Per molto tempo questa terra è stata la stanza di servizio della Repubblica, il luogo dove si tiene la servitù, il posto dove c'è la gente umiliata e disprezzata, un Paese che sta lontano e che bisogna dimenticare, l'ultimo angolo di questa Patria!
Subcomandante Insurgente Marcos
Noi pensiamo sempre e soltanto al nostro orizzonte. In un modo o nell'altro siamo sempre stati discreti ed abbiamo resistito all'idea che la proposta degli zapatisti potesse essere recepita come il nuovo decalogo, in questo caso della Sinistra o delle forze progressiste. Noi insistiamo sul fatto che questo modello possa essere utile al nostro quotidiano, quello cioè delle popolazioni indigene e per alcuni versi di altre zone del territorio messicano. Credo sinceramente che a livello mondiale i nostri no si sommino semplicemente con tutti gli altri che provengono dal resto del pianeta, mentre i sì debbono ancora essere individuati.
Intuiamo, per esempio, che in Brasile ci siano dei sì in fase di costruzione, come nella nostra Selva Lacandona ci siano affermazioni che si stanno concretizzando e che lo stesso stia accadendo in Europa. Non crediamo, però, che tutti questi sì possano articolarsi in un unico corpo mondiale, anzi non consideriamo questa eventualità auspicabile. Non crediamo insomma che alla Globalizzazione si debba opporre una nuova Internazionale.
Il problema è allo stesso tempo teorico e pratico.
Quando noi lanciamo un appello alla “società civile”, la classe politica pensa normalmente: la società a cui gli zapatisti si appellano no esiste, perché non è un attore politico, almeno secondo i criteri con i quali la classe al Potere concepisce un attore politico. Infatti la “società civile” non ha una sede, non ha rappresentanti in Parlamento, non ha una capacità di mobilitazione organica, non è quindi una realtà politica. Nel momento in cui l'EZLN convoca la “società civile” lancia, secondo chi comanda, un appello a qualcosa che non esiste.
Quello che però la politica tradizionale non considera è che l'EZLN non parla dalla tribuna del Potere ma dal basso, per cui quello che facciamo, quando parliamo alla “società civile”, è cercare di interpellare tutte quelle persone che per i politici sono interessanti soltanto durante i periodi elettorali. Insomma, quel cittadino comune al quale è concesso di occupare un posto solo quando deve deve pagare un prezzo. Ed è il prezzo che paga quando deve eleggere un candidato, un rappresentante alla Camera, un senatore o un aspirante alla Presidenza o a qualunque altra carica elettiva.
Così ogni volta che abbiamo fatto un appello alla “società civile” abbiamo ottenuto dei risultati. In questa marcia, per esempio, abbiamo conquistato tutti i piedi che ci hanno permesso di arrivare fin qui. In questo percorso la stessa “società civile”, insieme a noi e alle popolazioni indigene, ha accresciuto talmente la capacità di convocazione da superare le nostre previsioni più ottimistiche. Si è creata una miscela esplosiva di aggregazione, non di insurrezione. Si sono unite, infatti, l'EZLN e le sue richieste, il suo uso del linguaggio, le sue impostazioni politiche, le istanze delle popolazioni indigene e una “società civile” ansiosa di partecipare in veste di attrice e non più solo di spettatrice. Questa miscela ha attirato ovunque più gente e ha provocato un fenomeno che ora sta impaurendo il Governo...
Subcomandante Insurgente Marcos
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