Historias de guerrillas (1°pt)



Lo zapatismo e la rivoluzione messicana

1910: la rivoluzione incompiuta

Fino alla rivoluzione del 1910, che mise fine al regime di Porfirio Diaz, la situazione di ingiustizia sociale nel Paese era spaventosa. Il censimento del 1910 rivelava che il 97% dei contadini erano senza terra e che l’1% della popolazione possedeva il 96% delle terre. Paradossalmente l’ottenimento dell’indipendenza dalla Spagna fu un elemento che rafforzò ancor più il latifondo, espropriando le terre comunitarie (gli ejidos) dei contadini poveri.
Diaz, come rappresentante di un regime con forti rimanenze feudali, era considerato dalla borghesia nazionale come un uomo troppo dipendente dagli interessi del capitale straniero. La sollevazione di Chihuahua, diretta da Pancho Villa, portò così all’elezione di Francisco Madero, rappresentante di quella borghesia nazionale che rivendicava la propria fetta di potere e una maggiore presenza negli organismi governativi. Madero, promettendo la restituzione delle terre comunitarie al popolo (Plan de San Luis), ottenne un considerevole appoggio tra i contadini. Dopo sei mesi, con il popolo in armi e in un clima di insubordinazione, Diaz fu costretto a dimettersi e a fuggire all’estero.
Ma una volta sconfitto Diaz, la borghesia nazionale tradì le aspirazioni popolari e tentò di disarmare le truppe contadine a capo delle quali c’erano Zapata (al sud) e Pancho Villa (al nord). Madero non aveva alcuna intenzione di rispettare le promesse del Plan de San Luis. A quel punto Zapata propose di conquistare la riforma agraria per via rivoluzionaria.
Il Plan de Ayala di Emiliano Zapata prevedeva la requisizione di un terzo delle proprietà dei latifondisti e la nazionalizzazione delle terre, dei monti e dell’acqua. Madero, che vedeva mancare sotto i propri piedi il sostegno dei contadini, si rivolse agli esponenti e ai quadri del vecchio regime "porfirista" per conquistare una base d’appoggio; nel suo governo rimasero la maggioranza dei membri del vecchio gabinetto di Diaz, l’intero Parlamento non subì modifiche per oltre un anno e la metà dei senatori rimasero ai loro posti. Nell’esercito non ci fu alcuna epurazione nei piani alti, ma anzi ci fu un aumento degli effettivi per combattere le truppe rivoluzionarie di Zapata e Pancho Villa.
Il settore più ricco della borghesia che aveva dato il proprio appoggio a Madero era strettamente legato alla proprietà della terra. La borghesia industriale spesso coincideva con i latifondisti e questo spiega perché la classe dominante messicana fosse incapace di avviare una seria redistribuzione delle terre, portando a termine i compiti classici di una rivoluzione borghese.
Fecero una parvenza di riforma agraria gestita in modo assolutamente burocratico, che non poteva in nessun modo accontentare i contadini che continuarono a combattere.
A quel punto, di fronte allo stallo sociale e l’incapacità di contenere l’avanzata degli eserciti contadini, la grande borghesia getterà la maschera organizzando un colpo di stato nel febbraio del 1913. Durante il golpe diretto da Victoriano Huerta, Madero perderà la vita. La nuova dittatura si caratterizzerà per la sua ferocia, al punto da provocare una reazione anche da parte degli strati inferiori della borghesia nazionale.
Al comando di Venustiano Carranza si organizzerà l’esercito che combatterà Huerta. Molti contadini verranno reclutati con la promessa che già Madero aveva tradito, quella di una vera riforma agraria. Ma nelle zone controllate dall’esercito ribelle, dove vennero espropriate delle fattorie per ripartirle tra i contadini, Carranza protesterà violentemente insistendo sul fatto che queste cose sarebbero diventate operative solo dopo la destituzione di Huerta.
Zapata e Villa lottarono a fianco dell’esercito di Carranza pur mantenendo la propria indipendenza; nei piani di Carranza c’era quello di eliminarli una volta che si fosse sbarazzato di Huerta, ma le cose precipitarono ancor prima; nell’agosto del ‘14 era già cominciata una guerra civile tra la borghesia nazionale e l’esercito contadino rivoluzionario.
Nel dicembre del 1914, Zapata e Villa entrarono trionfanti nella capitale e tentarono di organizzare il nuovo potere, ma non riuscirono a consolidarlo perché quasi subito furono costretti ad indietreggiare per la nuova offensiva di Carranza. Nell’agosto del ‘15 la situazione era radicalmente cambiata e le truppe di Carranza controllavano la capitale e la maggior parte del Paese. La vittoria di Carranza fu possibile perché riuscì a portare dalla sua parte la giovane classe operaia messicana.
Il peso della classe operaia a quell’epoca era ancora molto scarso, non esisteva né la coesione sufficiente né una direzione marxista in grado di dirigerla in un processo rivoluzionario. Tra i lavoratori più attivi dominavano le posizioni anarcosindacaliste. Due tra i principali dirigenti del movimento operaio erano i fratelli Flores Magòn, i quali rivendicavano che i mezzi di produzione, le terre, gli strumenti di lavoro, passassero sotto il controllo dei lavoratori, ma allo stesso tempo negavano la necessità di un potere rivoluzionario come strumento per organizzare la nuova società e combattere gli sfruttatori. Disgraziatamente nei momenti rivoluzionari la questione del potere non può essere ignorata, se non correndo il rischio di ritrovarsi nel campo della borghesia, il che fu precisamente quanto avvenne nel 1915, quando i dirigenti del movimento operaio, allettati da Carranza che promise loro il "controllo" dei sindacati sull’economia, furono utilizzati dalla borghesia per combattere i contadini.
I cosiddetti "battaglioni rossi" furono così scagliati contro le truppe di Villa e Zapata e contribuirono al soffocamento dell’ala più rivoluzionaria dei movimento contadino.
Una tragedia di proporzioni immani si era consumata. Quegli stessi lavoratori che rivendicavano la giornata lavorativa di 8 ore, migliori condizioni di lavoro ed il salario minimo, per colpa delle posizioni errate della loro direzione stavano schiacciando, armi alla mano, un esercito contadino con il quale avrebbero dovuto lottare assieme. Questa esperienza, per quanto lontana nel tempo è densa di insegnamenti e dimostra fino a che punto questioni teoriche, che a un occhio superficiale possono apparire irrilevanti, nei momenti decisivi possono condurre alla sconfitta un movimento rivoluzionario.

