette tutt’oggi, venga in un certo senso legittimata, e gli sia riconosciuto esplicitamente il ruolo di “portatore” di tale identità; un ruolo riconosciuto da molte persone (e culture) diverse, e che quindi si può definire a pieno titolo universale.
La musicologa italiana Meri Lao, che, come abbiamo visto, ha dedicato ad Ernesto Guevara una raccolta di poesie e canzoni tributategli da autori di tutto il mondo, nella prefazione del suo libro fa notare come lo stesso soprannome “Che” sia indicativo di e unifichi contemporaneamente vari aspetti di culture diverse, che con significati differenti si raccolgono poi nello stesso monosillabo.
"Forse non appare altrettanto palese il significato della sillaba che ne sta all’origine. Di uso frequente in Argentina, Uruguay e Paraguay come interiezione, vocativo o particella pronominale, essa sostituisce il “tu”, superandolo in familiarità. In guaraní –l’idioma indigeno che in Paraguay è riuscito a tener testa allo spagnolo ufficiale - che viene inteso come prima persona, al nominativo o all’accusativo: chevé – mi, a me; cheyehé o chendié – con me; cheichaguá – uno come me. Sillaba viva che sta in agguato nella lingua (Cortázar), che occorre canCHEllare e scrivere (Toti); sillaba indigena capace di evocare un altro ceppo, l’indomito araucano, il mapu-che o il Che del Mapu (Pérez); interiezione veneta (Toti); Che, appena un pronome personale come asta per issare la parola (Lihn); lo volevano con nome e cognome ma lui è diventato nomignolo (Nogueras)."
Si può allora affermare che forse era proprio nel destino e nell’indole di Guevara stesso doversi ergere a simbolo di una identità latinoamericana.
Un valido riconoscimento per questo suo ruolo gli viene attribuito dal giovane e oggi molto conosciuto scrittore cileno Luis Sepúlveda. In un articolo intitolato Il Che: eroe romantico o terrorista afferma che ci sono uomini che nascono segnati da una morte prematura e tuttavia intraprendono l’avventura del vivere con una intensità ed una allegria che li distingue dai martiri religiosi.
Così era il Che, definito da alcuni un bandito, da altri un leader, un avventuriero, un esempio o un santo, e di fronte al cui destino nessuna persona sensata e sensibile può rimanere indifferente. La sua vita ha ispirato dozzine di libri ma pochi autori, sostiene, sono riusciti a cogliere l’essenza del Che: il suo essere profondamente latinoamericano.
"Ma in cosa consiste questo essere profondamente latinoamericano? E’ una questione soprattutto culturale e nasce dalla nostra appartenenza a un enorme conglomerato umano che ancora non ha il tempo sufficiente per pensare a se stessa e giungere alla sintesi necessaria della sua identità. Riprendendo l’affermazione socratica, il Che ha sempre saputo che non sapevamo quasi niente di noi stessi e che la nostra realtà era dominata da categorie analitiche e di pensiero ben lontane dalla nostra convulsa forma di essere. Il Che si autoimpose una conoscenza precisa e radicale della realtà continentale, della sua storia di eroismi e sconfitte, di imprese segnate dalla fatalità."
Secondo Sepúlveda il Che sostenne sempre che la realtà latinoamericana non poteva essere soggetta ad interpretazioni meccanicistiche, perché esse condannano ad una sorta di eclettismo, quindi “ci facevano avanzare in cento direzioni diverse ma ci impedivano di avanzare di cento metri in un’unica direzione”.
Nella vita e nell’opera del Che non si avverte mai un’ossessione per il messaggio marxista, perché per lui era la più grande negazione del pluriculturalismo dell’America Latina, di una realtà sicuramente determinata dalle imposizioni del Primo Mondo e dalla necessaria dipendenza.
Quando il Che intraprese l’avventura guerrigliera, afferma, sembrava che l’America Latina conoscesse solo due proposte per il futuro: una dettata dal capitalismo brutale, che consiste nel perpetuare la “dipendenza economica, culturale, politica, in definitiva esistenziale”; e l’altra, suggerita da una sinistra di stampo autoritario, che propone un socialismo simile a quello dei Paesi dell’Est dell’Europa, quindi “unilineare, unidimensionale, di sclerosi sociale, culturale e politica”.
Nonostante i diversi percorsi dei quali più tardi si avvalse la rivoluzione cubana, coloro che intrapresero questa impresa, ed il Che tra essi, lo fecero ponendosi le prime domande che poi saranno il grande motivo di militanza di varie generazioni.
