"ما برای آزادی می رزمیم
زیرا زیستن در زیر چتر بردگی پست ترین نوع زنده گی است. زیرا زیستن در زیر چتر بردگی پست ترین نوع زنده گی است.
برای حیات مادی همه چیز را میتوان داشت آب نان و مسکن. برای حیات مادی همه چیز را میتوان داشت آب نان و مسکن. ولی اگر آزادی ما برباد رفت اگر غرور ملی ما درهم شکسته شد واگر استقلال ما نابود گشت در آن صورت این زنده گی برما کوچکترین لذت نخواهم داشت" ولی اگر آزادی ما برباد رفت اگر غرور ملی ما درهم شکسته شد واگر استقلال ما نابود گشت در آن صورت این زنده گی برما کوچکترین لذت نخواهم داشت "
احمد شاه مسعود
Noi siamo per la libertà prima di tutto.
Perché vivere sotto la cappa della schiavitù non è più vita degna di essere vissuta.
Non tutto può ridursi a ciò che materialmente è necessario alla vita: pane, acqua e un tetto. La nostra libertà andrà sprecata se l'orgoglio nazionale viene meno e se si distrugge la nostra indipendenza. A quel punto anche la vita più modesta non sarà soddisfacente.
Ahmad Shah Massoud
Ahmad Shah Massoud, nato il 9 gennaio del 1953 a Jangalak, nel nord dell'Afghanistan, fu comandante rispettato e amato dei combattenti islamici per la resistenza afghana contro l’invasione sovietica prima e contro il regime dei talebani poi, i mujaheddin dell'Alleanza del Nord.
Il suo sogno era un Afghanistan libero e indipendente. Per anni ha difeso la sua gente nella valle del Panjshir contro la follia talebana, combattendo per un Islam democratico. Era un uomo di pace, desiderava la pace, anche se poi è stato da qualcuno definito come un "signore della guerra". Quel che è certo è che, oltre ad essere un ammirevole uomo di cultura, amante della poesia, si dimostrò un grande stratega militare.
Per milioni di persone alla ricerca degli ultimi avventurieri è stato un'icona come Che Guevara, l'ideale romantico del guerrigliero intellettuale. Sembrava un poeta della beat generation, con il suo copricapo tipico delle popolazioni dell'Hindu Kush indossato sempre di traverso e un'espressione esistenzialista negli occhi.
Avrebbe voluto essere architetto quando, da adolescente, studiava al Liceo Francese di Kabul. Sapeva parlare cinque lingue, aveva studiato alla scuola di grammatica di Bazarak, aveva avuto un'educazione religiosa alla moschea Masjed-e-Jame di Herat. Il destino lo ha voluto mujahidin, combattente per la libertà dell'Afghanistan fino alla fine.
Era il natale del 1979 quando le truppe sovietiche varcarono, su ordine di Breznev, i confini dello stato afghano. Iniziò la lotta con soli 20 uomini, 10 kalashnicov, una mitragliatrice e due lanciarazzi rpg.
I suoi riferimenti erano Che Guevara, Ho Chi Min, tattiche rivoluzionarie adattate alla situazione Afghana. Nel corso di poco più di venti anni ha sconfitto il dittatore afghano Muhammad Daoud e l'Armata Rossa dell'Unione Sovietica.
Riuscì per anni a respingere l’esercito sovietico, memorabilmente in sette occasioni, attraverso un'organizzazione strategica che a volte sconfinava nella leggenda: iniziò a circolare la voce che fosse invisibile, invincibile, riuscendo addirittura a trovarsi su tutti i fronti di battaglia, là dove ci fosse bisogno di lui… E riuscendo, fuor di leggenda, a sfuggire a tutti gli agguati e gli accerchiamenti dei più esperti generali sovietici.
