I cambiamenti nel contesto mondiale
La caduta dei regimi dell’Urss e dell’Europa orientale ebbe un enorme impatto su Cuba. L’economia cubana entrò nella fase più critica della sua storia. La scomparsa dei regimi dell’Est significò anche un brusco cambiamento nelle relazioni mondiali. Gli imperialisti, di fronte alla caduta dei paesi ad economia pianificata, reagirono euforicamente e si affrettarono a pronosticare l’avvento di una nuova era nella storia della umanità, un’epoca di pace e prosperità. Alcuni si spinsero a teorizzare persino la soppressione delle disuguaglianze.
Il capitalismo però ha offerto ai popoli del mondo uno scenario ben diverso. Il predominio assoluto di una sola superpotenza militare ed economica, gli Usa, combinato alla maturazione di una acuta crisi di sovrapproduzione su scala mondiale, portò ad una situazione il cui aspetto più generale e caratteristico è l’enorme instabilità del capitalismo su tutti i terreni. Ciò ha comportato la crescita delle tensioni interimperialistiche, il ritorno alla guerra come strumento di dominio militare diretto (come nel caso dell’Afghanistan e dell’Iraq), la crisi delle strutture politiche internazionali che per decenni avevano assicurato una certa stabilità, come l’Onu, l’esacerbarsi di tensioni protezioniste e dei conflitti commerciali e infine il cambiamento dei rapporti di forza tra le classi.
Il XXI secolo si è aperto con la rivoluzione in Ecuador, che ha dato il via ad una fase di generale ascesa rivoluzionaria in America latina. Nei paesi capitalisti avanzati la borghesia ha lanciato un’offensiva all’ultimo sangue contro tutte le conquiste sociali che avevano reso possibile il miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione dopo il secondo dopoguerra. In questi ultimo decennio si è manifestata in tutta la sua gravità la crisi del modello basato sul compromesso sociale in cambio di riforme praticato dai partiti socialdemocratici ed ex-stalinisti.
La situazione sta aggravandosi anno dopo anno ed ormai sono chiaramente visibili i sintomi del crescente malcontento sociale. Tutto ciò si è espresso in una nuova esplosione della lotta di classe culminata in numerosi scioperi generali in tutta Europa o nelle manifestazioni di massa contro la guerra. La stessa opposizione crescente alla guerra in Iraq tra la popolazione americana è un sintomo di questo malessere.
Il contesto nel quale si colloca oggi la rivoluzione cubana è quindi molto cambiato. Aver saputo resistere alla tremenda ondata reazionaria che seguì alla caduta dei regimi dell’Est è già di per sé una grande conquista. Cuba continua ad essere un potente simbolo della lotta anticapitalista nel mondo, particolarmente per le masse latinoamericane ma non solo.
La persecuzione imperialista non ha allentato la sua morsa e l’embargo imposto dagli Usa continua. Le difficoltà che deve fronteggiare una piccola economia come quella cubana nell’oceano in tempesta che è l’economia mondiale non si sono per nulla attenuate. La crisi economica, sociale e politica che sta soffrendo il capitalismo su scala mondiale non ha precedenti dagli anni ’30 e sta producendo un risultato che gli strateghi del capitalismo mondiale non si auguravano. Il pendolo torna a oscillare verso sinistra, specialmente in America latina. La stessa sopravvivenza del capitalismo è minacciata in paesi come il Venezuela e la Bolivia, ecc..
Gli sviluppi storici tornano più che mai a legare in modo indissolubile il futuro della rivoluzione cubana al futuro della rivoluzione mondiale. È proprio in questo contesto – nel quale Cuba ha perso i punti d’appoggio che aveva nell’Urss e nell’Europa orientale, ma allo stesso tempo si sono aperti processi rivoluzionari in America latina e in altri paesi del mondo – che diviene ancora più evidente la necessità di un vero orientamento rivoluzionario. L’unica difesa per la rivoluzione cubana è mettere in discussione il dominio del capitalismo su tutto il mondo.