"Che cosa ha in comune il lavoratore della lana di Ushuaia con il raccoglitore di caffè in Colombia? Lo studente di medicina dell’università di Cordoba, che cosa ha in comune con lo sciamano dell’Orinoco? La nostalgia dell’emigrante europeo somiglia al ricordo del tempo mitico in cui scompare l’indio delle Ande? Gli operai di Santiago del Cile sfilano con bandiere rosse il primo maggio, e gli indios salasacas si vestono di nero per il lutto interminabile della morte di Atahualpa: che cosa li unisce? Un minatore di Lota non supera mai i cinquant’anni di età, e i vecchi di Vilcabamba conoscono i segreti di longevità che li fanno vivere fino a novant’anni: è possibile mettere un ponte tra loro? La divisione politica del continente ci rappresenta veramente? Dal Messico a Capo Horn sogniamo un presente di giustizia sociale, di pace, di lavoro, di libertà. Ma come coniugare tutto questo con la necessaria allegria che ci è propria? Come fare della malinconia un diritto e del dolore un motore di liberazione? Da queste e altre simili domande è nato il guevarismo. Oggi, a trent’anni dalla morte del Che, si riaccende una polemica che per sfortuna considera soltanto la condotta dell’eroe (e gli eroi sono sempre freddi) e dimentica la dimensione umana del personaggio."
Di conseguenza, secondo l’intellettuale cileno, l’umanità del Che è parte della storia dell’uomo, che prende talvolta diverse sembianze ma in definitiva continua a far rimanere sempre se stessa l’antica utopia della fratellanza. La sua breve vita ed il suo esempio sono stati la rivendicazione del diritto a dire no e della più civilizzata delle forme sociali, perché la civiltà si capisce solo quando si è in grado di criticarla, di trasformarla, di renderla funzionale alle necessità della maggioranza del genere umano.
Ernesto Guevara ha lottato per questo, “affinché i latinoamericani cominciassero a scoprire le domande che non erano mai state formulate prima, e che avevano bisogno di risposte urgenti”. In pratica Sepúlveda dimostra come i latinoamericani hanno in comune proprio il fatto di essere tanti e diversi, con pensieri differenti ma con una origine indigena libera sopraffatta e oscurata dal colonialismo. Ed il Che ha avuto il grande merito di riportare alla luce, pagando come prezzo la propria vita, una identità che si basa proprio su questa comune libertà originaria.
Questo concetto di popolazione complessa, culturalmente variegata oltre che numericamente estesa, ed incitata alla rivolta contro chi determinava la sua povertà per risvegliare tra gli uomini quel senso di libertà che consente di sconfiggere i padroni che li hanno sottomessi, è ben delineato in una poesia del poeta canadese Joe Rosemblatt, dal titolo The bee hive.
"I don’t believe in ghosts
yet surgeons transplant a living heart
into the chest cavity of a dead man
a fisty pulping orange
… a new ticker!
But for a bullet hole in the heart
there is no second valentine for a Marxist.
The worms have murdered the tiger. Che is dead.
And in time, we too shall face the bee keeper
for they who move with tender feet
through the saw-mills of the hive
they shall hear a hymn of Carpenter bees
whose furnace song is dum-dum’s liturgy.
In secret ground they’ve buried Che’s dust
trembling like monks who hide religious radium
from the lead eyes of the poor."
"Non credo ai fantasmi
eppure i chirurghi trapiantano un cuore vivo
nel torace di un uomo morto
un pugno di arancia palpitante
… un nuovo orologetto!
Ma per un foro di pallottola nel cuore
un marxista non avrà una seconda occasione
i vermi hanno assassinato la tigre: Il Che è morto.
E col tempo, anche noi dovremo affrontare il guardiano delle api
perché coloro che si muovono con passo lieve
attraverso le segherie dell’alveare
udranno l’inno delle api falegname
il cui canto di fornace è liturgia degli spari.
In terra segreta hanno seppellito la polvere del Che
tremando come monaci che nascondono un radium religioso
agli occhi di piombo dei poveri."
Secondo Rosemblatt, dunque, il Che ha rappresentato l’eroe temerario che, come una tigre nella foresta al cui passaggio ogni animale si trovi nei paraggi sussulta, ha scosso gli animi della popolazione latinoamericana, risvegliando tra gli uomini quel senso di libertà tramite cui si può sconfiggere i padroni che li hanno sottomessi. E come un alveare, in cui regnano compattezza, uguaglianza e operosità, essi, forti di una ritrovata identità collettiva, hanno iniziato la lotta per riconquistare la libertà perduta.
Un’altra poesia mette a fuoco con semplicità e trasporto emotivo questa capacità di Guevara di trasmettere identità e senso di appartenenza ad una cultura comune. Si tratta de Las manos, scritta dal poeta cileno Floridor Pérez.
"Y ahora con qué los voy a saludar, amigos,
y con qué manos acariciar tus muslos
o recibir tus hijos, compañera,
con qué miéchica voy a escribir mi poema
ahora que mutilaron al guerrillero.
