México en guerra contra el Chapas














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La bufera finanziaria, che ha scosso il Messico e colpisce il mondo intero con le sue onde d'urto, ha rivelato la fragilità di questo "mercato emergente", citato ancora ieri come un simbolo del liberalismo trionfante applicato al terzo mondo.
Per salvare il sistema ed evitare il fallimento degli imprudenti speculatori, la comunità internazionale ha concesso al Messico 50 miliardi di dollari, a condizioni durissime, tra cui la messa sotto tutela del suo petrolio. Ancora una volta, saranno i ceti medi e le fasce più diseredate della popolazione a pagare le spese di questi sconquassi.
La violenta offensiva condotta dall'esercito federale contro gli insorti zapatisti nel Chiapas testimonia la necessità impellente dei governi di ripristinare la "stabilità" indispensabile per il "ritorno della fiducia" degli investitori stranieri.
A qualche chilometro dal clima pesante di Las Margaritas, l'ultimo sbarramento dell'esercito federale messicano si apre su una pista sassosa. Dopo una svolta della strada in terra rossa sorge la prima postazione dei ribelli. Uniformi grigioverdi, facce a metà coperte dai paliacate (fazzoletti rossi), fucili di calibro rispettabile. Conciliaboli. Autorizzazione a proseguire.
I fari non mollano la pista, sempre più ripida e dissestata. Nelle tenebre, luci tenui e intermittenti, qualche capanna desolata. Allo sbarramento successivo, volti coperti da passamontagna, armamenti considerevoli. Verifiche cortesi ma minuziose. Un contadino rimasto in giro a quest'ora della notte subisce un controllo ancora più pignolo; è interrogato e perquisito in modo brusco, e si sforza di spiegare il suo caso.
Appelli radio nel buio. Sigarette accettate senza ritegno. Domanda quasi ansiosa: "Non hai per caso il giornale di oggi?" Alla luce delle torce elettriche leggono precipitosamente i titoli, scorrono le pagine interne, si bloccano su una parola...
Qualche metro più in là, una lontana voce femminile gracchia a tratti nella rice-trasmittente. Quando la radio tace appare una figura massiccia: "Potete proseguire". Non prima però di un'ultima supplica, diretta stavolta da dietro l'alone di un debole raggio di luce: "Non avresti per caso una o due pile per le nostre lampade?"
Un esercito tutt'altro che opulento, e certo non da operetta. Un esercito di contadini indios. Più avanti sorge Guadalupe Tepeyac, bastione avanzato, in piena foresta, dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln).
L'avvertimento era stato dato dal Comitato rivoluzionario clandestino indigeno-Comando generale dell'Ezln (Ccri-Cge) fin dal 6 dicembre 1994, in un memorandum inviato al governo, tenuto segreto fino al 19 dello stesso mese: l'insediamento al potere di Eduardo Robledo, fraudolentemente eletto a governatore del Chiapas nello scorso mese di agosto, sarebbe stato considerato come un atto di guerra. Gli veniva chiesto di dimettersi in favore del candidato dell'opposizione Amado Avendano, ritenuto il vero vincitore, sostenuto dal Partido revolucionario democratico (Prd) e da una parte della società civile.
La risposta è stata inequivocabile: il nuovo presidente della Repubblica Ernesto Zedillo si è recato a Tuxtla Gutierrez, capitale dello stato, per presenziare di persona all'insediamento di Robledo. Era la fine della tregua in vigore da undici mesi. A San Cristobal de las Casas, Avendano si autoproclama "contro-governatore". Dal canto suo, l'Ezln entra in azione: occupa, praticamente senza sparare un colpo, 38 municipios e annuncia la formazione di "comuni liberi e ribelli" dove saranno applicate le "leggi rivoluzionarie zapatiste".
Logica dell'escalation militare: tra il 21 e il 28 dicembre, 60.000 uomini dell'esercito federale riconquistano le località
occupate.