Realtà del Chiapas oggi

Nel 1917 la nuova Costituzione messicana, seppure in forma distorta, reintroduce l’inalienabilità delle terre degli ejidos. È del 1994 la modifica della Costituzione che cancella quel principio, una data che non a caso coincide con l’inizio della rivolta in Chiapas.
Tuttavia, per non parlare in astratto di terre comunitarie, è necessario analizzare anche la qualità e la gestione di queste terre. Sotto il regime dominato per ottant’anni dal Pri, le diverse riforme agrarie che si sono succedute hanno sempre avuto un carattere parziale oltre che ingiusto, e spesso assegnavano ai contadini poveri le terre più aride e meno redditizie. I latifondi non sono mai stati espropriati dallo Stato.
Tutti quei contadini che venivano espulsi dalle loro terre per debiti venivano invitati dal governo a emigrare verso le montagne aride del Chiapas, dove si creò un gigantesco bacino di manodopera di riserva che i latifondisti delle regioni del Centro, di Fraylesca e Soconusco utilizzavano nei periodi della raccolta. Quando la raccolta finiva i peones sopravvivevano a stento sulle poverissime terre comunitarie che venivano assegnate a esclusivo vantaggio dei grandi proprietari.
Non c’è bisogno di dire che le terre migliori e più fertili rimanevano sotto il controllo del latifondo. Fu così che 150mila contadini, quasi tutti indigeni furono costretti a mettere dimora nelle foreste e nelle montagne. All’inizio degli anni ‘80 ben l’80% degli ejidos erano costretti per sopravvivere a lavorare nelle aziende dei grandi proprietari e nelle periferie delle città. In queste periferie si annidava anche un sottoproletariato di contadini rimasti senza terra e senza lavoro.
Grazie a questa opera di supersfruttamento il Chiapas è diventato il primo esportatore di caffè e fra i primi tre stati messicani produttore di mais, banane, tabacco e cacao.
In realtà gli ejidos quando l’accordo del Nafta ne propose l’abolizione corrispondevano solo al 10% delle terre del Chiapas e la stragrande maggioranza di questi venivano gestiti in modo privatistico. Il 90% dei contadini delle terre comunitarie tutt’ora estraggono dalla terra un reddito giornaliero inferiore a un dollaro. Il Chiapas è la regione che genera più povertà nonostante sia piuttosto ricca considerando il suo prodotto interno, una delle poche dove la maggioranza della popolazione vive nelle zone rurali, il 30% degli abitanti sono indigeni e la quasi totalità sono contadini senza terra. In Ocosingo, Altamirano e Las Margaritas, su 225mila abitanti, il 48% della popolazione è analfabeta, l’80% delle famiglie vive sotto i livelli minimi di sussistenza, il 75% delle comunità non ha elettricità e oltre la metà non possiede acqua potabile.
Solo nel 1993, anno precedente alla rivolta, sono morti oltre 15mila contadini per malattie provocate dall’indigenza. Questo processo aveva basi materiali nell’economia: nell’89 c’era stato il crollo dei prezzi del caffè a livello internazionale con conseguenze devastanti sulle già deprecabili condizioni di vita dei contadini chiapanechi, la goccia che fece traboccare il vaso fu l’adesione del governo Salinas de Gortari al Trattato di Libero Commercio (Nafta) del 1992.
E sono queste le vere ragioni che hanno spinto i contadini del Chiapas ad organizzarsi nell’Ezln.

