¡Viva Augusto César Sandino, general de hombres libres!

El esmirriado general de los patriotas, el hombrecito que parece una T con su aludo sombrero, ha humillado a un imperio.
Eduardo Galeano

Lo stentato generale dei patrioti, l'omino che sembra una T con suo largo cappello, ha umiliato un impero.
Eduardo Galeano



Augusto Nicolás César Sandino Calderon nacque nella città di Niquinohomo, figlio illegittimo di Gregorio Sandino, un ricco coltivatore di caffè, e di Margarita Calderon, un'impiegata della piantagione del padre. All'età di 9 anni fu abbandonato dalla madre e andò a vivere con la nonna materna. Nel luglio del 1912, all’età di 17 anni, assistette al sanguinoso intervento delle truppe statunitensi in Nicaragua che repressero una rivolta contro il Presidente Adolfo Diaz, che godeva dell'appoggio degli Stati Uniti.
Il Generale liberale Benjamin Zeledon morì il 4 ottobre dello stesso anno difendendo le colline Coyotepe e La Barranca situate strategicamente all’entrata della città di Masaya. Il giovane Sandino rimase impressionato dall’immagine del patriota, il cui cadavere era portato in un carro dai Marines per essere sepolto nella città di Catarina.
Nel 1921, a causa di alcuni commenti su sua madre, ferì con un colpo di pistola Dagoberto Rivas, figlio d’un simpatizzante conservatore del paese. Fuggendo dalla legge e da una possibile vendetta della famiglia di Dagoberto, Sandino viaggiò per la costa atlantica del Nicaragua, e più tardi dell’Honduras, dove trovò lavoro in una fabbrica per la lavorazione dello zucchero.
Nel 1923 arrivò fino in Guatemala, dove lavorò nelle piantagioni della United Fruit, e finalmente giunse a Colle Azzurro (che si trova nella città messicana di Veracruz) dove lavorò come impiegato in un’impresa petrolifera. Durante il suo soggiorno in Messico cominciò a prendere parte a diversi gruppi organizzati d’antimperialisti, anarchici e comunisti rivoluzionari. In questo periodo ebbe su di lui una notevole influenza l’anarco-sindacalismo messicano.
Sandino si convertì a strenuo sostenitore della nazionalizzazione e soprattutto dell’antimperialismo, particolarmente della resistenza nicaguarese all’occupazione americana, attuata in quegli anni soprattutto per le incessanti richieste di poter costruire un canale di collegamento fra l'Atlantico e i Pacifico.
Sandino tornò in Nicaragua il 10 giugno 1926. Si diresse dapprima verso il suo paese natale con l’intenzione di iniziare delle trattative, ma venne ostacolato da Dagoberto Rivas, che era divenuto nel frattempo il sindaco di Niquinohomo. Sandino fu quindi costretto ad abbandonare nuovamente il suo paese per dirigersi verso il nord, verso Las Segovias. In questo contesto il dirigente conservatore Emiliano Chamorro dette inizio ad un golpe contro il presidente Carlos Solorzano (partito conservatore), che lasciò il potere al vicepresidente costituzionale Juan Batista Sacasa (partito liberale).
Chamorro obbligò Sacasa a dimettersi per prendere il potere. A loro volta gli U.S.A. non lo riconobbero come legittimo e lo sostituirono con Adolfo Diaz. I liberali non accettarono la violazione costituzionale dei conservatori e degli U.S.A e dettero inizio ad una nuova guerra chiamata la “guerra costituzionalista”, chiedendo il ritorno di Sacasa al potere e usando come base Puerto Cabezas. Visto che il Presidente era in pericolo, col pretesto di proteggere “le vite e le proprietà degli Statunitensi, la Marina Americana prese il controllo delle coste, dichiarando zone neutrali alcuni punti strategici d’importanza fondamentale per le forze governative ( cosicchè se i liberali le avessero attaccate gli USA avrebbero dichiarato guerra). Il caso più importante fu la dichiarazione di "zona neutrale" della capitale dei liberali, Puerto Cabezas: i marines catturarono Sacaza e lo obbligarono ad uscire dalla zona.
In questa situazione Sandino si schierò dalla parte delle truppe liberali. Si mise in contatto con il capo dei liberali José María Moncada, il quale però, geloso di Sandino, gli negò le armi. Sandino e i suoi uomini, allora, aiutati dalle prostitute di Puerto Cabezas, recuperarono dall’acqua un buon lotto d’armi e munizioni sottratte agli uomini di Sacasa (i marines non le avevano distrutte, limitandosi a buttarle in mare). Fatto ciò si diressero a Las Segovias (il loro centro operativo) viaggiando in piroga per le acque agitate del Rio Coco.