I cambiamenti a Cuba negli anni ‘90
La caduta degli Stati cosiddetti socialisti fa da sfondo a tutta una serie di trasformazioni nella società cubana che sono la chiave per capire la situazione attuale e le prospettive che si aprono per l’isola. Più del 40% del commercio estero si realizzava con l’Urss, mentre l’80% degli scambi si realizzavano con i paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia.
L’Urss vendeva petrolio a Cuba a prezzi molto economici, che in seguito veniva in parte rivenduto a prezzo di mercato, garantendo così a Cuba la possibilità di accumulare valuta forte. L’Urss era di gran lunga il maggior acquirente dello zucchero cubano, la principale risorsa produttiva dell’isola.
La scomparsa del blocco stalinista ebbe conseguenze catastrofiche per l’economia cubana. Tra il 1989 e il 1993 il Pil, ovvero la ricchezza creata nell’isola, cadde del 35%, una cifra drammatica. Prima che tutto venisse travolto dalla catastrofe economica, i dirigenti cubani lanciarono nel 1991 il cosiddetto “Periodo speciale”. Di fatto si trattava dell’introduzione di misure tipiche di una “economia di guerra” per far fronte alla crisi. A costo di un drastico abbassamento del livello di vita della popolazione vennero tagliate tutte le spese. Le risorse così reperite furono impiegate per stimolare la produzione di merci per l’esportazione, a danno del mercato interno, al fine di ottenere il massimo di valuta convertibile sui mercati internazionali con la quale comprare i prodotti e le parti di ricambio (essenziali per assicurare il funzionamento complessivo della società) che erano venuti improvvisamente a mancare con il crollo dell’Urss. È interessante segnalare che nonostante la contrazione accusata dall’economia, l’andamento della spesa sociale lungo tutto il decennio degli anni ‘90 ebbe un segno positivo, con l’unica eccezione del 1991.
Va segnalato però che, oltre alle restrizioni economiche già citate, durante il “Periodo speciale” si applicarono tutta una serie di provvedimenti il cui effetto destabilizzante sull’economia e sulla società metteva a rischio la stessa sopravvivenza dell’economia pianificata e tutti i vantaggi che ne derivavano dal punto di vista dello sviluppo del benessere sociale. Tra i provvedimenti più rilevanti c’erano: l’autorizzazione a creare imprese miste con capitale straniero e l’autorizzazione, per le imprese con il 100% di capitale nazionale, di operare in dollari (1992); la doppia circolazione monetaria, ovvero la coesistenza del Peso e del Dollaro (1993); l’incentivo all’autonomia imprenditoriale e la decentralizzazione del commercio estero.
Tutti questi fattori, in una situazione in cui mancava un controllo effettivo da parte dei lavoratori sull’economia e si era cristallizzata una burocrazia non soggetta al controllo politico da parte della popolazione, produssero effetti corrosivi sul morale e sulla pianificazione economica. I processi di differenziazione sociale ne risultarono inaspriti, favorendo in questo modo le forze della controrivoluzione capitalista.
La dollarizzazione
Uno studio sull’economia cubana evidenziava che “la dollarizzazione ha penetrato tutta l’economia cubana, non solo nel commercio e nei servizi al dettaglio riservati a quel settore della popolazione che in una forma o nell’altra ha accesso al dollaro, per il quale sempre più vengono aperte nuove Tiendas de Recuperacion en Divisas [una specie di uffici di cambio – Ndt] e servizi come caffetterie e ristoranti. Questo effetto (la dollarizzazione), si è esteso con forza anche al settore produttivo del combustibile, dell’energia, dei pezzi di ricambio e delle materie prime più importanti, tra gli altri. Il pagamento di questi beni con moneta convertibile deve essere accettato in misura sempre maggiore dagli Organismi. Negli ultimi anni l’indice di dollarizzazione è cresciuto.