L’insurrezione del ‘94 e le origini dell’Ezln

Non è molto noto che l’Ezln ha una diretta discendenza dalle organizzazioni maoiste che a partire dagli anni ‘70 nacquero in Chiapas. A quell’epoca esistevano diversi gruppi progressisti di orientamento cattolico ma anche maoista che tentarano di organizzare la difesa dei diritti primari degli indigeni. Nel ‘75 prese vita la Union de Ejidos-Quiptic ta Lecubtesel, in lingua tzetzal, Nostra forza per la liberazione, che romperà con i maoisti di Linea Proletaria e costituirà nel 1980 la Uniòn de Uniones Ejidales y Grupos Campesinos Solidarios de Chiapas.
Le attività del gruppo erano orientate fondamentalmente alla ricerca di progetti produttivi per lo sviluppo della regione, progetti ai quali lo Stato non era interessato a dare sostegno. Questo aprirà una crisi nel seno dell’organizzazione che proprio in questa fase stabilirà vincoli con un gruppo minoritario di provenienza guevarista.
L’Ezln verrà fondata nel 1983 e in realtà fino all’89 non ebbe che un ruolo marginale. Ma nel corso dei primi anni ‘90 le comunità indigene giunsero alla conclusione che era necessario organizzare l’autodifesa armata contro le scorribande dei gruppi paramilitari sostenuti dal governo che garantivano gli interessi dell’industria agroalimentare e lo sfruttamento disumano dei contadini poveri.
L’Ezln venne "usata" in tal modo dai contadini fondamentalmente per ragioni di sopravvivenza, non fu un’adesione precisamente politica. Questo comporterà un mutamento della natura dell’organizzazione che da minoritaria diventerà di massa, ma che allo stesso tempo annacquerà i suoi riferimenti al maoismo e al guevarismo, complice anche la caduta dell’Urss.
Quell’organizzazione preparò l’insurrezione del 1° gennaio del 1994. Allora gli zapatisti pensavano che era solo l’inizio di un processo che si sarebbe esteso in tutto il Paese fino alla presa del potere.
Le cose non andarono esattamente così: "In termini molto semplici: l’Ezln era preparata per il 1° gennaio ma non per il 2 di gennaio (...) o l’annichilimento del primo gruppo di linea o il sollevamento di tutto il popolo per abbattere il tiranno; si presentò invece una situazione, che non solo non era intermedia ma che non aveva assolutamente niente a che vedere con le nostre aspettative." (Marcos nell’intervista con Monsivais, La Jornada, 8.1.2001).
Il 1° gennaio più di 4000 indigeni male armati, alcuni dei quali solo con bastoni, lanciarono un offensiva per la presa di San Cristobal de Las Casas, Ocosingo, Altamirano e Las Margaritas. L’insurrezione in termini militari fu un successo, però solo nelle regioni di influenza zapatista.
La maggior parte dei messicani seppero della rivolta dai media, per cui non solo era poco probabile, ma piuttosto impossibile che la ribellione si estendesse in tutto il paese, nonostante ci fossero tutte le condizioni materiali per questo. Ciò nonostante le masse fecero di tutto per dare il proprio sostegno alla lotta. In primo luogo a Città del Messico, dove si organizzarono riunioni con centinaia di attivisti e si cercavano affannosamente informazioni sulla rivolta con la proposta di azioni di solidarietà.
La pressione sociale sull’esercito era tale che, mentre l’Ezln indietreggiava nella selva, tra i soldati c’era un clima di insubordinazione con resistenze di ogni tipo a continuare la controffensiva, con casi di diserzione e altri in cui le truppe sbagliavano intenzionalmente la mira per non colpire i ribelli. Ma a fermare definitivamente l’esercito fu la gigantesca mobilitazione del 12 gennaio, che cambiò i rapporti di forza nel Paese costringendo lo Stato messicano a più miti consigli.

