Alabanza de la rebelión creativa y humanista

Quello che qualcuno chiama "sogno", "utopia", "impossibile", "bei desideri", "delirio", "pazzia", qui, nella terra dello Yaqui, si è sentito con un altro tono, con un altro destino. E c'è un nome per questo di cui parliamo ed ascoltiamo in tante lingue, tempi e modi. C'è una parola che viene dall'origine stessa dell'Umanità, e che segna e definisce le lotte degli uomini e delle donne di tutti gli angoli del pianeta. Questa parola è Libertà.
Subcomandante Insurgente Marcos

Il mondo oggi è più polarizzato. È quello che prevedevamo. Che cioè la globalizzazione non stava producendo il villaggio globale ma un arcipelago mondiale che si sta acutizzando. E non solo riguardo agli interessi economici, politici e sociali di questa grande Società, del Potere in generale, come diciamo noi, di questa ripartizione, conquista e distruzione del mondo, ma anche per quanto si riferisce alla resistenza e alla ribellione, che sta crescendo in maniera autonoma e indipendente.
Non come linea di conseguenza, non come una resistenza che si possa portare in tutte le parti del mondo, ma che sta assumendo la sua forma in ogni posto. Il movimento antiglobalizzazione o, come si dice adesso, alterglobalizzazione -perché non si tratta di opporsi a che il mondo sia mondo, ma di creare un altro mondo - non pensiamo che sia un movimento lineare, con antecedenti e conseguenti, né che abbia a che vedere con situazioni geografiche e di calendario. Non è che uno preceda l'altro e lo erediti. Noi concepiamo il nostro movimento come un sintomo di qualcosa che stava succedendo o che stava per succedere.
Per usare un'immagine siamo un iceberg. Siamo la punta dell'iceberg che esce fuori e fra poco emergeranno punte da altre parti, di qualcosa che sta sotto, manifestazione di quella ribellione mondiale che sta nascendo fuori dei partiti politici, fuori dei canali tradizionali dell'attività politica. Siamo un sintomo e pensiamo che è nostro dovere mantenerci il più possibile come pretesto o riferimento, ma non come un modello da seguire.
Per questo non abbiamo mai rivendicato, né mai lo faremo, che l'inizio fu il Chiapas. La ribellione che c'è in Chiapas si chiama zapatista, ma a Seattle si chiama in un altro modo, nell'Unione Europea in un modo e in Asia in un altro modo, in Oceania in un altro ancora. Perfino in Messico, da altre parti la ribellione si chiama in altri modi.
Noi vediamo molto bene questo movimento alterglobalizzatore, nel senso che non ripete la verticalità delle decisioni, e questo lo aiuta a non avere un comando centrale, organi di direzione o simili. E che il movimento abbia saputo rispettare le differenti forme che si manifestano al suo interno, i pensieri, le correnti, i modi, gli interessi e le forme in cui si prendono le decisioni. Questa dinamica si mantiene e fa sì che continui ad essere un movimento plurale, non molto di massa, però spiega anche perchè si muovono da ogni parte del mondo.
Non è lo stesso mobilitarsi qui, in Chiapas, per qualcuno molto vicino, e mobilitarsi per qualcuno che sta in Corea del Sud. Però rimane questa pluralità di interessi, questa diversità e ricchezza, e anche queste forme di lotta e di manifestarsi. In questo senso, vediamo che il movimento antiglobalizzazione o alterglobalizzazione continua ad essere ricco di esperienze, ha ancora molto da dare e pensiamo che darà molto, a condizione che non cada nella tentazione delle strutture o delle passerelle.
Il rischio che c'è sempre è che un movimento si trasformi in una passerella di personalità, senza che quelle personalità abbiano il sostegno di mobilitazioni nei loro posti. Noi pensiamo che questo movimento si stia manifestando non più solo nella critica al modello che rappresenta in questo caso il TWO, ma che, sotto molti aspetti, si stiano costruendo alternative non sulla carta, ma in forme di organizzazione sociale in vari luoghi, dove si può già dire che ci sono i germi di un altro mondo possibile.
Si dice che vari movimenti, sia in Messico che in altre parti del mondo, hanno visto nello zapatismo un esempio di lotta e, addirittura, che alcuni hanno ripreso i suoi principi per la costruzione delle loro resistenze.
Noi diciamo a quelli che seguono il nostro esempio, che non lo seguano. Riteniamo che ognuno debba costruire la propria esperienza e non ripetere modelli. In questo senso, quello che offre loro lo zapatismo è uno specchio. Anche se uno specchio non sei tu, in ogni caso ti aiuta per vedere come stai, per pettinarti in un certo modo, per aggiustarti.
Allora, diciamo loro che vedano nei nostri errori e nei nostri successi, se ce ne sono, le cose che gli possano servire per costruire i propri processi, ma non si tratta di esportare lo zapatismo o di importarlo. Pensiamo che la gente abbia abbastanza coraggio e sapienza da costruire il proprio processo e il proprio movimento, perché ha la propria storia.

Subcomandante Insurgente Marcos

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