El era mapuche–antillano, “Che
del Mapu”: el hombre de la tierra, nuestra tierra,
pero yo no soy quién para decir quien era
y esto no es un poema, esto no es nada
más que un grito de dolor o rabia, qué sé yo,
no es que lo llore, no es
que le haga tampoco a un immortal mucha falta la vida,
pero cómo es posible, los bellacos
“Mandáronle cortar ambas las manos”
Y esto que yo le traigo no es un poema:
-Aquí tiene las manos de Galvarino,
comandante."
"E adesso come farò a salutarvi, amici
e con quali mani accarezzerò le tue cosce
o riceverò i tuoi figli, compagna,
con che diavolo scriverò la mia poesia
adesso che hanno mutilato il guerrigliero.
Era indio e antillano, “Mapu-che
Che del Mapu”: l’uomo della terra, la nostra terra
ma io chi sono per dire chi era lui
e questa non è una poesia, è niente
altro che un grido di dolore o rabbia, che so io,
non può dirsi che lo pianga e nemmeno
che un immortale abbia molto bisogno di vita.
Ma come è possibile, le canaglie,
“Ordinarono gli fossero tagliate entrambe le mani”
e questo che vi porto non è una poesia
-Ecco qui le mani di Galvarino
comandante."
La virtù straordinaria del Che, secondo Pérez, è stata dunque quella di lasciare in ogni uomo latinoamericano un’impronta, un messaggio, un senso di comunanza con tutte le persone che, a causa della sua morte leggendaria, sentiamo ora vicine a noi, perché la sua vita è stata sacrificata per ognuno di noi.
Il dolore, la rabbia, lo sconforto che la scomparsa di Guevara provocano sulla terra si espandono nell’anima di ogni uomo, originando un legame comune profondo, per cui la “nostra terra” diventa la terra di tutti, e la nostra vita, quella di ognuno.
Nell’ambito di questo discorso sull’identità non si può però non parlare di uno dei più importanti poeti cubani e latinoamericani: Nicolás Guillén, soprattutto se si considerano la sua formazione culturale e i contenuti della sua poetica. Forse più di ogni altro egli ha potuto comprendere e celebrare questa identità collettiva e fondamentalmente meticcia che Che Guevara ha trasmesso all’America Latina. Guillén infatti è il maggior esponente della poesia afro-cubana, e nelle sue poesie il tema del nero giunge ad essere qualcosa di più che una sfida localistica ai valori europei.
Il suo afrocubanismo è l’affermazione dell’orgoglio del proprio passato nero e delle sofferenze dei suoi antenati. La cultura africana, rimasta fino agli anni venti sotterranea in America, i culti magici, per mezzo dei quali erano stati trasmessi di generazione in generazione il folklore africano ed addirittura lingue come lo yoruba, rimanevano al di fuori delle possibilità di comprensione dei cubani bianchi. Il movimento afro-cubano significò prendere coscienza della ricchezza e dell’importanza della cultura nera nella vita dell’isola, e a un mulatto come Guillén fornì la voce alla parte rimossa della propria coscienza. Per questo egli comprese intensamente il messaggio del Che, perché l’alienazione della sua razza era ed è l’alienazione di tutta la popolazione latinoamericana, di cui è parte integrante e, di conseguenza, parlare di identità significa inglobare ed accomunare in un’unica realtà tutti gli uomini del Sud America. L’unire tanti aspetti diversi crea questa identità. In questo ambito, la poesia più significativa di Guillén dedicata al Che è senz’altro Che Comandante, i cui versi delineano in modo esemplare tale concetto.
"No porque hayas caído
tu luz es meno alta.
Un caballo de fuego
sostiene tu escultura guerrillera
entre el viento y las nubes de la Sierra.
…
Estás en todas partes. En el indio
hecho de sueño y cobre. Y en el negro
revuelto en espumosa muchedumbre,
y en el ser petrolero y salitrero,
y en el terrible desamparo
de la banana, y en la gran pampa de las pieles,
y en el azúcar y en la sal
en los cafetos,
tú, móvil estatua de tu sangre cómo te derribaron,
vivo, como no te querían,
Che Comandante,
amigo.
…
Pasas en tu descolorido, roto, agujereado traje de campaña.
El de la selva, como antes
fue el de la Sierra. Semidesnudo
el poderoso pecho de fusil y palabra,
de ardiente vendaval y lenta rosa.
No hay descanso.
Salud, Guevara!
O mejor todavía, desde el hondón americano:
Espéranos. Partiremos contigo. Queremos
morir para vivir como tú vives,
Che Comandante,
amigo."
"Non perché tu sia caduto
è meno alta la tua luce.
Un cavallo di fuoco
sostiene la tua scultura guerrigliera
tra il vento e le nuvole della Sierra
…
Sei in ogni dove. Nell’indio
fatto di sogno e rame. E nel negro
agitato da schiumanti moltitudini
e in ciò che è petrolio e salnitro
e nel terribile abbandono
dei bananeti e nella grande pampa delle pelli
e nello zucchero e nel sale
e nelle piantagioni di caffè
tu, abbattuta statua del tuo sangue
vivo, come non ti volevano
Che Comandante
amico
…
Passi col tuo scolorito, liso, bucato vestito da campagna
quello della selva, come prima
quello che indossavi nella Sierra. Seminudo
il potente petto di fucile e parola
di ardente impetuoso vento e di lenta rosa.