Sette anni di conflitti e di accordi con lo Stato

Nella prima dichiarazione dalla Selva Lacandona, dopo l’insurrezione, l’Ezln proponeva "...la lotta fino all’ottenimento dei bisogni primordiali e la formazione di un governo nel paese libero e democratico". Questa linea, che pure si basava su un’idea non socialista del paese "libero e democratico", infiammò il paese con manifestazioni di solidarietà in tutto lo Stato.
Salinas, l’allora presidente del Messico, dopo quella manifestazione fu costretto a ritirare temporaneamente l’esercito dal Chiapas e a proporre una "linea del dialogo" che era un modo per prendere tempo. Il governo tentò di smorzare il clima di mobilitazione che si generalizzava, dando alla rivolta un carattere locale e caratterizzando il tutto come un problema esclusivamente etnico.
Tra il 23 febbraio e il 2 marzo si tennero trattative nella Cattedrale di San Cristobal de Las Casas, dove il governo fece molte promesse sul piano economico che non vennero mantenute. L’obiettivo era quello di temporeggiare per disarmare successivamente l’Ezln.
Il problema per il governo era che, a differenza di altre guerriglie che avevano perso legami di massa nella loro fase terminale, l’Ezln aveva in quel momento forti radici ed era il prodotto di un movimento contadino stanco di promesse, disgustato dalle manovre e dalle bugie dello Stato, con una capacità di resistenza enorme.
Non si raggiunse alcun accordo, ma la direzione dell’Ezln decise di non fare più appello a una sollevazione armata promuovendo la formazione di organizzazioni di combattimento, ma piuttosto di costruire una rete di esclusivo sostegno alla causa zapatista. Di fatto si trattava di formare gruppi di pressione per poter trattare con lo Stato da una posizione di maggior forza. Il comandante Tacho, una delle principali figure dell’Ezln ebbe modo di dichiarare: "Per essere sincero molti di noi erano disposti a prendere le armi, ci eravamo preparati per questo, ma non eravamo preparati per far politica... non avevamo mai pensato che quello che ci serviva era la lotta politica. Ad averlo pensato prima avremmo fatto altre cose... Ma non fu così, io partecipai alla milizia, divenni responsabile locale, poi responsabile regionale e i compagni vedendo il mio lavoro, mi diedero incarichi per cercare, per pensare, parlare di lotta. Così incominciò, ma non ero realmente preparato per la politica".
Si procedeva a tentoni. Nella Seconda dichiarazione dalla Selva Lacandona l’Ezln propose la "realizzazione di una Convenzione Nazionale Democratica (CND) sovrana e rivoluzionaria, che proponga un nuovo governo di transizione e una nuova costituzione che garantisca il compimento delle volontà popolare". La cosa generò un certo entusiasmo in tutto il paese, l’8 agosto 1994 più di 7mila persone si trovarono ad Aguascalientes.
Di fronte al sostanziale insuccesso della CND, nella Terza dichiarazione del gennaio ‘95 la questione dell’autonomia assunse un carattere sempre più centrale, anche se comparirà una proposta rivolta alle altre forze della sinistra messicana, in particolare al leader del Partido de la Revolucion Democratica (Prd) Cuahtemoc Cardenas, perchè fosse lui a dirigere un Movimento per la Liberazione Nazionale (MLN), come fronte ampio dell’opposizione: "La questione indigena non ha soluzione senza una trasformazione radicale del patto nazionale".
Il problema è che il capo del Prd aveva tutto in mente in quel momento, ma certo non di mettersi alla testa di un movimento con quelle caratteristiche.
La logica che sembrava prevalere a quell'epoca era: se il governo è illegittimo (le elezioni del ‘94 sono state piene di brogli elettorali) e non dà risposte, lo ignoriamo e agiamo come meglio crediamo. L’illusione pericolosa che si potesse "ignorare" lo Stato e il suo apparato militare verrà purtroppo smentita dalla nuova offensiva militare che l’Esercito stava preparando.