Gonzalez A., nel suo lavoro Il nuovo modello delle finanze interne, pubblicato sulla rivista Cuba: Investigazione Economica dell’INIE n° 2 dell’aprile-giugno del 1999 alla pagina 22 spiega: ‘negli ultimi anni l’indice di dollarizzazione è incrementato dal 45% del 1996 al 49% del 1997 e al 53% del 1998, la qual cosa è indicativa di un deterioramento nelle funzioni della moneta nazionale con la sostituzione relativa della stessa con il dollaro sia nel calcolo del reddito, sia nel consumo di moneta’. Alcuni specialisti stimano che questo indice ha continuato ad incrementarsi e che alla chiusura del 2000 possa aver raggiunto il 58-60% circa”.
È evidente che la doppia circolazione monetaria ha introdotto gravi squilibri sociali ed economici, potenziati inoltre dalla grande differenza che c’è tra il cambio ufficiale e il mercato nero. Un abisso sempre più profondo separa quelli che posseggono dollari e quelli che non ne hanno.
Un rapporto della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal-Onu) dice: “Tra il 1989 e il 1992 i trasferimenti denominati in valuta convertibile verso Cuba aumentarono in modo significativo, a cominciare dalla legalizzazione del possesso di dollari nel 1993 i trasferimenti privati ebbero il maggior effetto macroeconomico, rappresentando un’importante fonte di entrate nette di moneta convertibile”. Altre fonti stimano che alla fine del 2000 i dollari ricevuti dall’isola per questa via superarono i 1.100 milioni.
La diminuzione del livello di vita, soprattutto durante la prima metà degli anni ‘90, è stata pari quasi al 50%, cosa che ha segnato un vero esodo di lavoratori da tutti i settori dell’economia verso il settore turistico, comportando un peggioramento costante degli altri servizi e della produttività del lavoro nei settori retribuiti in pesos. Perché lavorare per dei pesos che non valgono niente?
Le differenze sociali si riflettono chiaramente nell’andamento dei conti correnti bancari. “Nel periodo compreso tra il 1994 e il 1997 è possibile vedere che il numero di conti di maggiore entità passa dal 14,1% al 13,2%; tuttavia l’importo che questi concentrano si fa ogni volta maggiore, passando dal 77, 8% della liquidità totale all’85%, cosa che implica l’esistenza di disuguaglianze nella possibilità di godere delle opportunità”.
Commercio estero
Come abbiamo visto, la dollarizzazione ha avuto un impatto devastante sul funzionamento del settore produttivo, a cui vanno aggiunte le crepe aperte nel monopolio statale del commercio estero. Alcune imprese statali possono accedere per conto proprio al mercato mondiale. Le esportazioni permettono di ottenere dollari e vendere ad un prezzo più alto di quello del mercato interno. Se a questo aggiungiamo che a molte imprese statali è stato posto l’obiettivo concreto di raggiungere una determinata percentuale di dollari per il proprio funzionamento, non è difficile immaginare quanto sia importante per i dirigenti delle imprese statali vendere i loro prodotti nei negozi riservati a chi paga in dollari che esistono a Cuba e che già sono il canale di commercializzazione del 47% dei prodotti.
Eufemisticamente, i direttori delle imprese statali si trovano nella “difficoltà di garantire un’offerta in pesos”. In pratica questo sfocia in un aumento generale dei prezzi, cioè nell’inflazione, una malattia gravissima per un’economia pianificata. Secondo Bohemia (rivista cubana di analisi generale) tra gennaio e ottobre del 2003 la polizia ha scoperto 181 laboratori illegali, 525 fabbriche clandestine e 315 locali che servivano da magazzino, e di tutte le ispezioni realizzate in questo periodo (316.000) il 35% ha evidenziato violazioni nei prezzi.
