Come studente universitario mi sono presto reso conto che c'erano due proposte riguardo a quello che avrebbe dovuto essere uno studente. E cioè, anche alla luce dei bisogni della società, esser parte di una gioventù impegnata in un processo di formazione o in un processo di deformazione. Questo necessariamente comportava anche un certo orientamento nel piano di studi, ma da ultimo l'interrogativo era: dopo l'Università, cosa farò? Lavorare, d'accordo. Ma lavorare per cosa? E in quale società? A quale costo? E intendo dire a quale costo sociale e individuale, cioè come essere umano.
Alla fine ho compreso che studiavamo e ci formavamo non per conoscere e fare il lavoro che desideravamo, ma per essere ciò che la società e il Potere esigeva che fossimo. In questo senso c'erano dei percorsi di studio che erano più proficui, conducendo ad un futuro più sicuro, che assicurava molto denaro e successo, e indirizzi di studio considerati dal Potere come superflui o inutili. Ed era questo, in definitiva, a condizionare la formazione dei piani di studio.
Per un altro aspetto, poi, mi resi conto di come l'Università fosse diventata un grande "allevamento" in grado di addomesticare e condizionare la gioventù, ma dove al tempo stesso i giovani rifiutavano di essere manipolati e per questo si ribellavano e organizzavano la protesta. I giovani universitari, infatti, reagiscono rapidamente come dei ribelli. Ma il pericolo di cui ci siamo presto resi conto era che tutti questi movimenti di ribellione si sarebbero alla fine isolati, ritenendo che quel processo di condizionamento e dominazione stesse avvenendo solamente nell'ambito delle scuola e delle Università, senza pertanto aprirsi e cercare contatti con altri gruppi e realtà sociali che pure stavano soffrendo la stessa situazione.
Il problema insomma, riguardo ai movimenti giovanili studenteschi, era dovuto al fatto che limitavano il proprio orizzonte alle aule universitarie, per cui si poteva essere molto ribelli e insofferenti nelle aule universitarie ma al tempo stesso, per esempio, remissivi e conformisti in famiglia o in politica. C'era una mancanza di contatto e continuità, quindi, tra questi movimenti giovanili studenteschi e gli altri gruppi. Tuttavia non era affatto difficile rendersi conto che qualcosa non andava e che bisognava cambiare le cose. Il problema era che non sapevamo come fare, né ci rendevamo ben conto di come il Potere avesse imposto questo stesso disagio e sofferenza non solo a noi, ma a tutta la società. Trascorsero molti anni e si susseguirono diversi colpi di stato. Alla fine sono dovuto arrivare qui, nelle montagne del sudest messicano, e vedere le condizioni di vita del popolo indigeno per rendermi conto che le ingiustizie che noi vivevamo erano, al tempo stesso, anche un'ingiustizia per gli indios, per i campesinos, per gli operai, per gli insegnanti e per tutti gli altri.
Nel mio caso parliamo di un giovane che, formatosi alle idee del marxismo-leninismo, quando arrivò nella regione indigena e cominciò a lavorare con gli indios, si rese presto chiaramente conto di come il marxismo-leninismo fosse carente di studi e di una valida proposta per la situazione indigena. Non c'erano né uno studio teorico né una proposta politica per la realtà indigena. Per il marxismo-leninismo gli indigeni semplicemente non esistevano. In questa situazione quell'ideologia si rivelava quindi essere uno strumento totalmente inutile, e nessun movimento rivoluzionario aveva fino ad allora sviluppato un modo di relazionarsi con il movimento indigeno.
Si è reso perciò necessario apprendere. Questa lacuna teorica, ideologica e politica venne superata naturalmente acquisendo la forma di pensare e di organizzarsi degli indios. Forse, se ci fosse stata una proposta per la questione indigena, ci sarebbe stata anche una forma di resistenza, ma in realtà non c'era nulla. Non vi era nessun elemento del marxismo-leninismo che consentisse, con un fondamento serio e profondo, di avanzare una proposta valida sulla questione indigena. La soluzione, la migliore che sia stata avanzata, è dunque quella che gli stessi indigeni hanno elaborata. Quello che noi personalmente dovemmo ammettere fu che non sapevamo quello che stava accadendo realmente e che dovevamo solo imparare. E i migliori maestri furono in questo caso gli indios, che dissero: questo è il nostro modo di organizzarci, e questo è quello che vogliamo ottenere. Si è quindi creata una fusione tra lo studente universitario di formazione politica radicale e quello che le comunità indigene erano andate costruendo in più di cinquecento anni di resistenza.