Gli accordi di San Andres e il massacro dell’Acteal

Il 9 febbraio del ‘95 l’esercito riprenderà l’offensiva militare occupando Guadalupe Tepeyac, luogo in cui si riuniva la CND, arrestando militanti e simpatizzanti dell’Ezln. La reazione delle masse costringerà il governo a fare nuovamente un passo indietro "tendendo la mano" agli zapatisti.
In realtà sottobanco continuava la guerra con altri mezzi e si finanziavano gruppi paramilitari che venivano reclutati tra i sottoproletari i quali generavano un clima di terrore in tutta la zona.
Nel gennaio del ‘96 appare la Quarta dichiarazione dalla Selva, che propone la formazione del Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale (FZLN). Di fatto, rispetto alla CND e al MLN, viene abbandonata completamente l’idea di un ampio fronte di lotta esteso alle altre organizzazioni operaie, contadine, studentesche e si fa un appello a costruire una forza politica di esclusivo orientamento zapatista.
Dietro questa proposta c’era l’intenzione di Marcos di preparare la strada a una fuoriuscita dall’illegalità, un percorso simile a quello che c’era stato in Colombia con l’M19 o in Salvador con il Flmn.
In realtà il Fzln realizzò la sua prima assemblea nazionale solo nel settembre del 1997, con la partecipazione di 1100 zapatisti a Città del Messico, quando la tregua col governo si era già rotta e dunque, anche se era stato concepito come uno strumento per l’entrata dell’Ezln nella vita legale, si rivelò inutile da questo punto di vista per ragioni non dipendenti dalla volontà di Marcos e compagni.
Ai negoziati di cui si iniziava a parlare dal settembre del 1995 il governo partecipava solo per guadagnar tempo.
Il 16 febbraio del 1996 si firmarono gli accordi di San Andres, mai rispettati da Ernesto Zedillo. Alla Cocopa (Commissione di concordia e pacificazione) venne affidato il compito di trasformare in legge gli accordi che, come si può vedere dal testo in appendice, erano piuttosto vaghi.
Il 29 novembre la Cocopa presenterà una proposta di legge che verrà accettata quasi subito dall’Ezln che la farà propria. Non la penserà allo stesso modo il governo che non aveva mai voluto sul serio un accordo dove si facessero delle concessioni sostanziali.
Vennero così rimessi in discussione una serie di punti: la norma del rispetto degli "usi e costumi" indigeni nella formazione dei municipi, l’esistenza di mezzi di comunicazione indigena (radiodiffusori), la concessione agli indigeni dello sfruttamento delle risorse naturali, ecc. Ogni pretesto era comunque buono per rompere e spingere di nuovo l’Ezln sulla via militare. Ogni possibile trattativa per la fuoriuscita dell’Ezln dalla illegalità si rivelò impraticabile e la tregua fallì. Zedillo in realtà era solo alla ricerca di un casus belli che giustificasse nei confronti dell’opinione pubblica internazionale una nuova offensiva, così il governo messicano tentò di servirsi della proposta di legge della Cocopa. Il governo pensava che l’Ezln non l’avrebbe mai accettata, ma così non fu.
A dimostrazione della strumentalità dei negoziati da parte governativa, l’offensiva militare riprese a freddo poco dopo. Il 14 marzo verranno assassinati 4 simpatizzanti dell’Ezln nel municipio di San Pedro Nixtaluicum. Il 22 dicembre del ‘97 un gruppo paramilitare (Mascara Roja) finanziato dal governo massacrerà nella comunità di Acteal 45 contadini indigeni. Nei giorni a seguire poliziotti, militanti del Pri e gruppi paramilitari deporteranno intere comunità indigene.
Il massacro di Acteal provocò un sentimento di ripulsa generale che coincise con una forte ripresa delle mobilitazioni della classe operaia messicana.
Nel giugno ‘98 nella Quinta dichiarazione verrà sancita definitivamente la svolta minimalista dell’Ezln che da tempo andava maturando. Tutto si ridurrà al "riconoscimento dei diritti del popolo indio e per la fine della guerra di sterminio.". Di fronte alla repressione l’Ezln risponderà con una linea pacifista: "Il nostro silenzio ha denudato il potente e ha mostrato quello che è: una bestia criminale". Leggiamo questo passaggio significativo della Quinta dichiarazione: "Dopo una lunga lotta per la democrazia, diretta dai partiti dell’opposizione, c’è nelle camere dei deputati e dei senatori un nuovo rapporto di forze che rende difficile l’arbitrarietà del presidenzialismo... Non ci sarà transizione alla democrazia, né riforma dello Stato, né soluzioni reali ai principali problemi dell’agenda nazionale senza i popoli indigeni".
Nei mesi a seguire gli zapatisti non risponderanno alle provocazioni dei militari, non perché impossibilitati, ma perché decideranno che la non risposta è il modo migliore per combattere l’esercito. Di conseguenza comunità intere si troveranno a far fronte disarmate alla violenza del regime.