L’inflazione si mangia il salario reale, anche se è vero che l’aumento dei prezzi non colpisce il salario sociale – ovvero i generi alimentari, i servizi, ed altro che lo stato fornisce gratuitamente alla popolazione – ma nella misura in cui il paniere base non può essere completamente soddisfatto con la produzione statale a prezzo fisso, si deve ricorrere ai negozi che accettano solo pagamenti in dollari. Inoltre, secondo uno studio del Centro di Investigazione Psicologica e Sociologica, con sede a L’Avana (Cips), più del 90% delle famiglie cubane ricorrono a qualche tipo di attività illecita per arrivare a fine mese. Fenomeni estinti come l’inflazione risorgono in modo allarmante.
Partecipazione del capitale straniero
La presenza del capitale straniero riguarda tutti i settori chiave dell’economia come il turismo, il nichel, i combustibili, la telefonia, l’industria alimentare, la siderurgia, la meccanica e i servizi. Il numero di joint ventures con il capitale straniero ha continuato ad aumentare passando da 20 nel 1990, a 226 nel 1995, a 403 nel 2002. Secondo uno studio, tra il 1993 e il 2001 il peso degli investimenti esteri diretti (Ied) sul totale della formazione lorda del capitale fisso è stato dell’8,2%, paragonabile alle cifre di molti paesi capitalisti50. Le esportazioni delle imprese in joint venture con il capitale straniero rappresentano una quota elevata e soprattutto crescente delle esportazioni totali: oltre il 40% negli ultimi anni.
Nel 2001 viene raggiunto un record storico nella produzione di nichel con 74.000 tonnellate, di cui quasi il 50% viene raggiunto dall’impresa mista Moa Nickel, a partecipazione canadese. Questa impresa è riuscita a mantenere sempre al di sopra del 40% (tra il 1995 e il 2001) la sua quota delle esportazioni totali di nichel. Nella ricerca e nello sfruttamento del petrolio sono stati firmati decine di contratti di esplorazione a rischio, nei quali partecipano imprese importanti di Canada, Francia, Regno Unito, Svezia, Brasile e Spagna. Nel 2001 il 40% del petrolio estratto a Cuba è stato estratto da Energas, impresa mista partecipata dalla canadese Sherritt. Esistono imprese miste di telefonia, alimentari, carne, ecc.. Los Portales SA è una joint venture tra l’impresa cubana Coralas e il gruppo multinazionale Nestlè. Questa impresa si dedica alla produzione e commercializzazione delle più importanti bibite e acque minerali nel paese. Gli investimenti esteri sono stati potenziati con la creazione delle “zone franche”, create per incentivare gli investimenti nelle attività finalizzate all’esportazione.
Esportazioni, turismo, zucchero, materie prime
Secondo il rapporto ufficiale relativo al 2003 pubblicato su El Pais il 12/02/2004, nel corso del 2003 il turismo ha registrato un incremento del numero delle visite superiore al 12%, con la cifra record di 1,9 milioni di turisti e l’aumento delle entrate turistiche è stato del 16%, superando i 2 miliardi di dollari. Il peso relativo del turismo nelle esportazioni totali di Cuba è cresciuto enormemente, se consideriamo che il valore totale delle sue esportazioni era di circa 5 miliardi di dollari.
Fino alla caduta dei regimi dell’est lo zucchero rappresentava l’80% delle esportazioni cubane (El Pais, 23/08/2002), ma le difficoltà relative alla produttività e ai prezzi internazionali hanno provocato un drastico ridimensionamento del settore, con la chiusura di 70 delle 156 fabbriche che producevano zucchero, la riduzione del 60% delle coltivazioni di canna da zucchero e la ricollocazione di 100.000 dei 400.000 cubani che lavoravano nel settore. Questi lavoratori non finiranno per la strada, come succede nei paesi capitalisti. Continueranno a ricevere il salario, potranno partecipare a corsi di formazione, ecc., ma anche per un’economia pianificata come Cuba, una riconversione di queste proporzioni rappresenta un problema di non facile soluzione.
