Desidero una Chiesa autenticamente povera, missionaria e pasquale, slegata da ogni potere temporale ed audacemente impegnata nella liberazione di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Oscar A. Romero
Apolinario Serrano, noto come Polín, nato nel 1943, ucciso in un imboscata il 29 settembre 1979, era un contadino povero, analfabeta, diventato tra i più apprezzati dirigenti del movimento cristiano popolare dei contadini salvadoregni (Feccas, Federazione cristiana dei contadini salvadoregni), un leader molto amato dai campesinos e molto stimato anche da mons. Oscar Arnulfo Romero. La terra in Salvador era in mano a 14 famiglie dell’oligarchia terriera e i contadini lavoravano come schiavi per un salario da fame. Polín imparò a leggere, ma le sue dita indurite dal duro lavoro del taglio della canna da zucchero non poterono mai scrivere. Era molto attento e possedeva una memoria straordinaria e una grande capacità comunicativa: parlava il linguaggio del popolo contadino usando barzellette, proverbi e storie tratte dalla Bibbia, un testo allora sovversivo da portare ben nascosto. Mons. Romero rimase anche lui affascinato da questo contadino fin dal primo incontro. Rutilio Sanchez racconta che mons. Romero voleva sincerarsi che le iniziative di lotta dei contadini, che rivendicavano un salario più giusto e la
riforma agraria, non sfociassero nella violenza e si incontrò con Polín:
- Guarda, Apolinario, dicono che tu vai sollevando i contadini e che persino gli parli contro la chiesa e contro di me. E dicono anche che tu sia un uomo di fede… come spieghi questo?
- Monsignore, io spiego meglio i problemi facendo delle domande.
- Domanda allora.
- Mi risponda anzitutto su questo: il signor arcivescovo sa quanto pagano al proletariato contadino per il lavoro di tutto un giorno?
- Veramente non so…
- Tre pesos, Monsignore! "Sbaviamo" come dite voi, perché ci paghino due pesos in più. Mi dica Monsignore cosa farebbe lei con appena tre pesos nella borsa per tutto un santo giorno? Nemmeno con cinque, se forse persino la lavatura della sua sottana costa di più! E noi non guadagniamo nemmeno questo sfinendoci nella raccolta della canna sotto il sole!
Polín pone all’arcivescovo un’altra domanda:
- Vediamo, Monsignore. Lei crede in Dio?
- Si, chiaro, io credo in Dio.
- E crede nel Vangelo?
- Anche, si. Credo nel Vangelo.
- Siamo pari dunque! Perché anch’io credo in Dio e nel Vangelo. Entrambi diciamo la stessa cosa, ma è differente! Indovina indovinello, perché mi fa male la pancia! Indovina sua eccellenza dove sta la differenza!
- Non lo so, Polín, dimmelo tu.
Monsignore rideva.
- Lei crede nel Vangelo perché è il suo lavoro, lo ha studiato, lo legge e lo predica. Fortuna da vescovo! E io… io quasi non ho potuto leggere né studiare il Vangelo, tutta la sua "indiologia", ma credo nel Vangelo. Lei crede per ufficio io credo per necessità. Perché lì mi viene detto che Dio non vuole che ci siano ricchi e poveri, e io sono povero! Capisce la differenza? Sta lì! L’ha afferrata? Abbiamo la stessa fede, ma la teniamo in gabbie diverse.
Una relazione intensa, un’amicizia sincera e un riguardo per questo contadino che monsignore non ebbe con nessun’altra persona. Si incontravano spesso all’hospitalito, qualche volta perché Romero convocava Polín, qualche altra perché Polín voleva riferire all’arcivescovo. Racconta Juan Bosco Palacios che “Monsignor Romero non cedeva mai a nessuno il suo posto a capotavola, ma proprio a nessuno. Se arrivava il nunzio, lo faceva sedere al suo lato, ma egli restava a capotavola. Con Polín no. Quando Polín arrivava a conversare e a mangiare, Monsignore gli cedeva sempre il posto a capotavola. Solo a lui. Polín fu l’unico che occupò il suo posto”.
Una volta mons. Romero chiese spiegazione sulle scritte che apparivano sui muri di San Salvador e che lo infastidivano. Un giorno apparve la scritta: "vieni Signore, che il socialismo non basta". Chiese spiegazione a Polín:
- Spiegami dunque Apolinario, gli chiese Monsignore, come intendete voi questo disordine per vedere se riesci a farlo capire anche a me…
- Vede Monsignore noi non abbiamo un giornale… in quale edificio o da quale parte abbiamo una chance perché ci lascino pubblicare una scritta? Alla radio, quanto crede che facciano pagare per un annuncio? E anche se avessimo il denaro, trasmetterebbero il nostro annuncio? Allora come risolviamo la questione? Un paio di compagni prendono alcuni manganelli e un pugnale e si mettono di guardia nella via, mentre un altro va a scrivere il messaggio sul muro. Solo se qualcuno ci vede, dobbiamo scappare di corsa. Le scritte sono comunicazione, ci servono per comunicare con il nostro popolo! I muri sono il giornale dei poveri! Ha capito adesso?