L’elezione di Fox e la marcia su Città del Messico

Il 2 luglio verrà eletto presidente Vicente Fox, rappresentante del settore più reazionario della borghesia messicana. Non a caso il suo partito (il Pan) era stato fondato da Gomez Morin, simpatizzante del fascismo e del franchismo.
È il caso forse di rammentare la storia di questo partito, che per la prima volta in ottant’anni è riuscito a scalzare il Pri dal potere.
Il Pan affonda le proprie radici nelle diverse organizzazioni di impronta clericale che dopo la Rivoluzione del 1910 tentarono di opporsi alle misure che abolivano i privilegi della Chiesa Cattolica. Tra queste c’era il Partido Catòlico Nacional che, attraverso la Liga Nacional Defensora de la Libertad Religiosa, nel 1926 organizzò una rivolta dal carattere chiaramente controrivoluzionario, una sorta di Vandea messicana.
Sconfitta la rivolta, il settore più radicale della Liga diede forma a una legione di nome Base, un’organizzazione segreta che si proponeva di continuare la resistenza partecipando allo stesso tempo alla vita politica del paese. La Base era un’organizzazione fortemente gerarchica di tipo militare alla quale aderì anche il fondatore del Pan, Gomèz Morin.
All’interno della Base nel 1937 sorse il sinarquismo, un movimento che sull’onda della vittoria di Hitler in Germania e di Franco in Spagna si orientò apertamente al fascismo. Formalmente i sinarquisti non si dichiaravano pro-nazi ma si richiamavano al falangismo, le organizzazioni fasciste spagnole. Il loro programma chiedeva: "Il diritto alla proprietà privata e allo stesso tempo le condizioni per tutti i lavoratori di avere accesso alla proprietà" (il che ricalca la demagogia dell’attuale presidente Fox).
Nel programma sinarquista comparirà anche la seguente frase: "Di fronte al grido comunista ‘tutti proletari’ opponiamo il grido ‘tutti proprietari’. Condanniamo la lotta di classe e chiediamo con urganza l’unione tra il capitale e il lavoro che in un regime di giustizia sociale realizzi il bene del Messico". Insomma un programma corporativo di tipo fascista, che si proponeva di creare in Messico uno Stato teocratico. Da questa feccia reazionaria viene il Pan, il partito di Vicente Fox, che oggi si presenta col doppiopetto come uomo ragionevole e democratico!
Durante le elezioni presidenziali una delle tante promesse demagogiche di Fox fu proprio quella di mostrarsi "disponibile al dialogo", promettendo agli elettori che in caso di elezioni avrebbe fatto la pace con l’Ezln nel giro di 15 minuti.
La marcia della delegazione zapatista giunta a Città del Messico l’11 marzo 2001, con il comizio del Subcomandante e l’intervento di fronte al Parlamento della comandante Esther, di per sè non risolvono alcun problema reale e per certi aspetti sono congeniali al disegno di Fox, che tenta di rafforzare la sua immagine di uomo "democratico" e del dialogo. L’obiettivo dello Stato messicano è molto chiaro, rendere innocuo l’Ezln, trasformare la guerriglia in un movimento politico di tipo etnico, che sia innocuo e funzionale al potere.

La Cocopa e la legge approvata dal Senato

La legge della Cocopa, che Fox ha inviato alle Camere e che l’Ezln sostiene, vedeva presenti alcuni punti che il Senato ha respinto il 25 aprile, quando ha approvato il testo sulla riforma indigena.
Le modifiche principali riguardano:
1- lo sfruttamento collettivo della terra e delle risorse naturali nel circondario avrebbe dovuto comportare la definizione di un territorio all’interno del quale il popolo indigeno possedesse la proprietà. La legge approvata dal Parlamento al contrario ha riconosciuto il diritto allo sfruttamento delle risorse naturali, salvo quelle di proprietà di privati o che siano di esclusivo sfruttamento della nazione. dunque la legge approvata protegge le relazioni di proprietà esistenti attualmente e non prevede alcuna possibilità di espropriazione di latifondi.
2- Rispetto all’elezione delle autorità locali, la legge originale prevedeva che queste si facessero secondo le tradizioni, le usanze e i costumi. La legge approvata precisa invece che tali elezioni si faranno rispettando le leggi che valgono per il resto del paese, il che significa nessuna concessione da questo punto di vista.
3- La legge originale indicava i popoli indigeni quali soggetti di diritto pubblico, il che significava che attraverso i loro rappresentanti potessero avere personalità giuridica. La legge approvata dal Parlamento non riconosce tutto questo, il che rappresenta un passo indietro anche rispetto alla precedente proposta di Zedillo, e persino della modifica costituzionale di Salinas de Gortari del 1991. Prima di questa legge i popoli indigeni erano soggetti di diritto pubblico, con la nuova legge smetterebbero di esserlo, e dunque sul piano legale non solo non migliora la loro condizione ma riesce persino a peggiorare. Sostanzialmente tutte le altre modifiche sono relazionate a questi tre punti che sono i più importanti.
Di fatto questa cosiddetta "riforma indigena" approvata dal Parlamento è come una legge speciale per indicare che alcune comunità o persone hanno i diritti che già sono segnalati in altre leggi, non solo non c’è niente di nuovo, ma almeno in un caso (quello segnalato al punto 3) toglie dei diritti acquisiti. È logico quindi che l’Ezln abbia rigettato la legge e rotto la tregua con il governo messicano.
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Appendice: gli accordi di San Andres