Il raccolto dello zucchero del 2004 è stato il più basso da 70 anni a questa parte. Tanto è vero che nella prima volta nella sua storia Cuba ha dovuto importare zucchero dagli Usa per tener fede agli impegni internazionali che aveva assunto. Inoltre circa un milione di persone, il 10% della popolazione dell’isola, vivono nei bateyes [alloggi per operai agricoli - NdT] e nelle comunità rurali nate intorno ai luoghi di produzione dello zucchero destinati a chiudere.
Il peso del capitale privato nell’occupazione
Secondo dati dell’Annuario Statistico di Cuba, nell’anno 2000 il settore statale impiegherebbe il 77,5% della forza lavoro (2.978.200 lavoratori), a fronte del 22,5% del settore non statale (864.800). Tuttavia sarebbe necessario fare alcune considerazioni per valutare con maggiore esattezza la dipendenza reale dell’occupazione in funzione della titolarità pubblica o privata dell’impresa. Per esempio si contano nel settore statale “i lavoratori delle Agenzie di Lavoro incaricate di controllare la forza lavoro impiegata nelle società miste”, senza che il loro numero sia quantificato. In altre parole con queste cifre non si può stimare quanti lavoratori, anche stando sotto il controllo di un organismo statale, lavorano in relazione ad imprese con partecipazione privata.
È evidente che queste cifre non riflettono il peso reale che le imprese di questo tipo stanno raggiungendo nel mercato del lavoro. Così il grosso di quello che rientra nel settore non statale è costituito solo da cooperative di credito e servizi (8,7%) e settore privato nazionale (13,4%) che ingloba contadini indipendenti, piccoli proprietari terrieri e lavoratori autonomi.
Si contano nel settore statale anche i lavoratori delle Società Mercantili Cubane, che pur essendo di capitale pubblico, sono organizzate in forma giuridica come Società Anonime. In questo caso, però, i dati sono specificati: queste ultime impiegano il 4,2% della forza lavoro (160.300 lavoratori). Secondo El Pais (14/10/2001) sono 100.000 i cubani che lavorano nel settore turistico.
La quantità di lavoratori dipendenti dal settore privato comunque, non indica di per se stessa il grado di disgregazione dell’economia pianificata e di snaturamento della proprietà statale. Queste cifre vanno pesate da un punto di vista qualitativo combinandole con gli effetti della dollarizzazione, dell’autonomia imprenditoriale conferita alle imprese, ecc., che prima abbiamo segnalato.
Cambio di tendenza
Nei primi momenti, nel pieno del collasso economico derivato dalla caduta dell’Urss e dei paesi dell’est, le misure liberalizzatrici ebbero un effetto positivo per assicurare un parziale recupero dell’economia. Nell’arco di pochi anni però questa politica ha già rivelato i suoi limiti.
Si tratta di un processo che somiglia a quello che è avvenuto negli ultimi anni con le cosiddette “economie emergenti”. Dopo un periodo di boom dell’investimento estero, legato soprattutto al processo di privatizzazione, il flusso di capitali ristagna bruscamente. In parte perché i piani di privatizzazione vanno esaurendosi, in parte per la delicata situazione dell’economia mondiale. I capitali se ne vanno, ma le conseguenze negative restano.
Dopo un periodo di recupero, dal 6,2% del 1999 si è passati al 5,3% del 2000, al 2,5% del 2001, all’1,4% del 2002 e all’1,6% del 200351. Il turismo, è cresciuto più lentamente e anche il crollo dei prezzi delle materie prime ha avuto un impatto negativo sull’economia cubana. Secondo alcuni calcoli lo zucchero, il nichel e il tabacco costituiscono in totale i due terzi di tutte le esportazioni cubane. Stiamo assistendo ad un crollo generale dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale.
Sembra chiaro a questo punto che le misure liberalizzatrici hanno esaurito i vantaggi che potevano portare ma non per questo scompariranno gli effetti negativi che esse hanno portato nella società e nell’economia pianificata.