Aveva capito. E così altre cose. Arrivò ad intendersi tanto con Polín che a volte gli diceva:
- Guarda, Apolinario al posto dell’orazione oggi parlo con te.
E passava la sua ora di orazione parlando con Polín. L’ora intera.
La predilezione di mons. Romero per i braccianti, i più poveri della terra, è testimoniata anche dalla sua segretaria Coralia Godoy che racconta di come l’arcivescovado era diventato un via vai di gente (i contadini gli portavano galline, polli e un giorno persino una mucca). Alla richiesta di mettere un po’ di ordine e di programmazione l’arcivescovo rispose:
- Credo che questa programmazione non si possa fare.
- No…?
- No, perché ho le mie priorità. E con programmazione o no riceverò sempre per primo qualsiasi contadino che giunga qui, il giorno o l’ora che sia, ci sia o no una riunione…
- Allora…!
- Allora no, no… Guarda, i miei fratelli vescovi hanno tutti la macchina, i parroci possono prendere il bus e non hanno grossi problemi ad aspettare. Ma i contadini? Vengono camminando per leghe con tanti pericoli e a volte senza aver mangiato. Ieri ne è arrivato uno che veniva da La Union. Poiché partecipava ad una riunione cristiana una guardia lo colpì tanto sulla testa che sta diventando cieco. E’ venuto solo per raccontarmelo...
La notizia dell’agguato e della uccisione di Polín e dei suoi compagni (José Lopez, Patricia Puertas e Felx Garcia) che rientravano da Santa Ana verso San Salvador, dopo una notte di lavoro, ebbe un impatto enorme sull’intero movimento.
Il dolore di mos. Romero viene raccontato così da Juan Bosco Palacios e Antonio Cardenal: “Sta piangendo nella su stanza, girato verso la parete, senza poter riposare, senza poterselo togliere dalla testa, senza poter neppure pregare. All’alba hanno ucciso Polín. Non lo vedrà mai più arrivare all’hospitalito, raccontando come solo lui sapeva fare. ‘Sta attento Apolinario – gli diceva subito -, ti vogliono uccidere’. ‘Anche lei stia attento, Chespirito! – gli rispondeva lui – Vediamo chi è che fa il viaggio per primo!’… Lo hanno strappato al popolo. E Monsignor Romero lo sta piangendo. E si copre il viso per ricordarlo vivo”.
Nell’omelia della domenica successiva Romero smentisce la versione ufficiale dei fatti mettendone in rilievo le contraddizioni, afferma di aver conosciuto a fondo Polín e aggiunge: “Riguardo a questo fatto, mi ha molto colpito a livello personale per aver conosciuto molto profondamente uno di questi contadini. E in verità fu un uomo molto amato, che suscitava molta speranza per le rivendicazioni della classe contadina; credo si sia commesso uno degli errori più gravi e delle ingiustizie che gridano al cielo, giacché lasciano un popolo privo di speranze e senza i portavoce riguardo alle situazioni di oppressione. Io voglio dire anche che se questo, che semplicemente vale per vita che è sacra come ha detto il Papa, è già un crimine, però quando in più si vede la pretesa di decapitare le organizzazioni del popolo, è ancor più criminale, è togliere la voce al popolo che si organizza per difendere i propri diritti e questo ancor più grida al cielo. Più grave ancora, tuttavia, è che sia l’esercito a farsi complice di questo crimine…”.
Una difesa appassionata della vita e del diritto del popolo a organizzarsi per difendere i propri diritti calpestati. Il 24 marzo del 1980, qualche mese più tardi, il “viaggio” di cui parlava Polín l’ha intrapreso anche mons. Romero, assassinato nella cappella dell’hospitalito della Divina Provvidenza; un cammino in cui è stato preceduto, e poi seguito, da tante altre persone, donne e uomini, laici e religiosi, che hanno considerato la loro vita non un valore assoluto da difendere ad ogni costo, ma un valore relativo all’avvento del Regno di Dio: come Gesù, l’uomo-per-gli-altri, hanno capito che l’amore per il proprio popolo, l’amore per la giustizia è il valore più grande; hanno preferito fare della propria vita un dono fino a perderla piuttosto che gelosamente tenerla per sé.