Riassunto degli accordi di San Andres firmati il 16 febbraio 1996. La fonte originale è il bollettino dell’organizzazione Xi’Nich, Palenque, Chiapas.
Gli accordi di San Andres sono un compromesso e proposte congiunte del Governo Federale e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) per garantire una nuova relazione tra i popoli indigeni del paese, la società e lo Stato. Queste proposte congiunte saranno inviate alle Camere per essere convertite in riforma Costituzionale...
Il Governo si impegna a discutere la sua proposta di riforma con l’Ezln, per questo si parla di proposta congiunta.
L’obiettivo centrale di questi accordi è chiudere con la situazione di subordinazione, diseguaglianza, discriminazione, povertà, sfruttamento e marginalizzazione politica dei popoli indigeni.
Per questo, si è proposto un nuovo quadro giuridico che contempla il riconoscimento costituzionale dei diritti dei popoli indigeni, non solo dei diritti individuali, della persona, ma dei diritti collettivi, di popolo (siano tzeltales, purépechas, nahuas, tarahumaras, huicholes, mixtecos o di qualsiasi altro popolo indigeno che viva nel territorio nazionale). I diritti da riconoscere sono i seguenti:

- politici: espressi con il riconoscimento dei governi propri e delle forme proprie di elezione delle proprie autorità;

- giuridici: per poter esercitare i propri sistemi normativi interni, le proprie forme elettive e le proprie autorità, le proprie forma di giustizia, riparare gli errori e decidere in materia di conflitti interni;

- sociali: per decidere le proprie forme di organizzazione sociale;

- economiche: per decidere la propria organizzazione del lavoro, lo sfruttamento delle proprie risorse e perchè si organizzi la produzione, l’occupazione, il soddisfacimento delle necessità dei popoli indigeni;

- culturali: per garantire la cultura del popolo indigeno.

I compromessi e le proposte congiunte che le parti si impegnano a promuovere sono le seguenti:

1) Riconoscimento del popolo indigeno nella Costituzione e dei suoi diritti a la libera autodeterminazione in un regime costituzionale di autonomia.
2) Ampliare la partecipazione e la rappresentanza politica, il riconoscimento dei suoi diritti politici, economici, sociali e culturali.
3) Garantire il pieno accesso dei popoli indigeni alla giustizia dello Stato, alla giurisdizione dello Stato e al riconoscimento dei sistemi normativi interni del popolo indigeno.
4) Promuovere le manifestazioni culturali dei popoli indigeni.
5) Assicurare l’educazione e il rispetto dei saperi tradizionali.
6) Soddisfare le loro necessità primarie.
7) Promuovere la produzione e l’occupazione.
8) Proteggere gli indigeni migranti.

Questa nuova relazione necessita di una profonda riforma dello stato, un nuovo patto sociale nel quale si rispetti l’autonomia dei popoli indigeni. Per questo, tutte le azioni, programmi e progetti di sviluppo che lo Stato promuova devono vedere il coinvolgimento attivo dei popoli indigeni, e come tale devono basarsi sui seguenti principi:

- Libera determinazione e autonomia: Lo Stato non potrà realizzare azioni unilaterali e dovrà rispettare le opinioni e i piani dei popoli, le comunità e le organizzazioni indigene.

- Partecipazione: I popoli e le comunità devono essere soggetti attivi nel disegno, la pianificazione, esecuzione e valutazione dei programmi che decidano, insieme al governo.

- Pluralismo: Questo principio vuole che si rispetti la diversità di tutti gli indigeni del paese. Basta con le discriminazioni.

- Sostenibilità: E importante che i progetti e i programmi non danneggino l’equilibrio ambientale, nè le risorse. Ci si propone con questo di rispettare la natura e la cultura dei popoli indigeni.

4 commenti:

  1. Questi diritti sono rimasti sulla carta perché nessuno dei punti sopraelencati è stato rispettato dal governo messicano. Continuano le vessazioni e persino, nelle ultime settimane, gli attacchi dei paramilitari. Non capisco il silenzio della dirigenza dell'EZLN. Ovviamente non a livello militare, ma a livello mediatico spariscono per mesi senza nessun comunicato. Le loro richieste al governo non dovrebbero essere continue e gridate ad alta voce? E se non ci fosse l'aiuto della società internazionale cosa ne sarebbe di loro? Ciao, M.