Ciò ha avuto un riflesso chiarissimo nelle differenti svolte attuate dal governo cubano durante gli ultimi anni. È evidente che all’inizio degli anni 90 c’erano illusioni, per lo meno in un settore significativo dei dirigenti cubani, rispetto al fatto che il mercato potesse risolvere tutti i problemi, anche se l’obiettivo avrebbe dovuto essere introdurre in modo graduale una specie di “capitalismo controllato”.
Molti fattori hanno inciso però nel senso contrario nell’ultimo periodo. Molto sintomatica la dichiarazione di un alto dirigente di un’impresa turistica straniera, che interpretava così l’intensa campagna contro la corruzione portata avanti in tutti i settori dell’economia, non solo in quello turistico: “Si sono resi conto che si tratta di un cancro che sta corrodendo da dentro la rivoluzione e che è più pericoloso di qualsiasi bomba Usa” (El Pais 07/03/2004).
Nel corso della campagna contro la corruzione sono stati rimossi vari dirigenti dell’impresa statale Cimex, che controlla 80 imprese e un migliaio di negozi, distributori di benzina, caffetterie, ed altri stabilimenti che offrono servizi in valuta. È ovvio che la dollarizzazione e l’altra serie di provvedimenti che già abbiamo commentato, combinati con l’assenza di un vero controllo da parte dei lavoratori, hanno sciolto le briglie all’avidità di un settore della burocrazia soprattutto quella che ha più occasioni di essere a contatto con il dollaro, con gli imprenditori stranieri e con il “modo di vita occidentale”.
Nel febbraio del 2004 è stato rimosso il ministro cubano del turismo Ibrahim Fernandez, senza che ne fosse spiegato ufficialmente il motivo. Nel mese di dicembre furono rimossi vari funzionari del Cubanacan, il gruppo turistico cubano più importante, per “omissione nella riscossione delle imposte e nel controllo”, per “gravi errori”, e così via. È ovvio ipotizzare che questa rimozione sia legata alla corruzione a sua volta legata al contatto con il dollaro, all’apertura di conti all’estero, ecc.
Secondo un recente articolo de El Pais, “a gennaio di quest’anno operavano sull’isola 342 joint ventures con imprese straniere, un 15% in meno del 2002” e un economista annotava che “i margini di autonomia garantiti negli anni ‘90 ad alcune imprese statali perché operassero in dollari e realizzassero i loro investimenti, così come l’autorizzazione a importare ed esportare direttamente, sono quasi scomparsi (...). Persino i funzionari più leali ammettono che l’apertura di piccoli spazi all’iniziativa privata e la decentralizzazione imprenditoriale avevano favorito un nuovo modo di pensare e una nuova classe più interessata al denaro che all’ideologia. Le autorità hanno capito che ciò, insieme alla corruzione, è un cancro più pericoloso per la rivoluzione che i missili degli Usa.” (09/06/2004).
Lo stesso articolo riporta che in un video ufficiale destinato ai quadri politici e ai responsabili economici del paese Raúl Castro critica apertamente il modo in cui è stato amministrato il settore turistico negli ultimi anni, e annuncia che sarà lui stesso ad occuparsi direttamente dello sviluppo di questo settore, che porta più dollari all’economia nazionale, più delle esportazioni di tabacco, di nichel e di zucchero messe insieme, di concerto con il nuovo ministro del ramo. “Raúl Castro, secondo le fonti, ha indicato tra i principali mali del MinTur (Ministero del Turismo) la mancanza di controllo e questo suo agire in completa autonomia, senza rendere conto alle istanze superiori. Ha annunciato che da subito si tornerà ad una fase di centralizzazione e di stretto controllo. Ha criticato, ad esempio, i ricevimenti, le costose feste e i numerosi viaggi all’estero di alcuni funzionari del settore, avvertendo che da quel momento ogni caso avrebbe avuto bisogno dell’approvazione del ministro”.
