Teología de la Revolución



Ho detto molte volte che l'esperienza della rivoluzione cubana, al tempo della mia prima visita a Cuba, è stata la più importante della mia vita dopo la mia conversione religiosa, e che è stata come una seconda conversione. Senza Cintio Vitier e sua moglie Fina Garcìa Marruz, sarei rimasto certo molto impressionato dalla rivoluzione cubana, ma non avrei avuto questa cosa che ho chiamato conversione.
La parola biblica conversione in greco si dice “metanoia” che significa cambiamento di mentalità, e per me questo equivale a una rivoluzione. Gli indios misquitos del Nicaragua per dire rivoluzione dicono revolution (per l'influenza inglese) ma nella loro lingua hanno una parola specifica per esprimere un cambiamento ed è a stessa con cui si riferiscono al cambio di pelle delle bisce e degli altri rettili. Ed è la stessa cosa che intendeva Gesù quando disse a Nicodemo che bisognava nascere di nuovo.
In questo senso la mia prima visita a Cuba è stata un cambiamento e una conversione, perché è stato allora che sono diventato rivoluzionario. Roberto Fernàndez Retamar mi aveva invitato diverse volte a Cuba, ma le autorità ecclesiastiche non me lo permettevano. Retamar e Haydée Santamarìa furono persino in trattativa con l'ambasciatore di Cuba al Vaticano per far autorizzare il mio viaggio, e mi fu concesso, ma nonostante questo il mio vescovo non mi diede il permesso.
E allora nel 1970 me ne venni qui senza permesso. Lo feci incoraggiato da Cintio Vitier che si era già unito alla rivoluzione (e non l'aveva fatto prima solo perché cattolico). Con lui e Fina c'erano anche: Lezama Lima, Eliseo Diego, Octavio Smith e altri cattolici.
Fu così che mi identificai con la rivoluzione cubana, e a questa mi unii ancor prima di prendere parte alla rivoluzione del Nicaragua, perché allora in Nicaragua non c'era rivoluzione. Per un cattolico – e Cintio e Fina lo erano e continuano ad esserlo – a quei tempi era difficile – o impossibile – unirsi a una rivoluzione che si era dichiarata comunista e atea.
Su una sola cosa i cattolici e i comunisti concordavano, e si trattava di un errore: un cattolico non poteva essere comunista perché il comunismo doveva essere ateo. Lo stesso Camilo Torres a suo tempo non si era dichiarato marxista, si era limitato a dire che cristiani e marxisti dovevano lottare uniti per la stessa causa e rimandare a dopo le discussioni filosofiche. Lo scrittore spagnolo José Bergamìn era stato molto audace, perché, pur essendo cattolico, era diventato comunista nel periodo in cui Pio XII aveva dichiarato automaticamente scomunicato chiunque lo fosse diventato; ma lui diceva ai comunisti: “con voi vengo fino alla morte, non un passo di più”.
Fu con l'avvento della teologia della liberazione, nei primi Anni 70, che ci venne rivelata la verità evangelica secondo la quale tutti quelli che lottano per i poveri, credenti o atei, sarebbero stati uniti oltre la morte; e il regno di Dio, o Regno dei Cieli, e la società comunista perfetta sono la stessa cosa; e credere nell'immortalità, come disse nel mio paese José Coronel Urtecho, significa che la rivoluzione non finisce in questo mondo. E fu proprio qui a Cuba, durante la mia prima visita, che scoprii come il gesuita francese Padre de Lubac avesse trasformato la frase di Sant'Agostino “Ama e fai quello che vuoi” in “Ama e credi in quello che vuoi”.
Vorrei sottolineare che Fidel ci precedette tutti, perché lui aveva sempre detto che si poteva essere comunisti e cristiani al contempo, cosa che in genere a Cuba comunisti e cristiani non capirono. E non solo a Cuba ma da molte altre parti: io, per esempio, non lo capivo. Lo capii solo quando arrivò la teologia della liberazione. E, tra parentesi, credo che questa teologia della liberazione sia stata definita male e che dovrebbe chiamarsi "teologia della rivoluzione". Così nessuno si domanderebbe più, come molti fanno, cosa significa questa teologia, perché tutti quanti sanno cos'è la rivoluzione, sia i favorevoli che i contrari. E non domanderebbero perché il papa avversa questa teologia.