Tuttavia, anche stavolta i belligeranti evitano accuratamente lo scontro. Più che una guerra aperta, una grande partita a scacchi. A questo punto, forte del suo successo militare, Zedillo fa una concessione, sia pure obtorto collo: riconosce come interlocutore per il dialogo con gli zapatisti la
Commissione nazionale di mediazione (Conai) presieduta da mons. Samuel Ruiz, un vescovo che ha dedicato la vita alla difesa delle comunità indigene. Il prelato non è molto ben visto negli ambienti del potere, e neppure... in Vaticano.
Il 15 gennaio 1995, grazie agli sforzi della Conai si giunge a un accordo. Mentre le truppe federali si ritirano dalle zone già occupate dagli zapatisti e recentemente riconquistate, l'Ezln annuncia un cessate il fuoco unilaterale a tempo indeterminato.
Ribelli in abiti civili Da allora, e nonostante gli sforzi di Mons. Samuel Ruiz e della Commissione di mediazione, i negoziati segnano il passo: "Noi non vogliamo la guerra" ci confida a Guadalupe Tepeyac il maggiore Moises, uno dei capi militari della rivolta, "ma sembra che se una parte del governo vuole la pace, un'altra è su posizioni opposte. Sta a loro decidere quale soluzione dare a questo conflitto. Se scatenano la guerra, da una parte e dall'altra si subiranno gravi perdite, perché noi non ci arrenderemo. Ma se si potesse trovare una via d'uscita politica e pacifica, ben venga!".
Moises aspira il fumo della sua pipa con una certa civetteria (mimetismo con il celebre subcomandante Marcos?) e lo soffia dalla stretta apertura del suo passamontagna. A parte questo dettaglio, della sua faccia non si vede altro che due occhi da indigeno, occhi a mandorla, a tratti maliziosi.
Il giorno prima due aerei militari avevano sorvolato la zona. Se l'esercito federale non vìola, in senso stretto, gli accordi del 15 gennaio, rafforza però le sue posizioni circondando l'Ezln, e installa nuove basi. È presente in tutta la zona confinante con il Guatemala.
"Pensano che non saremo di parola, sbotta il maggiore Moises scuotendo la testa; eppure abbiamo sempre assicurato che non daremo il via a un'azione militare senza avvertire. Se non ci sarà una soluzione rapida, riesploderà tutto quanto".
Non molto tempo fa, il mitico subcomandante Marcos noto soprattutto per il suo ruolo di portavoce di notevole talento ha ricevuto dal Ccri il bastone di comando dell'Ezln. Non è un indigeno, come tutti sanno. Gli indigeni allora sarebbero guidati, o magari manipolati, da un rivoluzionario di professione?
Spiegazione del comandante: "Il Ccri conserva nelle sue mani il potere politico. Ma nelle situazioni di conflitto, dove si devono prendere rapidamente decisioni militari, queste non si discutono, e spettano al comando militare. Se domani si riprendessero i negoziati, il comando ritornerebbe al Ccri che consulterebbe la base in vista di un eventuale accordo". Nei momenti di massima tensione, un capo per la guerra. Ma in pace come in guerra, il movimento è indio.
Intorno a noi, con le armi a bandoliera, alcuni zapatisti dal volto scoperto (proibito scattare foto) passano a piedi, a cavallo, in bicicletta... Qualche contadino torna dai campo.
Dalle nubi basse scende una pioggia fine che avvolge Guadalupe Tepeyac. È il 4 febbraio 1995. Grossi villaggi e piccole città Bochil, El Bosque, Simojovel, Huitiupan fuori dalla zona controllata militarmente dagli zapatisti, sono stati dichiarati "territori autonomi"...
Miseria dovunque. "Non abbiamo da mangiare, non abbiamo soldi, non abbiamo niente" dice cantilenando un vecchio contadino dalla voce rauca. "Lavoriamo tanto, ma non c'è guadagno. Un po' di caffè, un po' di mais, un po' di fagioli, ma il lavoro non rende." A una domanda più precisa e dopo una certa esitazione risponde: "Gli zapatisti non ci danno fastidio. Sono compañeros".
Non dirà altro. Lo abbiamo chiesto dieci volte: "Prima del gennaio 1994 sapevate qualcosa della rivolta in gestazione?"