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  2. Cara Mary,
    hai perfettamente ragione. Dirò di più, spariscono non solo a livello mediatico, ma anche militare. Il Sub sta tentando “una terza via”, rispondendo con una rivoluzione non convenzionale alla guerra non dichiarata (e non convenzionale) del governo federale.
    Si conta sui tempi lunghi e il logoramento di un'azione continua e di bassa intensità. Non so fino a che punto sia pagante.
    Vero è che ognuno deve fare le sue, di rivoluzioni, come dice sempre il Sub.
    ...E noi dovremmo ritirarci nella Foresta Umbra o sui Monti della Sila per cacciare via Batista-Berlusconi e tutta la sua famiglia para-mediatica (...e le sue mignotte).
    E con lui cacciare anche tutti gli inetti e paraculi dell'opposizione: D'Alema scarpine d'oro (un milione e mezzo di lire fatte a mano!), Bertinotti signor "rado" (per via dell'orologio da fighettina), Franceschini culatello (stesso azzento di Prodi, ma sapore leggermente più sofistico), Veltroni cinema paradiso (per via del diplomuccio in cinematografia), Rutelli architetto mancato (per via della laurea mai presa, lui pariolino e figlio di palazzinaro!), ecc..ecc..
    Via, facciamo una bella rivoluzione e sbattiamoli tutti, loro sì, nei Centri di Permanenza Temporanea.
    Ciao, D.

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  3. Te parli di ritiro nei boschi,(magari a raccogliere funghi e fragoline). Ieri ho mandato un messaggio di cordoglio, su Repubblica, per la morte del ragazzo ucciso in Afghanistan e ci ho anche aggiunto un commento su Berlusconi. Me l'hanno censurato, hanno pubblicato solo le condoglianze. La Repubblica! Questo per dire che tutti si stanno prostrando al potere. Solo Di Pietro sta facendo opposizione, negli altri, tranne Bertinotti (ha pure conosciuto Marcos), non ho mai creduto. Non stanno facendo niente per noi, ma tanto fra poco la tivù ci rimbambirà sulle partenze per le vacanze e la crisi, per incanto, sparirà. Ciao, M.

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  4. Cara Mary,
    se parlo di ritiro nei boschi non è mica per fare il Thoreau? Il giorno che decido di non comunicare più i miei cambi di residenza, sparisco... mi do alla clandestinità! Si passa alla fase operativa.

    Dispiace anche a me per il caporalmaggiore Di Lisio, mandato a morire in un meccanismo molto più grande di lui da... "mandanti che sono tanti".
    Ho sentito le parole di Ignazio La Russa: da rabbrividire! C'ha infilato anche un "de relato", come fosse l'ultimo dei miei colleghi avvocaticchi quando fanno i cassazionisti nelle querele.
    In Afghanistan ci manderei Antonino Junior La Russa, detto Geronimo! Insieme a Paolo Ligresti, Barbara Berlusconi, Margherita Maccapani Missoni, Giovanni Tronchetti Provera, Gilda Moratti, Francesca Versace, ecc... Sono disposto anche a tornare in spe (servizio effettivo) e andare a Farah tutti insieme, così poi il paparino La Russa saprà qualcosa di più sulla guerra (e quanto fa male). E questa volta non "de relato".

    Non so cos'hai scritto sullo psiconano, ma La Repubblica (che poi nel caso concreto è solo il singolo redattore che ha filtrato il tuo commento) deve adottare le cautele richieste dalle norme di legge sull'editoria. Importante è comunque averlo espresso (il commento), anche se poi è arrivato monco.

    Su Di Pietro non farei affidamento, è peggio degli altri. Molto peggio perfino in famiglia, dove ogni tanto si ritrova col figlioletto Cristiano impelagato in qualcosa. L'ho conosciuto, il Cristiano, e ogni tanto lo si vede in tribunale, lasciamo perdere... Ha già la trippa (e il pizzetto) da cumenda!

    Bertinotti non ha mai incontrato il vero Marcos, ha incontrato me. Sotto il passamontagna c'ero io! Gli ho detto che non ero il vero Marcos, ma lui m'ha detto che non faceva nulla, che tanto era tutto finto pure lui! Perfino la sua erre moscia è finta!
    Ciao, D.

    Ps La crisi? Forse sbagliamo noi a preoccuparci tanto.
    Ieri ho saputo da una che fa la commessa in un supermercato che lei se ne va in Norvegia a passare le ferie, mica Capracotta! (come direbbe Sordi nel Conte Max).
    Una volta la classe operaia aveva giuste rivendicazioni da fare e soprattutto mete (sociali e umane) di emancipazione e progresso da raggiungere.
    Oggi gli operai hanno guadagnato il benessere dei cricetini in gabbia, gli danno una rotellina in cui girare tutti contenti e soddisfatti, così incrementano il sistema e non migliarano di un'unghia se stessi.
    Prima non potevano per mancanza di possibilità, ora le possibilità le avrebbero pure, ma preferiscono Alpitour! Così restano sempre ignoranti come capre, ma capre di ritorno da Sharm al Sheik, mica Ostia... Vuoi mettere?

    Venga la crisi e si porti via tutta questa sottospecie di umanità imbecille.
    Auguro a tutti una digna rabia.

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