Non c’è riposo
salve, Guevara!
O sarebbe meglio dirti dalla nostra profondità americana.
Aspettaci. Partiremo con te. Vogliamo
morire per vivere come tu sei morto
per vivere come tu vivi
Che Comandante
amico."
Appare quindi evidente come anche Nicolás Guillén ribadisca il contenuto meticcio dell’identità latinoamericana, insistendo su un meticciato costitutivo che d’altronde già nella poesia La muerte del Neque riconosceva chiaramente:
"Estamos juntos desde muy lejos
jóvenes, viejos,
negros y blancos, todo mezclado."
"E stiamo insieme da molto tempo
giovani, vecchi
negri e bianchi, tutto mischiato."
La questione meticcia
Ernesto Sábato, nel suo libro La cultura en la encrucijada nacional, afferma:
"Dato il carattere di fusione della cultura latinoamericana, nel caso specifico di quella argentina, “ibrida”, - è appunto questo carattere meticcio a dover essere rivendicato. E meticcio vuol dire, in questa prospettiva, l’eredità di due mondi."
Se riflettiamo su quella che è stata la formazione di Ernesto Guevara, sulla sua scoperta di un meticciato costitutivo maturata completamente nel lebbrosario di S. Pablo e sui versi appena citati di Nicolás Guillén ed Ernesto Sábato, si può trarre una valida interpretazione di fondo: l’idea di meticcio non si riduce ad una semplice fusione, ad un ibrido di due elementi qualsiasi, ma comporta un’azione più completa e profonda.
Meticcio, infatti, nella cultura latinoamericana, non significa solo una commistione di sangue, e quindi di razze, originariamente diverse; non è solo una questione chimica e genetica, ma vuol dire soprattutto incontro di elementi culturali differenti. Tali elementi possono essere svariati: il paese, la città, la nazione, i genitori, le origini, la formazione, la condizione sociale, il ceto, l’intelligenza ecc. Essere meticci comporta quindi non solo fondere aspetti diversi, ma saperli affrontare, sapersi aprire ad essi e alla diversità in generale, a tutto ciò che è lontano da noi ma ci circonda e dunque, anche se inconsapevolmente, ci comprende.
La condizione meticcia, di conseguenza, è quella di colui che conosce sé e l’altro da sé, che sa accogliere e interpretare tutto ciò che non è proprio, ma è appunto “altro”. In questo senso più generale e profondo il Che si può definire, e forse va considerato, meticcio, perché ha saputo fare proprie le istanze e i pensieri di milioni di uomini, acquisendone i bisogni, le sofferenze e le speranze. Questo suo essere profondamente meticcio nell’anima gli ha permesso di fondersi con le culture di persone sconosciute, dando vita ad una solo cultura, quella latinoamericana, che ha valorizzato, esaltato e difeso fino alla morte. In questo senso, ed interpretandone questo significato, molti poeti gli hanno dedicato versi, dimostrando che essere meticci significa per prima cosa possedere una straordinaria apertura mentale. Tra le tante che gli sono state tributate, tre poesie in particolare ritengo siano le più significative riguardo alla questione meticcia. La prima è El hombre del siglo XXI, scritta da Jaime Galarza Zavala.
"Adiós y nos veremos
en la victoria siempre.
Voluntario del hombre.
…
Cuidado con el Che! rugía el amo.
Cuidado con el Che! aullaba el oro.
Cuidado con el Che! rogaban los vasallos.
Y los hombres clamaban silenciosos:
Cuídale, tierra, mira a quíen te llevas,
cuídale, bosque, cuídale, montaña.
Hazle una fortaleza, esclavo, con tus grillos,
escóndelo, minero, al fondo de la mina,
disfrázalo de trigo, indio sin trigo,
amor, salid en su defensa,
caminos, llevadle hasta el refugio,
ríos
lluvia
rocío:
haced que el agua no le falte!
…
Y a pecho descubierto,
se lanzó a conquistar la flor
con la metralla
desde los desfiladeros de Nanahuazú
hasta el barranco en donde vivo
le capturó la muerte asalariada
para irlo matando por pedazos
gota a gota
segundo tras segundo
ráfaga tras ráfaga,
en un rincón andino,
donde el viento aún lo anda llamando.
Pero la muerte llegó tarde.
Ya él había ganado la batalla
porque ya preso y derrotado y muerto
desde ese instante en todas las montañas
se oye cantar la fuerza de su paso,
en toda América madruga su palabra."
"Addio e ci vedremo
nella vittoria, sempre.
Volontario dell’uomo.