Pierpaolo Loi
Apolinario Serrano, noto come Polín, nato nel 1943, ucciso in un imboscata il 29 settembre 1979, era un contadino povero, analfabeta, diventato tra i più apprezzati dirigenti del movimento cristiano popolare dei contadini salvadoregni (Feccas, Federazione cristiana dei contadini salvadoregni), un leader molto amato dai campesinos e molto stimato anche da mons. Oscar Arnulfo Romero. La terra in Salvador era in mano a 14 famiglie dell’oligarchia terriera e i contadini lavoravano come schiavi per un salario da fame. Polín imparò a leggere, ma le sue dita indurite dal duro lavoro del taglio della canna da zucchero non poterono mai scrivere. Era molto attento e possedeva una memoria straordinaria e una grande capacità comunicativa: parlava il linguaggio del popolo contadino usando barzellette, proverbi e storie tratte dalla Bibbia, un testo allora sovversivo da portare ben nascosto. Mons. Romero rimase anche lui affascinato da questo contadino fin dal primo incontro. Rutilio Sanchez racconta che mons. Romero voleva sincerarsi che le iniziative di lotta dei contadini, che rivendicavano un salario più giusto e la
riforma agraria, non sfociassero nella violenza e si incontrò con Polín:
- Guarda, Apolinario, dicono che tu vai sollevando i contadini e che persino gli parli contro la chiesa e contro di me. E dicono anche che tu sia un uomo di fede… come spieghi questo?
- Monsignore, io spiego meglio i problemi facendo delle domande.
- Domanda allora.
- Mi risponda anzitutto su questo: il signor arcivescovo sa quanto pagano al proletariato contadino per il lavoro di tutto un giorno?
- Veramente non so…
- Tre pesos, Monsignore! "Sbaviamo" come dite voi, perché ci paghino due pesos in più. Mi dica Monsignore cosa farebbe lei con appena tre pesos nella borsa per tutto un santo giorno? Nemmeno con cinque, se forse persino la lavatura della sua sottana costa di più! E noi non guadagniamo nemmeno questo sfinendoci nella raccolta della canna sotto il sole!
Polín pone all’arcivescovo un’altra domanda:
- Vediamo, Monsignore. Lei crede in Dio?
- Si, chiaro, io credo in Dio.
- E crede nel Vangelo?
- Anche, si. Credo nel Vangelo.
- Siamo pari dunque! Perché anch’io credo in Dio e nel Vangelo. Entrambi diciamo la stessa cosa, ma è differente! Indovina indovinello, perché mi fa male la pancia! Indovina sua eccellenza dove sta la differenza!
- Non lo so, Polín, dimmelo tu.
Monsignore rideva.
- Lei crede nel Vangelo perché è il suo lavoro, lo ha studiato, lo legge e lo predica. Fortuna da vescovo! E io… io quasi non ho potuto leggere né studiare il Vangelo, tutta la sua "indiologia", ma credo nel Vangelo. Lei crede per ufficio io credo per necessità. Perché lì mi viene detto che Dio non vuole che ci siano ricchi e poveri, e io sono povero! Capisce la differenza? Sta lì! L’ha afferrata? Abbiamo la stessa fede, ma la teniamo in gabbie diverse.
Una relazione intensa, un’amicizia sincera e un riguardo per questo contadino che monsignore non ebbe con nessun’altra persona. Si incontravano spesso all’hospitalito, qualche volta perché Romero convocava Polín, qualche altra perché Polín voleva riferire all’arcivescovo. Racconta Juan Bosco Palacios che “Monsignor Romero non cedeva mai a nessuno il suo posto a capotavola, ma proprio a nessuno. Se arrivava il nunzio, lo faceva sedere al suo lato, ma egli restava a capotavola. Con Polín no. Quando Polín arrivava a conversare e a mangiare, Monsignore gli cedeva sempre il posto a capotavola. Solo a lui. Polín fu l’unico che occupò il suo posto”.
Una volta mons. Romero chiese spiegazione sulle scritte che apparivano sui muri di San Salvador e che lo infastidivano. Un giorno apparve la scritta: "vieni Signore, che il socialismo non basta". Chiese spiegazione a Polín:
- Spiegami dunque Apolinario, gli chiese Monsignore, come intendete voi questo disordine per vedere se riesci a farlo capire anche a me…
- Vede Monsignore noi non abbiamo un giornale… in quale edificio o da quale parte abbiamo una chance perché ci lascino pubblicare una scritta? Alla radio, quanto crede che facciano pagare per un annuncio? E anche se avessimo il denaro, trasmetterebbero il nostro annuncio? Allora come risolviamo la questione? Un paio di compagni prendono alcuni manganelli e un pugnale e si mettono di guardia nella via, mentre un altro va a scrivere il messaggio sul muro. Solo se qualcuno ci vede, dobbiamo scappare di corsa. Le scritte sono comunicazione, ci servono per comunicare con il nostro popolo! I muri sono il giornale dei poveri! Ha capito adesso?