Stremata dall'abilità e dall'orgogliosa fermezza difensiva dei mujaheddin, l’inutile e sanguinosa invasione sovietica terminò nel 1989, dopo gli accordi di Ginevra sottoscritti nell’aprile dell’anno precedente.
Nel 1992 i mujaheddin riuscirono a riconquistare Kabul, dove si insediò un governo presieduto da Buranuddin Rabbani, il leader del partito Jamiat-i-Islami, la formazione dei mujaheddin tagichi cui apparteneva lo stesso Massoud, che venne nominato Ministro della Difesa. Non tutte le fazioni dei mujaheddin furono però disposte a riconoscere la sua autorità; si entrò così in una vera e propria guerra civile per il controllo della capitale Kabul.
A sostegno del governo Rabbani e di Massoud intervenne la Russia di Boris Eltsin, con la volontà di mantenere inalterata la sua influenza sulla regione, ereditata dall’ex Unione Sovietica. La più agguerrita tra le fazioni ribelli era quella costituita dai pashtun, riuniti nel partito Hizb-i-Islami guidato dal fondamentalista Gulbuddin Hekmatyar. Il gruppo era appoggiato dal Pakistan e dall’Arabia Saudita, con il beneplacito (e i rifornimenti militari) degli Stati Uniti, ormai da anni, dalla Guerra Fredda con l’URSS, coinvolti nella zona.
La fazione che si prese la responsabilità di conquistare il nuovo Afghanistan era quella guidato dal mullah Mohammed Omar, al comando di un vero e proprio esercito formato dagli studenti delle scuole coraniche: i talebani. Kabul fu conquistata nel settembre del 1996 e Rabbani fu costretto a rifugiarsi nel nord del paese.
Da qui, esattamente dalla zona del Panjshir, il generale Massoud inizierà a condurre la nuova resistenza contro il nemico talebano, guidando l’Alleanza nel Nord, un raggruppamento che riuniva tutti i gruppi mujahedin non pashtun. Tra questi vi erano i tagichi, gli uzbeki, gli hazara e gli sciiti.
Nel Panjshir si realizzerà completamente la leggenda di Massoud, la sua immagine di guerrigliero moderno, armato di telefono satellitare e di amore per il proprio popolo, per la libertà e i diritti civili delle donne (qui i maggiori contrasti con le fazioni pashtun), per l'adorata moglie ed i suoi quattro figli. E con la speranza di creare un paese democratico, colto e moderno.
Il soprannome che si era meritato fu quello di Leone del Panjshir. L'essere sfuggito ad innumerevoli accerchiamenti dei più duri generali russi ed essere stato in grado di tenere in scacco le orde nere dei talebani, può essere considerato da molti un miracolo.
Ahamad Shah Massoud è stato una leggenda che è nata non a caso in una terra che ha conosciuto figure mitiche come Alessandro Magno (Eskandar) e Tamerlano(Timur).
زیرا زیستن در زیر چتر بردگی پست ترین نوع زنده گی است. زیرا زیستن در زیر چتر بردگی پست ترین نوع زنده گی است.
برای حیات مادی همه چیز را میتوان داشت آب نان و مسکن. برای حیات مادی همه چیز را میتوان داشت آب نان و مسکن. ولی اگر آزادی ما برباد رفت اگر غرور ملی ما درهم شکسته شد واگر استقلال ما نابود گشت در آن صورت این زنده گی برما کوچکترین لذت نخواهم داشت" ولی اگر آزادی ما برباد رفت اگر غرور ملی ما درهم شکسته شد واگر استقلال ما نابود گشت در آن صورت این زنده گی برما کوچکترین لذت نخواهم داشت "
احمد شاه مسعود
Noi siamo per la libertà prima di tutto.
Perché vivere sotto la cappa della schiavitù non è più vita degna di essere vissuta.
Non tutto può ridursi a ciò che materialmente è necessario alla vita: pane, acqua e un tetto. La nostra libertà andrà sprecata se l'orgoglio nazionale viene meno e se si distrugge la nostra indipendenza. A quel punto anche la vita più modesta non sarà soddisfacente.