E per due volte assistiamo alla stessa scena. Gli indios si concertano nella loro lingua, ridono tra loro, poi uno risponde in spagnolo, serissimo: "No, no, noi non ne sapevamo nulla. Lo abbiamo appreso dalla radio!" Ma proprio nella comunità in cui abbiamo ricevuto questa risposta concertata da un gruppo di sindacalisti contadini abbiamo poi scoperto, nascosta, una ricetrasmittente con la quale è possibile comunicare con l'Ezln.
Un'ampia base sociale di ribelli in abiti civili.
Nella prima decade di gennaio, sulla scia dell'occupazione zapatista dei 38 municipios, i sostenitori del "contro-governatore" Amado Avendano hanno occupato altri sette municipi.
A Huitiupán la sede del comune è stata occupata fin dal 21 dicembre 1994: "Huitiupán è stata dichiarata zona autonoma; è stato nominato un presidente, perché quello che c'era non era costituzionale, non era stato eletto con il voto popolare". Una pausa di riflessione, poi il nostro interlocutore aggiunge: "Non so fin dove potremo arrivare per difendere il nostro governo (quello di Avendano). Non è molto chiaro. Ma la gente è pronta a lottare!".
Curioso governatore, questo Amado Avendano. Cooptato dall'Ezln, dal Prd, dalle organizzazioni popolari e indigene, asserragliato nei locali un tempo occupati dall'Instituto Nacional Indigenista (Ini) a San Cristobal de las Casas, senza denaro né mezzi di alcun genere dirige un "governo di transizione" che assomiglia piuttosto a un'Ong (organizzazione non governativa).
Nel suo minuscolo ufficio una vecchia macchina da scrivere, la bandiera messicana come unica decorazione scandisce: "Noi riteniamo di aver vinto le elezioni. Devono riconoscerci. Altrimenti continueremo a occupare i capoluoghi e le sedi dei municipi, finché lo stato sarà divenuto talmente ingovernabile che Robledo sarà costretto ad andarsene".
Quarantacinque capoluoghi nelle mani della "resistenza civile"; ne basterebbe qualcuno in più per portare al 50% i municipios del Chiapas nelle mani del movimento.
In queste sedi comunali ciascuno organizza l'autonomia a suo modo. Non si pagano più né le imposte né la corrente elettrica. Le strade sono bloccate, i funzionari dello stato non possono più circolare. Tuttavia, questa spettacolare avanzata non toglie al "contro-governatore" la sua
lucidità: "La nostra strategia è un po' avventurosa", ammette con una risata, "perché poggia in larga misura sulla pressione esercitata dagli zapatisti. Il governo federale mi tollera e parla con me in ragione dei rapporti di forza, ma mi dicono apertamente: Dovresti scomparire, oppure stare in galera!" [...]
Ci troviamo al disopra di Tilla, in una località denominata Revolución. I contadini hanno montato le loro chozas accanto alla minuscola chiesetta bianca. Tra i mulini da mais dove si sfiancano alcune donne invecchiate anzitempo - non hanno ancora trent'anni - sciamano folle di bambini.
Per terra hanno messo a essiccare del caffè. Un po' più in là, la prigione privata nella quale il padrone rinchiudeva arbitrariamente i braccianti. Più sotto, un'ignobile costruzione, retaggio di un altro secolo: un vastissimo capannone, spoglio. All'interno, nella semi-oscurità, due interminabili divisori in legno, su due piani. Qui vivevano, dormivano, si disperavano, ammucchiati nella più totale promiscuità, i trecento semi-schiavi tra cui non pochi stagionali guatemaltechi della finca Frontera. Più in alto, sulla vetta di una collina, sorge la confortevole abitazione del padrone, una vasta dimora circondata da verande.
Ora trasuda disordine e puzzo di urina e di escrementi.
Il 19 febbraio 1994 i contadini hanno occupato pacificamente uno dei sei appezzamenti che costituiscono l'azienda agricola, di 1400 ettari in totale. Altri hanno preso possesso di un secondo appezzamento situato più a valle, nei pressi di Sabanilla.