…
Attenzione al Che! ruggiva il padrone.
Attenzione al Che! ululava l’oro.
Attenzione al Che! pregavano i vassalli.
E gli uomini clamavano in silenzio:
Abbi cura di lui, terra, guarda chi porti via,
curalo, bosco, curalo, montagna
Fagli una fortezza, schiavo, con le tue catene,
nascondilo, minatore, in fondo alla miniera,
mascheralo di grano, indio senza grano,
amore, parti in sua difesa,
strade, portatelo sino al rifugio,
fiumi
pioggia
rugiada
fate in modo che non gli manchi l’acqua!
…
E a petto scoperto,
si lanciò a conquistare il fiore
con le armi da fuoco
dalle gole di Nancahuazú
fino al precipizio dove vivo
lo catturò la morte stipendiata
per ucciderlo a pezzi
goccia a goccia
un secondo dopo l’altro
una raffica dopo l’altra,
in un cantone andino,
dove ancora lo chiama il vento.
Ma la morte giunse tardi.
Lui ormai aveva vinto la battaglia
perché prigioniero e sconfitto e morto
sin da quell’istante in tutte le montagne
si sente cantare la forza del suo passo,
nelle Americhe la sua parola fa l’alba."
I versi più salienti di Zavala appaiono senza dubbio quelli in cui fa riferimento allo schiavo, al minatore, all’indio che diventano motivo di lotta per il Che e parte integrante del suo stesso cammino leggendario.
Ritorna così evidente il significato preponderante del concetto meticcio, e del “meticcio” Che Guevara, vale a dire saper accogliere e saper unificare realtà diverse tra loro e da se stessi.
La seconda poesia da ricordare è Les guérilleros di Jean Ferrat.
"Avec leurs barbes noires,
leurs fusils démodés,
leurs treillis délavés
comme drapeau d’espoir,
ils ont pris le parti
de vivre pour demain
ils ont pris le parti
des armes à la main.
S’ils sont une poignèe
ceux qui suivent leur chemin,
avant qu’il soit demain,
ils seront des milliers.
Il y a peu de temps
que le monde est sierra,
que tout un continent
rime avec Guevara.
Ce qu’ils ont dans le coeur
s’exprime simplement:
des mots pleins de doucer,
des mots rouges de sang.
Cent millions de métis
savent de quel côté
se trouve la justice
comme la dignité.
De petis mots bien lisses
qui valent une armée
et toutes vos polices
ne pourront rien changer.
Mes frères qui savez
que les plus belles fleurs
poussent sur le fumier,
voici que sonne l’heure.
Les guérilleros, les guérilleros."
"Con le loro barbe nere
i loro fucili sorpassati
le loro divise consumate
come la bandiera della speranza
hanno scelto la strada
di vivere per il domani
hanno scelto la strada
di impugnare le armi.
Se quelli che li seguono
sono ancora un pugno
prima di domani
saranno migliaia
Solo da poco tempo
il mondo è Sierra
e tutto un continente
rima con Guevara.
Ciò che hanno nel cuore
si esprime con semplicità
parole piene di dolcezza
parole rosse di sangue
Cento milioni di meticci
sanno da che parte
si trova la giustizia
e insieme la dignità.
Brevi e schiette parole
che valgono un esercito
e che nessuna polizia
potrà mai cambiare
Fratelli miei che sapete
che i più bei fiori
nascono dal letame
ecco sta suonando l’ora.
I guerriglieri, i guerriglieri."
In questo caso appare legittimo l’intento di Ferrat di sottolineare come il Che abbia saputo trasmettere i suoi grandi valori morali e culturali agli uomini che lottavano con lui, e che non si riducevano solo ad un manipolo di guerriglieri, ma ad un vero esercito che non faceva solo delle armi, ma anche e soprattutto degli ideali e della propensione al sacrificio per gli oppressi, la vera forza della lotta intrapresa. Erano dunque come il Che guerriglieri di rivolta, ma anche di cultura.
La terza poesia, infine, è Monumento de sangre al guerrillero di Mahfud Massis.
"Oh, Capitán,
gallo vulnerable para nuestro ánimo de inveteradas meretrices, garrapatas
del orden, del buen sentido, de la cama
cuajada de libélulas, en tanto el negro, el indio, o el esclavo blanco
de Latinoamérica echan humo de costillar rojo, olvidados, como bastón
de ciego en la posada del asesino,
con grandes piedras de pus en las mandíbulas,
con bragueros de sangre, con esputos de sangre, con meollos de sangre;
millones
de cristos crucificados te aguardan en el estercolero, miríadas de niños,
diurnos,
heridos, extrangulados pájaros,
niños parados a la puerta del horno.