Ahmad Shah Massoud
Ahmad Shah Massoud, nato il 9 gennaio del 1953 a Jangalak, nel nord dell'Afghanistan, fu comandante rispettato e amato dei combattenti islamici per la resistenza afghana contro l’invasione sovietica prima e contro il regime dei talebani poi, i mujaheddin dell'Alleanza del Nord.
Il suo sogno era un Afghanistan libero e indipendente. Per anni ha difeso la sua gente nella valle del Panjshir contro la follia talebana, combattendo per un Islam democratico. Era un uomo di pace, desiderava la pace, anche se poi è stato da qualcuno definito come un "signore della guerra". Quel che è certo è che, oltre ad essere un ammirevole uomo di cultura, amante della poesia, si dimostrò un grande stratega militare.
Per milioni di persone alla ricerca degli ultimi avventurieri è stato un'icona come Che Guevara, l'ideale romantico del guerrigliero intellettuale. Sembrava un poeta della beat generation, con il suo copricapo tipico delle popolazioni dell'Hindu Kush indossato sempre di traverso e un'espressione esistenzialista negli occhi.
Avrebbe voluto essere architetto quando, da adolescente, studiava al Liceo Francese di Kabul. Sapeva parlare cinque lingue, aveva studiato alla scuola di grammatica di Bazarak, aveva avuto un'educazione religiosa alla moschea Masjed-e-Jame di Herat. Il destino lo ha voluto mujahidin, combattente per la libertà dell'Afghanistan fino alla fine.
Era il natale del 1979 quando le truppe sovietiche varcarono, su ordine di Breznev, i confini dello stato afghano. Iniziò la lotta con soli 20 uomini, 10 kalashnicov, una mitragliatrice e due lanciarazzi rpg.
I suoi riferimenti erano Che Guevara, Ho Chi Min, tattiche rivoluzionarie adattate alla situazione Afghana. Nel corso di poco più di venti anni ha sconfitto il dittatore afghano Muhammad Daoud e l'Armata Rossa dell'Unione Sovietica.
Riuscì per anni a respingere l’esercito sovietico, memorabilmente in sette occasioni, attraverso un'organizzazione strategica che a volte sconfinava nella leggenda: iniziò a circolare la voce che fosse invisibile, invincibile, riuscendo addirittura a trovarsi su tutti i fronti di battaglia, là dove ci fosse bisogno di lui… E riuscendo, fuor di leggenda, a sfuggire a tutti gli agguati e gli accerchiamenti dei più esperti generali sovietici.
Stremata dall'abilità e dall'orgogliosa fermezza difensiva dei mujaheddin, l’inutile e sanguinosa invasione sovietica terminò nel 1989, dopo gli accordi di Ginevra sottoscritti nell’aprile dell’anno precedente.
Nel 1992 i mujaheddin riuscirono a riconquistare Kabul, dove si insediò un governo presieduto da Buranuddin Rabbani, il leader del partito Jamiat-i-Islami, la formazione dei mujaheddin tagichi cui apparteneva lo stesso Massoud, che venne nominato Ministro della Difesa. Non tutte le fazioni dei mujaheddin furono però disposte a riconoscere la sua autorità; si entrò così in una vera e propria guerra civile per il controllo della capitale Kabul.
A sostegno del governo Rabbani e di Massoud intervenne la Russia di Boris Eltsin, con la volontà di mantenere inalterata la sua influenza sulla regione, ereditata dall’ex Unione Sovietica. La più agguerrita tra le fazioni ribelli era quella costituita dai pashtun, riuniti nel partito Hizb-i-Islami guidato dal fondamentalista Gulbuddin Hekmatyar. Il gruppo era appoggiato dal Pakistan e dall’Arabia Saudita, con il beneplacito (e i rifornimenti militari) degli Stati Uniti, ormai da anni, dalla Guerra Fredda con l’URSS, coinvolti nella zona.