Nei primi combattimenti Sandino venne sconfitto. Istruito in tattiche di guerriglia decise di cominciare a metterle in pratica. Questo lo portò ad una marea di trionfi sui conservatori, e la sua colonna armata, chiamata la “colonna segoviana”, arrivò a contare nelle sue fila 800 uomini di cavalleria. In parte grazie ai successi di Sandino, le truppe liberali iniziarono a prendere iniziativa nella guerra e avanzarono verso il Pacifico.
Vedendo l’intervento diretto degli USA contro i liberali come un pericolo imminente il capo, José Maria Moncada, decise di patteggiare. Gli statunitensi inviarono come rappresentate Henry L. Stimson (che anni dopo diventerà il Segretario di Stato del presidente Hoover) e Moncada, che già aveva il controllo su gran parte del paese, si arrese alle porte di Managua, accettando la continuità del governo conservatore fino le elezioni del 1928, nelle quali si sarebbe candidato nello schieramento liberale.
Sandino, invece, non accettò il patto e si ritirò a El Chipote dove fissò la sua base operativa. Durante questa fase della guerra Sandino si sposò a San Rafael del Norte con la telegrafista del paese, Blanca Arauz, che aveva 14 anni meno di lui. Da questo marimonio nacque nel 1932 l’unica figlia di Sandino: Blanca Segovia, tuttora vivente. Sua madre spirò poco dopo averla data alla luce per le complicazioni del parto.
Il 2 settembre 1927 Sandino, per mezzo di un manifesto, impresse una svolta alla sua lotta: dichiarò che non si trattava più di una guerra civile, bensì di una lotta tra patrioti e invasori, perché tanto i conservatori quanto i liberali avevano ostacolato l’intervento dei marines nordamericani. Con un pugno di non più di 30 uomini e con l’appoggio di alcune contadine si mosse verso le montagne del Nicaragua per lottare contro l’intervento dei marines.
Poco a poco Sandino incrementò il suo esercito fino ad arrivare a circa 6000 uomini, compresi molti volontari provenienti da altri Paesi sudamericani, che formavano un fronte chiamato “Esercito difensore della sovranità nazionale”. La grande mobilitazione fu in parte dovuta ai soprusi che i marines commisero contro la popolazione locale, con atti di violenza nei confronti delle contadine dei luoghi che occupavano, e in parte all'ideale di resistenza all'invasione e alle ingerenze statunitensi. Anche se perse alcuni combattimenti (come il combattimento di El Chipote che lo obbligò a lasciare il suo quartier generale) Sandino inflisse sanguinose sconfitte ai militari americani, che non erano abituati ad avanzare nella fitta foresta tropicale.
Una delle battaglie più memorabili fu quella di El Bramadero (1929) dove le truppe di Sandino sconfissero clamorosamente i marines, utilizzando tra l’altro terribili machetes, armi bianche capaci di decapitare un uomo in un colpo solo. Da quel momento i marines, che chiamavano banditi i sandinisti, iniziarono a chiamarli guerriglieri.
Un altro memorabile combattimento fu quello di Ocotal, dove Sandino, prese quasi tutta la città, obbligando i marines a trincerarsi nell’isolato centrale. I marines si videro costretti a chiedere l'intervento dell’aviazione per rompere l’assedio. Sandino si ritirò senza problemi mentre Ocotal subì il primo bombrdamento aereo della storia dell’America centrale.
Gli ufficiali statunitensi notando che i marines non riuscivano a sconfiggere la guerriglia, decisero allora di ricorrere alla tattica di mettere le diverse etnie native l’una contro l’altra. Per questo diedero inizio alla formazione del nuovo esercito nicaraguese, addestrato, equipaggiato e finanziato dagli USA: la cosiddetta Guardia Nazionale del Nicaragua.
Sebbene la formazione del nuovo esercito significò un aumento nelle truppe che combattevano Sandino, non ebbe una particolare influenza sul corso della guerra. I sandinisti allargarono le loro zone di operazioni più in la di Las Segovias arrivando fino a Jinoteca, Matagalpa, Chontales, Boaco, Chinandega Leon, la costa caraibica e includendo infine Managua, la capitale.