Quando venni per la prima volta a Cuba non c'era ancora la teologia della liberazione, ma fu Cintio, come ho già detto, ad aprirmi gli occhi sulla rivoluzione cubana. Come avrei potuto non capirla con quello che Cintio mi diceva. Per esempio una volta, mentre stavamo viaggiando in autobus, vedemmo in lontananza la fortezza de La Cabaña, e lui mi disse: “Lì sono morti fucilati tanti giovani idealisti. Morivano gridando Viva Cristo Re! Credevano di morire per Cristo e non sapevano di essere stati uccisi da agenti della Cia e dai seguaci di Batista. Questa era la cosa più triste”.
Cintio in quell'occasione era come un giurato del premio della Casa de las Américas, e così gran parte del tempo andammo in giro a visitare l'isola insieme ad altri giurati. Ricordo che una volta, mentre viaggiavamo in autobus in mezzo ai campi, mi mostrò una distesa di migliaia e migliaia di piante di agrumi, e mi parlò del massiccio rimboschimento in atto a Cuba. E un'altra volta mi parlò della campagna con cui erano state sradicate tutte le erbacce sull'isola. E un'altra volta ancora di come fossero riusciti a sconfiggere la poliomielite, i parassiti intestinali, la malaria e il tetano. “E questa non è propaganda, è verità”, mi disse (anche la nostra rivoluzione in Nicaragua avrebbe più tardi sconfitto la poliomielite e altre malattie endemiche, e tutto questo proprio come a Cuba, non fu propaganda).
E una volta Cintio mi disse: “Fidel ha molte cose in comune con Martí. Martí era impetuoso scrivendo, come Fidel lo è parlando. Martí diceva che per lui era una malattia scrivere articoli di giornale come fossero libri. Scriveva finché gli si gonfiava la mano. Fidel parla finché gli si arrochisce la voce. Tanto Martí come Fidel sono uomini della cui vita privata si ignora quasi tutto. Sono uomini di una causa. Non per nulla Fidel ha detto che Martí è l'autore di questa rivoluzione”.
Cintio mi ha più volte ricordato l'ingesso dei barbudos di Castro all'Avana: “C'era un grande contrasto tra la città con i suoi grattacieli, gli hotel di lusso e tutto quello splendore capitalista, e gli abiti laceri dei nuovi padroni. Perché figurati, arrivarono con i vestiti a brandelli, sporchissimi, i capelli lunghi. Fu una sorpresa, la gente son dapeva che i guerriglieri fossero così – fino a quel momento non li avevano mai visti – e nessuno poteva immaginare che si sarebbero presentati in quello stato.
E poi ci fu l'ingresso di Fidel all'Avana: un'apoteosi. Perché Fidel arrivò dopo, era passato trionfalmente per tutti i villaggi e tardò molto prima di entrare all'Avana. E quando vi giunse occupò l'hotel Habana Libre che allora era l'Habana Hilton e lo trasformò nel suo quartier generale. L'intero hotel occupato da lui e dai suoi guerriglieri: era uno spettacolo meraviglioso, e tutti i pomeriggi ci passavo davanti, per il gusto che mi dava vedere i barbudos al posto dei gringos ricchi. Per noi che li abbiamo vissuti, quelli furono i giorni più belli della nostra vita. E quei giorni furono come il Giudizio Universale perché a ciascuno veniva dato quanto gli spettava: ad alcuni castighi e ad altri premi. E tutto quello che era stato nascosto venne alla luce. Il bene e il male. Fidel aveva dell'autentico cristianesimo un'idea più chiara di quella di molti vescovi. Disse che il clero cubano, alleato dei ricchi, aveva prostituito l'essenza del cristianesimo primitivo
."
Ed era vero.

padre Ernesto Cardenal




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