La fazione che si prese la responsabilità di conquistare il nuovo Afghanistan era quella guidato dal mullah Mohammed Omar, al comando di un vero e proprio esercito formato dagli studenti delle scuole coraniche: i talebani. Kabul fu conquistata nel settembre del 1996 e Rabbani fu costretto a rifugiarsi nel nord del paese.
Da qui, esattamente dalla zona del Panjshir, il generale Massoud inizierà a condurre la nuova resistenza contro il nemico talebano, guidando l’Alleanza nel Nord, un raggruppamento che riuniva tutti i gruppi mujahedin non pashtun. Tra questi vi erano i tagichi, gli uzbeki, gli hazara e gli sciiti.
Nel Panjshir si realizzerà completamente la leggenda di Massoud, la sua immagine di guerrigliero moderno, armato di telefono satellitare e di amore per il proprio popolo, per la libertà e i diritti civili delle donne (qui i maggiori contrasti con le fazioni pashtun), per l'adorata moglie ed i suoi quattro figli. E con la speranza di creare un paese democratico, colto e moderno.
Il soprannome che si era meritato fu quello di Leone del Panjshir. L'essere sfuggito ad innumerevoli accerchiamenti dei più duri generali russi ed essere stato in grado di tenere in scacco le orde nere dei talebani, può essere considerato da molti un miracolo.
Ahamad Shah Massoud è stato una leggenda che è nata non a caso in una terra che ha conosciuto figure mitiche come Alessandro Magno (Eskandar) e Tamerlano(Timur).
Il suo Islam era gentile come il sapore delle pesche del Panjshir, niente di simile alla versione demenziale dei talebani. Il più profondo contrasto tra la sua concezione dell'Islam e quella dei talebani riguardava la condizione femminile, su questo argomento si trovava spesso in contrasto anche con gli altri leader dell'Alleanza del Nord.
Il suo sogno era quello di costruire una Università nel Panjshir, soprattutto per dare la possibilità alle donne afgane di studiare, avere un ruolo attivo nel governo del paese e dare inizio ad una emancipazione dal ruolo che tradizionalmente è a loro riservato in Afghanistan.
In una intervista fu chiesto a Massoud come vedeva il futuro: "Per essere onesto, mi piacerebbe passare il resto della vita a ricostruire il mio paese".
Massoud dormiva meno di quattro ore per notte. Ufficialmente era il vice presidente dello Stato Islamico dell'Afghanistan, l'unico governo del paese, riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma che controllava solo il 10% del territorio. Con l'ausilio di un telefono satellitare e walkie-talky coordinava la lotta finanziata con i proventi della vendita di smeraldi e lapislazuli estratti dalle miniere della sua valle.
Nei rari momenti di sosta tornava a casa dalla moglie e dai quttro figli soffermandosi nella sua libreria contenente più di 3000 volumi di cui molti antichissimi.
Secondo gli astrologi afghani avrebbe dovuto vivere altri 40 anni, ma così purtroppo non è stato. Gli sarebbe bastato molto meno per vedere un Afghanistan libero. Avrebbe avuto il tempo di dedicarsi finalmente alle partite a scacchi con gli amici ed alla lettura delle poesie persiane che tanto amava, nella sua casa nella valle che sembra la materializzazione di Shangri-La.
Dopo altri cinque anni di lotta, di passione, di organizzazione, il 9 settembre 2001, a Khvajeh Baha od Din, il Comandante Massoud fu ucciso da due terroristi arabi suicidi, spacciatisi per giornalisti marocchini. Aveva 48 anni. Nella logica dei talebani il suo assassinio avrebbe dovuto impedire all'Alleanza del Nord di liberare il Paese con il prevedibile appoggio degli Stati Uniti.