Tuttavia le misure punitive prese dall’alto in casi analoghi nell’Urss o anche, in passato, nella stessa Cuba non hanno mai colpito il nocciolo del problema. Come si è potuti arrivare a questa situazione? Si parla di rendere conto alle istanze superiori, ma che ne è del controllo dal basso? Questo problema semplicemente non viene neppure posto.
Prima di questi sviluppi vi erano state varie avvisaglie che la direzione cubana avesse intenzione di dare un taglio a queste tendenze fuori controllo. Nell’estate del 2001 venne creato il ministero contro la contaminazione capitalista, nell’ambito di una forte campagna per il recupero “della purezza rivoluzionaria”.
Lo stesso anno viene apportato un cambiamento costituzionale nel quale si afferma l’irreversibilità del carattere socialista di Cuba. Persistono però gli effetti corrosivi provocati dalle misure liberalizzatrici che si sommano all’inefficienza e alla corruzione distintive della presenza stessa di una burocrazia.
Haroldo Dilla è un investigatore sociale dell’Università della Repubblica Dominicana che da poco tempo collabora alle commissioni programmatiche del partito comunista cubano. Egli ha evidenziato che le forze armate cubane costituiscono il gruppo di potere più organizzato e con tentacoli che si estendono nell’economia; i militari saranno “un fattore chiave nella transizione, perno di qualsiasi negoziato”. Per Dilla i militari “sono rigidi nella sfera politica ma liberali in quella economica, e sarebbero disposti a cercare una via d’uscita conforme al modello cinese per Cuba, ma il futuro resta imprevedibile” (El Pais 06/12/2003).
Se la Cina deve essere lo specchio nel quale deve guardarsi Cuba, il futuro non potrebbe essere più scoraggiante per il popolo cubano. In Cina il dispotismo burocratico più selvaggio si combina con lo sfruttamento capitalista più spietato. Tutto indica che la transizione al capitalismo è sul punto di completarsi e la cosa più umiliante e che tutto è stato orchestrato dalla stessa cupola del Partito comunista cinese. In tutto ciò la grande maggioranza dei lavoratori e dei contadini cinesi ha solo visto peggiorate le sue già precarie condizioni di vita.
Difendere una prospettiva rivoluzionaria
Cuba è entrata in un momento decisivo della sua storia nel quale le idee autenticamente marxiste possono giocare un ruolo fondamentale. In questi anni è chiaro che molti rivoluzionari cubani, compresi molti che ricoprono ruoli di direzione nel Pcc e nello Stato cubano, stanno cercano un’alternativa all’impasse attuale.
Non esiste una via d’uscita se la rivoluzione cubana resta confinata dentro le sue frontiere. Nessuna formula magica può eludere il fatto che Cuba sia una piccola isola, la cui economia non può essere autosufficiente e deve fare i conti con l’economia mondiale dominata dalle potenze imperialiste. La stessa dinamica del commercio mondiale e lo scambio diseguale giocano contro l’economia cubana, come succede per gli altri paesi dell’America latina.
Secondo dati forniti da Elena Alvarez, dell’Istituto Nazionale di Investigazioni Economiche del Ministero dell’Economia e della Pianificazione, se nel 1990 si compravano 1,9 tonnellate di petrolio con una di zucchero, nel 2002 la quantità di petrolio si riduce a 0,7 tonnellate per la stessa quantità di zucchero. Secondo la specialista cubana, “la sfavorevole evoluzione dei prezzi ha determinato che negli ultimi cinque anni la perdita nelle ragioni di scambio sia pari a quasi il 40% (in relazione ai prezzi del 1997)”.
Per quanti provvedimenti si possano prendere per migliorare l’efficienza e diminuire la dipendenza dell’economia cubana – ci sono stati progressi evidenti nella produzione del petrolio, per esempio – è evidente che sussistono limiti insuperabili nel quadro delle relazioni commerciali mondiali segnate da una sfavorevole divisione internazionale del lavoro. Questo stato di cose può portare l’economia cubana ad una situazione critica e mettere in pericolo le stesse conquiste sociali della rivoluzione.