…
Yo, poeta
de esta tierra miserable y enorme, vendedor
de huevos funerarios, también estoy herido. Miro
el costado izquierdo de mi corazón, cae sangre, congoja sobre mi mano
sin gatillo que oprimir, sin noche que desollar, sin una muerte que
justificar,
sin un día para morir…
Yo te saludo esta madrugada, decapitado Capitán. De tus entrañas
rotas,
de tus manos cortadas
bajará el último rayo: el águila precederá a los guerrilleros,
pálidos y seguros junto al tigre escarlata de la noche,
…
y una
VOZ, una sola,
como golondrina de sangre que atraviesa el firmamento de hielo,
estremecerá el tuétano de la eternida y los siglos errabundos:
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE !"
"Oh, Capitano
gallo invulnerabile al nostro animo di inveterate meretrici
zecche
dell’ordine, del buon senso, del letto
gremito di libellule, mentre il negro, l’indio, o lo schiavo bianco
dell’America Latina mandano fumo di costata rossa, dimenticati come bastone
di cieco in casa dell’assassino
con grandi pietre di pus nelle mascelle
con lacci di sangue, con sputi di sangue, con midolli di sangue
milioni
di cristi crocifissi ti aspettano nello sterco, miriade di bambini
diurni
feriti, strozzati uccelli
bambini fermi sulla porta del forno
…
Anch’io, poeta
di questa terra miserabile e enorme, venditore
di uova funerarie, sono ferito. Guardo
il lato sinistro del mio cuore cade il sangue, soffre sulla mia mano
senza un grilletto da premere, senza una notte da scorticare, senza una morte da
giustificare
senza un giorno per morire
…
Io ti saluto in quest’alba, decapitato Capitano. Dalle tue viscere
rotte
dalle tue mani tagliate
scenderà l’ultimo fulmine: l’aquila precederà i guerriglieri
pallidi e sicuri insieme alla tigre scarlatta della notte
e una
VOCE, solo una
come rondine di sangue che attraversa il firmamento di ghiaccio
scuoterà la polpa dell’eternità e i secoli errabondi
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE."
Anche in Massis ricorre il tema del sacrificio, della predisposizione di Guevara a capire e conoscere “l’altro”, così come la capacità di unire in un ideale ed in una cultura persone diverse tra loro come il negro, l’indio, lo schiavo; un aspetto già rilevato da Zavala e comunque ricorrente nelle varie poesie dedicate al Che. Alla luce di quanto detto circa l’identità meticcia di Ernesto Guevara, intesa soprattutto come condizione culturale, la considerazione da trarne è che il meticcio non è quella persona non definibile, non apprezzata, incolta, emarginata e da sempre considerata inferiore dalla cultura occidentale e nell’immaginario comune degli europei, ma un uomo caratterizzato da una enorme ricchezza spirituale e per natura predisposto alla conoscenza dell’altro e del diverso; il suo essere ibrido gli permette così di elevarsi al di sopra degli altri uomini in quanto dotato di una predisposizione alla comparazione della diversità, che è sinonimo di ricchezza. In questo modo il meticcio, proprio perché formato e arricchito non da una ma da molte culture, è da considerarsi non inferiore bensì superiore.
Marco Galice
Ernesto Sábato, nel suo libro La cultura en la encrucijada nacional, afferma:
"Dato il carattere di fusione della cultura latinoamericana, nel caso specifico di quella argentina, “ibrida”, - è appunto questo carattere meticcio a dover essere rivendicato. E meticcio vuol dire, in questa prospettiva, l’eredità di due mondi."
Se riflettiamo su quella che è stata la formazione di Ernesto Guevara, sulla sua scoperta di un meticciato costitutivo maturata completamente nel lebbrosario di S. Pablo e sui versi appena citati di Nicolás Guillén ed Ernesto Sábato, si può trarre una valida interpretazione di fondo: l’idea di meticcio non si riduce ad una semplice fusione, ad un ibrido di due elementi qualsiasi, ma comporta un’azione più completa e profonda.
Meticcio, infatti, nella cultura latinoamericana, non significa solo una commistione di sangue, e quindi di razze, originariamente diverse; non è solo una questione chimica e genetica, ma vuol dire soprattutto incontro di elementi culturali differenti. Tali elementi possono essere svariati: il paese, la città, la nazione, i genitori, le origini, la formazione, la condizione sociale, il ceto, l’intelligenza ecc. Essere meticci comporta quindi non solo fondere aspetti diversi, ma saperli affrontare, sapersi aprire ad essi e alla diversità in generale, a tutto ciò che è lontano da noi ma ci circonda e dunque, anche se inconsapevolmente, ci comprende.