Aveva capito. E così altre cose. Arrivò ad intendersi tanto con Polín che a volte gli diceva:
- Guarda, Apolinario al posto dell’orazione oggi parlo con te.
E passava la sua ora di orazione parlando con Polín. L’ora intera.
La predilezione di mons. Romero per i braccianti, i più poveri della terra, è testimoniata anche dalla sua segretaria Coralia Godoy che racconta di come l’arcivescovado era diventato un via vai di gente (i contadini gli portavano galline, polli e un giorno persino una mucca). Alla richiesta di mettere un po’ di ordine e di programmazione l’arcivescovo rispose:
- Credo che questa programmazione non si possa fare.
- No…?
- No, perché ho le mie priorità. E con programmazione o no riceverò sempre per primo qualsiasi contadino che giunga qui, il giorno o l’ora che sia, ci sia o no una riunione…
- Allora…!
- Allora no, no… Guarda, i miei fratelli vescovi hanno tutti la macchina, i parroci possono prendere il bus e non hanno grossi problemi ad aspettare. Ma i contadini? Vengono camminando per leghe con tanti pericoli e a volte senza aver mangiato. Ieri ne è arrivato uno che veniva da La Union. Poiché partecipava ad una riunione cristiana una guardia lo colpì tanto sulla testa che sta diventando cieco. E’ venuto solo per raccontarmelo...
La notizia dell’agguato e della uccisione di Polín e dei suoi compagni (José Lopez, Patricia Puertas e Felx Garcia) che rientravano da Santa Ana verso San Salvador, dopo una notte di lavoro, ebbe un impatto enorme sull’intero movimento.
Il dolore di mos. Romero viene raccontato così da Juan Bosco Palacios e Antonio Cardenal: “Sta piangendo nella su stanza, girato verso la parete, senza poter riposare, senza poterselo togliere dalla testa, senza poter neppure pregare. All’alba hanno ucciso Polín. Non lo vedrà mai più arrivare all’hospitalito, raccontando come solo lui sapeva fare. ‘Sta attento Apolinario – gli diceva subito -, ti vogliono uccidere’. ‘Anche lei stia attento, Chespirito! – gli rispondeva lui – Vediamo chi è che fa il viaggio per primo!’… Lo hanno strappato al popolo. E Monsignor Romero lo sta piangendo. E si copre il viso per ricordarlo vivo”.
Nell’omelia della domenica successiva Romero smentisce la versione ufficiale dei fatti mettendone in rilievo le contraddizioni, afferma di aver conosciuto a fondo Polín e aggiunge: “Riguardo a questo fatto, mi ha molto colpito a livello personale per aver conosciuto molto profondamente uno di questi contadini. E in verità fu un uomo molto amato, che suscitava molta speranza per le rivendicazioni della classe contadina; credo si sia commesso uno degli errori più gravi e delle ingiustizie che gridano al cielo, giacché lasciano un popolo privo di speranze e senza i portavoce riguardo alle situazioni di oppressione. Io voglio dire anche che se questo, che semplicemente vale per vita che è sacra come ha detto il Papa, è già un crimine, però quando in più si vede la pretesa di decapitare le organizzazioni del popolo, è ancor più criminale, è togliere la voce al popolo che si organizza per difendere i propri diritti e questo ancor più grida al cielo. Più grave ancora, tuttavia, è che sia l’esercito a farsi complice di questo crimine…”.
Una difesa appassionata della vita e del diritto del popolo a organizzarsi per difendere i propri diritti calpestati. Il 24 marzo del 1980, qualche mese più tardi, il “viaggio” di cui parlava Polín l’ha intrapreso anche mons. Romero, assassinato nella cappella dell’hospitalito della Divina Provvidenza; un cammino in cui è stato preceduto, e poi seguito, da tante altre persone, donne e uomini, laici e religiosi, che hanno considerato la loro vita non un valore assoluto da difendere ad ogni costo, ma un valore relativo all’avvento del Regno di Dio: come Gesù, l’uomo-per-gli-altri, hanno capito che l’amore per il proprio popolo, l’amore per la giustizia è il valore più grande; hanno preferito fare della propria vita un dono fino a perderla piuttosto che gelosamente tenerla per sé.
Pierpaolo Loi
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