"Eravamo in centocinquanta", racconta Antonio Martinez Cruz, "l'amministratore italiano non poteva certo resistere. Non gli abbiamo fatto niente; si è asserragliato in casa. L'8 maggio un elicottero dell'esercito è venuto a prelevarlo dalla finca. Ha lasciato però le guardias blancas (pistoleros) che aveva assoldato, e le armi. Da sei anni questi contadini chiedevano la terra, che è stata accaparrata illegalmente. I loro titoli di proprietà erano validi, ma non hanno ottenuto nulla dalle autorità e tanto meno dal proprietario, che rispondeva: 'Nel Chiapas non ci sono leggi'."
Una breve risata. "Ma in questi ultimi tempi i finqueros se ne sono andati tutti. Hanno fifa degli zapatisti!" Dopo l'amnistia e il cessate il fuoco in seguito all'insurrezione del gennaio 1994, incominciano, con molta disciplina, i "ricuperi" (o, viste dall'altra parte, le "invasioni"). Le terre
sono state occupate essenzialmente da contadini beneficiari di "risoluzioni presidenziali" mai applicate.
"È la tecnica burocratica", spiega André Aubry, un francese che da lunghi anni osserva la realtà del Chiapas: "I contadini presentano la loro domanda; seguono lunghe trattative, che possono durare anche dieci anni e sfociano alla fine in una risoluzione presidenziale, positiva o negativa. Ma anche quando le domande sono accolte, si lasciano marcire; a volte si aspetta anche dieci o quindici anni senza che una risoluzione venga attuata..."
A Chamula, il presidente Lopez Mateos aveva consegnato agli indigeni i loro titoli di proprietà nel 1972. Sono trascorsi 23 anni, e l'Istituto per la
Riforma agraria non ha ancora definito gli spazi che i nuovi proprietari dovrebbero poter occupare! Dopo le elezioni dell'agosto 1990, i "ricuperi" acquistano un significato diverso. Poiché il governatore Robledo non è credibile, non si tratta più di resistenza, bensì di un'escalation
dell'insurrezione civile (con alcuni eccessi, che riguardano però una piccola minoranza di casi).
Le proprietà occupate sono 600-700, nelle zone di Los Altos, nelle valli centrali, lungo la costa del Pacifico: a pelle di leopardo, le piccole zone autonome si moltiplicano ovunque. "Tutti coloro che avevano reclamato e non erano stati ascoltati hanno visto aprirsi uno spazio con l'insurrezione zapatista, e si sono affrettati a occuparlo".
Ma la reazione si organizza. A Sabanilla, nell'appezzamento della finca Frontera occupato da una trentina di famiglie, il 1° gennaio scorso le guardias blancas hanno distrutto quattro capanne, e si prevede che torneranno. "Se sarà necessario, combatteremo con i bastoni, con i sassi; ma loro sono armati. Chissà cosa succederà..."
Sulle colline circostanti, a Revolución, quattro pistoleros sono stati scoperti mentre si aggiravano nei paraggi. Una decina di contadini muniti di armi da fuoco vigilano in permanenza sulla comunità, ben decisi a picchiare duro se fosse il caso... Le guardias blancas non se ne sono andate, ma nella parte di giungla sotto il controllo dell'Ezln sono state "depistoladas", operazione che ha contribuito, anche se di poco, a fornire armi agli zapatisti. Ora però riappaiono in forze dovunque.
Le principali organizzazioni di ganaderos (allevatori), commercianti e imprenditori del Chiapas accusano il Prd e l'Ezln di fomentare la destabilizzazione sociale ed economica, ma se la prendono anche col governatore Robledo per la sua incapacità di farla finita con l'occupazione delle terre e con i municipios autonomi.
"Ascoltate bene, signori del governo" ha tuonato il 27 gennaio, davanti all'Assemblea nazionale dei proprietari rurali, Constantino Kanter, uno dei ganaderos più estremisti. "Non si tratta sulla legge, la si applica. E se per questo occorre chiamare l'esercito, che venga!". [...]
Il 15 gennaio 1995 Esteban Moctezuma, ministro dell'interno, incontra i dirigenti dell'Ezln. Il 29 gennaio la Conai annuncia un imminente secondo incontro tra l'esecutivo federale e l'Ezln.