Noi ci stiamo opponendo ad una guerra totale, che involge tutti gli aspetti della vita sociale. Una guerra militare, politica, sociale ed anche culturale. In tutti e quattro questi aspetti – economico, politico, sociale e culturale – il Potere non intende arretrare, ma vuole annientare la nostra cultura, la cultura indigena, la sua forma di organizzazione sociale, di strutturazione politica in comunità e di economia produttiva.
Per il mercato neoliberale, l'indigeno è inutile perché loro non comprano nè vendono, non posseggono carte di credito né conti in banca, non sono agenti di Borsa. E così gli zapatisti devono continuare la loro lotta di resistenza su questi quattro fronti – sociale, politico, economico e culturale – per poter avanzare le proprie richieste. Quello culturale è, con tutta evidenza, l'ambito dove maggiormente si è manifestata la tensione, perché è dove il patrimonio indigeno appare più ricco di contributi. Tutto il Paese, tutto il Messico ha, in un modo o nell'altro, un debito nei confronti degli indigeni. Questo Paese nasce dal “meticciato” e dalla mescolanza dei coloni con gli indigeni, ma conserva una componente indigena molto forte, ad ogni livello. Il contributo che gli indigeni portano, affermando attraverso le loro pratiche la propria cultura, rappresenta per i messicani un brusco richiamo, che li risveglia, li fa guardare al proprio passato per riconoscersi per quello che in effetti sono. Ecco perché il loro programma culturale è stato molto efficace.
Ma ciò che dette origine alla mozione militare, con le grandi manovre militari del 1 gennaio 1994 e la resistenza armata fino alla rottura dell'assedio nel dicembre dello stesso anno, scaturisce dalla loro proposta di organizzazione sociale che ha nelle comunità indigene la propria forma di espressione politica, dal loro modo di resistere economicamente e da altre importanti forme di resistenza, pur se non rilevanti al pari del contributo culturale.
E' stato infine necessario l'indigeno comprendesse che la soluzione dei propri problemi non può essere solo nazionale. Nel momento in cui il Potere ha globalizzato l'economia e la politica, ha globalizzato altresì la lotta di resistenza. Non si può pensare che la lotta di resistenza in una parte del mondo sia rivolta solo esclusivamente contro il potere locale, perché il potere locale ormai non esiste più. Esiste un unico Potere, mondiale e globalizzato, che produce forme di dominazione locale nelle varie parti del mondo.
Ciò che abbiamo scoperto e di cui ci siamo resi conto scontrandoci con il potere nazionale è che questo potere nazionale non esiste più, in realtà noi ci stavamo scontrando contro il grande capitale finanziario, contro la speculazione. E comprendere che le decisioni si prendono sì in Messico, ma anche in Europa, Asia, Africa, Oceania, Nord America, Sud America, ovunque... Insomma, ci rendemmo conto che se il nemico era cresciuto diventando più grande, questo a nostra volta costringeva anche noi a crescere per diventare più grandi.
Lo zapatismo civile nelle altre parti del mondo non si sta limitando solo a fare opera di solidarietà, ma sta avanzando in modo crescente richieste sue proprie in merito ai diversi problemi nazionali. Essi si riconoscono, assieme allo zapatismo, in un nemico comune, il Potere Globale, che fa le stesse cose in Italia, in Francia, negli Stati Uniti, in Canada, Messico, Cile... E per questa ragione le lotte particolari e nazionali si internazionalizzano quasi automaticamente. Noi ci sollevammo contro il potere nel 1994, precisamente quando si stava celebrando il culmine del processo di globalizzazione. Nel momento cioè in cui il Messico veniva annullato come Nazione per divenire parte del supermercato globale. Quindi la nostra sfida divenne rapidamente una sfida globale.
Subcomandante Insurgente Marcos
[segue]
Parte precedente:
¿Y la Dignidad, nosotros, cuándo hemos perdido ella? (1° pt)
El Poder, el Saber y la Etica en la Ciudad Global (2° pt)
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