La condizione meticcia, di conseguenza, è quella di colui che conosce sé e l’altro da sé, che sa accogliere e interpretare tutto ciò che non è proprio, ma è appunto “altro”. In questo senso più generale e profondo il Che si può definire, e forse va considerato, meticcio, perché ha saputo fare proprie le istanze e i pensieri di milioni di uomini, acquisendone i bisogni, le sofferenze e le speranze. Questo suo essere profondamente meticcio nell’anima gli ha permesso di fondersi con le culture di persone sconosciute, dando vita ad una solo cultura, quella latinoamericana, che ha valorizzato, esaltato e difeso fino alla morte. In questo senso, ed interpretandone questo significato, molti poeti gli hanno dedicato versi, dimostrando che essere meticci significa per prima cosa possedere una straordinaria apertura mentale. Tra le tante che gli sono state tributate, tre poesie in particolare ritengo siano le più significative riguardo alla questione meticcia. La prima è El hombre del siglo XXI, scritta da Jaime Galarza Zavala.
"Adiós y nos veremos
en la victoria siempre.
Voluntario del hombre.
…
Cuidado con el Che! rugía el amo.
Cuidado con el Che! aullaba el oro.
Cuidado con el Che! rogaban los vasallos.
Y los hombres clamaban silenciosos:
Cuídale, tierra, mira a quíen te llevas,
cuídale, bosque, cuídale, montaña.
Hazle una fortaleza, esclavo, con tus grillos,
escóndelo, minero, al fondo de la mina,
disfrázalo de trigo, indio sin trigo,
amor, salid en su defensa,
caminos, llevadle hasta el refugio,
ríos
lluvia
rocío:
haced que el agua no le falte!
…
Y a pecho descubierto,
se lanzó a conquistar la flor
con la metralla
desde los desfiladeros de Nanahuazú
hasta el barranco en donde vivo
le capturó la muerte asalariada
para irlo matando por pedazos
gota a gota
segundo tras segundo
ráfaga tras ráfaga,
en un rincón andino,
donde el viento aún lo anda llamando.
Pero la muerte llegó tarde.
Ya él había ganado la batalla
porque ya preso y derrotado y muerto
desde ese instante en todas las montañas
se oye cantar la fuerza de su paso,
en toda América madruga su palabra."
"Addio e ci vedremo
nella vittoria, sempre.
Volontario dell’uomo.
…
Attenzione al Che! ruggiva il padrone.
Attenzione al Che! ululava l’oro.
Attenzione al Che! pregavano i vassalli.
E gli uomini clamavano in silenzio:
Abbi cura di lui, terra, guarda chi porti via,
curalo, bosco, curalo, montagna
Fagli una fortezza, schiavo, con le tue catene,
nascondilo, minatore, in fondo alla miniera,
mascheralo di grano, indio senza grano,
amore, parti in sua difesa,
strade, portatelo sino al rifugio,
fiumi
pioggia
rugiada
fate in modo che non gli manchi l’acqua!
…
E a petto scoperto,
si lanciò a conquistare il fiore
con le armi da fuoco
dalle gole di Nancahuazú
fino al precipizio dove vivo
lo catturò la morte stipendiata
per ucciderlo a pezzi
goccia a goccia
un secondo dopo l’altro
una raffica dopo l’altra,
in un cantone andino,
dove ancora lo chiama il vento.
Ma la morte giunse tardi.
Lui ormai aveva vinto la battaglia
perché prigioniero e sconfitto e morto
sin da quell’istante in tutte le montagne
si sente cantare la forza del suo passo,
nelle Americhe la sua parola fa l’alba."
I versi più salienti di Zavala appaiono senza dubbio quelli in cui fa riferimento allo schiavo, al minatore, all’indio che diventano motivo di lotta per il Che e parte integrante del suo stesso cammino leggendario.
Ritorna così evidente il significato preponderante del concetto meticcio, e del “meticcio” Che Guevara, vale a dire saper accogliere e saper unificare realtà diverse tra loro e da se stessi.
La seconda poesia da ricordare è Les guérilleros di Jean Ferrat.
"Avec leurs barbes noires,
leurs fusils démodés,
leurs treillis délavés
comme drapeau d’espoir,
ils ont pris le parti
de vivre pour demain
ils ont pris le parti
des armes à la main.
S’ils sont une poignèe
ceux qui suivent leur chemin,
avant qu’il soit demain,
ils seront des milliers.
Il y a peu de temps
que le monde est sierra,
que tout un continent
rime avec Guevara.
Ce qu’ils ont dans le coeur
s’exprime simplement:
des mots pleins de doucer,
des mots rouges de sang.
Cent millions de métis
savent de quel côté
se trouve la justice
comme la dignité.
De petis mots bien lisses
qui valent une armée
et toutes vos polices
ne pourront rien changer.
Mes frères qui savez
que les plus belles fleurs
poussent sur le fumier,
voici que sonne l’heure.
Les guérilleros, les guérilleros."
"Con le loro barbe nere
i loro fucili sorpassati
le loro divise consumate
come la bandiera della speranza
hanno scelto la strada
di vivere per il domani
hanno scelto la strada
di impugnare le armi.
Se quelli che li seguono
sono ancora un pugno
prima di domani
saranno migliaia
Solo da poco tempo
il mondo è Sierra
e tutto un continente
rima con Guevara.