Le proprietà statunitensi furono distrutte dai sandinisti (anche se non si liberarono dalle piantagioni della United Fruit), e i collaborazionisti, che consideravano Sandino “traditore della patria”, vennero fucilati.
Negli USA, intanto, arrivò alla presidenza F. D. Roosvelt. Obbligato dai problemi della “grande depressione”, proclamò “la politica di buon vicinato, che significò la ritirata delle truppe USA dai paesi caraibici, compreso il Nicaragua. Tuttavia, coscienti della sconfitta, già da qualche tempo i marines preparavano la loro ritirata: progressivamente smisero di prender parte ai combattimenti, e non solo i soldati, ma anche i generali capirono che erano destinati alla sconfitta.
Il 1 gennaio del 1933 le forze statunitensi abbandonarono ufficialmente il territorio del Nicaragua, senza aver potuto catturare o uccidere Sandino, il nemico di sempre.
Una volta ritiratosi l’esercito statunitense, Sandino inviò al nuovo presidente liberale, Juan Batista Sacasa, una proposta di pace, che venne accettata. Il 2 febbraio del 1933, la guerra ebbe termine e l’esercito di Sandino venne ufficialmente disarmato. La Guardia Nacional, che non era ancora un’autorità militare riconosciuta dalla costituzione, venne incaricata della sicurezza nel paese, il che provocò abusi da parte dei militari sui vecchi nemici sandinisti.
Sandino si recò più volte a Managua per protestare il mancato rispetto degli accordi da parte della Guardia Nacional. Capo della Guardia era Anastasio Somoza, che desideroso di prendere il potere decise che, per poter conseguire i suoi obbiettivi, era necessario eliminare Sandino.
Il 21 febbraio 1934 Sandino, con suo padre, Gregorio, lo scrittore Sofonias Salvatierra (ministro dell'Agricoltura), e i generali Estrada e Umanzor, venne invitato dal presidente Sacasa a una cena a La Loma (palazzo Presidenziale). All'uscita dal palazzo la macchina nella quale viaggiavano venne fermata a lato del Campo di Marte, in un punto ubicato a sud della Stampa Nazionale (dove si stampava il giornale ufficiale La Gaeta). L'ufficiale della Guardia che li fermò non era altro che un maggiore da lui retrocesso, un tale Delgadillo, che li condusse al carcere El Hormiguero (distrutto da un terremoto che nel 1972 rase al suolo Managua).
I detenuti chiesero di parlare con Somoza, però gli fu detto che non sapevano dove si trovasse. D'altro canto la figlia di Sacasa avvertì il padre del pericolo, e cercò di contattare l'ambasciata statunitense per evitare l'assassinio. Sandino, Estrada e Umanzon furono portati su di un monte chiamato La Calavera e lì, a un segnale di Degadillo, il battaglione che scortava i prigionieri aprì il fuoco freddando i 3 generali. La stessa notte il fratellastro minore di Sandino, Socrate, venne ucciso dalla Guardia Nazionale. Il giorno dopo la Guardia Nacional distrusse la cooperativa che Sandino aveva fondato nel paese di Wiwilì, trucidando i lavoratori.
Molte persone attribuiscono a Sandino idee di sinistra (più o meno radicali) soprattutto per le sue relazioni con il comunista salvadoregno Farabundo Martì o per i suoi contatti con altri movimenti e partiti sudamericani. Definire oggi a quale corrente ideologica appartenesse Sandino è abbastanza complesso. È certo che "el General" si formò nella rivoluzione liberale (in contrapposizione al conservatorismo di Moncada), assorbendo gli ideali delle correnti più progressiste inneggianti alla giustizia sociale, alla autodeterminazione, alla libertà dal potere imperialista statunitense.
Sandino non propugnò mai la teoria marxista-leninista.
Secondo molti studiosi dei processi storici latino-americani, Sandino, non incarnò tanto il leader politico imbevuto di una ideologia di un determinato colore, e anzi il suo limite fu proprio la mancanza di un progetto di rifondazione della società su basi nuove, quanto il capo ancestrale, difensore dell'etnia locale, della lingua locale, degli usi, costumi e tradizioni locali, e per questo motivo si garantì soprattutto l'appoggio delle masse rurali. [tratto e riadattato da Wikipedia, l'enciclopedia libera]