I problemi di un’economia pianificata circondata dal mare del capitalismo mondiale possono essere risolti solo con l’estensione della rivoluzione a livello mondiale, e in primo luogo all’America latina. Ciò non significa che per resistere non si debba ricorrere a provvedimenti eccezionali. Da un punto di vista marxista il fatto che uno Stato operaio possa fare concessioni limitate agli investimenti del capitale privato in situazioni economiche estreme, non rappresenta la violazione di nessun principio. I bolscevichi, per fronteggiare una situazione economica insostenibile, ricorsero alla Nep (Nuova Politica Economica), che permetteva lo sviluppo di attività economiche private, per favorire la produzione agraria, e rifornire così le città affamate. Il pericolo di questa politica non è rappresentato dagli investimenti stranieri in sé stessi, che chiaramente portano a un rafforzamento degli elementi filocapitalisti all’interno dello Stato operaio. Il vero punto è come si vuole controllare questa dinamica e in base a quale prospettiva.
Lenin spiegò sinceramente alle esauste masse sovietiche che la Nep era una concessione, un prodotto della enorme debolezza del giovane Stato sovietico, un passo indietro che avrebbe permesso all’economia di respirare nella obbligata attesa del trionfo della rivoluzione in un paese capitalista avanzato. I bolscevichi non riposero mai alcuna speranza nell’idea che la Nep potesse risolvere i problemi della transizione al socialismo. Altro elemento fondamentale era che le concessioni della Nep venivano accordate in un contesto di democrazia operaia e di potere dei soviet.
Dopo lunghi anni di isolamento, per Cuba si apre una prospettiva nuova: quella di inserirsi nell’ambito delle lotte che stanno sviluppandosi in tutto il continente, e da queste trarre nuova linfa vitale per la propria rivoluzione.
Non lottare per completare i processi rivoluzionari che si sono aperti e si apriranno in America latina con la nazionalizzazione e la pianificazione delle leve fondamentali dell’economia, vuol dire lasciare aperte le porte della controrivoluzione in questi stessi paesi. Una sconfitta in un paese come il Venezuela, dove, i passi decisivi che devono essere compiuti per vincere il pericolo della controrivoluzione sono precisamente di carattere socialista, sarebbe un disastro per il destino della rivoluzione cubana. Se la rivoluzione venezuelana si spinge fino all’abbattimento del capitalismo, si potrebbe costruire una Federazione socialista di Cuba e Venezuela, che rappresenterebbe un potente polo di attrazione per le lotte di tutto il continente e aprirebbe le porte ad una Federazione socialista dell’America latina.
Il vecchio sogno di un’unione fraterna e prospera dell’America latina e dei Caraibi, la stessa idea per la quale lottarono Simon Bolívar, Jose Martí e il Che, potrebbe trasformarsi in realtà. Basandosi sulla enorme ricchezza naturale di molti di questi paesi e sulla pianificazione democratica dell’economia, si potrebbe mettere fine immediatamente alla miseria, alle disuguaglianze e allo sfruttamento selvaggio al quale sono sottomessi i popoli latino americani.
Una volta ancora la rivoluzione cubana deve avanzare per non retrocedere e in questa occasione più che mai, solo le idee del marxismo e dell’internazionalismo indicano il cammino. Lì troveremo gli strumenti per guidare questa forza inarrestabile che è il proletariato alla vittoria, a Cuba, in America latina e nel mondo.
Jordi Rosich
Puntate precedenti:
La Revolución (1 pt)
Guerra de Guerrillas (2 pt)
¡El Capitalismo es golpeado! (3 pt)
Cuba después de la Revolución (4 pt)
La Revolución a la encrucijada (5 e ultima pt.)
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