Il 4 febbraio Ernesto Zedillo, presidente della Repubblica, esorta l'esercito zapatista a riprendere i negoziati e incita la Conai a dimostrarsi più attiva nei suoi sforzi di mediazione.
Cinque giorni dopo, il 9 febbraio, colpo di scena: dopo la scoperta di due depositi clandestini di armi a Città del Messico e nello stato di Vera Cruz, in un discorso alla nazione Zedillo rivela l'arresto di otto militanti dell'Ezln, seguito da confessioni che avrebbero consentito di scoprire
l'identità del subcomandante Marcos il cui vero nome sarebbe Rafael Sebastian Guillén e di altri quattro capi guerriglieri. "I dirigenti di questo movimento", scandisce il presidente, "non sono né popolari né indigeni, e neppure cittadini del Chiapas!". E annuncia che contro Marcos e i suoi quattro luogotenenti sono stati emessi ordini di arresto per "sedizione, ammutinamento, ribellione, cospirazione, terrorismo, porto e trasmissione di armi"...
Nelle ore che seguono, l'esercito scatena una vasta offensiva "per aiutare il ministero dell'interno a eseguire gli arresti".
Giornalisti e osservatori sono tenuti rigorosamente a distanza quando i militari penetrano nei bastioni zapatisti, compreso quello di Guadalupe Tepeyac. Quasi subito, nonostante l'embargo sull'informazione e le comunicazioni, si segnalano atti di brutalità, vessazioni, desaparecidos. E
contemporaneamente a San Cristobal viene esercitata su tutti gli esponenti della società civile, sui movimenti popolari, sulle Ong una forte pressione che presto assume tutte le caratteristiche di una caccia alle streghe.
Denunciati da presunte confessioni, presunti dirigenti dell'Ezln sono arrestati e il vescovo di San Cristobal, presidente della Conai, si ritrova sul banco degli accusati.
Cortine fumogene: con il pretesto di arrestare un "terrorista" (il subcomandante Marcos) che non è indio, come tutti sanno da tempo, e con il quale il ministro dell'interno dialogava fino a pochi giorni prima, si va invece diritti alla rottura dei negoziati. Con l'attacco contro Mons. Samuel Ruiz, (un suo familiare, Santiago y Santiago, è stato recentemente fermato) ci si prepara invece più surrettiziamente a squalificare la Conai, considerata troppo vicina agli indigeni. Non è escluso che tra qualche tempo il governo torni a parlare di negoziati; ma a questo punto ha dalla sua i successi militari, utili tra l'altro anche a dare soddisfazione ai generali umiliati da un cessate il fuoco che era stato loro imposto, e l'indebolimento, se non l'emarginazione di una Commissione di mediazione giudicata troppo indipendente: stavolta potrà quindi dettare le condizioni.
Hanno vinto i ganaderos che qualche giorno prima, davanti ai membri della Commissione legislativa nominata per trattare del problema del Chiapas, avevano dichiarato: "Il Messico ha bisogno di un presidente coi pantaloni!". E forse hanno vinto anche i grandi finanziatori, Stati uniti
e Fmi, accorsi in aiuto di un Messico economicamente esangue, ma preoccupati della sua instabilità.
E non sarà l'ultimo avvenimento le dimissioni "per un periodo di undici mesi" del governatore Robledo a modificare sostanzialmente la situazione, poiché a sostituirlo sarà chiamato l'economista quarantacinquenne Julio Fierro, membro del Pri, designato dal potere centrale dunque, eletto dal principe e non certo il candidato dell'opposizione Amado Avendano, che secondo ogni verosimiglianza doveva essere il vincitore delle ultime elezioni.
L'incognita che rimane è il rapporto di forze sul piano militare.
Di fronte all'offensiva dell'esercito, l'Ezln ha ripiegato senza combattere, non si sa se per volontà deliberata o perché condizionato da migliaia di civili in fuga davanti all'avanzata dell'armata federale, che si sono rifugiati sotto la sua protezione. La partita a scacchi continua, e l'ombra della
guerra plana di nuovo sul Chiapas.

Maurice Lemoine

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