Due giorni dopo, l’11 settembre, gli eventi di New York determineranno il diretto intervento degli Stati Uniti. Non fu così Massoud a liberare il suo popolo, ma fu lui, probabilmente, ad insegnargli il valore della libertà.
Nel 2002 venne candidato postumo al Premio Nobel per la Pace ed al Premio Sakharov, istituito dal Parlamento europeo per coloro che si distinguono nel campo della lotta per dei diritti dell'uomo. Per tutto il Panjsher Massoud resta un eroe, un vero shaheed. Per tutti noi resta l'esempio di una persona nobile e coraggiosa.
Un’aquila vola alta e solitaria sopra la valle che si restringe, assumendo la forma di un orrido imbuto. Per gli afghani l’aquila è il simbolo del comandante Massoud. Lui ne incarna la forza regale e l’astuzia, e secondo la leggenda ce n’è sempre una a far da sentinella al guerriero indomabile.
Fausto Biloslavo
[per le fonti: Matteo Liberti, Giovanni Checcucci]
Il suo sogno era quello di costruire una Università nel Panjshir, soprattutto per dare la possibilità alle donne afgane di studiare, avere un ruolo attivo nel governo del paese e dare inizio ad una emancipazione dal ruolo che tradizionalmente è a loro riservato in Afghanistan.
In una intervista fu chiesto a Massoud come vedeva il futuro: "Per essere onesto, mi piacerebbe passare il resto della vita a ricostruire il mio paese".
Massoud dormiva meno di quattro ore per notte. Ufficialmente era il vice presidente dello Stato Islamico dell'Afghanistan, l'unico governo del paese, riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma che controllava solo il 10% del territorio. Con l'ausilio di un telefono satellitare e walkie-talky coordinava la lotta finanziata con i proventi della vendita di smeraldi e lapislazuli estratti dalle miniere della sua valle.
Nei rari momenti di sosta tornava a casa dalla moglie e dai quttro figli soffermandosi nella sua libreria contenente più di 3000 volumi di cui molti antichissimi.
Secondo gli astrologi afghani avrebbe dovuto vivere altri 40 anni, ma così purtroppo non è stato. Gli sarebbe bastato molto meno per vedere un Afghanistan libero. Avrebbe avuto il tempo di dedicarsi finalmente alle partite a scacchi con gli amici ed alla lettura delle poesie persiane che tanto amava, nella sua casa nella valle che sembra la materializzazione di Shangri-La.
Dopo altri cinque anni di lotta, di passione, di organizzazione, il 9 settembre 2001, a Khvajeh Baha od Din, il Comandante Massoud fu ucciso da due terroristi arabi suicidi, spacciatisi per giornalisti marocchini. Aveva 48 anni. Nella logica dei talebani il suo assassinio avrebbe dovuto impedire all'Alleanza del Nord di liberare il Paese con il prevedibile appoggio degli Stati Uniti.
Due giorni dopo, l’11 settembre, gli eventi di New York determineranno il diretto intervento degli Stati Uniti. Non fu così Massoud a liberare il suo popolo, ma fu lui, probabilmente, ad insegnargli il valore della libertà.
Nel 2002 venne candidato postumo al Premio Nobel per la Pace ed al Premio Sakharov, istituito dal Parlamento europeo per coloro che si distinguono nel campo della lotta per dei diritti dell'uomo. Per tutto il Panjsher Massoud resta un eroe, un vero shaheed. Per tutti noi resta l'esempio di una persona nobile e coraggiosa.
Un’aquila vola alta e solitaria sopra la valle che si restringe, assumendo la forma di un orrido imbuto. Per gli afghani l’aquila è il simbolo del comandante Massoud. Lui ne incarna la forza regale e l’astuzia, e secondo la leggenda ce n’è sempre una a far da sentinella al guerriero indomabile.
Fausto Biloslavo
[per le fonti: Matteo Liberti, Giovanni Checcucci]
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