"Dios y nuestras montañas están con nosotros. Y al fin y al cabo, la muerte no es más que un momentito de dolor." (Augusto Nicolás César Sandino Calderon, general de hombres libres)

Dio e le nostre montagne stanno con noi. Ed in fin dei conti, la morte non è più che un momento di dolore. (Augusto Nicolás César Sandino Calderon,
generale di uomini liberi)

Un piccolo grande uomo

L'epopea di Augusto César Sandino emozionò il mondo. La lunga lotta del capo guerrigliero nicaraguense aveva avuto origine dalla rivendicazione della terra e volava sulle ali della rabbia contadina: per sette anni, il suo piccolo esercito di straccioni combatté, contemporaneamente, contro dodicimila invasori nordamericani e contro gli effettivi della Guardia Nazionale. Fabbricavano granate con scatole di sardine riempite di pietre, strappavano i fucili springfield al nemico e brandivano i machetes: l'asta della bandiera era un ramo d'albero con la corteccia e, anziché stivali, per camminare sulle montagne dalla vegetazione inestricabile adoperavano una cinghia di cuoio detta “huarache”. Sull'aria di “Adelita” i guerriglieri cantavano:

In Nicaragua, signori,
il topo batte il gatto.


Né il volume di fuoco della fanteria di marina statunitense, né le bombe vomitate dagli aerei erano sufficienti a piegare i ribelli di Las Segovias. E non erano sufficienti neppure le calunnie che le agenzie d'informazione Associated Press e United Press – i cui corrispondenti in Nicaragua erano due nordamericani che controllavano la dogana del paese – spargevano a piene mani in tutto il mondo. [...] Grazie alla politica nordamericana di Buon Vicinato, si celebrava la pace. La squadra dei dittatori arrivò tempestivamente per schiacciare il coperchio della pentola: perché anche se Washington inaugurava l'era politica del Buon Vicinato, era indispensabile contenere col sangue e col fuoco l'agitazione sociale che ferveva d'appertutto. Jorge Ubico in Guatemala, Maximiliano Hernandéz Martìnez in Salvador, Tiburcio Carìas in Honduras e Anastasio Somoza in Nicaragua. [...] L'assassino di Sandino, Anastasio Somoza, dichiarò più tardi che l'uccisione era stata ordinata dall'ambasciatore nordamericano Arthur Bliss Lane. Somoza s'installò al potere e governò il Nicaragua per un quarto di secolo: alla sua morte lasciò la carica ai figli, come eredità. Prima di decorarsi il petto con la fascia presidenziale, Somoza s'era autodecorato della Croce al Valore, della Medaglia di Distinzione, della Medaglia Presidenziale al Merito. Poi, una volta al potere, organizzò stragi e grandi commemorazioni durante le quali travestiva i suoi soldati da centurioni romani, con sandali ed elmi; con le sue quarantasei piantagioni diventò il maggior produttore di caffè del paese e, in altre cinquantuno “haciendas” allevava bestiame. E non gli mancò mai il tempo per seminare il terrore. (Eduardo Galeano)

3 commenti:

  1. arriva sempre la conferma a quello che scrivi qui.... il cambiamento, lo vogliono in pochi....e finiscono x morire ammazzati.... ancora oggi è così... ciao R.

    RispondiElimina
  2. Non tutti i rivoluzionari sono morti e nessun vero rivoluzionario è mai morto invano.
    Ciao, D.

    RispondiElimina
  3. Dopo tanta repressione i ragazzi di Sandino hanno umiliato la potente arroganza degli USA

    RispondiElimina