Ciò che hanno nel cuore
si esprime con semplicità
parole piene di dolcezza
parole rosse di sangue
Cento milioni di meticci
sanno da che parte
si trova la giustizia
e insieme la dignità.
Brevi e schiette parole
che valgono un esercito
e che nessuna polizia
potrà mai cambiare
Fratelli miei che sapete
che i più bei fiori
nascono dal letame
ecco sta suonando l’ora.
I guerriglieri, i guerriglieri."
In questo caso appare legittimo l’intento di Ferrat di sottolineare come il Che abbia saputo trasmettere i suoi grandi valori morali e culturali agli uomini che lottavano con lui, e che non si riducevano solo ad un manipolo di guerriglieri, ma ad un vero esercito che non faceva solo delle armi, ma anche e soprattutto degli ideali e della propensione al sacrificio per gli oppressi, la vera forza della lotta intrapresa. Erano dunque come il Che guerriglieri di rivolta, ma anche di cultura.
La terza poesia, infine, è Monumento de sangre al guerrillero di Mahfud Massis.
"Oh, Capitán,
gallo vulnerable para nuestro ánimo de inveteradas meretrices, garrapatas
del orden, del buen sentido, de la cama
cuajada de libélulas, en tanto el negro, el indio, o el esclavo blanco
de Latinoamérica echan humo de costillar rojo, olvidados, como bastón
de ciego en la posada del asesino,
con grandes piedras de pus en las mandíbulas,
con bragueros de sangre, con esputos de sangre, con meollos de sangre;
millones
de cristos crucificados te aguardan en el estercolero, miríadas de niños,
diurnos,
heridos, extrangulados pájaros,
niños parados a la puerta del horno.
…
Yo, poeta
de esta tierra miserable y enorme, vendedor
de huevos funerarios, también estoy herido. Miro
el costado izquierdo de mi corazón, cae sangre, congoja sobre mi mano
sin gatillo que oprimir, sin noche que desollar, sin una muerte que
justificar,
sin un día para morir…
Yo te saludo esta madrugada, decapitado Capitán. De tus entrañas
rotas,
de tus manos cortadas
bajará el último rayo: el águila precederá a los guerrilleros,
pálidos y seguros junto al tigre escarlata de la noche,
…
y una
VOZ, una sola,
como golondrina de sangre que atraviesa el firmamento de hielo,
estremecerá el tuétano de la eternida y los siglos errabundos:
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE !"
"Oh, Capitano
gallo invulnerabile al nostro animo di inveterate meretrici
zecche
dell’ordine, del buon senso, del letto
gremito di libellule, mentre il negro, l’indio, o lo schiavo bianco
dell’America Latina mandano fumo di costata rossa, dimenticati come bastone
di cieco in casa dell’assassino
con grandi pietre di pus nelle mascelle
con lacci di sangue, con sputi di sangue, con midolli di sangue
milioni
di cristi crocifissi ti aspettano nello sterco, miriade di bambini
diurni
feriti, strozzati uccelli
bambini fermi sulla porta del forno
…
Anch’io, poeta
di questa terra miserabile e enorme, venditore
di uova funerarie, sono ferito. Guardo
il lato sinistro del mio cuore cade il sangue, soffre sulla mia mano
senza un grilletto da premere, senza una notte da scorticare, senza una morte da
giustificare
senza un giorno per morire
…
Io ti saluto in quest’alba, decapitato Capitano. Dalle tue viscere
rotte
dalle tue mani tagliate
scenderà l’ultimo fulmine: l’aquila precederà i guerriglieri
pallidi e sicuri insieme alla tigre scarlatta della notte
e una
VOCE, solo una
come rondine di sangue che attraversa il firmamento di ghiaccio
scuoterà la polpa dell’eternità e i secoli errabondi
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE."
Anche in Massis ricorre il tema del sacrificio, della predisposizione di Guevara a capire e conoscere “l’altro”, così come la capacità di unire in un ideale ed in una cultura persone diverse tra loro come il negro, l’indio, lo schiavo; un aspetto già rilevato da Zavala e comunque ricorrente nelle varie poesie dedicate al Che. Alla luce di quanto detto circa l’identità meticcia di Ernesto Guevara, intesa soprattutto come condizione culturale, la considerazione da trarne è che il meticcio non è quella persona non definibile, non apprezzata, incolta, emarginata e da sempre considerata inferiore dalla cultura occidentale e nell’immaginario comune degli europei, ma un uomo caratterizzato da una enorme ricchezza spirituale e per natura predisposto alla conoscenza dell’altro e del diverso; il suo essere ibrido gli permette così di elevarsi al di sopra degli altri uomini in quanto dotato di una predisposizione alla comparazione della diversità, che è sinonimo di ricchezza. In questo modo il meticcio, proprio perché formato e arricchito non da una ma da molte culture, è da considerarsi non inferiore bensì superiore.
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